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Autore: Maybe Charlie Knows    06/05/2011    3 recensioni
Tutti hanno dei segreti.
Lo sa bene anche Charlot Valenti, che nel mondo di lustrini e feste oltre ogni limite in cui vive nasconde alla gente ben più di quanto il trucco pesante e l'atteggiamento estremo lascino trasparire. Nel turbine di stelle della sfolgorante New York City, Charlot seppellisce problemi di sangue e di lacrime. Fra una coinquilina filosofeggiante, un gruppo di amici da nottate alcoliche e un cognome avvolto da un passato misterioso, Charlot sente di avere il mondo ai propri piedi. Nulla potrebbe andare storto.
Ma lo strato di ghiaccio che ricopre il suo cuore non è così spesso, anche la minima scossa minaccia d'infrangere il precario equilibrio con cui la ragazza convive.
La cosa che Charlie adorava di più dei rave party di quel genere era propri il ridursi delle luci a centinaia di piccoli fasci. In quel momento sulla folla, che riempiva il casermone tanto da eliminarne in apparenza i confini, pendevano strascichi di un bianco abbacinante, che scomparivano ad intervalli irregolari. Per pochi secondi, ogni persona si ritrovava sotto un riflettore che la poneva al centro della pista da ballo, sotto gli occhi stancati dal buio di tutti i presenti. Un momento di gloria, che svaniva in fretta ma che durava abbastanza da concedere la possibilità di gridare, cantare ed esaltarsi sotto gli occhi di tutti. [Cit. Prologo]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Non c’era nulla al mondo che potesse essere paragonato all’emozione di essere sfiorate da quel treno in corsa

 

 

 

 

 

 

 

Non c’era nulla al mondo che potesse essere paragonato all’emozione di essere sfiorate da quel treno in corsa.

Aprì gli occhi.

Stranamente, la sua prima aspettativa fu quella di trovarsi davanti ai suoi occhi grigi che la fissavano, con il solito, terribile sentimento nello sguardo.

Rimprovero. Compassione. Rabbia cieca.

Quell’odiosa devozione ricolma d’amore...

Solo le carrozze arrugginite del treno che sfrecciava accolsero le lacrime che presero a scenderle lungo le guance.

La sua vita, era la sua vita a sfrecciarle davanti in quel momento.

Forse, sarebbe stato meglio tenere gli occhi chiusi ancora un po’.

La sua vita la stava lasciando indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCOOP

Tutti i Miei Sbagli

 

 

 

 

Prologo [Stars Are Shining Bright]

 

 

 

 

 

(Un anno prima)

 

Take me out tonight.
Oh, take me anywhere,
I don't care, I don't care, I don't care.
Driving in your car,
I never, never want to go home,
because I haven't got one.
Oh, I haven't got one.

 

(The Smiths – There Is a Light That Never Goes Out)

 

 

Si dice che le guide a cui gli uomini fanno riferimento, sin dall’alba dei tempi, nei momenti di difficoltà siano le stelle.

Queste piccole scintille nel cielo, in realtà gigantesche sfere infuocate che attendono soltanto un’esplosione finale, hanno rappresentato figurativamente le divinità di ogni popolo, volontà superiori che dall’alto giocano a dadi con l’universo. Nei momenti di smarrimento, una buona conoscenza astronomica riconduceva marinai e viaggiatori sulla strada di casa.

Quell’anno, nel cielo sopra New York City, le stelle scomparvero definitivamente.

Persino la luna sembrava essersi inchinata alla potenza del fascio luminoso che emanava l’insieme dei grattacieli; ridotta ad una sfera asettica nel firmamento, pochi si soffermavano a guardarla davvero.

A qualche chilometro dal confine con New York City, le uniche stelle erano costituite dai fari dell’automobile che sfrecciava lungo la stradina deserta.

- Dom! Dom! Ma che cazzo fai? -.

L’acuta voce femminile si unì a quello che era l’unico rumore nel raggio di un buon numero di chilometri: il fastidioso chiasso della metropoli, per le orecchie dei passeggeri della macchina, in quel momento era completamente sovrastato dalla musica che le casse dell’autoradio strillavano.

Hey ho, let’s go! Hey ho, let’s go!

Il ragazzo appena chiamato in causa in quel momento era impegnato in una complicata torsione del busto, con cui stava cercando di passare attraverso i due sedili anteriori per raggiungere i compagni sul retro. Nessuno dei presenti sembrava particolarmente entusiasta di quella decisione.

Il sovraffollamento esagerato dei sedili posteriori era considerato, infatti, un valido motivo per prendere a calci Dominic e la sua intraprendenza.

- Charlie, cazzo, rallenta! O questo si ammazza! – Kimberly, graziosa biondina dall’ugola d’ora, in quel momento strizzata contro il finestrino della Jaguar XF rossa, cercò nuovamente di attirare l’attenzione della ragazza alla guida.

Il tentativo fu perfettamente vano: tutti sapevano che ciò che piaceva di meno a Charlie era perdere tempo.

- Certo che sei coglione! – il ragazzo di Kimberly, Calvin, che sedeva accanto a lei cercando un modo per fumare beatamente la propria sigaretta senza uccidere nessuno, tentò di dare manforte alla propria fidanzata. Purtroppo la sua voce risuonò ovattata in mezzo a quella confusioni di arti che s’era creata.

Charlie sorrise, premendo il tacco alto della scarpa sull’acceleratore. Lo sguardo birichino gettò un’occhiata veloce allo specchietto retrovisore, per valutare la reale confusione che regnava nell’auto. Con la coda nell’occhio, vide schiena nuda di Evie contrarsi fra le braccia dello studente russo che aveva conosciuto all’università, seduta su questo a cavalcioni. Evidentemente, lo spazio ristretto non aveva impedito loro di consumare quella liaison composta di pochi vocaboli cercati su Google.

Richie, stretto fra Kim e i due amanti, prese a strillare – Dominic, per l’amor del cielo, torna davanti! – le sue pupille erano ridotte a punte di spillo.

- Avanti, deficiente! – Charlie allungò una mano per afferrare un lembo della camicia di Dominic, trascinandolo a sedere sul sedile anteriore del passeggero. Il ragazzo le rivolse un ghigno storto – Che c’è, Charlie? Hai paura che qualcuno si faccia male? – certo che aveva paura. Ma non l’avrebbe mai ammesso, e per tutta risposta schiaccio nuovamente il piede sull’acceleratore.

La Jaguar XF raggiunse lo stretto e semisconosciuto sbocco per l’autostrada dopo pochi minuti, i quali furono sufficienti perché tutti dimenticassero i motivi del precedente fastidio.

