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Autore: OpunziaEspinosa    25/05/2011    16 recensioni
E se Isabella Swan fosse la ragazza più popolare della scuola? Se fosse Edward Cullen il ragazzo nuovo in città? Chi dice che non sia LEI a doversi prendere cura di LUI? Breve FF su una semplice storia d'amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2
 
Quando la mattina dopo mi sveglio, sono allegro e pimpante, nulla a che vedere con lo stato di finto ed ostentato entusiasmo indossato come una maschera in queste ultime sei lunghe e penose settimane di insulti, botte e profonda solitudine. E solo a beneficio dei miei genitori. Per non farli preoccupare, o sentire in colpa per avermi trascinato via da Chicago, ma soprattutto per evitare il loro diretto intervento con il Preside Grant. Penso veramente che James sia un pazzo capace di qualunque cosa, anche di uccidermi se venissero presi dei provvedimenti contro di lui. E per quanto triste e solitaria sia la mia vita, non ho nessuna intenzione di morire. Non ora che un timido raggio di speranza sta rischiarando quel buio orizzonte che, fino a qualche ora fa, sembrava essere il mio triste destino. Mi riferisco ad Isabella Swan, ovviamente. Anzi no. A Bella. perché è così che vuole essere chiamata. Anche se trovo che Isabella sia un nome bellissimo, dolce ed un pizzico esotico, perfetto per lei.
Forse non dovrei essere tanto felice, forse dovrei vergognarmi a morte, dopotutto ho tacitamente acconsentito a farmi difendere da una ragazza. Ma non riesco a non provare un senso di diffuso benessere, se penso che tra poco meno di due ore la vedrò. E non mi sentivo così da troppo tempo. È un sentimento che mi mancava. Un sentimento che, forse, non ho mai provato veramente. Benessere.
Da che ho memoria per ricordare qualcosa, mi sono sempre sentito inadeguato e fuori posto, e, crescendo, questi sentimenti, piuttosto che attenuarsi, si sono acutizzati.
Ci sono dei momenti in cui la mia timidezza cronica mi paralizza, ed io vorrei essere un’altra persona, o non essere affatto.
Non so a chi assomiglio. I miei genitori non sono così. Sono persone aperte e gioviali, facili alle amicizie, e, com’era prevedibile, non hanno faticato ad ambientarsi qui a Forks.
Forse io assomiglio a qualche lontano parente. O forse sono stato adottato, anche se tendo ad escluderlo. Fisicamente sono la fusione perfetta tra i miei genitori. Ho lo stesso corpo alto e longilineo di mio padre Carlisle, e gli stessi occhi verdi e la stessa espressione attenta di mia madre Esme. Persino i capelli sono identici ai suoi: né lisci né ricci, né castani né rossi, ma di un’inconsueta tonalità che ricorda tanto il bronzo. Da qualche anno – da quando ho iniziato il liceo – li tengo leggermente lunghi. Non troppo da sembrare un poco di buono, ma non abbastanza da poter sostenere di avere un taglio alla moda. Però mi coprono quel tanto che basta i lati dei viso e la fronte da riuscire a creare, assieme agli occhiali da miope e dalla spessa montatura nera, una sorta di cortina protettiva dal mondo che mi circonda, e nei confronti del quale, troppo spesso, mi sento come un corpo totalmente estraneo.
Ci sono dei giorni in cui mi piaccio – rari, molto rari – ed arrivo a credere di essere persino interessante. Suono il piano da quando ho cinque anni. Sono un lettore vorace. Qualche volta scrivo poesie. Sono un appassionato di manga ed anime, ma soprattutto di film di fantascienza.
Fino ad ora, però, a parte qualche amico nerd che ho lasciato a Chicago, non ho incontrato molti coetanei che condividessero queste mie passioni.
Quando sei il primo della classe in tutte le materie, e quando trascorri il tuo tempo libero in biblioteca a leggere o a scrivere, vieni immediatamente etichettato ed inserito senza possibilità di replica nella categoria dei secchioni, e questo non aiuta a farsi nuove amicizie.
