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Autore: Shichan    26/06/2011    2 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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La me stessa che non voglio ricordare

La me stessa che non voglio ricordare

 

 

Tu starai sempre con me, vero?

 

Sentendo quelle parole, Elliot ebbe bisogno di inspirare profondamente e fare appello a tutta la propria pazienza: di testardi ne aveva incontrati molti finora, ma – parola sua – Bezarius li batteva veramente tutti. Anche chi era mosso dall’orgoglio o spinto dal desiderio di vendetta prima o poi, irrimediabilmente, veniva fermato dal buon senso di fronte ad una situazione pericolosa. Al contrario, Oz era mosso da sentimenti teoricamente più deboli, ma nemmeno l’eventualità di essere ferito anche in maniera piuttosto seria sembrava preoccuparlo o costituire un impedimento per lui.

«…Elliot?» tentò il biondo, preoccupato dell’improvviso e totale silenzio che aveva sostituito il naturale sbraitare dell’altro che si era aspettato. Tuttavia, la sua preoccupazione non era destinata a durare a lungo: uno scappellotto si abbatté implacabile sulla sua testa, e ad esso seguì la voce di Elliot in risposta all’istintivo «Ahi, ma perché?!» sfuggito ad Oz.

«Mi snervi!» sbottò l’altro ad alta voce: «Ogni volta che parliamo finisci col blaterare a proposito di Glen Baskerville, come se non ti avessi già fatto capire come la penso sulla faccenda. Me lo fai apposta?!»

Oz rimase per un attimo imbambolato a quelle parole; fino ad allora, a dire il vero, non ci aveva mai badato ma quello che diceva Elliot era vero. Da quando aveva iniziato a parlare di Glen quasi solo con lui? Ma perché poi? Ci pensò per la prima volta: forse in parte era stato per la morte di Alyster, l’unica con cui ne aveva discusso senza sentirsi ogni volta sotto esame.

Forse era stato anche perché sapere che Elliot, seppur da bambino, lo aveva incontrato aveva reso il castano qualcuno con cui condividere qualcosa che si era tenuta nascosta a tutti gli altri. Sì, doveva essere proprio quello il punto.

Elliot era l’unica persona per la quale Glen Baskerville non era solo il nome di un morto o uno spirito che nessun altro aveva mai visto oltre lui.

Si portò una mano alla nuca con fare un po’ impacciato ed Elliot rabbrividì: non era mai un bene se uno con la faccia di bronzo di Bezarius faceva il timido.

«Beh, che c’è?!» lo incalzò, un po’ sgarbato in realtà.

Oz abbozzò un sorrisetto: «È che non ci avevo mai pensato. Lo avevo… sempre fatto istintivamente. Però è vero che sono quasi sempre finito a parlarne con te.» diede voce al ragionamento appena concluso nella propria testa. Elliot sospirò quasi esasperato, iniziando a perdere il filo: «E quindi?»

«Grazie.» disse solo Oz, sincero.

Toccò ad Elliot sorprendersi, ma durò molto meno; portò lo sguardo a vagare per la stanza e si limitò a mettere su una specie di broncio, limitando la risposta ad un burbero: «Tch. Non che avessi altra scelta a parte ascoltarti.» proprio tipico di lui.

«Ad ogni modo non è questo il punto.» riprese subito il castano, ritrovando una sua compostezza: «Devi veramente piantarla con questa storia. Anche se hai buone intenzioni, credi davvero che dopo l’avvertimento che ti ha dato Glen starebbe ad aspettare che gli spieghi la situazione? Che poi, più che avvertimento immagino suonasse molto più come una minaccia.» aggiunse non senza una leggera ironia. Oz si morse nervosamente il labbro inferiore, conscio che Elliot avesse ragione almeno in parte.

«Lo so, però…» altro scappellotto: «E questo per cos’era?!» sbottò portando la mano a massaggiare la parte lesa. Ma Elliot non sembrava affatto dispiaciuto: «È perché continui a cercare una scappatoia! “È così, ma…”, “Hai ragione, però…”, però un corno!» gli sbraitò di nuovo contro.

«Non ci sarà alcun “se” o “ma” che terrà se andrai di nuovo di fronte a Glen Baskerville. Ti stai facendo l’idea che quell’uomo sarà preso da un momento di comprensione, ma è un’idea totalmente sbagliata! Per non dire folle. Una persona che non ha esitato un solo istante ad uccidersi non ha paura della morte e non ha nulla da perdere. E tu pensi davvero che uno così avrebbe degli scrupoli? È già tanto che ti abbia risparmiato ben due volte!» esclamò.

Oz avrebbe mentito se avesse detto che trovava le parole di Elliot delle idiozie prive di fondamenta,  o che non aveva sentito una sensazione di paura attanagliargli lo stomaco in presenza di Glen. Tuttavia, dopo aver finalmente compreso i sentimenti di Jack, non voleva nemmeno lasciare nulla di intentato.

