Non
c’era nulla al mondo che potesse essere paragonato all’emozione di essere
sfiorate da quel treno in corsa.
Aprì
gli occhi.
Stranamente,
la sua prima aspettativa fu quella di trovarsi davanti ai suoi occhi grigi che
la fissavano, con il solito, terribile sentimento nello sguardo.
Rimprovero.
Compassione. Rabbia cieca.
Quell’odiosa devozione ricolma d’amore...
Solo
le carrozze arrugginite del treno che sfrecciava accolsero le lacrime che
presero a scenderle lungo le guance.
La
sua vita, era la sua vita a sfrecciarle davanti in quel momento.
Forse, sarebbe stato meglio tenere gli occhi chiusi ancora un po’.
La
sua vita la stava lasciando indietro.
SCOOP
Tutti i Miei Sbagli
Prologo [Stars Are Shining Bright]
(Un
anno prima)
Take me out tonight.
Oh, take me anywhere,
I don't care, I don't care, I don't care.
Driving in your car,
I never, never want to go home,
because I haven't got one.
Oh, I haven't got one.
(The Smiths – There Is a Light That Never Goes Out)
Si dice che le guide a
cui gli uomini fanno riferimento, sin dall’alba dei tempi, nei momenti di
difficoltà siano le stelle.
Queste piccole scintille
nel cielo, in realtà gigantesche sfere infuocate che attendono soltanto
un’esplosione finale, hanno rappresentato figurativamente le divinità di ogni
popolo, volontà superiori che dall’alto giocano a dadi con l’universo. Nei
momenti di smarrimento, una buona conoscenza astronomica riconduceva marinai e
viaggiatori sulla strada di casa.
Quell’anno, nel cielo
sopra New York City, le stelle scomparvero definitivamente.
Persino la luna sembrava
essersi inchinata alla potenza del fascio luminoso che emanava l’insieme dei
grattacieli; ridotta ad una sfera asettica nel firmamento, pochi si
soffermavano a guardarla davvero.
A qualche chilometro dal
confine con New York City, le uniche stelle erano costituite dai fari
dell’automobile che sfrecciava lungo la stradina deserta.
- Dom! Dom! Ma che cazzo fai? -.
L’acuta voce femminile
si unì a quello che era l’unico rumore nel raggio di un buon numero di
chilometri: il fastidioso chiasso della metropoli, per le orecchie dei
passeggeri della macchina, in quel momento era completamente sovrastato dalla
musica che le casse dell’autoradio strillavano.
Hey ho, let’s go! Hey ho,
let’s go!
Il ragazzo appena
chiamato in causa in quel momento era impegnato in una complicata torsione del
busto, con cui stava cercando di passare attraverso i due sedili anteriori per
raggiungere i compagni sul retro. Nessuno dei presenti sembrava particolarmente
entusiasta di quella decisione.
Il sovraffollamento
esagerato dei sedili posteriori era considerato, infatti, un valido motivo per
prendere a calci Dominic e la sua intraprendenza.
- Charlie, cazzo,
rallenta! O questo si ammazza! – Kimberly, graziosa biondina dall’ugola d’ora,
in quel momento strizzata contro il finestrino della Jaguar XF rossa, cercò
nuovamente di attirare l’attenzione della ragazza alla guida.
Il tentativo fu
perfettamente vano: tutti sapevano che ciò che piaceva di meno a Charlie era
perdere tempo.
- Certo che sei
coglione! – il ragazzo di Kimberly, Calvin, che sedeva accanto a lei cercando
un modo per fumare beatamente la propria sigaretta senza uccidere nessuno,
tentò di dare manforte alla propria fidanzata. Purtroppo la sua voce risuonò
ovattata in mezzo a quella confusioni di arti che
s’era creata.
Charlie sorrise,
premendo il tacco alto della scarpa sull’acceleratore. Lo sguardo birichino
gettò un’occhiata veloce allo specchietto retrovisore, per valutare la reale
confusione che regnava nell’auto. Con la coda nell’occhio, vide schiena nuda di
Evie contrarsi fra le braccia dello studente russo che aveva conosciuto
all’università, seduta su questo a cavalcioni.
Evidentemente, lo spazio ristretto non aveva impedito loro di consumare quella liaison composta
di pochi vocaboli cercati su Google.
Richie, stretto fra Kim
e i due amanti, prese a strillare – Dominic, per l’amor del cielo, torna
davanti! – le sue pupille erano ridotte a punte di spillo.
- Avanti, deficiente! –
Charlie allungò una mano per afferrare un lembo della camicia di Dominic,
trascinandolo a sedere sul sedile anteriore del passeggero. Il ragazzo le
rivolse un ghigno storto – Che c’è, Charlie? Hai paura che qualcuno si faccia
male? – certo che aveva paura. Ma non l’avrebbe mai ammesso, e per tutta
risposta schiaccio nuovamente il piede sull’acceleratore.
La Jaguar XF raggiunse
lo stretto e semisconosciuto sbocco per l’autostrada dopo pochi minuti, i quali
furono sufficienti perché tutti dimenticassero i motivi del precedente
fastidio.
Charlie buttò
un’occhiata distratta alle cifre sui quadranti dell’orologio digitale della
macchina, mentre attorno a lei scoppiava nuovamente il terribile, familiare
caos. Mancavano dieci minuti alla mezzanotte, perciò erano perfettamente in
orario. La scorciatoia che aveva preso, ovvero quella stradina piena di buche
che tagliava la zona industriale del New Jersey confinante con NYC, aveva
accorciato di gran lunga il viaggio.
- No, Dom, ma se devi
morire voglio che sia esclusivamente per causa mia, e non per le tue manie
esibizioniste. -.
Li attendeva uno dei
rave party più scandalosi e lunghi di tutti i tempi.
La ragazza fece una
smorfia: almeno, questo era ciò che aveva detto Freddie. Freddie. Charlie non vedeva l’ora di rivederlo.
- Ahia! – lo strillo di
Kimberly per poco non ruppe un timpano a tutti, mentre ad una velocità
preoccupante superavano una serie di tir, unici veicoli presenti nella strada
statale a quell’ora. Calvin la stava guardando con astio, il finestrino aperto
che minacciava di far volare via il cappellino da rapper del ragazzo.
- Non ti azzardare a
toccare alcol! – la ammonì severo. La ragazza si massaggiò il lembo di pelle
che Calvin le aveva pizzicato.
