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Autore: Cicciolgeiri    21/05/2011    4 recensioni
Dimenticate tutto ciò che sapete sul mondo degli dei dell'Olimpo e calatevi nei panni di Steve Johnson, il figlio del divino Zeus, e di quelli dei suoi amici Grover Underwood, Silfide Black ed Annabeth Chase.
Ade, dopo millenni di umiliazioni e soprusi, decide di vendicarsi degli Dei dell'Olimpo attuando un terribile piano di distruzione insieme ad Eris, dea della discordia: rapire e sacrificare tutte le divinità per aumentare il suo potere.
In un mondo in cui nulla è come sembra, ce la faranno i nostri amici a salvare il mondo dalla furia di Ade?
Ma soprattutto, Steve riuscirà a capire di chi potersi fidare veramente?
Nuove avventure, antichi nemici ed impavidi eroi si intrecciano in una disperata lotta contro il tempo per la salvezza del mondo ... e dell'Olimpo.
(...)- Volete spiegarmi cosa sta succedendo? - sbottai io. Odiavo sentirmi escluso. - Che cosa sarebbero questi calzari nella foresta? -
-
Altari, babbuino! - esclamò Silfide, - sono dei templi eretti nel bosco per i nostri genitori. Una volta ogni tanto tutti noi dobbiamo farci una scampagnata nella foresta per rendere loro grazie - simulò un conato di vomito. - Sai che noia … ecco perché mi porto le tenaglie! - aggiunse perfidamente, ritrovando subito il buon umore.
- Non puoi farlo - disse Grover serio. - Hermes e gli altri dei si arrabbierebbero come ippopotami con l’ernia, lo sai -.
Lei fece schioccare la lingua con strafottenza. - Tzé, sai quanto me ne importa! - ribatté.
Io chiesi: - Cosa vuoi farci, con delle tenaglie? -
- Sopra ogni altare c’è la statua della divinità a cui è stato dedicato - spiegò Silfide. - La statua di Hermes è senza mutande, quindi ha praticamente i gioielli esposti a qualunque tipo di intemperie - ammiccò furbescamente, - e di tenaglie -.
Io la guardai stralunato.
- Mi stai dicendo che vuoi castrare la statua di tuo padre? - dissi.
Lei sghignazzò.
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi svegliai con una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
“ Sto per vomitare “ mi dissi, così scesi dal letto e corsi in bagno. Rimasi in piedi a fissare la tazza per un tempo indefinito. Quando alla fine constatai che non c’era pericolo che la cena mi scappasse fuori di bocca, decisi di andare a fare una camminata.
Mi vestii in fretta e scesi giù per le scale; mi aspettavo di trovare Grover spalmato sul divano come la maionese, ma non sentivo il suo russare da motosega e, quando arrivai in soggiorno, vidi che effettivamente lui non c’era.
Il signor D doveva averlo trattenuto fino a tardi per fargli fare chissà cosa; l’immagine di Grover vestito da cameriera francese mi balenò in mente e per poco non mi fece ritornare le forze di stomaco.
Uscii fuori e attraversai la foresta di buona lena, le mani in tasca a sfiorare la superficie fredda e dura del contenitore della Folgore.
Era piuttosto presto, ma in giro per il Campo c’era già qualche mattiniero: qualcuno mi salutava ed io rispondevo loro distrattamente, con un grugnito o un cenno della mano.
Mi sentivo strano, come se avessi le budella annodate.
Feci un rapido elenco mentale di ciò che avevo mangiato la sera prima, ma nulla di quello che mi veniva in mente avrebbe potuto produrre un simile effetto: al Campo si mangiava sempre in modo schifosamente salutare, non ci si poteva sentire male neppure volendo.
E allora perché avevo lo stomaco aggrovigliato come un calzino?
Giunsi al limitare del bosco, verso gli alloggi di Hermes, e mi dissi che forse Silfide era sveglia: almeno avrei avuto qualcuno con cui chiacchierare.
Mi feci strada tra le varie casette e quando arrivai davanti alla sua, sentii provenire da essa uno strano rumore, come il motore ingolfato di una motocicletta. Aguzzando le orecchie, mi chiesi che cosa mai potesse produrre un simile suono, così decisi di entrare.
Aprii la porta lentamente e fui investito da quella specie di grugnito gutturale. Mi guardai attorno in mezzo al caos che regnava nell’alloggio di Silfide e, alla fine, i miei occhi si posarono sul letto: lì c’era spaparanzato Grover, la testa che penzolava giù dal cuscino, e la bocca spalancata con un rivolo di bava che scendeva giù da un angolo.
<< Ma cosa … >> borbottai, mentre Grover ronfava beatamente come un trattore.
Dalla stanza accanto fece capolino Silfide.
<< Steve! >> bisbigliò sorpresa. << Che cosa ci fai qui? >> mi fece segno di seguirla ed io la raggiunsi velocemente, tenendomi a distanza di sicurezza da Grover, temendo che il suo russare potesse travolgermi come un tornado.
<< Ero venuto per fare quattro chiacchiere >> le spiegai a bassa voce, mentre lei mi faceva accomodare ad un tavolino e mi piazzava davanti un bicchierone di succo d’arancia. << La porta era aperta e così sono entrato >>.
Si sedette di fronte a me e anche lei si versò un po’ di succo, che scolò tutto in una volta rovesciando la testa all’indietro.
<< Ok >> disse, appoggiando il bicchiere sul tavolo. << Parliamo, allora >>.
<< Perché Grover è steso nel tuo letto e russa come un’idra col mal di gola? >> chiesi a bruciapelo.
Lei si passò una mano sulla faccia ed emise un gemito strozzato.