Inoltre, una volta raggiunta l’età in cui si comincia a provare interesse per l’altro sesso, ho scoperto con enorme imbarazzo e stupore che le ragazze (almeno quelle che mi sono sempre piaciute) non sembrano nutrire alcuna curiosità né per i fumetti, né per la fantascienza. Trovandoli argomenti ricchi di fascino, sospetto di essere io ad avere qualcosa che non va. Probabilmente, anzi, sicuramente, non sono un bravo oratore. O forse ho sempre sbagliato target. Non so perché, ma ogni volta mi innamoro delle ragazze più carine, quelle più popolari, che si accompagnano ai giocatori della squadra di football o di basket, o comunque a degli atleti. Quelle irraggiungibili, per intenderci.
In passato mi è capitato di accarezzare l’affascinante idea di iniziare a praticare uno sport – uno qualsiasi - pur di cancellare il marchio di sfigato. All’inizio del primo anno, in preda ad un attacco di eroismo (o forse di stupidità?), mi sono iscritto alla squadra di atletica.
“Hai il fisico adatto,” mi diceva l’insegnate di educazione fisica.
Mi sono lasciato convincere. Ma dopo essere inciampato due volte di fila nelle stringhe slacciate delle scarpe da corsa, e caduto rovinosamente a terra graffiandomi gomiti e ginocchia, sotto lo sguardo divertito dei miei compagni ed esasperato ed affranto del mio coach, ho desistito, e mi sono iscritto al club di lettura. È inutile. A quanto pare, nel mio caso, timidezza e goffaggine vanno di pari passo.
Mi resta la musica, una cosa in cui sono davvero dotato. Ma alle feste non puoi portarti appresso un pianoforte ed intrattenere gli amici con qualche brano di musica classica o di jazz contemporaneo. E così, il primo idiota che sa strimpellare due accordi con una chitarra e non ha paura di mettersi in mostra di fronte ad un’orda di adolescenti disinibiti e con gli ormoni in subbuglio viene considerato un gran musicista e riscuote molto più successo del sottoscritto.
Non che io creda di poter trovare il coraggio di esibirmi in pubblico. La gente mi spaventa. Razionalmente so che, con ogni probabilità, nessuno bada a me; ma negli ambienti affollati non riesco a non sentirmi sempre sotto osservazione, come se tutti fossero lì a scrutare ogni mio più piccolo movimento e a ridere dei miei modi così impacciati, o del mio aspetto così insipido e fuori moda.
A dire il vero, per la maggior parte del tempo, la gente mi ignora. È come se fossi un fantasma, per loro. Ma non mi posso lamentare: ho passato anni a camminare rasente i muri, cercando di non attirare l’attenzione. Passare inosservato è ciò che ho sempre voluto.
Bella è la prima persona – la prima ragazza – che si è avvicinata a me mostrando sincero interesse. È la prima che mi rivolge la parola, e non per prendermi in giro, o mortificarmi, o chiedermi aiuto con lo studio. Lei mi ha visto in difficoltà e mi ha dato una mano, senza volere nulla in cambio.
Non sono ancora del tutto convinto che non si tratti di uno scherzo organizzato dai suoi amici, gli atleti della squadra di basket. Lei, bellissima cheerleader, è l’esca perfetta per attirare in trappola un perdente come me. Ma se anche fosse, va bene così. Farei di tutto – sopporterei di tutto – pur di godere della compagnia di Bella, anche solo per pochi minuti.
 
“Buongiorno, Edward.”
“Buongiorno, mamma.”
Mia madre mi aspetta in cucina e, non appena mi vede, mi serve la colazione: macedonia di frutta, pane tostato ed un enorme bicchiere di latte, come ogni mattina.
“Siamo di buon umore, vedo,” commenta dandomi una rapida occhiata.
Effettivamente non riesco a togliermi dalla faccia un ridicolo sorriso da ebete. E non solo perché vedrò Bella. Finalmente, dopo sei settimane, non verrò accolto con insulti, sberle e minacce, e riuscirò a godermi il pranzo in santa pace.