Era paradossale che,
nonostante Calvin fosse uno dei più assidui consumatori di marijuana della loro
vasta compagnia, egli fosse completamente astemio e spronasse con un entusiasmo
un tantino eccesivo la sua fidanzata
ad imitarlo. In quel momento, il ragazzo reggeva in mano una bottiglia di Jack
Daniel’s sbucata da chissà dove, che Kimberly stava cercando di riprendersi.
- Cazzo, a cosa serve
avere vent’anni se poi il tuo ragazzo ti controlla come se fosse tuo padre? –
sbottò questa, senza smettere di tentare di riprendersi la bottiglia.
- Kim, sembra che tu
abbia due anni! – gridò Richie, con
una mano a proteggere il lungo ciuffo di capelli perfettamente liscio,
l’incolumità del quale era seriamente minata dalle
contorsioni della ragazza. Il volume della sua voce superò persino quello
stellare dell’amica.
Il ragazzo russo e Evie,
ormai rimasta seminuda nello spazio angusto che era stato loro concesso, non
sembravano disturbati da tutta quella confusione.
- Dio, che imbranati! –
si lamentò Dominic, come sempre accadeva quando non aveva la possibilità di
essere lui stesso la causa di qualche problema.
Subito dopo Richie
incominciò a lamentarsi del proprio fidanzato, Adam, che da un anno a quella
parte si occupava dell’organizzazione di qualsiasi
party nei dintorni New York a quella parte.
– Non m’importa se deve
alzarsi alle quattro del mattino perché deve guidare fino a Ellis
Island per ricevere il carico illegale di alcolici! Insomma, stiamo insieme da tre settimane
e sembra sia già stufo di me! –.
Kimberly subito si mise
strillargli di rimando qualche parola di conforto, citando come esempio le
mancanze di Calvin come fidanzato. Quest’ultimo, irritato, incominciò a
protestare.
Con una manovra rapida,
Charlie sgusciò in mezzo a due autotreni dalle dimensioni preoccupanti, mentre
attorno a lei le parole e le assurdità dettate dalle parecchie droghe in
circolo nel sangue degli amici aumentavano. Aveva un dannato bisogno di una
sigaretta, e non era in grado di dire se avessero già superato lo sbocco, che
Freddie le aveva indicato per telefono, che li avrebbe portati al luogo del
rave.
Accadde tutto molto
velocemente.
- Oh cazzo! -.
- Ma che diavolo
succede? -.
- Richie, ho le tue
scarpe in bocca! -.
- Qvesto non esserre pvevisto! -.
- Ma che cazzo succede?! -.
Una risata fendette
l’aria, cristallina, insieme al suono poderoso dei numerosi clacson che
suonarono in quel momento. Un camionista vinse persino il sonno dovuto all’ora
tarda per sporgersi dal finestrino e gridare loro un colorito insulto. Charlie
prese a ridere ancora più vigorosamente.
Era stata una manovra
rischiosa, tipica degli attimi di follia in cui il controllo della ragazza
veniva oppresso del suo essere impulsiva. Aveva notato
quel lembo di cemento riservato alle chiamate SOS da lontano, e in pochi
secondi aveva deciso: una sosta, era proprio una sosta che ci voleva. Ma non
con tutta quel blaterare insensato che le intasava le orecchie.
Così aveva fatto stare
zitti tutti.
Aveva mosso il volante
così rapidamente che nessuno si era accorto di ciò che era accaduto se non
quando la berlina si era fermata. Charlie aveva
approfittato dello spazio guadagnato nel sorpassare due tir per sterzare
bruscamente, in una curva ad U che l’aveva portata a fermarsi esattamente nella
banchina.
- Tu sei matta… - una
sola voce si aggiunse al silenzio teso che aveva attanagliato la macchina.
Charlie si chinò un secondo per recuperare il pacchetto di sigarette e
l’accendino abbandonati vicino all’autoradio, prima di alzare gli occhi verso
lo specchietto retrovisore.
Due irriverenti occhi
azzurri la stavano fissando, senza traccia di riferimento.
Un ghignò
comparve sul volto niveo di Charlie: stringendosi al proprio robusto
accompagnatore russo, Evie si lascò scappare una grassa risata.
- E per fortuna, perché
se non lo ero… - cominciò la brunetta, gettando un’occhiata al mondo oltre il
finestrino lucido della Jaguar. La nicotina assunse il controllo dei suoi
polmoni, calmando i confusi ingranaggi del suo cervello.
- … Ci provavo col
cavolo! – gridò esaltata Evie, portandosi una mano alle costole già doloranti
per il troppo ridere. Impossibile non riconoscere il
Capitan Jack Sparrow in quelle parole.
Non si poteva discutere
con Charlie sulle sue sciocche scelte impulsive: quella ragazza era un gatto
che cadeva sempre in piedi, in ogni situazione.
Ed Evie lo sapeva
benissimo.
But she just couldn’t stay,
she
had to break away:
well,
(Ramones – Sheena Is a Punk
Rocker)
- Deficiente! – lo
scappellotto con il quale Calvin la colpì determinò la rottura del silenzio che
aveva attanagliato i presenti. I rumori opprimenti della
centinaia di motori che li circondavano scomparvero, non appena ognuno si fu
ripreso dallo spavento ed ebbe focalizzato la nuova missione: uccidere Charlie.
- Ahia! – strillò la
ragazza, portando le mani sul punto offeso. Nemmeno quel lieve dolore le
cancellò il sorriso dalla bocca, con cui reggeva la sigaretta appena accesa.
- Charlot, non perdi
occasione di dare prova della tua idiozia!
– commentò con voce strascicata Richie, allungandosi nello spazio fra i due
sedili anteriori per controllare attraverso lo specchietto retrovisore i danni
che la sua capigliatura aveva subito.
- Concordo! – sbraitò
Dominic, facendosi passare la sigaretta dalla brunetta. Se fossero stati appena
più intossicati dalle anfetamine di ciò che già erano, avrebbero persino udito
il martellare dei loro cuori. Calvin abbracciò stretta Kimberly, la quale con
occhi sbarrati ancora non era riuscita a capire ciò che era successo, mentre
Evie cercava di spiegare la situazione all’agitatissimo russo, senza ottenere
risultati soddisfacenti.
Charlie era un gatto che cadeva sempre in piedi.
- La mia idiozia ci ha appena salvati da una
morte orribile: se fossi rimasta senza sigaretta ancora a lungo, probabilmente
mi sarei distratta e avrei causato un serio
incidente stradale! – premendo con un dito il pulsante per abbassare i
finestrini, Charlie commentò tranquillamente i rimproveri degli amici. Una
nuvola di fumo azzurrino si mischiò all’aria notturna newyorkese.