Charlie buttò un’occhiata distratta alle cifre sui quadranti dell’orologio digitale della macchina, mentre attorno a lei scoppiava nuovamente il terribile, familiare caos. Mancavano dieci minuti alla mezzanotte, perciò erano perfettamente in orario. La scorciatoia che aveva preso, ovvero quella stradina piena di buche che tagliava la zona industriale del New Jersey confinante con NYC, aveva accorciato di gran lunga il viaggio.

- No, Dom, ma se devi morire voglio che sia esclusivamente per causa mia, e non per le tue manie esibizioniste. -.

Li attendeva uno dei rave party più scandalosi e lunghi di tutti i tempi.

La ragazza fece una smorfia: almeno, questo era ciò che aveva detto Freddie. Freddie. Charlie non vedeva l’ora di rivederlo.

- Ahia! – lo strillo di Kimberly per poco non ruppe un timpano a tutti, mentre ad una velocità preoccupante superavano una serie di tir, unici veicoli presenti nella strada statale a quell’ora. Calvin la stava guardando con astio, il finestrino aperto che minacciava di far volare via il cappellino da rapper del ragazzo.

- Non ti azzardare a toccare alcol! – la ammonì severo. La ragazza si massaggiò il lembo di pelle che Calvin le aveva pizzicato.

Era paradossale che, nonostante Calvin fosse uno dei più assidui consumatori di marijuana della loro vasta compagnia, egli fosse completamente astemio e spronasse con un entusiasmo un tantino eccesivo la sua fidanzata ad imitarlo. In quel momento, il ragazzo reggeva in mano una bottiglia di Jack Daniel’s sbucata da chissà dove, che Kimberly stava cercando di riprendersi.

- Cazzo, a cosa serve avere vent’anni se poi il tuo ragazzo ti controlla come se fosse tuo padre? – sbottò questa, senza smettere di tentare di riprendersi la bottiglia.

- Kim, sembra che tu abbia due anni! – gridò Richie, con una mano a proteggere il lungo ciuffo di capelli perfettamente liscio, l’incolumità del quale era seriamente minata dalle contorsioni della ragazza. Il volume della sua voce superò persino quello stellare dell’amica.

Il ragazzo russo e Evie, ormai rimasta seminuda nello spazio angusto che era stato loro concesso, non sembravano disturbati da tutta quella confusione.

- Dio, che imbranati! – si lamentò Dominic, come sempre accadeva quando non aveva la possibilità di essere lui stesso la causa di qualche problema.

Subito dopo Richie incominciò a lamentarsi del proprio fidanzato, Adam, che da un anno a quella parte si occupava dell’organizzazione di qualsiasi party nei dintorni New York a quella parte.

– Non m’importa se deve alzarsi alle quattro del mattino perché deve guidare fino a Ellis Island per ricevere il carico illegale di alcolici! Insomma, stiamo insieme da tre settimane e sembra sia già stufo di me! –.

Kimberly subito si mise strillargli di rimando qualche parola di conforto, citando come esempio le mancanze di Calvin come fidanzato. Quest’ultimo, irritato, incominciò a protestare.

Con una manovra rapida, Charlie sgusciò in mezzo a due autotreni dalle dimensioni preoccupanti, mentre attorno a lei le parole e le assurdità dettate dalle parecchie droghe in circolo nel sangue degli amici aumentavano. Aveva un dannato bisogno di una sigaretta, e non era in grado di dire se avessero già superato lo sbocco, che Freddie le aveva indicato per telefono, che li avrebbe portati al luogo del rave.

Accadde tutto molto velocemente.

- Oh cazzo! -.

- Ma che diavolo succede? -.

- Richie, ho le tue scarpe in bocca! -.

- Qvesto non esserre pvevisto! -.

- Ma che cazzo succede?! -.

Una risata fendette l’aria, cristallina, insieme al suono poderoso dei numerosi clacson che suonarono in quel momento. Un camionista vinse persino il sonno dovuto all’ora tarda per sporgersi dal finestrino e gridare loro un colorito insulto. Charlie prese a ridere ancora più vigorosamente.

Era stata una manovra rischiosa, tipica degli attimi di follia in cui il controllo della ragazza veniva oppresso del suo essere impulsiva. Aveva notato quel lembo di cemento riservato alle chiamate SOS da lontano, e in pochi secondi aveva deciso: una sosta, era proprio una sosta che ci voleva. Ma non con tutta quel blaterare insensato che le intasava le orecchie.

Così aveva fatto stare zitti tutti.

Aveva mosso il volante così rapidamente che nessuno si era accorto di ciò che era accaduto se non quando la berlina si era fermata. Charlie aveva approfittato dello spazio guadagnato nel sorpassare due tir per sterzare bruscamente, in una curva ad U che l’aveva portata a fermarsi esattamente nella banchina.

- Tu sei matta… - una sola voce si aggiunse al silenzio teso che aveva attanagliato la macchina. Charlie si chinò un secondo per recuperare il pacchetto di sigarette e l’accendino abbandonati vicino all’autoradio, prima di alzare gli occhi verso lo specchietto retrovisore.

Due irriverenti occhi azzurri la stavano fissando, senza traccia di riferimento.

Un ghignò comparve sul volto niveo di Charlie: stringendosi al proprio robusto accompagnatore russo, Evie si lascò scappare una grassa risata.

- E per fortuna, perché se non lo ero… - cominciò la brunetta, gettando un’occhiata al mondo oltre il finestrino lucido della Jaguar. La nicotina assunse il controllo dei suoi polmoni, calmando i confusi ingranaggi del suo cervello.

- … Ci provavo col cavolo! – gridò esaltata Evie, portandosi una mano alle costole già doloranti per il troppo ridere. Impossibile non riconoscere il Capitan Jack Sparrow in quelle parole.

Non si poteva discutere con Charlie sulle sue sciocche scelte impulsive: quella ragazza era un gatto che cadeva sempre in piedi, in ogni situazione.

Ed Evie lo sapeva benissimo.

 

 

But she just couldn’t stay,

she had to break away:

well, New York City really has it all.

 

(Ramones – Sheena Is a Punk Rocker)

 

 

- Deficiente! – lo scappellotto con il quale Calvin la colpì determinò la rottura del silenzio che aveva attanagliato i presenti. I rumori opprimenti della centinaia di motori che li circondavano scomparvero, non appena ognuno si fu ripreso dallo spavento ed ebbe focalizzato la nuova missione: uccidere Charlie.

