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Autore: Rossy_89    20/03/2011    26 recensioni
La nostra vita è fatta di attimi. Alcuni di questi, in un battito di ciglia,sono in grado di cambiarci l'esistenza. Quello che in fondo succede a Bunny, figlia di un Commissario di polizia e studentessa modello alla Florida State University. Uno scottante segreto rivelatogli dal suo migliore amico Moran, un incontro con l'affascinante poliziotto marzio, sono solo alcuni degli avvenimenti che la porteranno in un viaggio ai confini di se stessa.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il primo rumore che sentii fu lo sgocciolio della soluzione fisiologica che dalla flebo lentamente penetrava nel mio braccio attraverso l’ago.
Il cloruro di sodio ardeva lungo le mie vene.
Un odore forte, simile a quello dell’alcol,mi avvolse; tossii, tramortita.
Poi un forte pizzicore, diffuso su tutto il corpo.
Una sensazione di torpore mi affliggeva i piedi, le caviglie, e arrivava su, su, fino alle ginocchia.
Provai a sollevarmi. Anche se avvertivo la testa appoggiata sul cuscino, mi sentii cadere nel vuoto. Niente sosteneva il mio corpo. Nessun muscolo sembrava rispondere ai miei comandi.
Spaventata, sussultai e sbarrai gli occhi. Un respiro mi si bloccò in gola. 
Gomitoli di colore intrisi di ragnatele opache dall’oscurità si dipanavano lungo il mio campo visivo. 
Come ovattata in una nuvola di cotone, piano piano iniziai a mettere a fuoco l’ambiente che mi circondava.
Dovunque spostassi il mio sguardo vedevo solo un candore accecante.
Tende bianche, lenzuola bianche, muri bianchi.
Un barlume  lattiginoso mi frangeva gli occhi entrando  attraverso una finestra dagli stipiti anch’essi immacolati.
 
Riuscii a malapena a distinguere il profilo di una sedia, un attaccapanni accanto una porta; su di essa, un cartellino con il numero 189.
Avvertii un fruscio in lontananza, poi la penombra. Un limbo grigiastro cedette il posto al bagliore sfavillante: probabilmente qualcuno aveva tirato le tendine.
 
Mi rigirai spasmodicamente nel letto,  inconsapevole di dove mi trovassi.
“Marzio…”
Mi sforzai di urlarlo quel nome, ma dalla bocca fuoriuscì solo un flebile sussurro, un soffio di vento.
Una mano amica mi accarezzò il viso, sussurrandomi: “Dormi, Bunny, dormi. Non avere paura, ci sono io con te.”
Carpii una scia di profumo a me conosciuto sfiorarmi la guancia.
Poi il dolce, lieve schiocco di un bacio.
È stata una lunga nottata, devi ancora smaltire l’anestesia.. Dormi, tesoro..”
Con una sensazione di capogiro sempre più opprimente alla testa, emisi un debole lamento. Poi, quasi contro la mia volontà, mi lasciai avvolgere dalla voluttà del Buio.
 
 
 
 
Sei mesi prima, Luglio 2009
 
“Papà.. prendi tu i bagagli per favore? Sono troppo pesanti e io sono troppo stanca. Dio, non vedo l’ora di entrare nell’idromassaggio e starci minimo per tre ore..”
“Non ti preoccupare, B, ci penso io alle valigie.”
Con uno sforzo notevole mio padre sollevò i due trolley rosa confetto ancora incellofanati, e li depose sul marciapiede.
Sbuffando, scesi dal taxi che dall’aeroporto mi aveva portato a casa.
 
Appena scesi dalla macchina, la calura estiva mi aggredì, insorgendo violentemente dall’asfalto. Mi spostai con una mano una ciocca di capelli che con il sudore mi si era incollata alla fronte e mi avviai verso casa.
 