<< Ieri il signor D l’ha fatto trottare sodo >> spiegò, << così, quando finalmente l’ha lasciato andare a dormire, lui si è incamminato verso casa tua, ma è caduto lungo disteso sul sentiero di fronte al padiglione della mensa. Si è addormentato. Io lo stavo tenendo d’occhio e così l’ho portato qui, perché il vostro alloggio è troppo lontano per trascinare una capra tutta da sola fin laggiù. E poi, se l’avessero trovato per terra a ronfare, Dioniso non gliel’avrebbe mai perdonata >>  aggiunse con aria risentita..
<< Ho capito >> dissi, sturandomi un orecchio con l’indice: di là sembrava che stessero esplodendo delle bombe atomiche. << Certo che russa, eh? >> constatai.
Silfide annuì con aria lugubre a affogò i suoi dispiaceri nel succo d’arancia, versandosene un altro po’.
 Io il mio non l’avevo ancora sfiorato, ma solo a guardarlo mi dissi che non ce l’avrei mai fatta a mandarlo giù, o avrei rischiato di inaugurare il tavolino di Silfide con la cena della sera prima.
Lei parve notare che non mi sentivo esattamente in forma e, aggrottando la fronte, mi chiese: << C’è qualcosa che non va, Steve? >>
Io scrollai le spalle.
<< Mi sento strano >> risposi vago.
Silfide alzò un sopracciglio.
<< Strano nel senso di: “Ehi, mi sento un po’ giù di corda” >> iniziò sospettosa, << o strano come: “MORIREMO TUTTI!” ? >>
Non ci avevo ancora pensato, a dire il vero. Eppure, adesso che me lo faceva notare, forse il mio malessere poteva avere qualcosa a che fare con questioni che prescindevano dalle troppe sostanze caloriche ingurgitate.
Che fosse successo qualcosa sull’Olimpo?
<< Mhhh … >> mugugnai cupo. << Una via di mezzo >>.
<< Oh, ok >> disse lei, sarcastica, << ora sì che sono più tranquilla >> mi lanciò un’occhiataccia verde malva.
Io sbuffai.
<< Se anche ci fossero problemi, perché io dovrei saperlo? >> chiesi. << Insomma, abbiamo fatto ricrescere quelle stupide piante, no? Non dovrei avere più niente a che fare con Ade … >> lasciai la frase in sospeso, attenendo la sua risposta.
Silfide si accigliò appena.
<< Questo proprio non lo so >> disse sincera, << hai ragione: non dovresti. Ma per certe cose uno non può essere mai del tutto sicuro, dico bene? Vedere tuo zio che bacia una uscita dal pavimento e giura di ammazzare tutti i tuoi parenti è tra queste >>.
Sospirai profondamente. Aveva ragione: non potevo esserne certo. Forse quel fastidio era effettivamente dovuto a qualcosa che stava andando storto, o magari stavo solo diventando paranoico.
<< Vorrei che Chirone fosse qui >> buttai lì alla fine, << lui saprebbe di sicuro cosa fare >>.
Silfide stava per dire qualcosa, quando, dalla stanza accanto, provenne un urlo terrorizzato.
<< Il bimbo si è svegliato >> sibilò Silfide con un ghigno, << resta qui, Steve >> disse, poi si alzò e andò di là.
Io mi sporsi dalla sedia per guardare cosa stesse accadendo e vidi che Grover si era svegliato e si guardava intorno con aria sconvolta, il lenzuolo tirato fin sotto al mento. Quando vide arrivare Silfide cacciò un altro urlaccio e per poco non cadde giù dal letto.
<< SILFIDE! >> esclamò sbigottito. << Cosa … io … che ci faccio qui? >>
Silfide si appoggiò allo stipite della porta con fare provocante e sbatté le lunghe ciglia.
<< Oh, Grover. Davvero non ti ricordi? >> domandò vezzosa, lanciandogli uno sguardo di fuoco. << Stanotte sembravi un toro … ma che dico un toro? Un carro armato! >>
Grover si lasciò sfuggire un belato strozzato, gli occhi fuori dalle orbite.
<< Vuoi … vuoi dire … >> balbettò sconclusionato, << … che … che tu ed io … stanotte … abbiamo … >> non riuscì a terminare la frase.
Dal canto mio, in cucina, stavo cercando di morire dalle risate nel modo più silenzioso possibile.
Silfide perse all’improvviso tutta la sua aria seducente.
<< No >> gracchiò stentorea. << Parlavo del modo in cui hai russato! Non mi hai fatto chiudere occhio tutta la notte! Ma per tutti i bermuda di Poseidone, che hai ingoiato una marmitta rotta, da piccolo?! >>
E scoppiò a ridere sonoramente, troppo forte per udire il suono del cuore di Grover che si spezzava; poi mi fece segno che potevo uscire allo scoperto.
<< Dai, vieni, Steve >> disse, << prima che il tuo amico ricominci a ruggire, cioè russare … >>
Io li raggiunsi ridacchiando, mentre il satiro sbuffò e scese giù dal letto, borbottando qualcosa riguardo a certi scherzi stupidi.
<< Ciao, Grover >> lo salutai.
<< Ehi >> disse lui.
Silfide afferrò una maglietta della maratona di New York che giaceva appallottolata sul giradischi e la lanciò a Grover, che la prese al volo.
<< Dai, vestiti >> disse, mentre lui se la infilava svelto << ho un’idea per aiutarti, Steve >>.
E, detto questo, ci precedette fuori dal suo alloggio; io e Grover ci affrettammo a seguirla, perché sapevamo che, se non ci fossimo sbrigati, ci avrebbe seminati in poche falcate e, mentre le trotterellavamo dietro, lui mi chiese:
<< Aiutarti a fare cosa? >>
<< A dire il vero non lo so neanch’io >> risposi incerto.