- Ahia! – strillò la ragazza, portando le mani sul punto offeso. Nemmeno quel lieve dolore le cancellò il sorriso dalla bocca, con cui reggeva la sigaretta appena accesa.

- Charlot, non perdi occasione di dare prova della tua idiozia! – commentò con voce strascicata Richie, allungandosi nello spazio fra i due sedili anteriori per controllare attraverso lo specchietto retrovisore i danni che la sua capigliatura aveva subito.

- Concordo! – sbraitò Dominic, facendosi passare la sigaretta dalla brunetta. Se fossero stati appena più intossicati dalle anfetamine di ciò che già erano, avrebbero persino udito il martellare dei loro cuori. Calvin abbracciò stretta Kimberly, la quale con occhi sbarrati ancora non era riuscita a capire ciò che era successo, mentre Evie cercava di spiegare la situazione all’agitatissimo russo, senza ottenere risultati soddisfacenti.

Charlie era un gatto che cadeva sempre in piedi.

- La mia idiozia ci ha appena salvati da una morte orribile: se fossi rimasta senza sigaretta ancora a lungo, probabilmente mi sarei distratta e avrei causato un serio incidente stradale! – premendo con un dito il pulsante per abbassare i finestrini, Charlie commentò tranquillamente i rimproveri degli amici. Una nuvola di fumo azzurrino si mischiò all’aria notturna newyorkese.

- E poi… - proseguì, ignorando il gesto con cui Dominic le stava ordinando di passargli la bramata sigaretta – Non è affatto colpa mia se voi tutti siete deboli di cuore! -.

Sapeva di aver sbagliato, ma ammetterlo avrebbe significato andare contro la propria natura. Stabilire un compromesso con gli altri, imponendo la propria verità con qualche astuto gioco di parole, era il modo più efficace per guadagnarsi un posto altolocato nel mondo. E per rimanervi.

- Avanti, sgualdrinella da quatto soldi! – le rispose Calvin, guardando male sia la ragazza che Kimberly, che a stento tratteneva una risata davanti ai modi dell’amica. – O non arriveremo mai a questa cazzo di festa! – proseguì, ghignando involontariamente, prima di calarsi il cappellino da rapper sugli occhi.

Non ebbero difficoltà a trovare il grande casermone di cemento di cui Freddie aveva parlato. Anche se questo era immerso in un bosco di pioppi di qualche industria produttrice di carta, la musica che stritolava i suoi muri fu un guida più che sufficiente. Era curioso, pensò Charlie mentre imboccavano la strada di ciottoli che li avrebbe condotti a destinazione, che in qualsiasi osto andassero qualche canzone risuonasse nell’aria ad enfatizzare i secondi che passavano. La loro vita era una colonna sonora inarrestabile.

- Dio! Non si respirava più! – non appena la ragazza ebbe spento il motore, tutti si precipitarono fuori dalla Jaguar. Melodrammatico, Calvin si gettò a carponi per terra, come in fin di vita. Kimberly lo guardò a metà fra l’ilarità e il disgusto, richiamandolo a rapporto con un calcio bene assestato sulla natiche.

Charlie appoggiò lentamente il capo al sedile di pelle. Sospirando, schiacciò con forza il mozzicone di sigaretta nel posacenere della macchina.

- Fuori. Di. Qui. -.

Si aspettava di essere completamente ignorata nonostante il tono minaccioso della sua voce. Gli ansiti impudichi che provenivano dai sedili posteriori erano una prova che da quelle parti avevano di meglio da fare che stare a sentire gli strambi vaneggiamenti di una povera matta.

- Ho detto fuori! – Evie ebbe quasi un infarto quando la portella posteriore della Jaguar si aprì di scatto. Spalmata com’era fra la pelle dei rivestimenti e i pettorali del seducente russo, nessuno avrebbe potuto biasimarla per non aver sentito gli avvertimenti di Charlie. Anche se in realtà l’aveva sentita eccome.

- Non fare la puttanella! – Yorek, le mani del quale erano strette saldamente alle natiche della biondina, guardò interrogativo la moretta in piedi prima di biascicare chissà cosa in russo. Evie annuì, stringendo appena il muscoloso braccio del ragazzo per rassicurarlo, senza in realtà capire alcunché delle sue parole. – Lasciaci la macchina! -.

Charlie sorrise dolcemente.

- Oh, non ci penso nemmeno. – disse, picchiettandosi la tempia con l’indice. Non aveva dimenticato le cifre sul conto dell’officina dopo l’ultima vota che aveva lasciato Evie sola con la propria automobile. Passarono esattamente cinque secondi, il tempo necessario perché si consumasse una battaglia di soli sguardi.

- Vi aiuto a sgomberare – ghignando, la ragazza si allungò ad afferrare la canotta bianca di Evie e la maglia dello studente, gettandole con un movimento rapido sul terreno polveroso che li circondava. Subito si levarono le grida di protesta di entrambi, smarrendo ogni passione nella notte.

Mentre i due amanti si rivestivano, Charlie osservò il proprio riflesso sui finestrini della Jaguar, scandagliandone i difetti. I capelli lunghi fino alle spalle, di uno strano rossiccio che sfumava in un castano scuro sulle punto a causa di numerosi residui di tinta, si stavano già arricciando sulle punte in un mosso per Richie avrebbe definito “insulso ma molto grunge”. Charlie notò con una smorfia che erano anche un tantino secchi. Si avvicinò al vetro, passando i pollici sul trucco sbavato degli occhi, creando involontariamente lunghe linee nere agli angoli cercando di sistemare la matita. Ciò che rimaneva del kajal rendeva ancora più grandi gli enormi occhi marroni che risaltavano sull’incarnato di un pallore quasi spettrale.

Annoiata, si chinò per aggiustare una delle parigine nere, scesa fino alla caviglia a coprire sgarbatamente le décolletés dello stesso colore, per poi tirare su con una mossa molto poco fine gli shorts di jeans a vita alta che aveva indossato su una larga maglia bianca dalle scritte nere a caratteri cubitali.

“I felt like destroying something beautiful.”

- Certo che sei proprio una stronza… - recuperati i vestiti, Evie liquidò il fusto europeo con un mix d’inglese ed invenzione, osservandolo con una strana malinconia dirigersi verso l’edificio straripante di vite. Nonostante però Charlie la stesse aspettando appoggiata alla Jaguar per raggiungere con lei la festa, la biondina alzò il naso al cielo scuro, superandola sibilandole dietro quelle parole e ancheggiando in equilibrio precario sui tacchi a spillo. Arrabbiata, e sicuramente menzognera.