Mi chiamo Bunny, ho 21 anni, e vivo a Miami, a due passi dall’oceano. Quel giorno ero appena tornata da due settimane da sogno a Los Angeles, la favolosa Città Degli Angeli, con le mie migliori amiche, Amy, Rea, Marta e Morea.
Neanche scese dall’aereo che già ricordavamo quella volta in quella città lontana, con in mano il telo da mare,  una cartina e la borsa di paglia, con un piede fuori dal finestrino della macchina, con lo smalto tutto rovinato, con i capelli intrisi di salsedine lasciati asciugare al vento, con un le fragole  sulle gambe e l’i-pod che riproduceva sempre la stessa canzone. 
Ricordavamo non solo i luoghi, ma anche le risate, i suoni, i profumi, i sapori dei tragitti percorsi sulle strade scoscese della California in una vecchia macchina da safari; ad ogni curva sballottavamo dappertutto,  ridendo a più non posso. Perché, diceva qualcuno, l’importante non è la meta, ma il viaggio.
 
Ma ora la vista di casa mia mi ricordò che era tutto finito.
Ero ritornata alla triste realtà.
Prima che  il portellone del Boing si chiudesse, avevo gettato un ultimo sguardo sull’immensa vallata di LA, che costeggiava dolcemente l’oceano disegnandone il contorno. Volevo imprimere al massimo quell’immagine nella mia mente, come su una pellicola fotografica.
Ma ora mi sembrava tutto così lontano..
Come se fosse successo in un’altra dimensione, in un altro mondo.
In un’altra vita.
 
Pigramente mi trascinai verso il vialetto alberato. Una leggera brezza scuoteva impercettibilmente le palme e gli arbusti disposti ai lati. Nella salita, cercai refrigerio nell’ombra delle piante. 
Un’ondata di afa aveva ottenebrato la East Coast in quelle settimane, facendo salire la colonnina di mercurio a livelli inauditi.
 
Raccomandandomi di sistemare la valigia e di non lasciare tutto sottosopra come al mio solito, mio padre trasportò i bagagli fino all’ingresso e  mi salutò con un bacio sulla guancia, diretto al lavoro.
Quel giorno lo aspettava il turno di notte.
Salii le scale a due a due, impaziente di arrivare in camera.
Non appena i miei occhi si posarono sui bagagli straripanti di indumenti, mi caddero le braccia.
Non ne avevo affatto voglia, così chiusi la porta e mi buttai a pesce sul letto.
Mia madre non era ancora tornata, e mio fratello Sam era agli allenamenti della squadra di calcio della scuola.
“Meglio così”, pensai. Non avevo voglia di parlare.
 
Un leggero velo di apatia si era impadronito di me. 
Ancora quel pensiero che mi violentava la mente, senza pietà.
Afferrai di getto la macchina fotografica digitale (anch’essa rigorosamente rosa, pendant con le valigie), e iniziai a scorrere una per una tutte le foto che avevo scattato i giorni prima, nel tentativo di arginare quella sensazione di insofferenza.
Magari sarei riuscita a non pensare a lui. A quello che mi aveva rivelato.
Invano.
 
Mi alzai di scatto sgualcendo la leggera coperta a cuori rosa e rossi che ricopriva il letto e mi diressi verso la finestra, appoggiandomi al muro. Appena tornata, già sentivo il bisogno di uscire, magari di fare un bagno al mare.
Composi il numero della mia amica Amy.
“Bunny?”
Riuscii a percepire la sua sorpresa dal tono di voce  con il quale mi aveva risposto.
Amy era la mia migliore amica, e solo avere la consapevolezza di averla accanto, di saperla sempre disponibile ad ascoltarmi e a parlare, riusciva sempre a risollevarmi. Era una ragazza straordinariamente responsabile, e mi infondeva un profondo senso di sicurezza.
Sorrisi, un po’ nervosa.
 “Ciao Amy! Lo so che è strano e che ci siamo viste mezz’ora fa, ma c’è una cosa di cui vorrei parlarti. Non l’ho detto nemmeno alle altre perché mi ero imposta di non pensarci durante la vacanza. ”
Silenzio.
“Riguarda la persona che penso?”
“Ecco.. Più o meno.. Sì, Amy. E’ inutile nasconderlo.”
“Bunny!!!”
“Lo so, lo so, Amy! Sono una stupida. Ma ti prego, questa volta non è un mio solito viaggio mentale da ex adolescente repressa. Ma posso  parlartene a voce? ”
“Va bene, Bunny cara. Ho appena finito di disfare il bagaglio, e stare sola a casa mi intristisce. Ci vediamo alla Crystal Beach fra mezz’ora, ok?”
 La Crystal Beach era un’area balneare dedicata alle attività sportive, con campi da beach volley, tennis e attrezzature per il surf e le immersioni, a un quarto d’ora circa da casa mia.
“Perfetto! Grazie Amy. E’ che è una cosa che mi porto dentro da un po’.”
“Immaginavo.”
“Immaginavi?”
“Sì. E anche le altre. Non eri la stessa a  L.A. Non sei più la stessa da quando siamo partite. ”
Sorrisi di nuovo.
“Voi mi conoscete troppo bene.”
“Esatto. Dai, adesso ne parliamo. A dopo! E mi raccomando… Puntuale, Bunny!”
 