<< Non volevi parlare con Chirone? >> mi urlò Silfide, spazientita dalla mia mancanza di acume. << Un modo c’è >>.
<< Perché vuoi parlare con Chirone? >> insistette Grover.
<< Ma io non voglio parlare con Chirone! >> ribattei, fermandomi di botto.
Anche Grover e Silfide si arrestarono, fissandomi.
<< Dovrei raccontargli che ho dato fuoco a quell’edera Olimpica >> proseguii concitato << e sinceramente non ci tengo a farmi pestare da un centauro, ok? >>
<< Ma Chirone è andato a parlare con tuo padre, Steve! >> mi fece notare Grover. << L’avrà già saputo! E poi, anche se fosse, meglio dirglielo quand’è lontano, piuttosto che quando sei a portata di zoccoli, no? >>
Silfide annuì calorosamente.
<< Concordo >> disse.
Io sbuffai. Però, in fondo, avevano ragione e comunque Chirone era l’unico a cui potessi chiedere un consiglio.
<< D’accordo >> acconsentii alla fine. << Ma che dobbiamo fare? >>
<< Seguimi >> tagliò corto Silfide, e riprese a camminare svelta.
Io e Grover ci lanciammo uno sguardo e la imitammo.
Attraversammo mezzo campo, fino ad arrivare all’edificio dei bagni: un blocco di pietra grigia al margine settentrionale del bosco che conteneva i cubicoli dei maschi e, più in là, quelli delle femmine.
 Ci fermammo ad un angolo e Silfide afferrò un tubo di gomma verde che giaceva per terra, dopodiché aprì il rubinetto ed il tubo prese vita come un serpente ubriaco, schizzando acqua di qua e di là.
Io e Grover iniziammo a saltellare per evitare di farci inzuppare, poi però Silfide puntò il tubo da un’altra parte e diminuì la potenza dell’acqua.
<< Ok >> disse, frugandosi in una tasca. Ne estrasse una lucente moneta d’oro, grande quanto tutto il suo palmo.
<< Dracme >> esclamò Grover. << Vuoi usare l’iPhone? >>
<< Certo >> rispose lei, poi si rivolse a me, che come al solito non avevo capito un fico secco. << Esiste una dea chiamata Iride che lavora con mio padre ed ha messo su un servizio di telecomunicazione davvero efficiente: basta gettare una dracma nell’acqua e dire ad alta voce il nome della persona con cui vuoi parlare. Potrebbe essere utile anche in altre situazioni >> disse e mi porse la pesante dracma.
Poi otturò il tubo con il pollice, in modo che il getto d’acqua uscisse fuori nebulizzato e comparisse il riflesso dell’arcobaleno.
<< Vai! >> esclamò.
Io gettai la moneta contro le goccioline sospese a mezz’aria e quella roteò alta nel cielo, brillando alla luce del sole; ma quando incontrò l’iridescente muro d’acqua, ne fu inghiottita e sparì.
<< Chirone! >> urlai.
Per un attimo non successe nulla e per poco non pensai che Silfide avesse voluto farmi uno scherzo; poi l’acqua divenne una specie di schermo televisivo e, davanti a noi, apparve la tremolante immagine di Chirone il centauro. Era come guardarlo da dietro un acquario, ma non c’era alcuno dubbio: era proprio lui e sembrava anche piuttosto occupato.
Si trovava in un posto pieno di rocce aguzze, una sorta di caverna in cui aleggiava una misteriosa nebbia verdognola ed era circondato da scorpioni giganti, che facevano guizzare i loro mortali pungiglioni producendo ringhi rabbiosi.
Quando ci vide non parve eccessivamente sorpreso e si limitò ad assestare una sonora pedata allo scorpione più vicino prima di chiederci, con lo stesso tono tranquillo che avrebbe usato se fosse stato in spiaggia a prendere il sole:
<< Ragazzi, tutto bene? >>
Io non riuscii a rispondere, tanto era lo shock di trovarmi davanti quei cosi giganti e arrabbiati.
<< Steve ti vuole parlare >> disse Grover. << Steve, parla! >> e mi diede una gomitata.
Io ritrovai l’uso della lingua.
<< Ehm, sì … ti volevo dire una cosa, ma mi sembri un po’ affaccendato, perciò … >>
Chirone afferrò due scorpioni per il pungiglione e li legò insieme facendo un fiocco, dopodiché li lanciò via.
<< No, ma figurati! Normale amministrazione! >> buttò lì senza scomporsi. << Dimmi tutto, ragazzo >>.
Io deglutii sonoramente, non sapendo se dovevo essere più terrorizzato da tutti quegli scorpioni giganti e schifosi o dal fatto che stavo per rivelare a Chirone qualcosa che mi sarebbe costato un meraviglioso tatuaggio a forma di ferro di cavallo sul sedere, non appena fosse tornato.
Silfide mi assestò un doloroso pizzicotto sul braccio, al che mi convinsi a parlare: raccontai a Chirone della mia disavventura da pollice verde tutto d’un fiato, fissando un punto indefinito della caverna buia oltre il didietro del centauro, i pugni serrati.
Quando terminai il mio racconto, mi aspettavo che Chirone si sarebbe messo ad urlare come un matto, oppure che avrebbe tentato di superare la nebbiolina dell’i-Phone e di strozzarmi a mani nude; invece si limitò a guardarmi fisso con un’espressione vivace come quella di statua greca. Perfino gli scorpioni mi stavano fissando: uno di loro scosse impercettibilmente l’orribile capoccione scintillante con aria di disapprovazione.