- E poi… - proseguì,
ignorando il gesto con cui Dominic le stava ordinando
di passargli la bramata sigaretta – Non è affatto colpa mia se voi tutti siete
deboli di cuore! -.
Sapeva di aver
sbagliato, ma ammetterlo avrebbe significato andare contro la propria natura.
Stabilire un compromesso con gli altri, imponendo la propria verità con qualche
astuto gioco di parole, era il modo più efficace per guadagnarsi un posto
altolocato nel mondo. E per rimanervi.
- Avanti, sgualdrinella
da quatto soldi! – le rispose Calvin, guardando male
sia la ragazza che Kimberly, che a stento tratteneva una risata davanti ai modi
dell’amica. – O non arriveremo mai a questa cazzo di
festa! – proseguì, ghignando involontariamente, prima di calarsi il cappellino
da rapper sugli occhi.
Non ebbero difficoltà a
trovare il grande casermone di cemento di cui Freddie aveva parlato. Anche se
questo era immerso in un bosco di pioppi di qualche industria produttrice di
carta, la musica che stritolava i suoi muri fu un
guida più che sufficiente. Era curioso, pensò Charlie mentre imboccavano la
strada di ciottoli che li avrebbe condotti a destinazione, che in qualsiasi
osto andassero qualche canzone risuonasse nell’aria ad enfatizzare i secondi
che passavano. La loro vita era una colonna sonora inarrestabile.
- Dio! Non si respirava
più! – non appena la ragazza ebbe spento il motore, tutti si precipitarono
fuori dalla Jaguar. Melodrammatico, Calvin si gettò a carponi
per terra, come in fin di vita. Kimberly lo guardò a metà fra l’ilarità e il
disgusto, richiamandolo a rapporto con un calcio bene assestato sulla natiche.
Charlie appoggiò
lentamente il capo al sedile di pelle. Sospirando, schiacciò con forza il
mozzicone di sigaretta nel posacenere della macchina.
- Fuori. Di. Qui. -.
Si aspettava di essere
completamente ignorata nonostante il tono minaccioso della sua voce. Gli ansiti
impudichi che provenivano dai sedili posteriori erano una prova che da quelle
parti avevano di meglio da fare che stare a sentire gli strambi vaneggiamenti di una povera
matta.
- Ho detto fuori! – Evie
ebbe quasi un infarto quando la portella posteriore della Jaguar si aprì di
scatto. Spalmata com’era fra la pelle dei rivestimenti e i pettorali del
seducente russo, nessuno avrebbe potuto biasimarla per non aver sentito gli
avvertimenti di Charlie. Anche se in realtà l’aveva sentita eccome.
- Non fare la puttanella!
– Yorek, le mani del quale erano strette saldamente
alle natiche della biondina, guardò interrogativo la moretta in piedi prima di
biascicare chissà cosa in russo. Evie annuì, stringendo appena il muscoloso
braccio del ragazzo per rassicurarlo, senza in realtà capire alcunché delle sue
parole. – Lasciaci la macchina! -.
Charlie sorrise
dolcemente.
- Oh, non ci penso
nemmeno. – disse, picchiettandosi la tempia con l’indice. Non aveva dimenticato
le cifre sul conto dell’officina dopo l’ultima vota che aveva lasciato Evie sola con la propria automobile. Passarono esattamente cinque secondi, il tempo
necessario perché si consumasse una battaglia di soli sguardi.
- Vi aiuto a sgomberare
– ghignando, la ragazza si allungò ad afferrare la canotta bianca di Evie e la
maglia dello studente, gettandole con un movimento rapido sul terreno polveroso
che li circondava. Subito si levarono le grida di protesta di entrambi,
smarrendo ogni passione nella notte.
Mentre i due amanti si
rivestivano, Charlie osservò il proprio riflesso sui finestrini della Jaguar,
scandagliandone i difetti. I capelli lunghi fino alle spalle, di uno strano
rossiccio che sfumava in un castano scuro sulle punto
a causa di numerosi residui di tinta, si stavano già arricciando sulle punte in
un mosso per Richie avrebbe definito “insulso
ma molto grunge”. Charlie notò con una smorfia che erano anche un tantino secchi. Si avvicinò al vetro, passando i pollici
sul trucco sbavato degli occhi, creando involontariamente lunghe linee nere
agli angoli cercando di sistemare la matita. Ciò che rimaneva del kajal rendeva
ancora più grandi gli enormi occhi marroni che risaltavano sull’incarnato di un
pallore quasi spettrale.
Annoiata, si chinò per
aggiustare una delle parigine nere, scesa fino alla caviglia a coprire
sgarbatamente le décolletés dello stesso colore, per
poi tirare su con una mossa molto poco fine gli shorts
di jeans a vita alta che aveva indossato su una larga maglia bianca dalle
scritte nere a caratteri cubitali.
“I felt like destroying something
beautiful.”
- Certo che sei proprio
una stronza… - recuperati i vestiti, Evie liquidò il fusto europeo con un mix
d’inglese ed invenzione, osservandolo con una strana malinconia dirigersi verso
l’edificio straripante di vite. Nonostante però Charlie la
stesse aspettando appoggiata alla Jaguar per raggiungere con lei la festa, la
biondina alzò il naso al cielo scuro, superandola sibilandole dietro quelle
parole e ancheggiando in equilibrio precario sui tacchi a spillo. Arrabbiata, e
sicuramente menzognera.
- Yawp! – l’urlo
barbarico di Charlie si perse nell’eco della musica, mentre questa prendeva la
carica per saltare addosso a Evie, di spalle. Allacciando le braccia attorno al
collo dell’amica, si avviluppò al suo corpo con le gambe, facendo perdere l’equilibrio
ad entrambe.
Lo strillo di Evie
minacciò seriamente di procurarle gravi danni ai padiglioni auricolari.
- Cretina! Cretina,
cretina, cretina! Mollami! – mentre la biondina si dimenava, Charlie la
stringeva sempre più forte. I loro corpi sollevarono una nube di polvere dal
terreno arido, rendendo la scena ancora più comica per i malcapitati che ebbero
la sfortuna di assistere a quello spettacolo. Chi riconobbe invece i volti familiare delle due ragazze, semplicemente tirò
dritto crogiolandosi in una risata.
Tipico di Charlie, tipico di Evie.
- Avanti, mollami! – quando finalmente la biondina
riuscì a liberarsi, entrambe erano coperte di polvere, scarmigliate e rosse in
volto, Charlie dalle risate che la scuotevano, Evie dalla vergogna e, suo malgrado,
dall’ilarità. – Muoviti! – dopo essersi ricomposta, si rimise in piedi,
afferrando l’amica per un braccio mentre questa continuava a ridere. – Avanti!