Finalmente stavo per condividere con qualcuno il greve peso che portavo dentro di me da circa due settimane.
Come uno spettro si reca a fare visita a colui che l’aveva perseguitato in vita, di notte quell’ombra veniva a trovarmi. E la paura mi assaliva di getto.
 
Rincuorata da quella telefonata, infilai di corsa il bikini, un copricostume hawaiano e i miei immancabili infradito.
Andai in camera di Sam e di nascosto presi un cappellino da baseball dei Lakers, la sua squadra preferita.
Se solo l’avesse saputo mi avrebbe uccisa, ne ero sicura.
 
Sulla porta di casa incrociai mia madre, con in mano due borse della spesa, le chiavi della macchina e una cartellina straripante di documenti e fogli svolazzanti dell’ufficio legale in cui lavorava.
Alla mia vista spalancò gli occhi, sorpresa.
“Bunny! Sei tornata? E vai già via? Amore, non sei stanca?”
Celai la preoccupazione sul mio volto cercando di sembrare molto occupata.
“Non preoccuparti mamma… Non sono stanca, è solo che ho voglia di farmi una partita a beach. Mi vedo alla spiaggia con Amy e le altre.”
Avevo già un piede fuori di casa.
“Ma com’è andato il viaggio tesoro? Non mi dici nulla?”
“Bene, mamma, bene..”
“E cos’avete fatto tutto ieri? Ti sei dimenticata persino di telefonare, io e tuo padre eravamo così in pensiero..”
“Niente mamma.. Non abbiamo fatto niente di particolare.. Le valigie, l’ultimo giro sul Rodeo Drive e cose così. Ah, ho preso un sacco di vestiti carini, sono in valigia.. Ah, e dato che ci sei, potresti disfarmela tu? Così dopo potrai dirmi se ti piacciono!”
Sfoderai un sorriso angelico.
 
Mia madre sospirò.
“Ciao, io esco! Tornerò per cena, non preoccuparti!”
 Borbottando, mia madre appoggiò la borsa sul tavolo.
“E va bene.. Va bene.. Sei la più grande rigiratrice di frittate che conosca.. Tutta suo padre..”
Continuando a rimuginare si diresse verso le scale.
“Sì, mamma…” bofonchiai, frugando nel borsone di tela per controllare di avere preso il pallone.
Non avevo sentito quello che mi aveva appena detto, ma in ogni caso “Sì, mamma” era una risposta universalmente corretta per qualsiasi quesito.
 
 
Una volta arrivata alla Crystal Beach, stesi il mio asciugamano in attesa di Amy.
Inforcai gli occhiali da sole, e dopo essermi applicata un’abbondante dose di olio abbronzante, mi misi a leggere il mio libro preferito. “I Passi Dell’Amore”, di Nicholas Sparks.
 
Era proprio una bella giornata, ed io mi stavo proprio rilassando. La calura soffocante del primo pomeriggio aveva lasciato spazio ad una brezza rinfrescante. 
Il cielo era tersissimo, con solo qualche sprazzo di foschia all’orizznte. La superficie cristallina del mare veniva appena increspata da qualche  flutto spumoso in qua e in là.
Un po’ più lontano, un gruppo di ragazzi sulla battigia stava indossando le mute subacquee, pronti per l’immersione nell’Oceano.
Spaparanzata a pancia in giù, sentivo il sole irradiarmi le guance, che mi induceva a lasciarmi andare nelle braccia di Morfeo.
Inspirai profondamente la brezza salmastra, assaporando la sensazione di sollievo dal calore della sabbia, che bruciava alla pari di tizzoni ardenti.
Abbassai le palpebre, che stavano diventando pesanti come mattoni.
 