«Io non posso rinunciare tanto facilmente.» mormorò «Non dico che hai torto, ma anche Glen aveva un profondo affetto per Jack. Se gli dico che è un suo messaggio…»

«Sei davvero così ingenuo da credere a quello che stai dicendo?» lo interruppe Elliot, lo sguardo incredulo su di lui. Oz si sentì preso in giro, ed assunse un’espressione quasi indispettita.

«Come puoi essere sicuro del contrario invece?» rimbrottò, fissandolo.

«Cos’è, hai dimenticato chi ha trovato Glen Baskerville morto?» rimbeccò sardonico Elliot: «O la parola mia e di Gilbert non basta?!» alzò la voce, iniziando a perdere completamente quel briciolo di calma mantenuto – chissà come – fino a quel momento.

«Tu… e Gil?» fece eco Oz, perplesso. Elliot sgranò appena gli occhi: mai se l’era lasciato sfuggire con qualcuno. Persino Reo lo aveva saputo molto tempo dopo essere diventato il suo servitore.

«Ah… quello…» iniziò il castano, ma Oz non seppe dire se fosse per dirgli cosa intendeva o per smentirlo. In quell’istante la porta si aprì, rivelando Reo e Noah, il primo rimasto evidentemente fuori per tutto quel tempo, l’altro con il fiatone. Vedendo Oz sveglio e con un colorito umano, Keynes si ritrovò fra il felice, il sollevato e l’imprecazione probabilmente dovuta al polmone perso nella corsa che si era fatto – e aveva trovato l’infermeria vuota. Maledetta vecchia.

 

 

In silenzio percorse con Reo il corridoio per poter tornare alla propria stanza. Il moro non aveva chiesto nulla riguardo la presunta conversazione tra lui e il biondo – di cui certamente doveva essergli arrivato qualche stralcio se era rimasto per tutto il tempo fuori dalla stanza – né di cosa portasse Elliot a chiudersi ora in quel silenzio meditabondo.

Nel mentre, nella mente del castano tornavano di tanto in tanto le parole pronunciate da lui stesso, quell’ammissione sulla presenza di Gilbert al ritrovamento del corpo di Glen. Aveva finto di averlo dimenticato, come se il trauma l’avesse rimosso dalla sua memoria, in un modo simile a quello in cui Gilbert era stato colpito dall’amnesia qualche anno prima. In quel modo, evitare di parlarne era stato facile; persino col Duca Nightray, che vantava non poco ascendente sul suo figlio minore.

Perdonatemi padre, aveva mormorato mortificato, non riesco a ricordare.

Ma in realtà non aveva mai dimenticato. E d’altra parte come avrebbe potuto, se quello scenario tornava a fargli visita in sogno quasi periodicamente?

 

Entra quasi senza pensare, senza badare troppo a quale stanza sia – quella casa è immensa, e lui ci entra per la prima volta. Perciò non fa caso al fatto che si trova nell’ala privata, dove ci sono le stanze del padrone e della famiglia Baskerville.

Entra, e se fosse un adulto istintivamente guarderebbe la stanza nell’insieme: ma Elliot dopotutto è solo un bambino ancora, e dell’accortezza di un adulto non sa nulla. Lui è preso dal magnifico pianoforte sulla sinistra, e quasi incantato si muove istintivamente verso di esso.

Sfiora il nero lucido dello strumento e sorride emozionato come se ne vedesse uno per la prima volta.

«…Elliot?» è un mormorio così impercettibile che, se solo non ci fosse tutto quel silenzio, è sicuro che non lo sentirebbe.

Lo sguardo cerca istintivamente la fonte del richiamo, e non impiega molto a trovarla: è alla sua destra, un po’ in avanti rispetto al punto in cui si trova lui. È Gilbert, che lo guarda con un misto di tantissime cose – ma Elliot è solo un bambino dopotutto, e non è in grado di riconoscerle tutte.

Vede il fratello maggiore, e se c’è una cosa che capisce è che è spaventato; quello che non coglie è il desiderio quasi disperato nello sguardo dell’altro.

“Portatemi via.”

“Non guardarmi.”

“Vattene da qui.”

“Non guardarmi, non guardarmi, non guardarmi.”

Elliot si sente confuso, e davvero non capisce finché non rientra nel suo campo visivo.

Il corpo senza vita di Glen Baskerville giace a terra: sotto di lui il sangue ha impregnato la moquette, e più lui si avvicina quasi ipnotizzato dalla paura che si fa strada in lui, più Gilbert trema e sembra provare il forte istinto di alzarsi e scappare via.

Ma sono le gambe che non glielo concedono, che hanno ceduto inchiodandolo lì a terra; Elliot la vede, la pistola che Gilbert ha tra le mani, e che è troppo grande per lui.

Però Elliot è solo un bambino: mentre il sangue gli sporca le mani, non pensa nemmeno per un istante che suo fratello sia un assassino.