“Sì, di ottimo umore!”
“C’entra una ragazza?” chiede maliziosa guardandomi di sottecchi.
Per mia madre sono il ragazzo più carino al mondo e non si spiega la ragione per cui io non abbia mai avuto una fidanzata.
“Mamma!” esclamo arrossendo. Anche se non aggiungo altro, il tono della mia voce è chiaro ed inequivocabile. Lascia intendere qualcosa a metà strada fra “non dire idiozie” e “fatti gli affari tuoi”.
“Sono certa si tratti di una ragazza,” continua imperterrita accomodandosi di fronte a me e scrutandomi con gli occhi socchiusi. “Non ti saresti messo in ghingheri, altrimenti.”
Mia madre ha ragione. Dopo essermi fatto una doccia, rasato quei due peletti che mi crescono in viso, e praticamente affogato nell’acqua di colonia di mio padre, ho passato in rassegna tutto il mio armadio alla ricerca di qualcosa di appropriato.
Non ne capisco niente di moda. Non so abbinare i colori e nemmeno distinguere ciò che è in da ciò che è out, ma credo di meritare almeno la sufficienza. Indosso un paio di jeans neri dal taglio classico, la mia maglietta di Star Wars preferita (quella bianca con la scritta nera, proprio come i jeans) e  un cardigan di cotone grigio.
Nero, grigio, bianco. Anche se non sono un esperto, mi pare un abbinamento decente.
Di fronte allo specchio ho meditato cinque minuti buoni sull’opportunità di mettermi il gel o meno. Alla fine ho scelto di non farlo: ogni volta che ci provo il risultato è pessimo e pare che io abbia in testa della verdura bollita.
“Mamma! Non c’entra nessuna ragazza!” mento spudoratamente, e torno a concentrarmi sulla mia macedonia evitando accuratamente il suo sguardo curioso ed indagatore.
 
Un’ora più tardi sono a scuola ed aspetto Bella in un angolo appartato, vicino alla scalinata che conduce all’ingresso principale. Lei non mi vedrebbe di sicuro arrivando, ma io sì. Da qui riesco a vedere tutti.
Mentre l’aspetto, non faccio altro che controllare l’orologio, nervoso come non lo sono mai stato in tutta la mia vita, pensando che muoio dalla voglia di rivederla, parlarle e sentire di nuovo il suo delizioso profumo di prati verdi e fioriti.
Contemporaneamente penso che non ho idea di che cosa dovrei dire o fare.
Si presenterà da sola, o con i suoi amici?
Cammineremo insieme lungo i corridoi?
Come reagiranno gli altri studenti vedendoci?
Come reagirà il suo ragazzo, Jacob Black, il capitano della squadra di basket?
Bella conosce quasi tutti, ma  sta sempre in compagnia delle stesse persone: Alice Brandon e Rosalie Hale, cheerleader come lei, e come lei fidanzate con due membri della squadra, Jasper Whitlock ed Emmett  McCarty.
Non so quante volte mi sono ritrovato ad osservarli da lontano e ad invidiarli. Invidio la loro popolarità, i loro modi così sciolti e rilassati, il loro fascino, le loro risa, la loro allegria. Vorrei essere uno di loro. Meglio: vorrei essere come loro. So che non succederà mai; ma forse ora, grazie a Bella, per la prima volta nella mia vita ho la possibilità di entrare a far parte di un gruppo esclusivo. Ne sarò all’altezza?
Alle 8.00 Bella non è ancora arrivata. Alle 8.05 nemmeno. Alle 8.15 arrivano alla spicciolata il suo ragazzo ed i suoi amici. Si incontrano nel parcheggio, al solito posto. Alle 8.20, dieci minuti prima l’inizio delle lezioni, Jacob e gli altri si incamminano verso l’ingresso. Alice si guarda attorno ansiosa, come se stesse cercando qualcuno, probabilmente la sua amica. Non trovandola scompare oltre la porta, assieme agli altri. Sono le 8.25. Ancora non c’è traccia della Volvo ed io, se non mi sbrigo, rischio di arrivare in ritardo a lezione per la prima volta in vita mia. Da lontano vedo la jeep di James con a bordo il mio aguzzino, Victoria e Laurent, così me ne vado, cercando di non farmi notare.