“Chissà dov’è Moran..” pensai.
Sapevo che non avrei dovuto pensarci, ma più me lo imponevo, più ottenevo l’effetto contrario. Ritornava nella mia mente  come un boomerang.
Forse avrei dovuto farmi sentire in quelle due settimane in cui ero stata via. Forse sarei dovuta passare a salutarlo, prima di andare alla spiaggia.
Con gli occhi chiusi, un vortice di pensieri sconnessi mi inondò la mente.
Visualizzai Moran che mi salutava all’aeroporto prima che io partissi per L.A.
Ogni dettaglio di quella giornata era scolpito nella mia memoria. Ricordavo tutto anche della discussione che avevamo avuto mentre aspettavamo insieme le mie amiche all’imbarco .
 
Mi aveva accompagnato con la sorella, Ursula, che era rimasta in disparte per permetterci un momento di privacy.
Già, Ursula.. Sì, stimavo molto anche lei. Lei non sapeva.
Simile a Moran nell’aspetto e nei modi, era una bellezza acqua e sapone, colta e rispettosa: mi sarebbe piaciuto avere l’occasione di conoscerla meglio.
“Non posso non dirlo a nessuno” pensai. “Non ce la faccio. Per il bene di Moran, qualcuno deve saperlo. Non voglio che corra un minimo rischio. Se necessario, lo dirò anche a  papà.. D’altronde, è quello di cui si occupa ogni giorno. Lui saprà trovare una soluzione.”
 
Quel leggero senso di inquietudine provato mezz’ora prima si riaffacciò violentemente a me.
“Amy è una persona affidabile. Lo dirò a lei e basta, le altre le terrò fuori. Non oso pensare cosa succederebbe se..”
 
“Bunny! Sei tornata! Come stai?!”
 
Un paio di mani gelide mi afferrarono la vita.
Lanciai un urlo, spaventata a morte.
“Moran! Mi hai fatto prendere un colpo!”
Ero scattata in piedi come una molla, con il cuore che palpitava all’impazzata.
“Tu non desideri che io arrivi ai 22 anni, vero?”
Quel simpaticone aveva le lacrime agli occhi dalle risate.
Togliendosi per metà la muta subacquea,  si mise seduto a fianco a me, grondante d’acqua.
 
Moran era il mio migliore amico. Ma anche il ragazzo di cui ero perdutamente innamorata da quasi due anni.
Alto e slanciato, con una cascata di capelli dorati che incorniciava due occhioni nocciola da cerbiatto e un viso dai lineamenti dolci e delicati, era tutto quello che potessi desiderare.
 
Feci la sua conoscenza al college. Io ero al primo anno del corso di Biologia, lui al terzo di Fisica Astronomica.
Quel giorno ero in corridoio in attesa che Mrs. Smith facesse il mio nome per il colloquio orale di Genetica, il mio primo esame, ed ero in una vera e propria crisi d’ansia.
Camminavo avanti e indietro come un condannato al patibolo, con il respiro affannoso e la salivazione azzerata. La trepidazione mi attanagliava il petto.
Più il mio turno si avvicinava, più ero consapevole di non ricordarmi una sola parola di quello che avevo studiato. Sfogliando il libro, nessun concetto mi risultava familiare.
Il Nulla.
Il Vuoto.
Poi il panico allo stato puro.
Non riuscendo a frenare i miei sentimenti, da brava ragazza piagnucolona sull’orlo di una crisi di nervi scoppiai in un pianto dirotto, davanti a tutti.
 
E a quel punto Moran si fermò davanti a me.
Stava passando per caso in corridoio con un paio di amici in attesa che iniziasse la sua lezione, e aveva assistito a tutta la scenata.
Io lo guardavo imbambolata, con il trucco sbavato e gli occhi gonfi di lacrime, singhiozzando a più non posso, mentre si sedeva di fianco a me. Ponendomi un fazzolettino, iniziò ad elencarmi una serie di situazioni estremamente imbarazzanti nelle quali anche Mrs. Smith, in quanto umana, avrebbe dovuto trovarsi nella vita di tutti giorni, strappandomi prima un sorrisi, poi una risata liberatoria.
Un principe azzurro sbucato fuori dalle pagine di Christian Andersen, per asciugarmi le lacrime e farmi coraggio, sdrammatizzando la situazione.
 
