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Autore: Curly and Dangerous    25/02/2006    1 recensioni
ok, inizio della storia. devo avvisarvi che per...ehm.... incompetenze tecniche(ma prima o poi ce la farò!)è solo una piccola parte del primo capitolo che avevo gia scritto. quindi spero non vi annoierete troppo, e comunque fatemelo sapere. kisses
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“Lucrezia Thornton, vieni subito qui!”. Liss si svegliò di soprassalto: qualcuno l’aveva chiamata usando, per di più, il suo nome di battesimo. Stava ancora sognando?.
“Lucrezia, scendi immediatamente!”. No, non stava proprio sognando. Qualcuno la stava chiamando e inoltre era spiacevolmente consapevole che quel qualcuno era la sua matrigna. E, a giudicare dal tono, era successo qualcosa di grave. Pensò. Cosa aveva combinato negli ultimi tempi?. Non le veniva in mente niente, a meno che….
“Lucrezia, ho detto scendi!” tuonò per la terza volta la matrigna e Liss fu costretta ad obbedire. Aveva capito che la sua ultima verifica scolastica e la Grownaz c’entravano qualcosa; così mentre scendeva le scale cercava come farla franca.
Arrivata sull’ultimo gradino trovò la matrigna, gli occhi neri che la fissavano. Non aveva più tempo per escogitare qualcosa così cominciò a parlare a vanvera. Disse che quel tema era assurdo, che non sapeva cosa scrivere, che la prossima volta avrebbe saputo fare di meglio….br> “Ma che diamine vai blaterando!”la interruppe la donna. “Hanno chiamato da scuola: qualcuno ha lasciato un disco nello stereo della sala da ballo e il custode giura di aver visto te!”.
È solo questo?pensò sollevata. Davvero nessuno l’aveva punita per quello che aveva scritto?. Incredibile…
“Ma ti rendi conto che figura abbiamo fatto? E siamo fortunati che le donazioni di tuo padre bastano a non farci pagare uno stereo nuovo o peggio, a farti espellere! Ora corri a scuola: si aspettano le tue scuse e …”.
Non se lo fece ripetere due volte. Era sabato, e se c’era un modo per sfuggire alle grinfie di quella donna per un paio d’ore avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche andare a scuola nel fine settimana.
Corse su per le scale ed andò a cambiarsi: era così contenta di non esser stata ancora scoperta e di dover passare del tempo in meno con la sua matrigna che si vestì di nero. Le piaceva vestirsi di nero, come quelle “dame gotiche” che spesso comparivano nei racconti noir e, a volte, si sentiva una di loro. Le piaceva inoltre nascondersi in lunghe gonne nere plissettate e in maglie dello stesso colore, con gli orli delle maniche di pizzo scuro.
Fu proprio ciò che fece. Indossò una lunga gonna dalle ampie falde, un maglioncino dal collo alto e gli stivali al ginocchio: la matrigna non sarebbe stata contenta. Diceva che il padre la riempiva di vestiti nuovi. Quindi, perché indossare quella robaccia nera?. Ma Liss non se ne curava. I vestiti che suo padre, sotto suggerimento- come se non lo sapesse- di quella donna, la rendevano simile a tutte le sue coetanee. E lei non voleva paragonarsi a nessuno.
Si specchiò, e la sua immagine riflessa le diceva che non era male. Soprattutto i suoi occhi erano stupendi, messi in risalto da tutto quel nero. Ma le mancava qualcosa…. Scese le scale e corse nello studio del padre, sperando in una sua assenza. Non doveva fare nulla di male, ma era preferibile che nessuno, per diversi motivi , la vedesse. Entrò nell’ampia stanza e si diresse verso la libreria più piccola, sulla parete occidentale. La spostò, con notevole sforzo, di mezzo metro e spinse il muro retrostante: un pannello mimetizzato con il muro rivelò uno spazio vuoto. Quella era la parte più bella della casa, nonché l’unica di cui la compagna di suo padre non era a conoscenza. Chissà che pandemonio se avesse saputo che i vecchi ricordi di sua madre non erano stati buttati ma conservati in quella mansarda ora segreta. Meglio evitare, e in questo suo padre era d’accordo.
Attraversò il pannello e salì la piccola scala a spirale che conduceva alla soffitta. Una volta dentro si collocò nel centro e cominciò a contemplarla come faceva sempre, lasciandosi riscaldare dai raggi del sole che filtravano dal lucernaio impolverato.
“Lucry, dove sei?” udì, rabbrividendo. Stavolta, però non avrebbe avuto tempo di pensare.
Andò decisa verso un piccolo tavolo da caffè in un angolo e prese un pacchetto di carta. Poi si precipitò giù dalle scale, chiuse il pannello, spostò la libreria….
“Ah, sei ancora qui!” – sobbalzò nel sentire quella voce già così vicina- “Vuoi sbrigarti o no?”fece la matrigna. “E cos’è quella roba che ti sei messa?”. Non le diede il tempo di proseguire con le lamentele. “Si, ora vado” ,tagliò corto. Poi prese un libro per giustificare la sua presenza nello studio e scappò via. Prese una borsa nell’ingresso, ci ficcò il libro dentro e, una volta arrivata alla bicicletta, cominciò a pedalare. Non si fermò finché non raggiunse il bosco e solo quando superò di molto il limitare, si fermò a riprendere fiato. Un tuffo al cuore l’aveva colta quando la matrigna era comparsa nello studio senza preavviso; e ora sperava non si fosse accorta d nulla. Riprese fiato e si calmò.
Probabilmente la curiosità della matrigna era sfocata quando aveva finto di interessarsi ad un libro…. Lo ricacciò fuori, giusto per vedere qual’era stata la sua scelta: si ritrovò in mano un volume vecchio e un po’ logoro. Alcune parole del titolo mancavano e, aprendolo, non riconobbe gli ideogrammi delle parole scritte a mano. Probabilmente una lingua arcaica ormai morta,pensò. Più tardi avrebbe chiesto maggiori illustrazioni a suo padre. Lo ripose e frugò nuovamente nella borsa. Stavolta prese il pacchetto di carta che aveva prelevato dalla soffitta- se ne era quasi scordata- e lo aprì delicatamente: un paio di guanti neri dalle dita mozze e dal taglio maschile fece capolino in un contrasto sconvolgente con il delicato involucro.
Erano un paio di vecchi guanti da motociclista che sua madre usava per andare a cavallo. Un uso insolito senza dubbio, aveva pensato più volte. Ma lei era fatta così…. Li indossò con evidente soddisfazione e ripartì. Si sentiva più sicura, così….

La sveglia suonò inaspettatamente. La spense con un pugnò. Era sabato mattina, la sveglia aveva suonato, lui era sveglio, erano solo le sette e aveva dormito sul divano. 'Peggio di così',pensò.
Buttò a terra la coperta e si alzò: una volta sveglio era difficile si riaddormentasse. Decise di fare colazione ed entrò in cucina. Sul tavolo c’era un biglietto.
Suo zio era di nuovo partito, lasciandolo di nuovo solo. Ma fortunatamente erano nello stesso continente.
'Londra',lesse. Una città che conosceva bene. Forse stavolta la casa non sarebbe stata desolante troppo a lungo. O così sperava….

  
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