 

 

«Vorrei sapere dove accidenti è Elliot.» bofonchiò Gilbert, il passo spedito che percorreva il corridoio del dormitorio maschile.

«Quando saprò dov’è Oz lo ridurrò in pudding.» sbraitò Alice, priva di una qualsivoglia delicatezza, camminando quasi al fianco di Gilbert che le scoccò un’occhiataccia a quella specie di minaccia.

«Beh, che hai da guardare?» chiese subito lei sulla difensiva, notandolo: «Niente, niente.» la blandì scocciato lui, senza la minima voglia di mettersi a litigare. Oltretutto, avrebbe voluto sapere anche lui dove fosse Oz: specie da quando Echo – che poi, cosa ne sapeva se in teoria era sempre con Vince? – aveva detto che ultimamente il biondo era spesso con Elliot.

Cosa che gli sembrava di aver sentito dire anche ad Ada, recentemente – in tutto ciò non aveva ben capito nemmeno se lei e Oz si fossero tacitamente riappacificati o se avessero parlato chiarendosi.

…Non che fosse geloso, comunque.

«Ohi» richiamò l’attenzione di Alice, indugiando per cercare le parole adatte a spiegarsi al meglio senza essere frainteso: «non vieni a casa nemmeno alle prossime vacanze?» buttò lì. Era un argomento di cui non avevano mai parlato per scelta di entrambi.

E dire che sarebbe stato più comodo e del tutto legittimo che ogni tanto tornasse con loro. Ma Alice non lo aveva mai fatto, finché non era stata praticamente obbligata. In pessimi rapporti con Vincent – per motivi che ignorava – senza particolari legami con Elliot, scambiava qualche parola (meno sgarbata del solito) solo con Reo.

Quanto al resto, un atteggiamento arrogante e supponente l’aveva sempre caratterizzata, e resa insopportabile a Gilbert per partito preso quasi.

«…Cos’è, ti hanno fatto il lavaggio del cervello?!» sbottò Alice fissandolo allucinata dalla proposta; Gilbert tossicchiò: non che potesse darle torto, viste le premesse del loro pseudo rapporto tra cugini.

«Ho solo pensato che ogni tanto male non ti fa. Presto andremo quasi tutti a casa, Oz compreso probabilmente. Considerando che i tuoi rapporti si limitano quasi del tutto a lui e Keynes, piuttosto che annoiarti qui non sarebbe più sensato?» fece notare, voltando l’angolo.

Alice lo imitò e mise su un’aria stizzita: «E che ci verrei a fare? Restare qui sarebbe lo stesso, stupido idiota.» rispose. Giorni interi con Vincent per casa e tutti i pasti da consumare con lui?

Piuttosto si faceva adottare da Break.

«E allora?!» rimbeccò Gilbert – la pazienza lasciata al corridoio prima forse: «Saresti almeno in famiglia, idiota!» sbraitò, aumentando appena il passo.

Alice non lo raggiunse di proposito: quel cretino aveva osare dire qualcosa di imbarazzante cogliendola alla sprovvista!

Il moro nel frattempo rallentò, indeciso se proseguire per le scale raggiungendo il piano di Elliot, o se accompagnare prima la cugina da Oz – sempre che fosse nella propria stanza.

…Glen!

Chiuse un occhio per riflesso alla fitta improvvisa alla tempia.

È tutta colpa di Glen!

Si bloccò, portando una mano alla testa, lasciandosi sfuggire un mugolio di dolore quasi impercettibile. Alice lo fissò spaesata: «Ohi, che hai adesso?» indagò, quasi guardinga. Gilbert fece per scuotere appena il capo.

È colpa sua! Se sei così arrabbiato, allora perché non lo uccidi?!

Impallidì, boccheggiando appena.

Non riusciva assolutamente a riconoscere la voce – il dolore alla testa la faceva arrivare quasi ovattata – eppure era sicuro di conoscere la persona a cui apparteneva. Era un ricordo vago, tenuto inconsapevolmente sigillato fino a quel momento, e ancora annebbiato; tuttavia non gli dava una sensazione di estraneità.

«Ehi, che cavolo ti pren—»

«Gil?!» sentì esclamare, e spostando lo sguardo verso le scale individuò Vincent che con espressione preoccupata si avvicinava a loro, Echo al seguito.

Il moro intanto si era poggiato leggermente al muro alla propria sinistra, inspirando nella speranza che qualunque cosa fosse, passasse in breve.

Vincent gli fu subito accanto: «Ti senti bene?» chiese, nel tono la preoccupazione evidente.

Gilbert annuì appena: «È solo mal di testa, una delle solite fitte. Ora mi passa.» assicurò. Il biondo annuì senza scostarsi, ma spostò lo sguardo su Alice: un’occhiata penetrante e piena d’odio la colpì come una secchiata d’acqua gelida. Accusatoria, sembrava minacciarla di fargliela pagare, come se la colpa di quel malore fosse sua.