– la biondina non poté fare a meno di unirsi al divertimento di Charlie.
Tenendosi per mano, corsero verso l’entrata affollata del magazzino, ridendo
sotto le loro fortunate stelle invisibili.
Buio. Gente. Caos.
Erano queste le parole
che Charlie usava generalmente per descrivere un rave party di quelle
proporzioni.
Adoravano,
le feste, tutti loro. E quella, come Freddie le aveva promesso al telefono, era
il party del secolo.
- Vado a cercare Yorek!
– le gridò Evie in un orecchio, lasciandole la mano per inoltrarsi nella folla
che saltava, intrappolata in quelle quattro mura di cemento armato che chiudeva
fuori dal mondo quel momento di estrema libertà. Charlie annuì, nonostante
l’amica fosse ormai sparita, inspirando a fondo l’odore di chiuso e di
sfrenatezza che quel posto emanava. Kimberly, Dominic, Richie, Calvin: chissà
dov’era finita tutta la gente con cui era arrivata.
Poco male.
- Troietta! – quello che
a prima vista le sembrò soltanto una sfocata, bassa sagoma di un rosso fiamma le saltò addosso. Charlie traballò
visibilmente, scontrandosi contro un tizio dietro di lei che, gentilmente, la
prese per la vita evitandole una brutta caduta. Prima che la ragazza potesse
voltarsi per ringraziarlo, questo scomparve nella calca di persone.
- Carrie, quanta
anfetamina hai già ciucciato? – domandò cinica la moretta, allacciando le
braccia attorno alla vita della compagna d’università col solo fine di farle il
solletico ai fianchi. Carrie si contorse come una biscia, i capelli ricci e
rossi allo sbaraglio, per poi alzare le braccia al cielo e voltarsi verso la
fonte della musica spacca timpani. – Adoro questa canzone! – gridò.
- Sai dov’è Freddie? –
sporgendosi verso l’amica, cercando di sovrastare la tanto amata da Carrie “Hey Boy, Hey Girl” dei The Chemical
Brothers. Qualcuno, di cui fu impossibile distinguere il volto a causa delle
luci stroboscopiche, le urtò entrambe, facendosi largo con forza fra di loro. Per un attimo, Charlie temette di essere
trasportata via dalla corrente di folla che ballava, ma ritrovò miracolosamente
Carrie dopo poco. Suo malgrado, si dimenticò della
domanda e cominciò a saltare su e giù come una pazza.
L’importanza della fonte
di quella musica elettronica, dura e ritmata ad un volume infernale, era meno
di zero: ogni nota si confondeva nell’aria satura di vita che stavano
respirando, entrando nelle loro vene e piegandole alla propria volontà.
Intrecciando le dita a quelle dell’amica per trovare la sicurezza di un
appiglio in quel vortice, alzò il braccio libero al soffitto nero come il cielo
senza stelle, che in quel momento stava probabilmente ridendo di quella fame di
distruzione.
La cosa che Charlie
adorava di più dei rave party di quel genere era propri il ridursi delle luci a
centinaia di piccoli fasci. In quel momento sulla folla, che riempiva il
casermone tanto da eliminarne in apparenza i confini, pendevano strascichi di
un bianco abbacinante, che scomparivano ad intervalli irregolari. Per pochi
secondi, ogni persona si ritrovava sotto un riflettore che la poneva al centro
della pista da ballo, sotto gli occhi stancati dal buio di tutti i presenti. Un
momento di gloria, che svaniva in
fretta ma che durava abbastanza da concedere la possibilità di gridare, cantare
ed esaltarsi sotto gli occhi di tutti.
Dio,
ci si sentiva così bene. Mentre i
residui degli stupefacenti che a New York aveva preso le provocavano un ultimo,
leggero trip, mani e corpi sconosciuti si scontravano col suo difesi da quella
luce effimera e volubile, che appunto concedeva pochi attimi di vana gloria e
forniva un alibi al buio perché questo compisse la propria magia. Vivevano di
notte, vivevano della notte, ma si nutrivano anche di incontrollabili bugie che
nascondevano attraverso quell’imitazione della luce.
Ballarono per giorni, o
forse solo per un’ora, Charlie e Carrie, incontrando gli occhi di compagni di
facoltà, persone dabbene e noti frequentatori di feste,
tutte persone che puntualmente partecipavano ad incontri del genere e che
comunque non si astenevano dal divertirsi. Non potevi non partecipare alla
movida serale, se vivevi nei dintorni di New York.
- Dov’è Freddie? – quando Charlie rimembrò di aver seguito Carrie
nella pista da ballo proprio per chiederle del loro amico, nulla attorno a loro
era cambiato. Qualcuno, evidentemente improvvisatosi deejay, stava mixando un
pezzo dei Daft Punk. Ci vollero parecchie dosi di fiato e molta voce sprecata
prima che la ragazza recepisse il messaggio.
- Dobbiamo salire! –
strillò quindi in risposta, afferrando ancor più saldamente la mano di Charlie.
La moretta seppe immediatamente la portata titanica dell’impresa che si
accingevano a compiere: uscire indenni da quella confusione.
- Ciao! Ehi! – tutte
parole consumate, pensò Charlie mentre insieme a Carrie tentava di aggirare la
folla, distribuendo ceni di saluto con capo e mani ai volti, più o meno noti,
che nel buio le riconoscevano. Salutare aveva perso il proprio significato nel
numero di volte al giorno in cui una persona usava la parola “Ciao”: in quel
momento, ad esempio, nessuno aveva idea della persona con cui stesse parlando,
ma quell’ignoranza andava lo stesso bene. I fumi dell’euforia le avrebbero comunque
impedito di ricordarsi quel pensiero, perciò con un’alzata di spalle si scrollò
di dosso ogni briciola di ragionevolezza, mentre scorgeva il volto di una
compagna di facoltà fra la folla e le indirizzava un caloroso – Ciao! -.
- Dove hai detto che
dobbiamo andare? – strillò Charlie, dopo che furono passati una manciata di
lunghi minuti da quando avevano intrapreso la ricerca di quei “piani superiori”
di cui la brunetta non sapeva nulla. Per tutta risposta, Carrie la strattonò
per la maglietta, indicando oltre il mare di testa
ondeggianti gli ampi gradini di cemento di una scala incassata fra
alcuni muri pieni di crepe. La ragazza tirò un sospiro di sollievo: cominciava
ad averne abbastanza di dimenarsi come una matta in mezzo a tutte quelle
persone.