<< Be’, questo spiega molte cose >> sentenziò Chirone, dopodiché si voltò di scatto e riprese a duellare contro quegli insettoni mutanti. << C’è altro? >>
Se possibile, la sua freddezza mi ferì ancora di più di quanto non avrebbe fatto una sua mazzata in testa; sembrava … sembrava deluso.
<< Chirone >> tentai, mentre la nuvoletta dell’i-Phone iniziava a farsi opaca, << io non lo sapevo, non ne avevo idea! Non puoi … cioè, non puoi essere arrabbiato! >> mi infervorai.
Grover, accanto a me, emise un lieve fischio d’avvertimento.
Chirone spedì in orbita un paio di scorpioni assestando loro una poderosa pedata, poi tornò a guardarmi.
<< Avevo detto chiaro e tondo di non toccare gli altari in alcun modo, Steve! >> mi sgridò. << Né di danneggiarli! E tu hai fatto entrambe le cose, hai disubbidito ai miei ordini! Sarebbe bello che tu mi prestasti attenzione una volta tanto, ragazzo, perché si da’ il caso che io ne sappia un tantino più di te, anche se tu sei convinto del contrario! >> esclamò.
<< Ma io lo faccio! >> ribattei adirato. << Io ti presto attenzione! Restare qui con le mani in mano mentre mia mamma viene tenuta prigioniera nell’Ade da un pazzo represso, come lo chiami?! >> mi sentivo così arrabbiato con tutto e con tutti che come avessi fatto, solo un attimo prima, ad esprimere il desiderio di parlare con quel centauro mi sembrava davvero una cosa fuori dal mondo. Perché non capiva? Perché continuava a trattarmi come un idiota dell’asilo?
<< So cha hai fegato, Steve, lo sappiamo tutti. E so anche che tu non vuoi farti bello agli occhi di nessuno e che il tuo desiderio di agire ti corrode, ma so anche che se tu tentassi l’impresa, non sopravvivresti! >> tagliò corto, brusco, atterrando l’ultimo scorpione sedendocisi sopra; che brutta morte, schiacciato dalle chiappone di un centauro.
Io ansimavo di rabbia e non sapevo cosa dire; ero così furioso che non mi sarei sorpreso se le orecchie avesse cominciato a fumarmi come una locomotiva.
Chirone ignorò il mio sguardo minaccioso e si rivolse a Grover.
<< Conto su di te >> gli disse, << per tenere Steve al sicuro sino al mio rientro al Campo. Ho quasi finito quaggiù, ormai, e quando ritornerò avrò qualcosa di molto interessante da mostrarvi, perciò vi converrà rimanere dove siete, se volete sapere di cosa si tratta >> annunciò.
Quella notizia per poco non mi fece svampare la rabbia di essere trattato come un poppante bisognoso di una baby-sitter da un tipo con il didietro da ronzino.
<< Ma, Chirone, dove sei adesso, di preciso? >> chiesi curioso, riducendo gli occhi a fessure per aguzzare lo sguardo.
Ma ormai il tempo che avevamo a disposizione per la chiamata era finito e la nuvoletta d’acqua iridescente stava diventando sempre più nebbiosa; i contorni di Chirone e della caverna si sfocavano e sbiadivano come quelli di un disegno ad acquerelli lasciato a mollo nell’acqua.
<< Non posso dirlo >> riecheggiò la voce del centauro, mentre la linea cadeva. << E’ top-secret >> e, detto questo, la visione sparì ed io, Silfide e Grover ci ritrovammo a fissare uno spruzzo d’acqua nebulizzata  e i muri scrostati dei gabinetti dei maschi.
<< Be’, è stato illuminante >> commentò Grover.
Silfide chiuse il tubo dell’acqua.
<< Io non ci ho capito niente >> commentò. << E ci ho pure rimesso una dracma >> posò il suo sguardo verde su di me.  << Che ne dici? >> domandò.
Anche Grover si voltò a guardarmi; entrambi mi fissando con lo stesso sguardo che di tanto in tanto dedicavano ad Annabeth, quasi che la mia testa potesse esplodere da un momento all’altro.
Mi accigliai.
<< Be’, non è andata poi così male >> commentai, quasi sincero. << Dopotutto non mi ha nemmeno fatto a pezzettini, no? >>
Però, in fondo, molto in fondo, una minuscola parte di me aveva desiderato che Chirone si mostrasse un po’ più comprensivo, tanto per cambiare, e che non mi desse addosso accusandomi di qualcosa che io non avevo fatto di proposito.
Ma possibile che nessuno si rendesse conto di quanto era dura per me? Con mia madre che era sparita per colpa mia ed io che avevo scoperto di essere figlio di Mr. Fulmini&Saette?
Mi sentivo uno schifo, ecco la verità: tutto andava per il verso storto ed io non potevo farci niente.
In più, a nessuno sembrava importare particolarmente che Ade ed Eris stessero per fare fuori l’Olimpo al completo.
Non gli importava? Be’, peggio per loro! Per me, ciò che più contava, era salvare mia madre e per il resto quegli idioti degli dei erano liberi di farsi ammazzare da chi preferivano.
La giornata proseguì in maniera relativamente tranquilla: tra allenamenti, duelli ed una battaglia di gavettoni riempiti di pupù di pegaso; tutto questo, inframmezzato dalle poste che le spie che il signor D aveva mandato a tenermi d’occhio continuavano a tendermi.
Avrebbe potuto anche scegliere qualcuno di un po’ più discreto, tanto per cominciare; qualche ragazzo di Hermes, magari, perché quei satiri che mi aveva sguinzagliato appresso erano davvero imbranati ed io, Grover, Silfide ed Annabeth non ci avevamo messo molto a capire che era stato il nostro amato Capo Campo a mandarli.