Indietreggiò di qualche passo, borbottando quindi un: «Io vado da Oz.» con sguardo basso, iniziando ad allontanarsi.

Le aveva messo i brividi.

Se per l’occhiata in sé, per tutto l’odio condensato in un solo sguardo o perché le sembrasse terribilmente familiare nonostante Vincent non gliel’avesse mai rivolta prima, questo Alice non avrebbe saputo dirlo.

E non lo voleva nemmeno scoprire; come se a quella sensazione di gelo fosse suonato un campanello d’allarme nella sua testa.

 

 

Non si prese nemmeno il disturbo di alzare lo sguardo dal libro che stava leggendo quando sentì la porta del proprio alloggio sbattere nel venire richiusa. Non c’erano molte persone che entravano a quel modo lì dentro: nello specifico o si trattava di Xerxes Break in uno dei suoi (numerosi) momenti migliori, o di Vincent Nightray, come in quel momento.

L’unica differenza fra i due era che Xerxes era molto più rumoroso. E meno sopportabile.

Alzò finalmente lo sguardo sul biondo, notandone l’espressione: era decisamente furioso, in quel momento.

«Se hai intenzione di sfogare la tua irritazione sui miei soprammobili, potrei finire con lo sfogare il mio conseguente disappunto su di te. Giusto per avvisarti.» disse con tutta calma, tornando con lo sguardo sul libro e voltandone una pagina.

Vincent le lanciò un’occhiataccia, ma lei non parve rendersene conto; il biondo affondò su una poltrona dove spesso faceva i suoi comodi quando – arbitrariamente – decideva di dover andare a trovare la sua docente.

Né lui né Charlotte Baskerville, comunque, si erano mai presi la briga di definire il loro rapporto: Vincent si recava lì probabilmente per pura noia. Si era scherzosamente definito più volte attratto dalla giovane docente, e aveva fatto persino più di qualche avance apparentemente seria. Charlotte, tuttavia, lo aveva sempre respinto: magari in maniera sarcastica il più delle volte, mentre altre lo aveva lasciato giocare a fare lo studente innamorato della sua professoressa, ma c’erano limiti precisamente imposti da lei che a Vincent non era permesso ignorare.

E in ogni caso, lui non era mai stato davvero serio – e a Charlotte non interessavano i marmocchi.

Ultimamente, tuttavia, quel ragazzo non aveva fatto altro che parlarle di Oz Bezarius, specie in relazione al fratello Gilbert – ma quel brother complex, al contrario, non era affatto una novità.

Inoltre, ogni volta che Bezarius aveva inconsapevolmente minato all’equilibrio emotivo di Vincent – che già di suo non era propriamente “stabile” – il giovane si presentava lì, sbatteva la porta, e poco dopo si slanciava in esclamazioni rabbiose nei confronti dell’altro studente.

Seriamente, che ragazzino complicato.

«Quando finisce la tua crisi di isterismo, fai un cenno.» disse solo, sottilmente provocatoria. Cosa voluta, neanche a dirlo.

«Risparmiati il sarcasmo, Lottie.» replicò, calcando il nomignolo.

La cosa gli sarebbe costata un libro in pieno viso, se non avesse avuto la prontezza di alzare un braccio e deviare quindi l’oggetto: «Ti ho già detto che quel nome non devi usarlo o pronunciarlo. Vedi di stare al tuo posto, o quella è la porta.» chiarì, fissandolo quasi minacciosa.

Non che sperasse di spaventarlo, sarebbe stato inutile; ma Vincent aveva un carattere tutto particolare. Non aveva ancora capito se apprezzasse chi gli teneva testa o se invece capiva dal tono altrui fin dove potesse spingersi.

Ad ogni modo il risultato ottenuto era comunque positivo per lei e la sua scarsa pazienza. Vincent lasciò che le proprie labbra si incurvassero in un sorrisetto scherzoso e infantile – e falso.

«Allora, in che modo Oz Bezarius ti avrebbe irritato, oggi?» domandò quasi annoiata dal ripetersi di una solita, identica situazione. Ma fu costretta a stupirsi e ad abbandonare il libro concentrandosi su Vincent quando questi rispose stizzito: «Lascialo perdere, per una volta che non c’entra.»
«Questo sì che è strano.» buttò lì casualmente, studiando l’espressione dell’altro.
«Si tratta di Alice. Di nuovo, è sempre di mezzo, sempre! Tutte le volte che succede qualcosa di sgradevole a Gil, lei è sempre coinvolta!» sbottò nervoso – e Charlotte aveva avuto modo di notare che gli scatti nervosi di Vincent Nightray non erano esattamente qualcosa da prendere sottogamba. Un po’ come accadeva con tutte quelle persone che erano sempre calme o che si mostravano costantemente sorridenti in qualsiasi circostanza; finiva sempre che il loro perdere quella naturale tranquillità aveva un che di inquietante e – in casi particolarissimi – di pericoloso.