- Ehi! Charlie, ehi! Vi
fate uno shot con noi? – da quando si
erano conosciuti, qualche anno prima, Charlie aveva imparato che Dominic aveva
la straordinaria capacità di agire in modo sbagliato sempre al momento
sbagliato.
In quel momento, ad
esempio, stava richiamando l’attenzione delle ragazze con occhi maliziosi, fin
troppo sgranati, ed una bottiglia dall’etichetta illeggibile in mano. A Charlie
ci vollero pochi secondi per notare il lungo tavolo addossato alla parete,
lontano dalla pista da ballo improvvisata, quasi sepolto da quella che sembrava
una fornitura di alcolici di vario genere per un anno.
- Certo, perché no? –
prima che la brunetta potesse dire qualsiasi cosa, Carrie si lanciò in avanti.
Con un sospiro ed un ghigno, Charlie la seguì, ripromettendosi di far presto.
Mezz’ora più tardi, le
due ragazze riuscirono finalmente a giungere ai piani superiori.
Salendo le scale a gattoni.
With the lights out, it’s
less dangerous:
here
we are now, entertain us.
I feel stupid and
contagious:
here
we are now, entertain us.
(Nirvana – Smells Like Teen Spirit)
Freddie spense
l’ennesimo mozzicone di sigaretta sul fondo di un posacenere già pieno,
guardando le persone sedute attorno al tavolino ingombro. La luce soffusa della
stanza e i drappi di nylon, tipici di luoghi in ristrutturazione, che pendevano
dalle pareti conferivano all’ambiente un aspetto inquietante. Le pareti
sembravano tremare, a causa del volume alto della musica che proveniva da
sotto.
- La verità è che stiamo
ritirando le truppe, ma continuiamo a sfruttare ogni centilitro di petrolio su
cui abbiamo messo le mani, con la guerra… - il volto del ragazzo che stava
parlando non gli era familiare, per niente.
Nessuna delle facce che lo circondavano lo era. Una ragazza dai lunghi
capelli biondo platino seduta al suo fianco gli passò una canna, che era stata
evidentemente appena accesa. Freddie aspirò una lunga boccata prima di passarla
al proprio vicino.
Si stava annoiando da morire.
Aveva promesso a tutti
che la festa per il suo ritorno sarebbe stata grandiosa, ed
infatti era attorniato da facce sorridenti e occhi a punte di spillo.
Dopo sei mesi in Tibet per imparare le tecniche di meditazione buddhiste, che
aveva poi concluso con una fuga last minute per la Giamaica quando si era reso
conto che la sobrietà e il nirvana non facevano per lui, aveva programmato una
festa trionfale in cui avrebbe potuto sballarsi come un tempo. Un classico rave
party nello stile della periferia newyorkese.
Si stavano davvero
divertendo tutti come pazzi.
Tranne lui.
La musica, nonostante
fosse lontano dalla fonte di essa, stava cercando di ammazzare i suoi neuroni.
Quelle conversazioni su argomenti seri e attuali, che solitamente erano il pane
quotidiano per uno come Freddie, non lo stavano esaltando per nulla. Si trattava
dei soliti aspiranti anticonformisti che ribadivano opinioni già sentite,
magari che avevano letto di sfuggita su qualche stupido blog; tentare la
scalata alla gerarchia sociale della gioventù di New York prevedeva fingere di
essere un disadattato, un ribelle.
“Bah.”
- Freddie! Oh, perché
sei tu Fredriko? – la bionda seduta al fianco del ragazzo strillò
all’improvviso. Freddie impiegò più tempo del previsto per riconoscere la
figura che era appena saltata sulle sue cosce, rischiando di rompergli un femore
e annebbiandogli la vista dal dolore.
Più tardi, si sarebbe
rimproverato per non aver intuito subito un nome così ovvio.
- Zia Mildred! – Charlie
sorrise d’istinto quando Freddie la salutò con l’antico soprannome con cui
l’aveva contraddistinta. Nonostante i mesi che li avevano visti separati,
sembrava fosse trascorso solo un giorno dall’ultima volta che aveva abbracciato
l’eterno compagno di banco dell’università. Ignorando le occhiatacce di chi la
stava maledicendo per aver distrutto l’atmosfera drammatica della
conversazione, la ragazza affondò le mani fra i lunghi dread scuri di Freddie.
- E questi? Sono una
manifestazione del Bob Marley che c’è in te? – gracchiò, con una voce che suonò
insolita anche al ragazzo che da tanto tempo non la vedeva. Questo storse il
naso quando una zaffata di alito alcolico lo investì in pieno, dandogli la
prova che lo sguardo allucinato di Charlie non era soltanto frutto di un’ordinaria follia.
Alle loro spalle, si udì
un grosso fragore di vetri infranti. Tutti si voltarono a vedere cos’era
accaduto, e prima che Freddie avesse il tempo di rispondere alla domanda
dell’amica, l’intero primo piano del palazzotto godette dello spettacolo della
minigonna pericolosamente alzata di Carrie, stesa sul pavimento al centro di un
mare di cocci di bottiglia.
- Mi sono rotta le
calze! Kimberly! Voglio telefonare a
mia nonna per chiederle di mandarmi una fetta di torta di mele! – La risata
generale che animo il via vai di gente riempì ancora di più la stanza che,
sebbene mancasse della soffocante massa che al piano di sotto ballava sfrenata,
possedeva un’atmosfera di tranquilla psichedelica. Forse era a causa del fumo
che formava nuvole dai colori indefiniti sul soffitto, forse per l’insieme di
suoni così diversi che colpiva i cervelli di ognuno, stare soltanto per qualche
minuto in quel luogo sballava.
Charlie si accorse solo
in quel momento della presenza di Kimberly in un angolo della stanza, troppo
distratta dalle mani di Calvin sul proprio fondoschiena per accorgersi
dell’esilarante richiesta d’aiuto di Carrie. Dopo aver lasciato consumarsi la
propria risata nell’aria, la ragazza afferrò la mano di Freddie, invitandolo ad
alzarsi dallo scomodo divanetto sfondato su cui erano seduti. Non si curò
nemmeno di chiedere scusa alla biondina al loro fianco, che urtò più volte
perdendo l’equilibrio.
Mentre guardava Charlie
farsi spazio fra i presenti, raggiungendo l’amica per darle una mano, Freddie
ebbe uno strano presentimento.
- Chiedile di portarti
altra grappa, non una fottuta torta!