È venerdì e di solito non ho lezione con Bella fino al pomeriggio, quindi non ho idea di che fine abbia fatto.
Tra un’ora ed un’altra mi ingegno come posso per evitare James ed i suoi. Miracolosamente ce la faccio, ma so che in mensa, durante la pausa pranzo, non avrò scampo. Mi troveranno ed inizieranno a darmi fastidio, come al solito. Se sono fortunato si limiteranno a rubarmi i soldi del pranzo. Se non lo sono… Non ci voglio neppure pensare! Finire nei cassonetti al termine della giornata è degradante, ma almeno non c’è più nessun testimone in giro. Finirci quando ti aspettano altre due ore prima che suoni la campanella ed inizi il weekend è tutt’altro paio di maniche.
Valuto per un attimo la possibilità di chiudermi in biblioteca (lì James non osa mettere piede), ma mi brontola lo stomaco ed ancora nutro la segreta speranza di incontrare Bella.
Sono tra i primi ad arrivare e tra i primi a mettersi in coda con un vassoio.
Mi guardo in giro fiducioso, ma di Bella neppure l’ombra.
Deluso come non mai, prendo posto al solito tavolo, in un angolo appartato, dove siedo sempre da solo, e comincio a mangiare, malgrado l’appetito se ne sia quasi andato.
Quando vedo Alice, seguita dagli altri, in me si riaccende una lieve speranza. Ma l’ultimo della fila, Jacob, è solo, ed io capisco che per oggi non vedrò Bella.
Prendo il cartone del latte, ci infilo la cannuccia, comincio a bere, ed il liquido quasi mi schizza fuori dal naso quando una mano poco gentile mi dà un colpo secco,  colpendomi sulla nuca.
“Ciao, Checca!” James si siede in uno dei posti liberi accanto al mio. “Ce l’hai fatta ad uscire dal cassonetto, vedo!” E poi scoppia a ridere.
Victoria e Laurent lo aspettano dall’altra parte della sala e ci osservano divertiti. In presenza del personale scolastico non mi affrontano tutti assieme per non destare sospetti.
“Allora, Checca, che fine hanno fatto i miei soldi?” chiede strappandomi il cartone del latte di mano ed iniziando a bere ampie sorsate.
Io mi irrigidisco. Non ho più un centesimo in tasca.
“Non dirmi che li hai spesi tutti per il pranzo! No-no-no…” mi fa segno con il dito indice. “Così non si fa, Checca!”
Gli occhi gli brillano, come se stesse già pregustando il momento in cui ci ritroveremo soli alla fine delle lezioni.
Sono spacciato. Un occhio nero, questa volta, non me lo leva nessuno. Come faccio a spiegare un occhio nero ai miei genitori?
Tengo gli occhi bassi, fissi sul piatto, incapace di muovere un muscolo o di controbattere. Rosso in volto, per un misto di rabbia per l’umiliazione subita, vergogna per non sapermi difendere, e paura al pensiero di quello che mi attende.
Poi avverto una presenza accanto a me. Un profumo di prati verdi e fioriti.
“James.” Isabella Swan lascia cadere distrattamente la sua borsa a terra. Piuttosto rumorosamente, trascina una delle sedie libere da sotto il tavolo verso l’esterno e ci si siede sopra.
Alzo lo sguardo esterrefatto. Da dove è sbucata?
“Ti unisci a noi per il pranzo?” domanda lanciandogli uno sguardo gelido.
James sembra preso in contropiede. “Swan, che ci fai qui?”
“Pranzo con il mio amico Edward.” Bella non molla i suoi occhi per un attimo. Sembra quasi volerlo congelare.