«Alice, eh? Che ultimamente è sempre con Bezarius. Buon sangue non mente, sempre circondati da donne.» osservò, il tono irritato; palesemente non tanto da Oz, quanto dall’esempio di Bezarius che lei aveva avuto modo di conoscere per anni.
Vincent spostò lo sguardo su di lei, lasciando stare per un attimo la questione Alice: non era la prima volta che Charlotte si lasciava andare a commenti di quel genere, ma mai una volta aveva risposto chiaramente a qualche sua domanda in proposito. Non sapeva bene se fosse una sorta di riguardo, ma aveva quasi subito eliminato quella possibilità: innanzitutto Charlotte non era proprio di quelle persone che si curavano di fare attenzione a quello che dicevano per paura di ferire il proprio interlocutore, inoltre dubitava fortemente che sapesse che lui e Gilbert erano stati a contatto con Jack Bezarius prima che morisse.

«Non ho mai capito cos’hai contro Jack Bezarius, anche se sto iniziando a puntare sull’opzione di una giovane ragazza abbandonata dall’amore della sua gioventù.» ammise, in una palese insinuazione in cui poi, in realtà, non credeva nemmeno lui.
Più che altro, non gli sembrava di ricordare che Jack avesse mai accennato a Charlotte in quel modo; anzi, non ricordava nemmeno che ne parlasse così spesso, per la verità.
Era stata solo una questione di nomi già sentiti, quando incontrandola a Latowidge per la prima volta si era ritrovato a pensare “Ah, lei deve essere Lottie”.
L’altra sembrò non apprezza quell’insinuazione, a prescindere da quanto il biondo ci credesse o meno; gli lanciò infatti un’occhiata gelida: «Di quel traditore? Mai.» sibilò a metà fra la rabbia e il puro disgusto alla sola idea.
Vincent ne fu piuttosto perplesso: aveva conosciuto Jack e non si poteva certo dire di lui che tradisse abitualmente le persone. Ne fu anche un po’ infastidito, forse: nei suoi ricordi di ragazzino, Jack Bezarius era stata una persona molto importante, di quelle che rimangono sempre come sono nei tuoi ricordi, e di cui non vuoi che venga mai detto nulla di male anche se fosse la verità.
«Se Padron Glen è morto… è stata solo colpa sua.» aggiunse Charlotte, nel tono del palese risentimento, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Glen Baskerville sembrava essere sempre l’unica cosa in grado di scombussolarla e farle perdere quell’aria di arrogante calma che sembrava ostentare quasi.
«Glen Baskerville si è suicidato.» osservò atono Vincent, neanche dovesse farglielo notare lui per la prima volta.

Di nuovo, lei lo guardò con odio – un odio che, con ogni probabilità, non era davvero rivolto a Vincent.

«Ma Jack lo sapeva! Jack aveva capito cosa stava per fare Padron Glen e nonostante questo non ha nemmeno pensato di fermarlo! Ha lasciato che si uccidesse, nonostante fosse il suo migliore amico! Se non è questo un tradimento, allora cosa dovrebbe esserlo, eh?!»

 

 

Elliot prima di andarsene con Reo si era raccomandato almeno tre volte di non fare idiozie – dove “raccomandarsi” nel vocabolario del giovane Nightray collimava casualmente con “sbraitare” – tanto che Oz si era sentito trattato come un ragazzino da tenere d’occhio.

Anche se, effettivamente, non avrebbe potuto dargli torto.

Quando poi i due se ne erano andati, Noah aveva raccomandato ad Oz di riposare.

«Se decidi di alzarti» aveva aggiunto «assicurati di trovare Gilbert ed Alice. Credo che ti stessero cercando, e Elliot magari gli dirà che non stavi bene se li incontrerà prima di te. Si preoccuperanno.»

Dopodiché Oz aveva cercato di stendersi e riposare, ma troppe cose gli affollavano la mente e addormentarsi era diventato in breve pura utopia. A quel punto, si era detto che tanto valeva andare a cercare i due compagni.

Perciò, il tempo di sistemarsi e indossare nuovamente la divisa ed era uscito dalla stanza.

Certo, in alcun modo si sarebbe potuto immaginare di trovare Alice voltando l’angolo… o almeno di trovare qualcuno che, di primo impatto, avrebbe preso per Alice. E che, ad un’occhiata più attenta, fosse semplicemente qualcuno che le somigliava in modo impressionante, come una goccia d’acqua.

Ma al tempo stesso, ad Oz bastò esserle abbastanza vicino da vederla in volto per rendersi conto che non si trattava dell’amica; la sensazione nell’osservare quella Alice era tanto simile e diversa al tempo stesso, una confusa opposizione tra il desiderio di prenderla per mano e rassicurarla e quello di allontanarsi più in fretta che poteva.