- Yawp! – l’urlo barbarico di Charlie si perse nell’eco della musica, mentre questa prendeva la carica per saltare addosso a Evie, di spalle. Allacciando le braccia attorno al collo dell’amica, si avviluppò al suo corpo con le gambe, facendo perdere l’equilibrio ad entrambe.

Lo strillo di Evie minacciò seriamente di procurarle gravi danni ai padiglioni auricolari.

- Cretina! Cretina, cretina, cretina! Mollami! – mentre la biondina si dimenava, Charlie la stringeva sempre più forte. I loro corpi sollevarono una nube di polvere dal terreno arido, rendendo la scena ancora più comica per i malcapitati che ebbero la sfortuna di assistere a quello spettacolo. Chi riconobbe invece i volti familiare delle due ragazze, semplicemente tirò dritto crogiolandosi in una risata.

Tipico di Charlie, tipico di Evie.

- Avanti, mollami! – quando finalmente la biondina riuscì a liberarsi, entrambe erano coperte di polvere, scarmigliate e rosse in volto, Charlie dalle risate che la scuotevano, Evie dalla vergogna e, suo malgrado, dall’ilarità. – Muoviti! – dopo essersi ricomposta, si rimise in piedi, afferrando l’amica per un braccio mentre questa continuava a ridere. – Avanti! – la biondina non poté fare a meno di unirsi al divertimento di Charlie. Tenendosi per mano, corsero verso l’entrata affollata del magazzino, ridendo sotto le loro fortunate stelle invisibili.

Buio. Gente. Caos.

Erano queste le parole che Charlie usava generalmente per descrivere un rave party di quelle proporzioni.

Adoravano, le feste, tutti loro. E quella, come Freddie le aveva promesso al telefono, era il party del secolo.

- Vado a cercare Yorek! – le gridò Evie in un orecchio, lasciandole la mano per inoltrarsi nella folla che saltava, intrappolata in quelle quattro mura di cemento armato che chiudeva fuori dal mondo quel momento di estrema libertà. Charlie annuì, nonostante l’amica fosse ormai sparita, inspirando a fondo l’odore di chiuso e di sfrenatezza che quel posto emanava. Kimberly, Dominic, Richie, Calvin: chissà dov’era finita tutta la gente con cui era arrivata.

Poco male.

- Troietta! – quello che a prima vista le sembrò soltanto una sfocata, bassa sagoma di un rosso fiamma le saltò addosso. Charlie traballò visibilmente, scontrandosi contro un tizio dietro di lei che, gentilmente, la prese per la vita evitandole una brutta caduta. Prima che la ragazza potesse voltarsi per ringraziarlo, questo scomparve nella calca di persone.

- Carrie, quanta anfetamina hai già ciucciato? – domandò cinica la moretta, allacciando le braccia attorno alla vita della compagna d’università col solo fine di farle il solletico ai fianchi. Carrie si contorse come una biscia, i capelli ricci e rossi allo sbaraglio, per poi alzare le braccia al cielo e voltarsi verso la fonte della musica spacca timpani. – Adoro questa canzone! – gridò.

- Sai dov’è Freddie? – sporgendosi verso l’amica, cercando di sovrastare la tanto amata da Carrie “Hey Boy, Hey Girl” dei The Chemical Brothers. Qualcuno, di cui fu impossibile distinguere il volto a causa delle luci stroboscopiche, le urtò entrambe, facendosi largo con forza fra di loro. Per un attimo, Charlie temette di essere trasportata via dalla corrente di folla che ballava, ma ritrovò miracolosamente Carrie dopo poco. Suo malgrado, si dimenticò della domanda e cominciò a saltare su e giù come una pazza.

L’importanza della fonte di quella musica elettronica, dura e ritmata ad un volume infernale, era meno di zero: ogni nota si confondeva nell’aria satura di vita che stavano respirando, entrando nelle loro vene e piegandole alla propria volontà. Intrecciando le dita a quelle dell’amica per trovare la sicurezza di un appiglio in quel vortice, alzò il braccio libero al soffitto nero come il cielo senza stelle, che in quel momento stava probabilmente ridendo di quella fame di distruzione.

La cosa che Charlie adorava di più dei rave party di quel genere era propri il ridursi delle luci a centinaia di piccoli fasci. In quel momento sulla folla, che riempiva il casermone tanto da eliminarne in apparenza i confini, pendevano strascichi di un bianco abbacinante, che scomparivano ad intervalli irregolari. Per pochi secondi, ogni persona si ritrovava sotto un riflettore che la poneva al centro della pista da ballo, sotto gli occhi stancati dal buio di tutti i presenti. Un momento di gloria, che svaniva in fretta ma che durava abbastanza da concedere la possibilità di gridare, cantare ed esaltarsi sotto gli occhi di tutti.

Dio, ci si sentiva così bene. Mentre i residui degli stupefacenti che a New York aveva preso le provocavano un ultimo, leggero trip, mani e corpi sconosciuti si scontravano col suo difesi da quella luce effimera e volubile, che appunto concedeva pochi attimi di vana gloria e forniva un alibi al buio perché questo compisse la propria magia. Vivevano di notte, vivevano della notte, ma si nutrivano anche di incontrollabili bugie che nascondevano attraverso quell’imitazione della luce.

Ballarono per giorni, o forse solo per un’ora, Charlie e Carrie, incontrando gli occhi di compagni di facoltà, persone dabbene e noti frequentatori di feste, tutte persone che puntualmente partecipavano ad incontri del genere e che comunque non si astenevano dal divertirsi. Non potevi non partecipare alla movida serale, se vivevi nei dintorni di New York.

- Dov’è Freddie? – quando Charlie rimembrò di aver seguito Carrie nella pista da ballo proprio per chiederle del loro amico, nulla attorno a loro era cambiato. Qualcuno, evidentemente improvvisatosi deejay, stava mixando un pezzo dei Daft Punk. Ci vollero parecchie dosi di fiato e molta voce sprecata prima che la ragazza recepisse il messaggio.

- Dobbiamo salire! – strillò quindi in risposta, afferrando ancor più saldamente la mano di Charlie. La moretta seppe immediatamente la portata titanica dell’impresa che si accingevano a compiere: uscire indenni da quella confusione.