Io mi chiedo come faccia. La ragazza che mi siede a fianco ora non ha nulla a che vedere con il dolce angelo che mi è venuto in soccorso ieri. La sua aria è quasi minacciosa e stride terribilmente con il suo aspetto etereo e fragile, con la sua pelle di porcellana, ed il fisico minuto e delicato.
“Il tuo… il tuo amico?” ripete James incredulo, quasi balbettando.
Ancora non ne conosco la ragione, ma quello che Bella mi ha detto ieri corrisponde a verità:  James ha paura di lei.
“Sì, il mio amico. E se non ti dispiace gradiremmo restare da soli,” continua, gelida come la regina dei ghiacci.
A poco a poco la confusione e lo stupore abbandonano il volto di James per lasciar spazio a qualcosa di diverso, molto più simile alla rabbia.
Si alza rumorosamente, gettando con un colpo secco la sedia all’indietro. Poi, con le mani quasi tremanti, mi punta addosso un dito. “Non finisce qui, Cullen.”
È la prima volta che non mi chiama Checca.
James ci volta le spalle e fa per andarsene, ma Bella chiama di nuovo il suo nome. “James?”
Lui si volta, le narici dilatate per la stizza.
“Se ti vedo ronzare ancora attorno ad Edward,” gli dice calma, controllandosi le unghie corte smaltate di rosso cupo, “prendo la catena che porti attorno al collo e te la ficco su per il culo.”
Co-cosa?!
Sono sconcertato. Io non riuscirei a dire nulla del genere neppure da ubriaco!
Più tempo passo con Bella e più mi rendo conto che questa ragazza è ben diversa da come la immaginavo, dalla ragazza di cui credevo di essermi innamorato sei settimane fa. Questa Bella, se è possibile, mi piace ancora di più. È forte e temeraria e… sboccata! È tutto ciò che vorrei essere e che non sarò mai.
Mentre James se ne va con la coda tra le gambe, osservo Bella con gli occhi spalancati e la bocca aperta, incapace di comprendere appieno quello che è appena successo.
Lei, come se niente fosse accaduto, cambia discorso e torna ad essere il dolce angelo di ieri pomeriggio.
“Scusa per stamattina!” dice mortificata. “Avevo dimenticato che avrei dovuto accompagnare mia madre all’ospedale per una visita specialistica e che non sarei arrivata prima dell’ora di pranzo.”
“Non fa nulla,” cerco di rassicurarla, rilassandomi un poco.
Mi sorride a sua volta e aggiunge: “Me ne sono ricordata ieri sera tardi. Ti volevo chiamare per avvisarti, ma non ho il tuo numero! Ho chiesto ad Alice di fartelo sapere, ma non ti ha trovato stamattina!”
Quindi Alice stava cercando me? Non mi pare vero.
“Edward, è meglio che memorizzi subito il tuo numero, altrimenti rischio di dimenticarmelo.”
Bella, cellulare alla mano, alza lo sguardo impaziente, ed io, in qualche modo, riesco a ricordarmi il mio numero e glielo dico.
“Tu non memorizzi il mio?” chiede.
“Sì… sì… certo…” balbetto estraendo il telefono dalla tasca del cardigan ed accedendo alla rubrica. Scrivo Bella e poi mi faccio dettare il numero.
“Perfetto!” esclama raggiante. “Che c’è di buono?” chiede poi afferrando la mia forchetta e prendendo un po’ della pasta che stavo mangiando.
“Pasta… pasta con le zucchine… ormai… ormai è fredda…” rispondo mentre Bella ingoia un boccone.
Bella sta usando la mia forchetta... La stessa forchetta che ho usato io! E non ha schifo!
“Non male!” commenta. E poi, dando un’occhiata scettica al mio vassoio, aggiunge: “Pasta con zucchine, insalata, una mela… Edward, non sarai mica vegetariano?”
“Beh, sì…” confesso. Perché lo sono. Da tre anni. Da quando ho visto un documentario atroce sui macelli ed ho passato una notte intera a piangere in preda agli incubi.
“Che invidia! C’ho provato, sai? A diventare vegetariana. Ma non ce l’ho fatta. Adoro la carne!”