Gliene fui eternamente grata.
Da quel giorno nacque una bella amicizia che però, non potevo negarlo, speravo si trasformasse in qualcosa di più.
 
Tornando alla fantastica sorpresa che  mi aveva fatto quel giorno in spiaggia, tentai di essere il più spontanea possibile e di celare l’emozione dovuta a quell’incontro inaspettato.
Nascosi il libro sotto l’asciugamano. Sapevo che Sparks non rientrava nei gusti letterari di Moran, e socchiusi gli occhi maledicendo il fatto di essere uscita di casa senza neppure essermi pettinata.
 
Moran ridacchiò.
“Ho appena finito il corso di sub, quando ti ho visto qui, beatamente sdraiata con il sedere all’aria.. La tentazione è stata troppo forte!
Allora, cosa mi racconti di Los Angeles? ” , disse, passandomi un braccio sulle spalle, e con un bellissimo sorriso stampato sulle labbra.
Arrossii.
Non avrei mai fatto l’abitudine a tutti quei piccoli gesti di complicità che il mio migliore amico mi dedicava abitualmente.
 
“Bene, grazie.”
“Beh? Tutto qui? Nient’altro? Eri così felice di visitare la California..”
 
Non sapevo cosa dire. Mi aveva preso alla sprovvista.
 
“Non ti sei fatta sentire quand’eri via..”
“Lo so.. mi dispiace, Moran.”
Moran si fece scuro in volto.
“Sei arrabbiata con me, vero?”
“No, no. Moran, ascoltami. Io ci ho pensato molto a L.A., a quello che mi hai detto prima che partissi. Secondo me non stai facendo la cosa giusta, dovresti dirlo a qualcuno.”
“Non se ne parla.” . Sbottò. “Pensavo di essere stato chiaro.”
Poi l’amarezza si dipinse sul suo volto.
“Credevo che tu fossi la mia migliore amica.”
“Lo sono, infatti! Moran…”
“Pensavo avessi capito la mia situazione, che non mi avessi giudicato. Pensavo che con te avessi potuto parlare apertamente.”
“Moran, di me ti puoi fidare, lo sai. E’ solo che io non voglio che tu parta.. Moran, io..”
Mi feci coraggio. Forse, se gli avessi rivelato i miei sentimenti, avrebbe capito il perché delle mie parole.
Ma non me ne diede il tempo.
“No, Bunny, lascia stare. Se hai il coraggio di dire questo,  allora non hai capito niente. Di me, della circostanza in cui mi trovo. Evidentemente sei arrabbiata perché non farò quello che vuoi tu, per una volta.”
Si mise gli occhiali da sole.
“Questa può  essere una delle ultime volte in cui possiamo vederci. E invece di starmi vicino, inizi a sputare sentenze su come dovrei comportarmi. Io non ho più niente da dirti, la tua reazione è stata più che eloquente. Ci vediamo.”
Moran si alzò e fece per andarsene.
“Moran, aspetta! Non è come pensi, non sono arrabbiata e non ti sto affatto giudicando.. Credimi..”
Si voltò e mi guardò.
“E allora com’è? Com’è che non riusciamo più ad avere un dialogo? Com’è che non riesci più a guardarmi negli occhi quando ti parlo? Com’è?”
Mi sentii profondamente in colpa. Abbassai la testa.
Non gli avrei detto niente di quello che provavo per lui.
Gli avrei provocato solo altro dolore.
 
“Lo vedi?”
Altra pugnalata al cuore.
 
A quel punto, la figura di Amy fece capolino dall’entrata della spiaggia. Moran si affrettò a levare le tende, rendendosi conto che la situazione sarebbe diventata ingestibile di lì a poco.
 
“Ciao, Bunny.”
Mi salutò, freddo come un pezzo di ghiaccio.
Quel giorno, il mio Principe Azzurro si era trasformato nel lupo cattivo.
Ma non potevo attribuirgli una colpa per questo.
Esiste una linea sottile fra Amicizia e Amore.  E io l’avevo superata.
   
 
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