E – visti i recenti avvenimenti e le ultime rivelazioni su Latowidge – si era forse convinto ad optare per la seconda scelta quando quella Alice parve notarlo. La vide mutare espressione, dapprima in una evidentemente sorpresa di vederlo, e poi con uno sguardo che sembrava esprimere una certa urgenza mentre si avvicinava a lui.

Oz si rese conto dell’effettiva diminuzione della distanza tra loro solo quando si sentì prendere la mano tra quelle della ragazza. Portò lo sguardo su di esse, per poi tornare sul suo viso.

Sembrava quasi che lo avesse cercato ovunque per chissà quanto tempo, preoccupandosi sempre di più per lui, e che soltanto ora lo avesse finalmente ritrovato.

Oz assunse un’aria confusa, perplesso da quell’atteggiamento, cercando di restare all’erta.

«Cosa…

«Perché non sei più tornato?» lo interruppe lei, il tono un misto di ansia, preoccupazione e speranze disilluse.

«Eh?» fece eco il biondo, senza capire.

Tornato dove, esattamente? Lì dove si trovava Glen?

«Avevi promesso che saresti tornato ancora tante, tante volte. Che saresti venuto a giocare, e a bere del tea, e che poi saresti rimasto finché avessi voluto…» riprese lei, il tono sempre più dispiaciuto «Però non sei mai più venuto.» concluse, abbassando lo sguardo.

Le sue mani guidarono quella di Oz vicino al proprio viso, fino a portarla a contatto con la propria guancia: «È stata colpa mia? È perché… sono stata cattiva con Gilbert?»

Fino a quel momento Oz aveva taciuto, senza riuscire a capire a cosa quella “Alice” si riferisse. Aveva pensato di dover ascoltare e basta, forse, e poi magari sarebbe… svanita da sola.

Perché la vera Alice era viva, e quello non poteva essere il suo spirito; ne conseguiva che Oz sapesse ancora meno come trattarla. Tuttavia, sentendole pronunciare quel nome non aveva potuto evitarsi un: «Gilbert?», sorpreso di sentirglielo nominare.

Mai avrebbe potuto prevedere la reazione che ne seguì: fu conscio che si trattava di lacrime vere solo quando, rigandole le guance, finirono per bagnare anche la sua mano.

«Mi dispiace…» prese a pronunciare, scossa da qualche leggero singhiozzo: «Mi dispiace tanto… non volevo essere cattiva, ma è stata anche colpa sua.» parlò, il tono simile ad una bambina che è stata sgridata duramente e fra le lacrime cerca di spiegare le proprie ragioni anziché ascoltare semplicemente il rimprovero.

Oz le prestò la massima attenzione però: non aveva idea di quanto le sue parole potessero essere attendibili o dovessero essere considerate tali, ma se fossero state parte di quel passato che né Gil né Alice ricordavano?

…Forse entrambi avrebbero voluto saperlo, se gliene fosse stata data la possibilità.

Fu per questo che non si ritrasse, nonostante ormai avrebbe dovuto sapere che restarle così vicino non poteva essere una buona idea. Lo sguardo ancora su di lei, si ritrovò a pensare per un attimo a quanto quella Alice sembrasse… fragile. Una fragilità che l’altra che aveva sempre al proprio fianco, quella che lui conosceva, era brava a nascondere e a mascherare, e che forse in fondo proprio “sua” non era.

Probabilmente, i ricordi se l’erano portata via lasciando in lei solo quella risolutezza un po’ sgarbata, ma che lo aveva tirato su nonostante non sfruttasse parole gentili o tipiche di espressioni di conforto.

“Cos’è successo con Gilbert?”, aveva pensato di chiederle; tuttavia ci aveva riflettuto su, bloccandosi sul nascere. Chiunque fosse quella ragazza, era chiaro che doveva averlo scambiato per qualcuno – o, per quanto ne sapeva, anche “un altro Oz” non sarebbe stato strano a quel punto.

A prescindere da chi fosse questa persona, però, lei sembrava dare per scontato che sapesse di cosa parlava: e non sarebbe stato strano, dunque, se lui avesse fatto domande in quel senso?

«Perché ti sei comportata male con lui?» chiese quindi, sperando che suonasse più come un volerla capire che non come un’accusa: «Volevi farlo arrabbiare?» azzardò quindi, andando un po’ alla cieca.

Parve però aver colto nel segno con entrambe le domande, a giudicare dall’espressione di lei; lo guardava spaventata, e colpevole.

Non dispiaciuta per Gilbert, quanto più all’idea di essere mal giudicata proprio da Oz.

Il biondo non la incalzò oltre, lasciandole il tempo di articolare la risposta, non volendo causarne né l’irritazione, né tantomeno un’eventuale fuga.