Nonostante le apparenze era uno di parola: mi aveva fatto spiare per tutto il giorno ed eravamo stati fortunati a chiamare Chirone oscenamente presto per gli standard di Dionisio, quella mattina, altrimenti ci avrebbe colto in flagrante.
Mi sentivo lo sguardo fastidioso del satiro spione del signor D puntato addosso, mentre mi ripulivo dalla cacca di cavallo quella sera, in riva al lago.
<< Ci sta ancora alle calcagna? >> domandò Silfide frizionando con forza la sua armatura puzzolente col bicarbonato Olimpico; i gavettoni di cacca di cavallo volante non avevano risparmiato nessuno, quel giorno.
<< Già >> commentò Annabeth senza voltarsi, seduta sulla riva con aria straordinariamente rigida. << E’ nascosto proprio lì dietro, in quel cespuglio di more. Non c’è da sorprendersi. Basterà non comportarsi in modo sospetto >>.
<< Non davanti a lui, almeno >> aggiunsi io burbero, dato che essere ricoperto di sterco di pegaso dalla testa ai piedi peggiorava sensibilmente il mio umore già pessimo.
Annabeth annuì e mi rivolse un gran sorriso a tradimento.
Io ricambiai con una complice strizzatina d’occhi.
<< Pensi che una gara di schizzi sia sospetta? >> domandò Grover, che sguazzava nelle placide acque del lago, rivolto a Silfide.
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
<< Ti prego, Grover! >> esclamò seccata. << Siamo coperti di cacca! >> ma poi si voltò di scatto e incominciò a bersagliarlo di schizzi poderosi, agitando le braccia in acqua.
Ovviamente non aveva alcuna speranza contro Grover, che dimenando i suoi zoccoli da capra come se stesse pedalando riusciva a sollevare onde niente male, ma era divertente guardarli, così io ed Annabeth iniziammo a fare il tifo da riva, strillando e ridendo a gran voce.
Ad un certo punto, avvistammo qualcuno che trotterellava verso di noi con un’ostentata andatura sculettante; Grover si bloccò a guardare la figura nel bel mezzo di un super attacco schizzante e Silfide approfittò di quel suo momento di distrazione per spingerlo sott’acqua.
Intanto la tipa che ci stava venendo incontro si era fatta abbastanza vicina ed io riuscii a distinguere il volto mozzafiato (e anche un altro paio di cosette altrettanto impressionanti) di Silena Beauregard, la capogruppo dei figli di Afrodite: una stangona bionda con le gambe più lunghe che avessi mai visto ed un paio di sfarfallanti occhi azzurri, che tutti definivano essere “la ragazza più sexy del campo”. Ovviamente per me non lo era, ma non si poteva certo dire che non fosse bellissima.
Silena si fermò accanto a me e ad Annabeth con un sorrisone a trentadue denti che pareva più simile ad una paresi facciale, se devo essere sincero.
<< Ciao, Steve >> mi salutò con voce miagolante, giocando con una ciocca della sua chioma ossigenata. << Annabeth >> aggiunse freddamente, scoccando alla figlia di Atena  quella che mi parve un’occhiataccia di sdegno.
<< Silena >> commentò gelida quest’ultima, come se si stessero rammentando i nomi a vicenda.
<< Come va, Steve? >> proseguì Silena, tornando a rivolgersi a me col suo tono zuccheroso.
Intanto, alle sue spalle, Silfide fingeva di vomitare in modo molto plateale e Grover era immerso in acqua fino al mento, a disagio.
<< Ehm … bene >> bofonchiai io. Forse, se non fossi stato così di malumore, parlare con una così mi avrebbe fatto piacere; cioè, era davvero bella e tutto il resto, ma in quel momento starmene lì seduto in pace con Annabeth a guardare Grover e Silfide che facevano gli scemi era davvero tutto ciò che potessi desiderare ed ero quasi infastidito dalla sua presenza estranea. E poi somigliava in modo inquietante ad una Barbie guerriera, non so se mi spiego.
<< E tu? >> aggiunsi, dato che la Barbie-Xena continuava a fissarmi sorridendo spasmodicamente.
<< Oh, tutto ok >> buttò lì, come se fossi stato io ad attaccare bottone e lei si trovasse lì per caso. << Ascolta, Steve … non so se lo sai, ma >> emise una risatina talmente acuta che mi trapanò i timpani << stasera il signor D ha deciso di dare un bacchetto dei suoi, sai: una specie di festa, ecco. E … mi chiedevo se tu … se tu ci andavi >> sbatté freneticamente le lunghe ciglia come se le fosse finito un moscerino nell’occhio.
Io guardai Annabeth, che era talmente rigida da sembrare avesse ingoiato una scopa, e una sorta di calda soddisfazione mi invase il petto: aveva decisamente l’aria infastidita e … be’ … gelosa.
<< Sì che ci vado >> risposi, tornando a guardare Silena.
Annabeth si voltò di scatto verso di me.
Il sorrisone della figlia di Afrodite si allargò.
<< E con chi? >> chiese.
<< Con Annabeth >> risposi tranquillamente.
Lei e Silena sgranarono gli occhi: quest’ultima scioccata, l’altra piacevolmente sorpresa.
<< Oh >> commentò Silena, guardando me ed Annabeth come se fossimo una gomma da masticare che le era rimasta attaccata sotto alle scarpette di Gucci. << Certo, dovevo immaginarlo. Be’ ci si vede >> ma restò immobile a fissarmi, come se si aspettasse che mi gettassi ai suoi piedi implorando perdono o cose del genere.
<< Sì, ci si vede >> dissi solo.
Silena pareva davvero contrariata, ma girò sui tacchi e fece dietrofront, sparendo lungo la riva del lago e lasciandoci di nuovo soli.