Mi stringo nelle spalle, chiedendomi se la crudeltà dei macelli sia l’argomento giusto per cercare di conquistare una ragazza. Ma Bella non mi lascia neppure il tempo di pensare a qualcosa da dire. Non so se sono i miei tempi di reazione ad essere troppo lenti, od i suoi ad essere troppo veloci. Probabilmente una via di mezzo.
“Vado a recuperare il mio pranzo. Mi aspetti qui?”
“Sì, certo,” annuisco sorridendo.
“Faccio in un attimo. E ti prendo un altro latte, visto che quel cretino te l’ha bevuto tutto.”
“Ti do i soldi!” Scatto sulla sedia iniziando a frugarmi nelle tasche. Forse riesco a racimolare qualche centesimo.
“Figurati, offro io!” E se ne va prima ancora che io possa protestare.
Bella torna dopo qualche minuto. Sul suo vassoio ci sono un hamburger, delle patate fritte, una coca cola ed il mio latte.
“Faccio schifo, lo so!” Scoppia a ridere notando il mio sguardo perplesso di fronte ad un pasto tanto calorico. “Per fortuna non ingrasso di un etto!”
Sono felice di pranzare con Bella e di passare un po’ di tempo noi due  soli. Ma mentre lei non c’era, non ho potuto fare a meno di sbirciare il tavolo occupato dai suoi amici e dal suo ragazzo, e di sentirmi enormemente a disagio. Li ho sorpresi ad osservarmi, dubbiosi. E non erano gli unici in mensa.
“Non pranzi con i tuoi amici?” le chiedo.
“Pranzo con loro tutti i giorni…” risponde alzando le spalle e mettendo in bocca qualche patatina.
“Il tuo… il tuo ragazzo non si arrabbierà?” azzardo timido.
Non che io creda di rappresentare una minaccia per Jacob Black, o che lui possa vedermi come tale. Se solo volesse, potrebbe schiacciarmi come una mosca. E lo farebbe molto più velocemente di James, ne sono certo.
Bella sembra confusa. “Quale ragazzo, scusa?” chiede perplessa.
“Jacob Black…”
“Edward, Jake non è il mio ragazzo!” esclama divertita.
“Ma… ma… state sempre assieme…”
“È il mio migliore amico,” spiega addentando il suo hamburger. “Siamo cresciuti assieme. Ma lui sta con Leah, una ragazza che vive alla riserva indiana di La Push.”
“Ah,” riesco a dire. Poi torno a mangiare la mia pasta, silenzioso.
Il fatto che Bella non stia con Jacob non significa che lei non sia comunque impegnata, ed inspiegabilmente questo pensiero mi atterrisce.
Bella sembra capire al volo cosa mi passa per la testa.
“Io non ce l’ho un ragazzo, Edward.”
So che non ho nessuna speranza con Bella, ma sapere che non sta con nessuno mi rende felice, come mai prima d’ora. Così sorrido come uno sciocco, lasciando trapelare la mia immotivata gioia.
“E tu, invece?” chiede dopo un paio di bocconi. “Ce l’hai una ragazza?”
“Noooo!” Scuoto la testa imbarazzato ed arrossisco visibilmente.
“Oh, andiamo Edward! Non dirmi che non hai spezzato il cuore di una fanciulla andandotene da Chicago!”
In condizioni normali valuterei queste parole come una presa in giro. Ma, con mio grande stupore, Bella sembra assolutamente sincera ed un filo meravigliata.
Così anch’io opto per la sincerità.
“Io non… io non ho mai avuto una ragazza…” confesso grattandomi la nuca nervosamente.
Ecco. L’ho detto. Ho ammesso di essere un perdente ed uno sfigato. A diciassette anni non ho mai avuto una ragazza.
Bella non dice nulla. Poi annuisce pensierosa, mentre una strana luce che non so interpretare le si accende negli occhi.
Torna al suo hamburger, silenziosa, una volta tanto, ed io alla mia pasta.

   
 
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