- Ciao! Ehi! – tutte parole consumate, pensò Charlie mentre insieme a Carrie tentava di aggirare la folla, distribuendo ceni di saluto con capo e mani ai volti, più o meno noti, che nel buio le riconoscevano. Salutare aveva perso il proprio significato nel numero di volte al giorno in cui una persona usava la parola “Ciao”: in quel momento, ad esempio, nessuno aveva idea della persona con cui stesse parlando, ma quell’ignoranza andava lo stesso bene. I fumi dell’euforia le avrebbero comunque impedito di ricordarsi quel pensiero, perciò con un’alzata di spalle si scrollò di dosso ogni briciola di ragionevolezza, mentre scorgeva il volto di una compagna di facoltà fra la folla e le indirizzava un caloroso – Ciao! -.

- Dove hai detto che dobbiamo andare? – strillò Charlie, dopo che furono passati una manciata di lunghi minuti da quando avevano intrapreso la ricerca di quei “piani superiori” di cui la brunetta non sapeva nulla. Per tutta risposta, Carrie la strattonò per la maglietta, indicando oltre il mare di testa ondeggianti gli ampi gradini di cemento di una scala incassata fra alcuni muri pieni di crepe. La ragazza tirò un sospiro di sollievo: cominciava ad averne abbastanza di dimenarsi come una matta in mezzo a tutte quelle persone.

- Ehi! Charlie, ehi! Vi fate uno shot con noi? – da quando si erano conosciuti, qualche anno prima, Charlie aveva imparato che Dominic aveva la straordinaria capacità di agire in modo sbagliato sempre al momento sbagliato.

In quel momento, ad esempio, stava richiamando l’attenzione delle ragazze con occhi maliziosi, fin troppo sgranati, ed una bottiglia dall’etichetta illeggibile in mano. A Charlie ci vollero pochi secondi per notare il lungo tavolo addossato alla parete, lontano dalla pista da ballo improvvisata, quasi sepolto da quella che sembrava una fornitura di alcolici di vario genere per un anno.

- Certo, perché no? – prima che la brunetta potesse dire qualsiasi cosa, Carrie si lanciò in avanti. Con un sospiro ed un ghigno, Charlie la seguì, ripromettendosi di far presto.

Mezz’ora più tardi, le due ragazze riuscirono finalmente a giungere ai piani superiori.

Salendo le scale a gattoni.

 

 

With the lights out, it’s less dangerous:

here we are now, entertain us.

I feel stupid and contagious:

here we are now, entertain us.

 

(Nirvana – Smells Like Teen Spirit)

 

 

Freddie spense l’ennesimo mozzicone di sigaretta sul fondo di un posacenere già pieno, guardando le persone sedute attorno al tavolino ingombro. La luce soffusa della stanza e i drappi di nylon, tipici di luoghi in ristrutturazione, che pendevano dalle pareti conferivano all’ambiente un aspetto inquietante. Le pareti sembravano tremare, a causa del volume alto della musica che proveniva da sotto.

- La verità è che stiamo ritirando le truppe, ma continuiamo a sfruttare ogni centilitro di petrolio su cui abbiamo messo le mani, con la guerra… - il volto del ragazzo che stava parlando non gli era familiare, per niente.  Nessuna delle facce che lo circondavano lo era. Una ragazza dai lunghi capelli biondo platino seduta al suo fianco gli passò una canna, che era stata evidentemente appena accesa. Freddie aspirò una lunga boccata prima di passarla al proprio vicino.

Si stava annoiando da morire.

Aveva promesso a tutti che la festa per il suo ritorno sarebbe stata grandiosa, ed infatti era attorniato da facce sorridenti e occhi a punte di spillo. Dopo sei mesi in Tibet per imparare le tecniche di meditazione buddhiste, che aveva poi concluso con una fuga last minute per la Giamaica quando si era reso conto che la sobrietà e il nirvana non facevano per lui, aveva programmato una festa trionfale in cui avrebbe potuto sballarsi come un tempo. Un classico rave party nello stile della periferia newyorkese.

Si stavano davvero divertendo tutti come pazzi.

Tranne lui.

La musica, nonostante fosse lontano dalla fonte di essa, stava cercando di ammazzare i suoi neuroni. Quelle conversazioni su argomenti seri e attuali, che solitamente erano il pane quotidiano per uno come Freddie, non lo stavano esaltando per nulla. Si trattava dei soliti aspiranti anticonformisti che ribadivano opinioni già sentite, magari che avevano letto di sfuggita su qualche stupido blog; tentare la scalata alla gerarchia sociale della gioventù di New York prevedeva fingere di essere un disadattato, un ribelle.

Bah.

- Freddie! Oh, perché sei tu Fredriko? – la bionda seduta al fianco del ragazzo strillò all’improvviso. Freddie impiegò più tempo del previsto per riconoscere la figura che era appena saltata sulle sue cosce, rischiando di rompergli un femore e annebbiandogli la vista dal dolore.

Più tardi, si sarebbe rimproverato per non aver intuito subito un nome così ovvio.

- Zia Mildred! – Charlie sorrise d’istinto quando Freddie la salutò con l’antico soprannome con cui l’aveva contraddistinta. Nonostante i mesi che li avevano visti separati, sembrava fosse trascorso solo un giorno dall’ultima volta che aveva abbracciato l’eterno compagno di banco dell’università. Ignorando le occhiatacce di chi la stava maledicendo per aver distrutto l’atmosfera drammatica della conversazione, la ragazza affondò le mani fra i lunghi dread scuri di Freddie.

- E questi? Sono una manifestazione del Bob Marley che c’è in te? – gracchiò, con una voce che suonò insolita anche al ragazzo che da tanto tempo non la vedeva. Questo storse il naso quando una zaffata di alito alcolico lo investì in pieno, dandogli la prova che lo sguardo allucinato di Charlie non era soltanto frutto di un’ordinaria follia.

Alle loro spalle, si udì un grosso fragore di vetri infranti. Tutti si voltarono a vedere cos’era accaduto, e prima che Freddie avesse il tempo di rispondere alla domanda dell’amica, l’intero primo piano del palazzotto godette dello spettacolo della minigonna pericolosamente alzata di Carrie, stesa sul pavimento al centro di un mare di cocci di bottiglia.

- Mi sono rotta le calze! Kimberly! Voglio telefonare a mia nonna per chiederle di mandarmi una fetta di torta di mele! – La risata generale che animo il via vai di gente riempì ancora di più la stanza che, sebbene mancasse della soffocante massa che al piano di sotto ballava sfrenata, possedeva un’atmosfera di tranquilla psichedelica. Forse era a causa del fumo che formava nuvole dai colori indefiniti sul soffitto, forse per l’insieme di suoni così diversi che colpiva i cervelli di ognuno, stare soltanto per qualche minuto in quel luogo sballava.