<< E così ci andiamo insieme, eh? >> commentò Annabeth non appena la figlia di Afrodite fu sparita all’orizzonte. << Avresti anche potuto avvertirmi prima, sai? >> sapevo che voleva suonare severa, ma sembrava solo divertita. << Come fai a sapere che voglio andare alla festa con te? >>
<< Be’, ma tu vuoi, no? >> mi affrettai a chiedere.
<< Certo, ma … >> farfugliò lei.
<< Allora è deciso >> conclusi con una scrollata di spalle.
Non sapevo da dove venisse tutta quella sicurezza improvvisa, ma mi piaceva ed evidentemente anche ad Annabeth, perché mi sorrise allegramente, piegandosi di lato per darmi una spintarella.
<< Allora voi ci andate? >> chiese Grover, lanciando un’occhiata speranzosa a Silfide mentre uscivano dall’acqua. << Chissà se i satiri sono invitati … probabilmente potremo solo fare da camerieri e distribuire asciugamani in bagno, conoscendo il signor D >> aggiunse tristemente.
<< Non se ne parla! >> esclamai io. << Tu sei il mio Custode, ricordi? E mi scorterai alla festa in veste di Custode e quindi di invitato. Niente lavori umilianti per stasera >> aggiunsi deciso.
Grover mi sorrise dandomi una pacca sul braccio.
<< Be’, grazie, amico! >> disse allegramente. Poi, schiarendosi la voce con nonchalance, chiese a Silfide in quello che voleva essere un tono disinteressato: << E tu … ehm … ci … cioè, vuoi andarci? >>
La figlia di Hermes sorrise con aria furbetta.
<< Oh, sì. L’ultima volta che sono stata a New York ho rubato un vestito niente male: non vedo l’ora di mettermelo! >> disse.
Io, Grover ed Annabeth scoppiammo a ridere, poi, tutti e quattro insieme, abbandonammo la riva sassosa del lago e ci dirigemmo ai nostri alloggi per prepararci.
Io e Grover tornammo a casa e ci preparammo in fretta, indossando per la prima volta dopo settimane dei vestiti che non comprendessero una corazza ed un elmo per fare pandan; mi pettinai i capelli col gel, sparandoli in alto come se mio padre mi avesse fulminato in un modo che fece sbellicare dalle risate Grover che, però, dal canto suo, ruppe tre pettini e cinque spazzole per districare la jungla che aveva in testa e sulle chiappe.
<< Giuro che non toccherò mai più questa spazzola in vita mia >> annunciai io, accennando alla spazzola aggrovigliata da peli di capra che giaceva abbandonata sulla tavolozza del water, la stessa che il mio amico satiro aveva usato per pettinare parti di lui delle quali non fremevo di fare la conoscenza.
Quando uscimmo, profumati, pettinati ed anche abbastanza fichi, devo essere sincero, scoprimmo che le ninfe avevano disseminato la foresta di lumicini e striscioni e che la strada principale del campo somigliava molto al percorso che porta ad una discoteca: c’erano ghirlande e luci dappertutto, tutti ridevano e scherzavano e in aria aleggiavano le note di una famosa canzone di Rihanna che sembrava fatta apposta per ballare e scatenarsi.
<< Dove sono Silfide ed Annabeth? >> domandò Grover guardandosi intorno, mentre la folla ci sospingeva verso il padiglione della mensa, che era stato trasformato in una vera e propria sala da ballo: i grandi tavoli degli dei erano spariti, sostituiti da tavolinetti più piccoli carichi di spuntini, bevande e stuzzichini vari; dal soffitto pendeva una palla da discoteca sfaccettata che faceva molto anni Settanta e al centro dell’ambiente c’era una pista da ballo di quelle che si illuminano quando ci passi sopra. Era tutto fantastico, devo ammetterlo, anche se il fatto che la festa fosse stata organizzata da Dionisio e la strano sensazione che non mi abbandonava da quella mattina non mi rendevano del tutto tranquillo.
Comunque sia ero determinato a godermi la serata, perciò decisi di non badarci.
<< Non saprei >> risposi, servendomi del punch nel bicchiere e volgendo lo sguardo intorno a mia volta. << Sai com’è: le ragazze ci mettono sempre un sacco a prepararsi … >>
Passarono dieci minuti abbondanti, durante i quali io e Grover spizzicammo stuzzichini da ogni tavolo e vassoio, poi qualcuno mi bussò sulla spalla ed io mi girai di scatto.
<< Ehilà! >> mi salutò Silfide allegramente, battendo il piede a terra a tempo di musica. << Carino come hanno organizzato, no? >>
Io e Grover avevamo la bocca talmente spalancata che penso avremmo potuto ingoiare Clarisse tutta intera e fidatevi se vi dico che Clarisse era davvero enorme.
<< Wow >> riuscii a dire solamente, fissando Silfide con tanto d’occhi.
<< Sei bellissima! >> farfugliò subito Grover, come se avesse paura che potessi dirlo prima di lui.
Silfide sorrise radiosa e scrollò le spalle con noncuranza.
<< Be’, si fa quel che si può >> buttò lì, ma le sue gote si erano tinte di un rosa acceso.
Normalmente, con Silfide,uno era sempre così occupato a badare che non ti frugasse nelle tasche che non mi ero mai soffermato a guardare quanto fosse bella in realtà, ma quella sera era semplicemente favolosa: indossava un tubino nero aderente e sobrio e scarpe nere col tacco; i suoi occhi verdi parevano più luminosi del solito ed i lunghi capelli di un castano luminoso erano sciolti e vaporosi e le ricadevano graziosamente sulle spalle e sulla schiena.