-.
Appunto.
Charlie si lanciò a
terra, proprio dove era concentrata la maggior parte del vetro infranto. Si
levarono immediatamente urla scalmanate.
- Mi sono tagliata il
ginocchio! -.
Un quarto d’ora e
numerose grida più tardi, Freddie, Carrie e Charlie riusciurono ad allontanarsi
dal disastro che la seconda aveva provocato sgusciando fra i vecchi mobili
coperti dal nailon e grovigli di corpi. Lontano dalla conversazione politica
ancora in corso degli sconosciuti, un altro nugolo di divanetti nascondeva un parte dei loro amici.
Evie e il suo bel macho
russo sembravano attenderli già da un pezzo: la ragazza
infatti sedeva a braccia conserte fra i cuscini sfondati, dimostrando
l’assenza delle proprie qualità di attrice cercando di nascondere il proprio
fastidio con scarsi risultati. Il povero Yorek invece stava cercando di
comunicare con il poco inglese che conosceva quanto gli sarebbe piaciuto
tornare a parlarsi con il linguaggio del corpo.
- Oh! Freddie! – la
biondina scattò in piedi sorridente non appena vide l’amico. Il contrasto fra
la pelle lattea di Evie e quella olivastra del ragazzo assorbì tutta la
nostalgia che Charlie aveva approvato in assenza di Freddie. La ragazza si
lasciò cadere sul posto appena liberato da Evie, trascinando Carrie al proprio
fianco.
- Pezzente, sei
tornato! - prima che questo avesse il
tempo di sedersi, Calvin sbucò dal nulla, saltando alle spalle dell’amico.
Entrambi caddero con un tonfo su uno dei divanetti, mentre Kimberly compariva la seguito del fidanzato, esasperata.
Mentre Freddie rievocava
i ricordi dei mesi appena trascorsi, i fumi dell’alcol evaporarono fra le
chiacchiere scherzose di quel gruppetto, in contrasto con l’atmosfera cupa del
luogo. Quando Charlie sentì i propri pensieri farsi pesante, si allungò per
afferrare una bottiglia di vodka abbandonata sul tavolino impolverato.
- Vorrei sapere – chiese
Evie, riprendendosi dal torpore rilassato in cui era piombata – da dove è
sbucato fuori tutto questo alcol! – scoprendo di non avere alcuna risposta da
darle, tutti si limitarono ad annuire pensierosi.
- Hanno fatto una… emh, colletta, dalle parti del Bronx. Almeno,
così mi ha detto Adam! – affermò con un ghigno malizioso Freddie, ricevendo un
cambio un sorriso dai presenti, scatenato dalla consapevolezza che “colletta” era
una parola fin troppo innocente per descrivere il modo in cui erano stati
probabilmente ricavati i soldi.
- Colletta? Io non ho
sborsato nulla! Non lo sapevo! – ovviamente pensò Carrie a distruggere la
battuta sottintesa dal ragazzo.
- Ah, certamente! – dopo
essersi allontanata con disgusto dal divanetto quando Kimberly e Calvin, in
preda ad un’impudica passione, le si erano strusciati
contro, Charlie sfoderò un’espressione maliziosa – Tanto tu non conosci nemmeno
il tuo nome! E, spilorcia come sei, se anche avessi saputo non avrei donato un
cazzo! – in piedi davanti a tutti, svuotò la bottiglia.
- Zitta, puttana. –
Carrie scosse la testa: era abituata al cinismo improvvisato di cui Charlie
spesso faceva sfoggio.
La brunetta chiuse gli
occhi col sorriso sulle labbra, inspirando a fondo l’odore di quel posto e dei
corpi della gente che la circondava. Poi si voltò verso Freddie – Avanti,
vieni! Mi devi un ballo dall’ultima volta. – allungò una mano verso l’amico,
che scosse la testa ridendo.
- Quelli che
ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica, e tu, mia cara, sei
completamente fuori di testa. – con voce solenne, Freddie pronunciò quelle
parole prima di prosciugare le ultime gocce di liquore contenuto nella propria
fiaschetta. Ignorò l’espressione beffarda della ragazza, afferrandole la mano
per alzarsi in piedi.
- Tu e il tuo stupido Nietzsche. – commentò Charlie
con una risata immune alla forza di gravità, tenendo l’amico stretto per un
braccio. – Avanti, cazzoni! – incitò gli altri a seguirli, pur sapendo che
tutti avrebbero concesso un momento d’intimità al legame profondo che possedeva
con Freddie. I due si avviarono attraverso il turbine di persone strafatte
della stanza.
- Charlie, tesoro!
Sei un incanto di dettagli… trash! – erano
quasi arrivati alla rampa di scale quando Charlie fu bloccata da Adam, il
ragazzo di Richie. Il look stravagante composto di ciocche di capelli
multicolor e numerosi piercing fece sorridere la ragazza quasi più del commento
dell’amico al proprio abbigliamento.
- Gran festa, amico. – disse Freddie con un
sorriso, sollevato all’idea che il supplizio del ballo con Charlie era stato
rimandato. Nonostante quel genere di party non fosse proprio il suo genere.
- Oh, andremo avanti per giorni! Ed è tutto per te, dolcezza! – Adam, esaltato dall’idea che
il festeggiato (anzi, il pretesto)
del rave party fosse soddisfatto dell’organizzazione, prese a saltare sul
posto. – Fredriko adora la musica
techno, vero Freddie? – ovviamente Charlie non poté fare a meno di girare il
coltello nella piaga che sapeva essere più dolorosa per l’amico.
“Io detesto questo rumore”.
- Venite! Vi devo assolutamente presentare delle
persone adorabili! – in pochi secondi
la ragazza si ritrovò ad essere trascinata nuovamente in mezzo a quei corridoi
di persone. Fece in tempo solo a voltarsi per afferrare saldamente la mano di
Freddie e portarselo dietro, mentre Adam si perdeva in un soliloquio che
Charlie non avrebbe ascoltato.
Ovviamente, essere trascinati in giro per il piano
superiore da Adam comprese nel pacchetto Richie, che sembrava aver dimenticato
ogni disguido col fidanzato. Ogni nome che i due ragazzi associarono ai volti
delle persone presentate scomparve quasi all’istante dalla mente di Charlie;
era un continuo camminare, sorridere, fingere di udire qualche discorso banale
e poi camminare ancora, alla ricerca di gente tutta uguale e di un ulteriore vita sociale di cui lei non aveva bisogno.
Freddie la seguiva, paziente, ridendo delle smorfie della ragazza quando le
questioni si facevano noiose, o delle battutine sarcastiche con cui spronava
Adam a cambiare aria.