«Quando non sei più tornato… mi sono sentita così sola.» mormorò lei in quella che, inizialmente, ad Oz non parve affatto una risposta.

«Nemmeno Gilbert veniva più da me. Ero sola, e aspettavo, sempre. Ma non tornava più nessuno. Poi un giorno Gilbert è arrivato… ma a lui non importava niente!» cambiò improvvisamente tono, facendo sobbalzare Oz a quella nuova sfumatura rabbiosa e inaspettata, piena di quello che gli sembrava inequivocabilmente… odio.

«Lui non era stato solo per tutto quel tempo!» lo accusò, agitata: «Lui era rimasto insieme a Vincent! E loro due si erano dimenticati di me! Perché solo io dovevo stare così? Perché loro avevano una famiglia e io no?! È stata colpa loro, se tu non sei più venuto… hanno portato via anche te!» alzò il tono della voce, ed Oz fu sicuro di aver visto i vetri delle finestre in quel corridoio tremare pericolosamente.
È colpa tua, tua e di Glen Baskerville!

Quella frase, che non era stata pronunciata dalla Alice di fronte a lui, ma da una voce che già una volta gli era arrivata all’orecchio senza che ci fosse nessuno in vista, lo fece rabbrividire. Allo stesso tempo, sembrò che anche la ragazza di fronte a lui si fosse momentaneamente interrotta udendola. A meno che non si trattasse solo di un caso.

Se sei tanto arrabbiato, allora vai a prendertela con lui…

«Non era tornato per me…» sussurrò Alice, quasi a voler spiegare quelle parole che riecheggiavano nel corridoio senza una spiegazione logica: «Nessuno dei due era tornato per me.» continuò, ed Oz immaginò che si riferisse a Gilbert e Vincent.

Vai ad uccidere Glen Baskerville, no?!

«Erano venuti solo per arrabbiarsi con me… e allora li ho mandati via!» esclamò scoppiando a piangere, senza più limitarsi alle lacrime silenziose che c’erano state fino a quel momento, e cogliendo Oz di sorpresa ancora una volta.

Quella Alice non l’aveva detto chiaramente, quindi forse era solo una supposizione errata, ma… sembrava proprio che per la tristezza, avesse spinto Gilbert a fare qualcosa di orribile.

Anche se Oz quasi non riusciva nemmeno ad immaginare un Gilbert – specialmente se più giovane di quello di ora – che si macchiava di una cosa come l’omicidio.

Soprattutto considerando quanto sapeva della morte di Glen Baskerville, ossia che era stato suicidio.

È solo colpa di Glen, se Jack non c’è più! Ed è anche colpa tua!

«Oz!» si riscosse, sentendosi chiamare e voltandosi in direzione della voce; impiegò poco a riconoscere la figura di Alice – la solita Alice – che gli si faceva in contro, l’espressione decisa. L’altra, che fino a quel momento non aveva mai lasciato le mani di Oz, arretrò di un passo, quasi atterrita da quella nuova presenza.

Il biondo spostò lo sguardo dall’una all’altra più volte, finché Alice non fu abbastanza vicina da allungare la mano fino a raggiungere il polso di Oz, afferrandolo.

«Allontanati da lei!» esclamò quasi arrabbiata: «Quella lì non sono io! Non so chi sia, ma non mi piace!» aggiunse. Oz la osservò un po’ spaesato da quella “doppia presenza”.

«Ma Alice…» tentò inizialmente, senza poter concludere la frase; allontanarsi maggiormente, alla vista di Cheshire che si frapponeva tra loro e l’altra Alice, divenne la priorità.

Istintivamente, Oz si mise davanti alla castana almeno in parte: sapeva per esperienza che la presenza di Cheshire non era affatto una buona cosa, mai.

Specie se, come in quel momento, era palesemente in procinto di attaccarli entrambi, l’espressione inferocita come se avessero oltrepassato un limite che non gli era consentito superare.

Oz si morse appena il labbro inferiore: aveva creduto che Cheshire fosse solo a guardia del luogo in cui era Glen. Perciò, nell’avvicinare quella “Alice”, non aveva minimamente considerato la possibilità che potesse rivelarsi tanto pericoloso.

E il fatto che ora, lì con lui, ci fosse anche l’amica rendeva l’intera situazione ben peggiore che se fosse stato solo come la prima volta; tra l’altro, nulla gli dava la certezza che Aedan o Sirjan sarebbero arrivati, stavolta.

Mosse lentamente un passo indietro, portando Alice a fare lo stesso, senza distogliere lo sguardo da Cheshire. Questi, intanto, sembrava irritarsi ad ogni singhiozzo che sfuggiva tra le labbra della ragazza dietro di lui, che a quanto pareva tentava di proteggere.

Per un istante Oz si chiese se il compito di Cheshire nei confronti degli spiriti non fosse un po’ come quello di Sirjan per i vivi, e se non fosse questo il motivo alla base di quella non sopportazione che provavano l’uno per l’altro.