<< Sai dov’è Annabeth, Silf? >> domandai io, mentre Grover aveva ancora l’aria di uno che ha ricevuto una botta in testa.
<< Dovrebbe arrivare tra poco >> rispose lei, << doveva ancora scegliere quale vestito mettersi, quando sono passata da casa sua >> disse scuotendo lievemente la testa. << Sai, è da quando … >> stava per dire qualcosa, ma si bloccò a metà frase << be’, è da un po’ che non partecipa ad occasioni mondane >> concluse come se nulla fosse.
Silfide stava per lasciarsi scappare qualcosa sul misterioso passato di Annabeth ed io ero risoluto ad indagare per estorcerle qualche informazione, quando la persona che Grover amava di meno sulla faccia della Terra sopraggiunse alle nostre spalle e ci interruppe.
<< Per le emorroidi di Efesto, Black! >> esclamò Luke Castellan, affascinante come non mai nel suo giubbotto di pelle da motociclista e in un paio di jeans Levis stracciati a regola d’arte, strappando qualche protesta scandalizzata ad un paio di ragazzi di Efesto che passavano di lì. << Sei uno schianto! >> teneva in mano un bicchiere di Coca e lo alzò all’indirizzo di Silfide come per dedicarle un brindisi, inarcando le sopracciglia con l’indefinibile aura di chi è molto fico e sa perfettamente di esserlo.
<< Anche tu non sei male, Castellan >> rispose Silfide con fare sbarazzino, strizzandogli l’occhio. Accanto a me, sentii le nocche contratte di Grover gemere pericolosamente e lo afferrai saldamente per un gomito cercando di non dare troppo nell’occhio.
<< Posso portarmela via un attimo? >> chiese Luke rivolto a me e a Grover, accennando a Silfide col bicchiere di Coca-Cola. << A te non dispiace, vero, Grover? Tanto con quelle zampe non puoi ballare, no? >> non pareva che volesse fare l’antipatico, eppure l’effetto sortito fu esattamente il contrario.
Grover mugugnò qualcosa d’incomprensibile e tuttavia minaccioso, ma né Luke né Silfide ci fecero caso e sparirono tra la folla a braccetto, diretti alla pista da ballo che si illuminava.
<< Io … lo … quel … brutto … così male … verme … una bella lezione … viscido … lo prendo a cazzotti … biondo … >> Grover ringhiava frasi sconclusionate e aveva accartocciato la lattina di the freddo alla pesca che teneva in mano, stringendone i resti contorti e grondanti con fare omicida, probabilmente desiderando che la lattina si trasformasse nella testa di Luke.
Io tentai di farlo calmare.
<< Andiamo, amico >> lo consolai, << insomma, sono fratelli, no? Cosa vuoi che accada? E’ solo un … un ballo tra parenti! >> buttai lì facendo un gesto vago con la mano.
Grover mi scoccò un’occhiata inceneritrice.
<< Tu ti rendi conto, vero, che la metà degli dei dell’Olimpo è frutto di quello che tu chiami un ballo tra parenti?! >> sibilò. << E ti rendi anche conto, sì, di essere lo zio di Annabeth?! >>
Rimasi per un attimo in un attonito silenzio e sbattei le palpebre un paio di volte, tentando di metabolizzare l’informazione.
<< Va’ da lei, allora, corri! >> lo spronai subito dopo, concitato. Quella storia di Annabeth aveva sortito un certo effetto.
Grover abbozzò un sorriso acido e zampettò svelto tra la folla, dalla quale fu subito inghiottito.
Io rimasi solo davanti al tavolo degli stuzzichini salati e mi servii una manciata di patatine, sovrappensiero.
Fu allora che la vidi; oltre il padiglione, che risaliva la collina in equilibrio precario sulle scarpette scarlatte, avvolta in uno splendido abito bordò con uno scialle di tulle dello stesso colore attorno alle spalle, gli occhi metallici brillanti come stelle, i capelli legati in un elegante chignon.
Era Annabeth, ma era talmente bella che, se possibile, mi lasciò ancor più senza fiato del solito.
Abbandonai le patatine sul tavolo e fluttuai verso di lei, incurante di quelli che urtavo o spingevo di lato; c’era solo Annabeth nel mio campo visivo, vedevo solo lei, e, quando la raggiunsi, feci una cosa che avevo visto fare nei film e che sapevo per certo fare colpo sulle ragazze: le presi gentilmente la mano, mi chinai e la baciai sfiorandola appena con le labbra.
<< Sei bellissima, Annabeth >> le dissi, incrociando il suo sguardo luminoso.
Lei mi sorrise, imbarazzata e felice al tempo stesso; si era messa il rossetto.
<< Grazie, Steve. Anche tu >> rispose, poi si schiarì nervosamente la voce, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. << Wow, il baciamano. Che galante >> aggiunse, ridacchiando in modo adorabile.
Io le offrii il braccio come aveva fatto Luke con Silfide e lei lo afferrò, piacevolmente colpita, così risalimmo insieme la collina fino al padiglione-discoteca; Annabeth si appoggiava a me e, di tanto in tanto, sbandava da un lato, stritolandomi il gomito per non cadere a terra.
<< Scusa >> borbottò a disagio, aggrappandosi al tavolo delle bevande come ad un’ancora di salvezza. << Sono queste scarpe alte, sai … non ci sono tanto abituata >> abbozzò un sorrisetto di scuse.
Non avevo mai visto Annabeth così a disagio; di solito era così fredda e distaccata da fare invidia ad un ghiacciolo. Inoltre era sempre la migliore ed eccelleva in qualunque cosa facesse. Ma vederla così, quella sera, vestita benissimo e un po’ impacciata, me la fece piacere ancora di più.