- E loro sono… - Freddie cominciò a dare segni
d’impazienza quando Charlie perse il conto delle facce nuove appena conosciute.
Se infatti prima il ragazzo era stato quasi sollevato
dalla comparsa di Adam, che aveva rallentato l’avanzare della tortura del
ballo, adesso si sentiva al limite della sopportazione. E la propria beffarda
amica non lo stava aiutando per niente.
La ragazza dunque non sentì i nomi che Adam le disse,
troppo occupata a tenere a bada la risata che l’espressione cianotica del moro
le stava suscitando. Lo sguardo che il ragazzo le lanciò fu più che eloquente:
sembrava gridare il ticchettio dell’orologio, mentre il tempo che le aveva
messo a disposizione si esauriva in velocità.
“Hai ancora
cinque minuti.”
Dopodiché l’avrebbe piantata in asso.
Charlie osservò i quattro soggetti che aveva di
fronte, sospirando poi rincuorata. Per lo meno, non si sarebbe persa nulla:
apparivano tutti irrimediabilmente gay.
Il primo aveva spalle ricurve, occhi socchiusi e
una smorfia apatica che strideva brutalmente con l’abbigliamento vivace, dalle
sfumature giallo uovo e magenta. Al suo fianco una massa di capelli mossi
andava a coprire un viso forse carino, ma agitatissimo:
il ragazzo in questione infatti si guardava attorno nervosamente, spostando il
peso del corpo dalle punte dei piedi ai talloni in modo ossessivo, e stringeva
le gambe come se stesse trattenendo un bisogno fisiologico urgente.
Gli altri due erano quasi un’antitesi dei compagni.
Uno continuava a lanciare occhiate maliziose a qualunque oggetto si muovesse
nella stanza, il che la diceva lunga. Quell’atteggiamento era enfatizzato dalle
furtive palpatine che esso riservava al proprio cavallo dei pantaloni.
L’ultimo quasi non s’accorse della voce di Adam,
che s’era abituata a ripetere il nome di Charlie come una macchina ad ogni
essere vivente gli capitasse sotto tiro. Lo sconosciuto fumava una sigaretta,
incurante della possibilità di bruciare con questo uno dei tanti passanti che
si spingevano l’un con l’altro per una fetta d’aria pulita. Ogni tanto, alzava
la mano libera per sistemare la fascetta colorata che aveva attorno al capo.
Mentre il tizio dalla visibile eccitazione
rispondeva con una battutaccia a chissà quale commento di Richie, Charlie prese
a guardare più attentamente quel personaggio: qualcosa, nella direzione degli
occhi di cui non era ancora riuscita a decifrare il colore, sembrava attrarla
più che mai.
Nonostante sapesse che individuare l’oggetto
dell’attenzione del ragazzo era impossibile, in quella folla, la brunetta si
ritrovò a seguire la direzione del suo sguardo. Si alzò istintivamente sulla
punta delle scarpine col tacco alto, per ergersi ancora di più.
In un angolo, dopo un’attenta ricerca, trovò Evie
incollata a Yorek contro un muro remoto: l’immagine durò un istante, prima che
qualcun altro subentrasse ad offuscarle la visuale.
La ragazza non si era curata del fatto che gli
altri avrebbero potuto giudicare strana quella sua
posizione, quei suoi movimenti: si riscosse solo quando Freddie la strattonò
leggermente, curioso e sempre più frustrato. Qualcosa, nell’istintività
dell’azione, richiamò lo sguardo dello sconosciuto.
Charlie alzò il sopracciglio, fissandolo di rimando
senza alcuna intenzione di abbassare gli occhi. Era sicura, anche senza
certezze concrete e motivazioni, che quel ragazzo, fino a qualche secondo
prima, avesse osservato Evie e il suo compagno di giochi da lontano.
E ancora non riusciva a capire di che colore
fossero quegli occhi…
Il ragazzo le sorrise.
- Ci piacerebbe molto rimanere – reagendo ad un
riflesso insensato, Charlie interruppe un discorso del gruppo a cui lei non
aveva mai avuto intenzione di partecipare, ghignando in un’imitazione
volutamente scadente di affabilità – ma Freddie si sta perdendo la maratona
notturna de “Gli Antenati” e questa mancanza potrebbe causargli traumi
psicologici molto gravi. – la sua voce risuonò seria solo in parte, nell’ironia
di quei significati. Nessuno, di primo acchito, fu in grado di risponderle.
Freddie scoppiò invece in una fragorosa risata.
- A proposito, hanno allestito dei bagni da quella
parte. Non vorrei che te la facessi sotto. – la ragazza si sporse in avanti, la
mano sulla bocca nonostante stesse urlando per farsi udire, in un gesto
confidenziale che lasciò di stucco il tipo più nervoso dei quattro. Subito
dopo, afferrò ancora più saldamente Freddie, trascinandolo lontano, nel
tumulto.
Sentiva addosso tutta l’adrenalina che solitamente
provava dopo una presa in giro di quelle proporzioni.
- Richie ti ucciderà
col rossetto – commentò Freddie sghignazzando, quando arrivarono alle
scale. Charlie annuì, mentre la musica riprendeva a fluirle nelle vene. – E
adesso, spariamoci questo cazzo di ballo! -.
****
Era ormai l’alba quando si stufarono di dimenarsi
come matti, e cercarono di trovare sia il resto della truppa, sia un’uscita da
quell’inferno. Inutile dire che l’impresa costò loro una mezz’ora intensa e
sfrenata.
Quando si ritrovarono a ripercorrere il sentiero
polveroso che portava al parcheggio improvvisato, avvertirono nelle ossa la
stanchezza soddisfatta dell’ennesima notte di baldoria ormai sperperata,
buttata in quello che era il loro mondo. Evie e Charlie si cercarono
silenziosamente, nella camminata verso la macchina, come quasi sempre accadeva.
La biondina sentì la mano dell’amica intrecciarsi alla propria, e avvertì ogni
muscolo rilassarsi.
- Qualcuno ha visto Dominic? – chiese flebile
Carrie, barcollando paurosamente. Nell’aria non si levò nemmeno una mosca.
Calvin faticò a reprimere un grosso sbadiglio. –
Guidi tu? – disse, mentre abbracciava Kimberly, la quale era sul punto di
addormentarsi in piedi. La domanda era rivolta implicitamente a Charlie.
