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Autore: Flaqui    31/03/2011    8 recensioni
Occhi che non vedono, cuore che non sente.
Sarà per questo che nessuno prova niente per me?
Perché non mi vedono.
Essere invisibile è quasi come non esistere, solo quando qualcuno ti vede, ti senti vivo.
L’essenziale è invisibile agli occhi. Sarà che sono talmente essenziale da essere totalmente invisibile? Sono come un fantasma. Un ombra che passa ma che nessuno mi può vedere.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Autrice.
So che probabilemte mi vorrete uccidere perchè non ho ancora aggiornato Ironic, ma ho dovuto riscrivere completamente il decimo capitolo (se vi dico che la mia personalità si sta sdoppiando peggio di quella di Justina allora, forse, inizierete a farvi una vaga idea!) Volevo soltanto ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito e vi prometto che il prossimo chappy è quasi pronto. per ora godetevi questo primo capitolo di una storia che ha preso vita da sola, e cercate di indovinare chi saranno i personaggi....
Flaqui
P.S. Voglio ringraziare ThiaguellaItaly e Rossy97 a cui ho sottoposto il primo capitolo di questa storia, come penso abbiate notato ho fatto qualche piccolo cambiamento e ho introdotto un altro chappy prima di quello che vi ho fatto leggere.
BESITOOOOO


 PROLOGO

 
-Signorina, mi scusi, non può entrare con la borsa!- la bloccò un ragazzo con la maglietta del luna park, con tanto di cappellino, fischietto e tracollina coordinata, tutto targato Rosert Park.
La ragazza gli scaraventò la borsa in mano, con violenza.
Voleva solo salire su quella giostra.
Voleva avere un buon motivo per piangere, per traballare, per sentirsi male.
Impaziente si lasciò cadere al suo posto, e aspettò che la barra di sicurezza si abbassasse, stringendola contro il sedile.
Accanto a lei presero posto un gruppo di ragazzini.
Erano più piccoli di lei. Forse di qualche anno.
La ragazzina bionda con una mano stringeva un orsetto di peluche, rosa confetto, di quelli che si vincevano al chiosco e con l’altra la mano di uno dei suo amici.
Si sedettero e ridendo aspettarono che la barra si abbassasse anche su di loro.
-Deve essere forte questo gioco!-esclamò uno di loro.
-Si, ho sentito che dopo ti gira forte la testa!- commentò l’altro.
Piano, piano la giostra iniziò a salire, le luci lampeggianti che illuminavano la notte scura.
La ragazza guardò il cielo.
Non si era resa conto che fosse così tardi.
Nico l’avrebbe uccisa, al suo rientro.
Ma ora non le importava.
La giostra iniziò a girare, all’inizio un moto lento, tranquillizzante, poi mano a mano sempre più veloce, sempre più vorticoso.
Sentiva le urla dei suoi vicini senza sentirle davvero.
E mentre la “Trottola Mortale” raggiungeva velocità impressionanti, lei chiuse gli occhi e pianse.
Pianse perché nulla era come avrebbe dovuto essere.
Perché lei non era come avrebbe dovuto essere.
-La verità è che non ti importa niente di nessuno!-
-Tu non sai cosa è l’amore! Non lo sai!-
-Pensavo fossi diversa!-
-Come hai potuto farmi questo?-
-Tutto quello che dici è una bugia! Tu sei una bugia!-
-Non mi stupisco che nessuno ti ami!-
Le voci urlavano dentro di lei e il pensiero dei loro proprietari mentre le pronunciavano,la fece appoggiare alla testata del sedile.
Mentre la giostra faceva il suo ultimo, velocissimo, giro qualcosa invase il suo campo visivo.
Una macchia rosa.
L’orsetto della ragazza.
La giostra si fermò e iniziò a scendere.
Richiuse gli occhi.
Ma riusciva a sentire.
-Tu hai visto dove è volato?- stava dicendo una voce maschile.
-Uffa! Avevi impiegato ore per vincerlo! Mi dispiace!- esclamò quella che doveva essere la biondina.
-Non ti preoccupare, ne prenderemo un altro!- la rassicurò lui.
I due raggiunsero il gruppo, che intanto erano andati avanti, continuando a parlottare fino a che non furono abbastanza lontani e le loro voci si confusero con il chiacchiericcio della folla.
Era rimasta sola, ormai.
Ma non voleva scendere.
Non ci riusciva.
-Signorina, si sente bene?- chiese il ragazzo con il cappellino.
-Si, si, io… io volevo fare… un altro giro…- mormorò lei, poi estrasse dalla tasca un foglietto giallo –Ho un ultimo biglietto…-
Il ragazzo la guardò preoccupato.
Era abituato a queste scene, persone che si sentivano male, che piangevano o peggio vomitavano copiosamente, ma nessuno di loro aveva mai voluto fare un “secondo giro”.
Si chiamava “Trottola Mortale” anche per questo.
-Signorina, scusi se glielo ripeto, ma è sicura di stare bene?-
Lei, lo guardò, poi spazientita gli strappò la borsa nera che gli aveva consegnato in precedenza e se ne andò, un po’ barcollante.
Il ragazzo la guardò andare via, incerto sul seguirla o meno.
Poi si strinse nelle spalle e andò ad occuparsi del prossimo gruppo.
 
La ragazza scese barcollando, dalla piattaforma.
Si sentiva quasi ubriaca, l’equilibrio andava e veniva, le ginocchia tremavano convulsamente.
Ma dubitava fosse solo colpa della giostra.
No, non era solo per quello.
Mentre camminava verso l’uscita urtò contro qualcosa.
Era un peluche rosa.
Era l’orsetto rosa.
Rischiando di cadere a faccia a terra, si chinò e lo afferrò.
Lo fissò per un secondo.
Non era nulla di che.
Il pelo sintetico, soffice al tatto era un po’ sbiadito e l’occhio destro aveva perso un po’ di vernice, ma per essere stato appena scaraventato giù dalla “Trottola Mortale” era davvero in ottime condizioni.
Quasi migliori delle sue.
Incurante del fatto che fosse caduto per terra, e soprattutto che fosse di qualcun altro, se lo portò al petto e lo strinse forte.
Era bello.
Sentire che in quell’orsetto c’era stato amore.
Che quel ragazzo aveva impiegato ore per vincerlo.
Solo per la sua amata.
Non le importava che tutto quell’amore non fosse per lei.
Le andava bene comunque.
 
Il parcheggio del parco era a pochi metri di distanza.
Ma si sentiva ancora strana.
I suoi occhi non vedevano, appannati, come se davanti a lei ci fosse un enorme velo.
Anzi come se quell’enorme velo l’avesse avvolta, impedendole di respirare, schiacciandole forte il petto, premendole forte sul cuore, se mai ne avesse avuto uno.
Aprì la bottiglietta dell’acqua e se ne versò un po’ sui polpastrelli, poi se li passò sulle palpebre, come se potesse in qualche modo aiutarla a calmarsi.
A togliere il velo.
Ma era ancora lì, inossidabile, ancora più spesso e impenetrabile di prima.
Si portò la mano al petto, premendo per farlo abbassare.
Ora finalmente sapeva cosa significasse “mancare il respiro”.
 
La gente si accalcò rapidamente.
Un ragazzo le si avvicinò, cercando di parlarle.
-Ehi, ehi? Mi senti?-
Ma non ci fu nessuna risposta.
Una signora fece rapidamente il numero dell’ambulanza, annunciando spaventata che lì al Rosert Park, una ragazza era svenuta nel parcheggio, stringendo in mano un orsetto di peluche rosa.

 
 
 

   
 
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