<< Non fa niente >> le dissi, porgendole la mano. << Puoi usarmi come appoggio, per stasera, non me la prenderò se ruzzoleremo a terra >>.
Lei ridacchiò.
<< Speriamo solo che non accada >> rispose, prendendomi la mano. << Sarebbe davvero imbarazzante >>.
Insieme ci dirigemmo alla pista da ballo: in quel momento stavano suonando Animal di Kesha, così ci mettemmo a ballare; Annabeth si muoveva bene persino su quei trampoli.
Le luci stroboscopiche mi facevano vedere tutto a scatti e non si capiva niente per quanta confusione c’era, ma io guardavo Annabeth e mi stavo divertendo un mondo. Ridevamo senza una ragione specifica, ma la musica era talmente sparata a palla che non riuscivamo neppure ad udire il suono delle nostre voci, e ballavamo scatenandoci come pazzi.
Da qualche parte più in là sulla pista avvistai Silfide e Luke che volteggiavano con tanto entusiasmo da aver creato il vuoto attorno a loro. Del povero Grover non c’era traccia.
Poi la musica cambiò.
<< Questa qui è una richiesta >> annunciò il dj, un satiro coi capelli rasta ed un cappello da giamaicano in testa,  trafficando con dei disconi in vinile << ed è dedicata a tutti gli innamorati qui fuori. Pomiciate con discrezione, piccioncini >> mise un su un disco dall’aria particolarmente polverosa e le note di un lento si diffusero per tutto il padiglione, suscitando reazioni miste: alcuni sbuffarono e si diressero ai tavoli per mangiare, lamentandosi, mentre altri non persero tempo ad avvinghiarsi come piovre al proprio partner.
Conoscevo quella canzone: era la colonna sonora di Ghost, il film preferito di mia madre, e lei l’ascoltava sempre.
Lanciai uno sguardo preoccupato ad Annabeth, che dondolava lievemente sul posto a ritmo di musica mordicchiandosi le labbra.
Cosa dovevo fare? Si aspettava che la invitassi a ballare un lento con me? Dovevo invitarla? Oppure non voleva?
Piombai all’improvviso nel panico.
Annabeth mi sorrise, inarcando appena le sopracciglia.
<< Allora? >> chiese.
<< Ehm … allora cosa? >>feci io.
<< Non mi inviti a ballare? >>
Il mio cuore perse svariati colpi ed io boccheggiai, sentendomi davvero uno sfigato.
<< Io … cer … sì … sicu … io … tu ed io … ballare … >> balbettai.
Annabeth alzò gli occhi al cielo, poi mi afferrò il braccio e se lo passò attorno alle spalle, mi prese la mano ed iniziammo a seguire la musica senza neppure che me ne accorgessi.
<< Se non lo fai tu, lo faccio io >> mi disse lei con un sorrisetto. << Stiamo già ballando, visto? >>.
Io ridacchiai, improvvisamente molto più rilassato. Era così vicina che potevo contare la pagliuzze nei suoi occhi e le lentiggini sul suo naso, non che ne avesse molte.
<< Già. Balliamo lentamente >> buttai lì con un sorriso scemo.
Intorno a noi qualche ragazza aveva già posato la testa sulla spalla o sul petto del loro compagno e a qualche ragazzo era già scivolata una mano un po’ più giù del necessario.
Vidi Grover bussare sulla spalla di Luke e spingerlo di lato senza degnarlo di uno sguardo; poi afferrò Silfide in vita e le fece fare una piroetta che le mozzò il fiato, facendola piombare tra le sue braccia.
Io ad Annabeth ridacchiammo.
Poi lei fece una cosa che non mi sarei mai aspettato, che mi colse del tutto alla sprovvista e mi spiazzò, ma che al tempo stesso mi rese l’adolescente più felice del mondo: appoggiò il capo nell’incavo del mio collo e mi abbracciò.
Io ricambiai subito, il cuore che mi batteva a mille, un sorriso ebete che mi spuntava sul volto e ringraziai gli dei che Annabeth non potesse vedere che razza di faccia da scemo avessi messo su; rimanemmo a ballare piano piano stretti insieme fino alla fine della canzone.
E fu l’esperienza più romantica e meravigliosa della mia vita.
Quando la melodia terminò, Annabeth sciolse l’abbraccio e mi guardò negli occhi.
Se fossi stato un altro l’avrei baciata subito, senza esitazioni, ma purtroppo ero io, Steve Johnson, l’essere più imbranato del pianeta, e non lo feci, non ne ebbi la forza.
Se solo avessi saputo che un’occasione del genere non mi sarebbe più capitata tanto facilmente …
Ma allora non ne avevo idea e lasciai che Annabeth si separasse da me; lentamente, ma la lasciai andare.
Rimanemmo uno di fronte all’altra, sorridenti e imbarazzati, senza sapere cosa dire; poi un urlo agghiacciante giunse a toglierci d’impaccio.
<< CI ATTACCANO! >> urlò un satiro, trafelato, galoppando verso di noi dalla foresta, gli abiti mezzi stracciati. << I MOSTRI CI ATTACCANO! >>
Tutti gli sguardi erano puntati nella sua direzioni, tutti tacevano.
Dietro al satiro, emergendo dal bosco, spuntarono enormi serpenti  striscianti che si contorcevano nell’ombra, segugi infernali lanciati al galoppo con le zanne lunghe come sciabole scoperte e grondanti di bava e, levandosi dagli alberi bui della foresta come orribili pipistrelli giganti, un nugolo di arpie che strillavano come coyote.
<< Siamo spacciati >> commentò Annabeth. Io le presi istintivamente la mano.
Poi fu il caos.

 
  
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