Freddie corrugò la fronte quando nessuna risposta
si levò dall’interpellata. Non era un comportamento tipico di lei non riversare
la propria acidità da fine serata sul primo malcapitato disposto a rivolgerle
la parola. Sia il ragazzo che Evie si voltarono a guardare Charlie,
osservandola farsi viola in volto.
Senza che nessuno aggiungesse altro, tutti si
spostarono lontano dalla brunetta, che si piegò in avanti. Ogni veleno
ingurgitato quella notte si riversò in amari fiotti nella bocca della giovane,
finendo sulla terra arida e liberandole il corpo. Sapeva che non avrebbe dovuto
annodare la maglia sopra l’ombelico, in un attimo di furore nella pista da
ballo.
Eppure, nonostante l’attacco di vomito e il mal di
testa di tutti, Charlie non riuscì a non guardare il cielo tingersi di colori
improbabili, delle mille sfumature che componevano la sua vita. Usando
l’immaginazione, vide oltre il fitto degli alberi del bosco che li circondava,
New York sorriderle come una vecchia amica. Le braccia di quella notte appena
passata li lasciò liberi di prepararsi alla prossima avventura, andando ad
accatastarsi alle proprie simili fra i ricordi.
- Stai bene? – la voce di Kimberly non avrebbe
potuto essere più chiara.
C’era una luce che non se ne andava mai.
Stava benissimo.
- Guida tu! – frugando nella borsa, e notando con
sollievo che niente era stato rubato, lanciò le chiavi della propria preziosa
Jaguar a Freddie, che le afferrò con notevole prontezza per essere stato
sveglio tutta la notte a ballare insieme a lei. Charlie si dimenticava sempre
dell’infinita resistenza di Freddie.
E, mentre qualche minuto dopo, il profilo della
beneamata metropoli si delineava all’orizzonte, la ragazza socchiuse gli occhi
pigramente, osservando il sole nascere e il proprio desiderio di vita crescere
con quello, come le era accaduto per tutta la vita.
Le stelle, le sue stelle madrine, non avrebbero
potuto brillare più di così.
Alibi che
attenuano l’oscenità
riflessa intorno alle bottiglie vuote
dai suoi vent’anni opachi e rispettabili:
così si sa che c’è qualcosa che non va.
(Subsonica –
Albascura)
NOTE DELL’AUTRICE
Okay, eccomi qua con una storia tutta nuova. E’ la
prima volta che mi cimento nel campo Originali e, sinceramente, sono un po’
preoccupata: spero vivamente che questa storia vi piaccia
J
è la rielaborazione di una fic
che in passato avevo scritto su un gruppo musicale, ma che ho deciso di
riscrivere da zero. Si basa su una storia d’amore, però i temi che tratterò
saranno molteplici, e da qui deriva la scelta della sezione Generale al posto
di quella Romantico. Ad ogni capitolo ci saranno dei commenti in questo piccolo
spazio, che potrete anche saltare. Posso essere noiosa! Però vorrei che
leggeste almeno questa piccola introduzione fuori dalla storia.
Prima di tutto, per favore, NON COPIATE! Mi è capitato, girovagando nelle
sezioni da me frequentate, di trovare analogie piuttosto equivoche con le mie
precedenti storie. Non è piacevole vedere che altri, anche solo per un riflesso
condizionato dovuto al ricordo del subconscio, spacciano per proprio il lavoro
su cui si suda e a cui si tiene. Se proprio volete inserire qualche mi frase
nelle vostre fan fiction, chiedetemelo: sarò lusingata e felice di dirvi di sì,
a patto che mi citiate poi adeguatamente. Vi prego, mi è successo già troppe
volte: a questa storia tengo molto, e non voglio che venga copiata.
Dopodiché, chiarisco che Charlie NON è una
trasposizione di me stessa sulla carta: il fatto che noi si condivida il nome
non significa che il nostro carattere, il nostro modo di porsi sia uguale.
Certo, contiene un pezzetto di me, come tutti i miei personaggi, ma non sono
io. Non è lei a prendere il nome da me, ma io da lei, in un certo senso J non sono così egocentrica
da rendermi protagonista di una mia storia.
Il sottotitolo di Scoop è una canzone dei Subsonica molto famosa, chiamata appunto “Tutti i miei sbagli”. Ve la consiglio
caldamente, fra parentesi. La storia si basa infatti
sul suo testo, e su quello d un’altra opera di questa straordinaria band “Albascura”. Ritenevo doveroso
precisarlo.
Questo primo capitolo è stato da me definito
prologo perché ci sono ancora molte cose da spiegare sulle protagoniste: il
rave party è solo un assaggio della reale vita di Charlie ed Evie, che verrà
approfondita in particolare nel prossimo capitolo. In più, contiene le poche
frasi che precedono il titolo, che formano il vero e proprio prologo in medias res.
Veniamo alle citazioni.
“Hey ho, let’s go!” è il mitico ritornello di “Blitzkrieg Bop”
dei Ramones.
Alla fine del primo paragrafo, la frase che Evie e
Charlie si dividono è presa dal film “Pirati
dei Caraibi – Ai Confini del Mondo”, del mitico Capitan
Jack Sparrow. Lo so, non è molto aulica come citazione, ma mi è sempre piaciuto
quel film e calzava a pennello con il dramma comico costituito dalla
situazione.
“I felt like
destroying something beautiful” è invece tratta dal film “Fight Club”, e significa “Avevo voglia
di distruggere qualcosa di bello”. Buon film, ma preferisco il libro.
Allucinante.
Il barbarico yawp di Charlie è un riferimento ai
versi di Walt Whitman “I sound my barbaric yawp over the roofs of the world”, tratto dalla poesia “Canto di me
stesso”.
“Perché sei tu,
Fredriko?”, riferimento molto libero a “Romeo e Giulietta” di
William Shakespeare.
Il fatto che Freddie
chiami Charlie “zia Mildred” verrà spiegato nei
prossimi capitoli.
L’ordinaria follia di
Charlie è invece riferito al film “Un giorno di ordinaria follia”, che
consiglio caldamente a tutti.
La citazione “Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non
sentivano la musica”
è, come giustamente dice Charlie, del buon Friedrich
William Nietzsche.
Il fatto che il ragazzo
sconosciuto che attira tanto l’attenzione di Charlie indossi una fascetta
colorato in testa è un riferimento alla band MGMT, che io adoro.
Infine, “C’era una
luce che non se ne andava mai” è riferita alla canzone dei The Smiths “There
is a light that never goes out”, che apre anche la storia subito dopo le
frasi del piccolo prologo.
E con questo passo e
chiudo! Spero che la storia vi piaccia J
Bye!