Charlie si accorse solo in quel momento della presenza di Kimberly in un angolo della stanza, troppo distratta dalle mani di Calvin sul proprio fondoschiena per accorgersi dell’esilarante richiesta d’aiuto di Carrie. Dopo aver lasciato consumarsi la propria risata nell’aria, la ragazza afferrò la mano di Freddie, invitandolo ad alzarsi dallo scomodo divanetto sfondato su cui erano seduti. Non si curò nemmeno di chiedere scusa alla biondina al loro fianco, che urtò più volte perdendo l’equilibrio.

Mentre guardava Charlie farsi spazio fra i presenti, raggiungendo l’amica per darle una mano, Freddie ebbe uno strano presentimento.

- Chiedile di portarti altra grappa, non una fottuta torta! -.

Appunto.

Charlie si lanciò a terra, proprio dove era concentrata la maggior parte del vetro infranto. Si levarono immediatamente urla scalmanate.

- Mi sono tagliata il ginocchio! -.

Un quarto d’ora e numerose grida più tardi, Freddie, Carrie e Charlie riusciurono ad allontanarsi dal disastro che la seconda aveva provocato sgusciando fra i vecchi mobili coperti dal nailon e grovigli di corpi. Lontano dalla conversazione politica ancora in corso degli sconosciuti, un altro nugolo di divanetti nascondeva un parte dei loro amici.

Evie e il suo bel macho russo sembravano attenderli già da un pezzo: la ragazza infatti sedeva a braccia conserte fra i cuscini sfondati, dimostrando l’assenza delle proprie qualità di attrice cercando di nascondere il proprio fastidio con scarsi risultati. Il povero Yorek invece stava cercando di comunicare con il poco inglese che conosceva quanto gli sarebbe piaciuto tornare a parlarsi con il linguaggio del corpo.

- Oh! Freddie! – la biondina scattò in piedi sorridente non appena vide l’amico. Il contrasto fra la pelle lattea di Evie e quella olivastra del ragazzo assorbì tutta la nostalgia che Charlie aveva approvato in assenza di Freddie. La ragazza si lasciò cadere sul posto appena liberato da Evie, trascinando Carrie al proprio fianco.

- Pezzente, sei tornato!  - prima che questo avesse il tempo di sedersi, Calvin sbucò dal nulla, saltando alle spalle dell’amico. Entrambi caddero con un tonfo su uno dei divanetti, mentre Kimberly compariva la seguito del fidanzato, esasperata.

Mentre Freddie rievocava i ricordi dei mesi appena trascorsi, i fumi dell’alcol evaporarono fra le chiacchiere scherzose di quel gruppetto, in contrasto con l’atmosfera cupa del luogo. Quando Charlie sentì i propri pensieri farsi pesante, si allungò per afferrare una bottiglia di vodka abbandonata sul tavolino impolverato.

- Vorrei sapere – chiese Evie, riprendendosi dal torpore rilassato in cui era piombata – da dove è sbucato fuori tutto questo alcol! – scoprendo di non avere alcuna risposta da darle, tutti si limitarono ad annuire pensierosi.

- Hanno fatto una… emh, colletta, dalle parti del Bronx. Almeno, così mi ha detto Adam! – affermò con un ghigno malizioso Freddie, ricevendo un cambio un sorriso dai presenti, scatenato dalla consapevolezza che “colletta” era una parola fin troppo innocente per descrivere il modo in cui erano stati probabilmente ricavati i soldi.

- Colletta? Io non ho sborsato nulla! Non lo sapevo! – ovviamente pensò Carrie a distruggere la battuta sottintesa dal ragazzo.

- Ah, certamente! – dopo essersi allontanata con disgusto dal divanetto quando Kimberly e Calvin, in preda ad un’impudica passione, le si erano strusciati contro, Charlie sfoderò un’espressione maliziosa – Tanto tu non conosci nemmeno il tuo nome! E, spilorcia come sei, se anche avessi saputo non avrei donato un cazzo! – in piedi davanti a tutti, svuotò la bottiglia.

- Zitta, puttana. – Carrie scosse la testa: era abituata al cinismo improvvisato di cui Charlie spesso faceva sfoggio.

La brunetta chiuse gli occhi col sorriso sulle labbra, inspirando a fondo l’odore di quel posto e dei corpi della gente che la circondava. Poi si voltò verso Freddie – Avanti, vieni! Mi devi un ballo dall’ultima volta. – allungò una mano verso l’amico, che scosse la testa ridendo.

- Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica, e tu, mia cara, sei completamente fuori di testa. – con voce solenne, Freddie pronunciò quelle parole prima di prosciugare le ultime gocce di liquore contenuto nella propria fiaschetta. Ignorò l’espressione beffarda della ragazza, afferrandole la mano per alzarsi in piedi.

- Tu e il tuo stupido Nietzsche. – commentò Charlie con una risata immune alla forza di gravità, tenendo l’amico stretto per un braccio. – Avanti, cazzoni! – incitò gli altri a seguirli, pur sapendo che tutti avrebbero concesso un momento d’intimità al legame profondo che possedeva con Freddie. I due si avviarono attraverso il turbine di persone strafatte della stanza.

- Charlie, tesoro! Sei un incanto di dettagli… trash! – erano quasi arrivati alla rampa di scale quando Charlie fu bloccata da Adam, il ragazzo di Richie. Il look stravagante composto di ciocche di capelli multicolor e numerosi piercing fece sorridere la ragazza quasi più del commento dell’amico al proprio abbigliamento.

- Gran festa, amico. – disse Freddie con un sorriso, sollevato all’idea che il supplizio del ballo con Charlie era stato rimandato. Nonostante quel genere di party non fosse proprio il suo genere.

- Oh, andremo avanti per giorni! Ed è tutto per te, dolcezza! – Adam, esaltato dall’idea che il festeggiato (anzi, il pretesto) del rave party fosse soddisfatto dell’organizzazione, prese a saltare sul posto. – Fredriko adora la musica techno, vero Freddie? – ovviamente Charlie non poté fare a meno di girare il coltello nella piaga che sapeva essere più dolorosa per l’amico.

“Io detesto questo rumore”.

- Venite! Vi devo assolutamente presentare delle persone adorabili! – in pochi secondi la ragazza si ritrovò ad essere trascinata nuovamente in mezzo a quei corridoi di persone. Fece in tempo solo a voltarsi per afferrare saldamente la mano di Freddie e portarselo dietro, mentre Adam si perdeva in un soliloquio che Charlie non avrebbe ascoltato.

Ovviamente, essere trascinati in giro per il piano superiore da Adam comprese nel pacchetto Richie, che sembrava aver dimenticato ogni disguido col fidanzato. Ogni nome che i due ragazzi associarono ai volti delle persone presentate scomparve quasi all’istante dalla mente di Charlie; era un continuo camminare, sorridere, fingere di udire qualche discorso banale e poi camminare ancora, alla ricerca di gente tutta uguale e di un ulteriore vita sociale di cui lei non aveva bisogno. Freddie la seguiva, paziente, ridendo delle smorfie della ragazza quando le questioni si facevano noiose, o delle battutine sarcastiche con cui spronava Adam a cambiare aria.

- E loro sono… - Freddie cominciò a dare segni d’impazienza quando Charlie perse il conto delle facce nuove appena conosciute. Se infatti prima il ragazzo era stato quasi sollevato dalla comparsa di Adam, che aveva rallentato l’avanzare della tortura del ballo, adesso si sentiva al limite della sopportazione. E la propria beffarda amica non lo stava aiutando per niente.

La ragazza dunque non sentì i nomi che Adam le disse, troppo occupata a tenere a bada la risata che l’espressione cianotica del moro le stava suscitando. Lo sguardo che il ragazzo le lanciò fu più che eloquente: sembrava gridare il ticchettio dell’orologio, mentre il tempo che le aveva messo a disposizione si esauriva in velocità.

Hai ancora cinque minuti.

Dopodiché l’avrebbe piantata in asso.

Charlie osservò i quattro soggetti che aveva di fronte, sospirando poi rincuorata. Per lo meno, non si sarebbe persa nulla: apparivano tutti irrimediabilmente gay.

Il primo aveva spalle ricurve, occhi socchiusi e una smorfia apatica che strideva brutalmente con l’abbigliamento vivace, dalle sfumature giallo uovo e magenta. Al suo fianco una massa di capelli mossi andava a coprire un viso forse carino, ma agitatissimo: il ragazzo in questione infatti si guardava attorno nervosamente, spostando il peso del corpo dalle punte dei piedi ai talloni in modo ossessivo, e stringeva le gambe come se stesse trattenendo un bisogno fisiologico urgente.

Gli altri due erano quasi un’antitesi dei compagni. Uno continuava a lanciare occhiate maliziose a qualunque oggetto si muovesse nella stanza, il che la diceva lunga. Quell’atteggiamento era enfatizzato dalle furtive palpatine che esso riservava al proprio cavallo dei pantaloni.

L’ultimo quasi non s’accorse della voce di Adam, che s’era abituata a ripetere il nome di Charlie come una macchina ad ogni essere vivente gli capitasse sotto tiro. Lo sconosciuto fumava una sigaretta, incurante della possibilità di bruciare con questo uno dei tanti passanti che si spingevano l’un con l’altro per una fetta d’aria pulita. Ogni tanto, alzava la mano libera per sistemare la fascetta colorata che aveva attorno al capo.

Mentre il tizio dalla visibile eccitazione rispondeva con una battutaccia a chissà quale commento di Richie, Charlie prese a guardare più attentamente quel personaggio: qualcosa, nella direzione degli occhi di cui non era ancora riuscita a decifrare il colore, sembrava attrarla più che mai.

Nonostante sapesse che individuare l’oggetto dell’attenzione del ragazzo era impossibile, in quella folla, la brunetta si ritrovò a seguire la direzione del suo sguardo. Si alzò istintivamente sulla punta delle scarpine col tacco alto, per ergersi ancora di più.

In un angolo, dopo un’attenta ricerca, trovò Evie incollata a Yorek contro un muro remoto: l’immagine durò un istante, prima che qualcun altro subentrasse ad offuscarle la visuale.

La ragazza non si era curata del fatto che gli altri avrebbero potuto giudicare strana quella sua posizione, quei suoi movimenti: si riscosse solo quando Freddie la strattonò leggermente, curioso e sempre più frustrato. Qualcosa, nell’istintività dell’azione, richiamò lo sguardo dello sconosciuto.

Charlie alzò il sopracciglio, fissandolo di rimando senza alcuna intenzione di abbassare gli occhi. Era sicura, anche senza certezze concrete e motivazioni, che quel ragazzo, fino a qualche secondo prima, avesse osservato Evie e il suo compagno di giochi da lontano.

E ancora non riusciva a capire di che colore fossero quegli occhi…

Il ragazzo le sorrise.

- Ci piacerebbe molto rimanere – reagendo ad un riflesso insensato, Charlie interruppe un discorso del gruppo a cui lei non aveva mai avuto intenzione di partecipare, ghignando in un’imitazione volutamente scadente di affabilità – ma Freddie si sta perdendo la maratona notturna de “Gli Antenati” e questa mancanza potrebbe causargli traumi psicologici molto gravi. – la sua voce risuonò seria solo in parte, nell’ironia di quei significati. Nessuno, di primo acchito, fu in grado di risponderle.

Freddie scoppiò invece in una fragorosa risata.

- A proposito, hanno allestito dei bagni da quella parte. Non vorrei che te la facessi sotto. – la ragazza si sporse in avanti, la mano sulla bocca nonostante stesse urlando per farsi udire, in un gesto confidenziale che lasciò di stucco il tipo più nervoso dei quattro. Subito dopo, afferrò ancora più saldamente Freddie, trascinandolo lontano, nel tumulto.

Sentiva addosso tutta l’adrenalina che solitamente provava dopo una presa in giro di quelle proporzioni.

- Richie ti ucciderà col rossetto – commentò Freddie sghignazzando, quando arrivarono alle scale. Charlie annuì, mentre la musica riprendeva a fluirle nelle vene. – E adesso, spariamoci questo cazzo di ballo! -.

 

****

 

Era ormai l’alba quando si stufarono di dimenarsi come matti, e cercarono di trovare sia il resto della truppa, sia un’uscita da quell’inferno. Inutile dire che l’impresa costò loro una mezz’ora intensa e sfrenata.

Quando si ritrovarono a ripercorrere il sentiero polveroso che portava al parcheggio improvvisato, avvertirono nelle ossa la stanchezza soddisfatta dell’ennesima notte di baldoria ormai sperperata, buttata in quello che era il loro mondo. Evie e Charlie si cercarono silenziosamente, nella camminata verso la macchina, come quasi sempre accadeva. La biondina sentì la mano dell’amica intrecciarsi alla propria, e avvertì ogni muscolo rilassarsi.

- Qualcuno ha visto Dominic? – chiese flebile Carrie, barcollando paurosamente. Nell’aria non si levò nemmeno una mosca.

Calvin faticò a reprimere un grosso sbadiglio. – Guidi tu? – disse, mentre abbracciava Kimberly, la quale era sul punto di addormentarsi in piedi. La domanda era rivolta implicitamente a Charlie.

Freddie corrugò la fronte quando nessuna risposta si levò dall’interpellata. Non era un comportamento tipico di lei non riversare la propria acidità da fine serata sul primo malcapitato disposto a rivolgerle la parola. Sia il ragazzo che Evie si voltarono a guardare Charlie, osservandola farsi viola in volto.

Senza che nessuno aggiungesse altro, tutti si spostarono lontano dalla brunetta, che si piegò in avanti. Ogni veleno ingurgitato quella notte si riversò in amari fiotti nella bocca della giovane, finendo sulla terra arida e liberandole il corpo. Sapeva che non avrebbe dovuto annodare la maglia sopra l’ombelico, in un attimo di furore nella pista da ballo.

Eppure, nonostante l’attacco di vomito e il mal di testa di tutti, Charlie non riuscì a non guardare il cielo tingersi di colori improbabili, delle mille sfumature che componevano la sua vita. Usando l’immaginazione, vide oltre il fitto degli alberi del bosco che li circondava, New York sorriderle come una vecchia amica. Le braccia di quella notte appena passata li lasciò liberi di prepararsi alla prossima avventura, andando ad accatastarsi alle proprie simili fra i ricordi.

- Stai bene? – la voce di Kimberly non avrebbe potuto essere più chiara.

C’era una luce che non se ne andava mai.

Stava benissimo.

- Guida tu! – frugando nella borsa, e notando con sollievo che niente era stato rubato, lanciò le chiavi della propria preziosa Jaguar a Freddie, che le afferrò con notevole prontezza per essere stato sveglio tutta la notte a ballare insieme a lei. Charlie si dimenticava sempre dell’infinita resistenza di Freddie.

E, mentre qualche minuto dopo, il profilo della beneamata metropoli si delineava all’orizzonte, la ragazza socchiuse gli occhi pigramente, osservando il sole nascere e il proprio desiderio di vita crescere con quello, come le era accaduto per tutta la vita.

Le stelle, le sue stelle madrine, non avrebbero potuto brillare più di così.

 

 

Alibi che attenuano l’oscenità
riflessa intorno alle bottiglie vuote
dai suoi vent’anni opachi e rispettabili:
così si sa che c’è qualcosa che non va.

 

(Subsonica – Albascura)

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

 

Okay, eccomi qua con una storia tutta nuova. E’ la prima volta che mi cimento nel campo Originali e, sinceramente, sono un po’ preoccupata: spero vivamente che questa storia vi piaccia J è la rielaborazione di una fic che in passato avevo scritto su un gruppo musicale, ma che ho deciso di riscrivere da zero. Si basa su una storia d’amore, però i temi che tratterò saranno molteplici, e da qui deriva la scelta della sezione Generale al posto di quella Romantico. Ad ogni capitolo ci saranno dei commenti in questo piccolo spazio, che potrete anche saltare. Posso essere noiosa! Però vorrei che leggeste almeno questa piccola introduzione fuori dalla storia.

Prima di tutto, per favore, NON COPIATE! Mi è capitato, girovagando nelle sezioni da me frequentate, di trovare analogie piuttosto equivoche con le mie precedenti storie. Non è piacevole vedere che altri, anche solo per un riflesso condizionato dovuto al ricordo del subconscio, spacciano per proprio il lavoro su cui si suda e a cui si tiene. Se proprio volete inserire qualche mi frase nelle vostre fan fiction, chiedetemelo: sarò lusingata e felice di dirvi di sì, a patto che mi citiate poi adeguatamente. Vi prego, mi è successo già troppe volte: a questa storia tengo molto, e non voglio che venga copiata.

Dopodiché, chiarisco che Charlie NON è una trasposizione di me stessa sulla carta: il fatto che noi si condivida il nome non significa che il nostro carattere, il nostro modo di porsi sia uguale. Certo, contiene un pezzetto di me, come tutti i miei personaggi, ma non sono io. Non è lei a prendere il nome da me, ma io da lei, in un certo senso J non sono così egocentrica da rendermi protagonista di una mia storia.

Il sottotitolo di Scoop è una canzone dei Subsonica molto famosa, chiamata appunto “Tutti i miei sbagli”. Ve la consiglio caldamente, fra parentesi. La storia si basa infatti sul suo testo, e su quello d un’altra opera di questa straordinaria band “Albascura”. Ritenevo doveroso precisarlo.

Questo primo capitolo è stato da me definito prologo perché ci sono ancora molte cose da spiegare sulle protagoniste: il rave party è solo un assaggio della reale vita di Charlie ed Evie, che verrà approfondita in particolare nel prossimo capitolo. In più, contiene le poche frasi che precedono il titolo, che formano il vero e proprio prologo in medias res.

Veniamo alle citazioni.

Hey ho, let’s go!” è il mitico ritornello di “Blitzkrieg Bop” dei Ramones.

Alla fine del primo paragrafo, la frase che Evie e Charlie si dividono è presa dal film “Pirati dei Caraibi – Ai Confini del Mondo”, del mitico Capitan Jack Sparrow. Lo so, non è molto aulica come citazione, ma mi è sempre piaciuto quel film e calzava a pennello con il dramma comico costituito dalla situazione.

I felt like destroying something beautiful” è invece tratta dal film “Fight Club”, e significa “Avevo voglia di distruggere qualcosa di bello”. Buon film, ma preferisco il libro. Allucinante.

Il barbarico yawp di Charlie è un riferimento ai versi di Walt Whitman “I sound my barbaric yawp over the roofs of the world”, tratto dalla poesia “Canto di me stesso”.

Perché sei tu, Fredriko?”, riferimento molto libero a “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare.

Il fatto che Freddie chiami Charlie “zia Mildred” verrà spiegato nei prossimi capitoli.

L’ordinaria follia di Charlie è invece riferito al film “Un giorno di ordinaria follia”, che consiglio caldamente a tutti.

La citazione “Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica” è, come giustamente dice Charlie, del buon Friedrich William Nietzsche.

Il fatto che il ragazzo sconosciuto che attira tanto l’attenzione di Charlie indossi una fascetta colorato in testa è un riferimento alla band MGMT, che io adoro.

Infine, “C’era una luce che non se ne andava mai” è riferita alla canzone dei The Smiths “There is a light that never goes out”, che apre anche la storia subito dopo le frasi del piccolo prologo.

E con questo passo e chiudo! Spero che la storia vi piaccia J

 

 

Bye!

 

  
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