«Cheshire aveva detto che ti avrebbe lasciato stare» sibilò il felino, gli occhi ridotti a due fessure che restavano puntati sul biondo: «ma tu sei pericoloso! Cheshire lo aveva detto!» soffiò più forte, rabbioso.

Oz capì che se non fosse riuscito a calmarlo… no.

Non avrebbe nemmeno dovuto provarci, ma limitarsi ad andare via subito portando Alice con sé.

Proprio la castana, in quel momento, strinse appena la presa sul suo polso: «Oz…» lo richiamò a voce appena più bassa «cos’è quello?» chiese, riferendosi chiaramente a Cheshire, che forse per la prima volta portò lo sguardo sulla ragazza dietro il biondo. Parve studiarla, sia con gli occhi che annusando l’aria; nel farlo, sembrò ad un certo punto turbato da qualcosa.

Tornò con lo sguardo fermo su Oz: «Cosa hai lì?» sibilò quasi più ferocemente di prima.

Il biondo fece, inconsapevolmente, un errore quando si voltò pronunciando un: «Alice, andiamocene da qui.»

Quelle parole – o meglio, quel nome – portò al culmine la furia di Cheshire: «Alice è dietro Cheshire!» gridò con una nota isterica nella voce «Oz Bezarius mente! Vuole rubare Alice e le cose importanti! Vuole rubare a Cheshire!» continuò, iniziando ad avanzare pericolosamente.

Oz soppesò febbrilmente quanto potesse essere saggio dargli le spalle per provare ad allontanarsi da lì il più velocemente possibile.

Tuttavia non ebbe molto tempo per valutare razionalmente la cosa: Cheshire scattò, veloce, con tutta l’intenzione di ferire sia lui, sia quell’Alice che sembrava considerare falsa in qualche modo.

Oz stava per spingere l’amica il più lontano possibile quando tra lui e il felino si fece avanti qualcuno che inizialmente non riuscì a riconoscere e che colpì – come, Oz non lo vide – lo spirito.

Anche se non sapeva quanto l’espressione “colpire” potesse essere corretta, appunto.

Cheshire fu comunque scagliato abbastanza lontano, mentre quel loro improvvisato salvatore gli si rivolgeva: «Non sai che soddisfazione, dartele di santa ragione~» osservò con tono derisorio quello che – a quel punto – Oz riconobbe come Xerxes Break.

Il docente aveva un sorriso ad incurvargli le labbra, un sorriso che Oz avrebbe definito quasi insano, però: non portava con sé alcun sentimento positivo, infatti. Solo soddisfazione per la sofferenza altrui, per un senso di appagamento dato da quella che sembrava in tutto e per tutto una vendetta personale.

«Professore…?» tentò Oz, senza ricevere risposta inizialmente. L’attenzione di Break sembrava totalmente su Cheshire, che si stava rialzando.

Senza idea del come o del quando, Oz notò che l’altra Alice era sparita.

«Sai, sto cercando di ricordare il motivo per cui il signor Kolstoj si è sempre preso la briga di proteggere entità come te.» riprese Break senza curarsi dei due studenti dietro di lui: «Ma proprio non mi viene in mente altro. Piuttosto, sai cosa, fantasma di un sacco di pulci?» lo apostrofò con tono di disgustato sarcasmo, fissandolo ancora con quel sorrisetto che iniziava ad avere dell’inquietante.

«Mi torna in mente che oltre alla poca simpatia che già avevo allora per il sovrannaturale, al nostro primo incontro mi hai portato via anche un occhio.» continuò, facendo sobbalzare Oz e rabbrividire Alice: «E mi sono chiesto da allora» proseguì avvicinandosi con tutta calma a Cheshire «non è strano che un essere di solo spirito tocchi una persona viva al punto da ferirla così gravemente?» domandò, ma era chiaramente una domanda retorica.
Oz, in quel momento, sembrò trovare risposta a qualcosa che era rimasto a lungo senza una spiegazione logica nella sua mente: Cheshire gli era stato presentato come spirito ma, tanto per iniziare, non era nemmeno del tutto umano. E in secondo luogo, nonostante la sua natura non viva, il contatto fisico non gli era mai stato precluso – specie in maniera aggressiva, a quanto sembrava.
Ma questo non rispecchiava esattamente l’idea di spirito; e lo stesso Glen, dopotutto, si era approcciato ad Oz la prima volta attraverso il corpo di un vivente.

Non era… strano?

«Alla fine però, sono arrivato ad una risposta.» comunicò con tono improvvisamente – ed innaturalmente – allegro Break: «Vuoi essere reso partecipe?» quasi lo canzonò, muovendo verso di lui l’ennesimo passo per avvicinarlo. Cheshire era sulla difensiva, innervosito da qualcosa di non ben comprensibile, pieno di quell’agitazione data più dalla paura che dalla non sopportazione di qualcosa.

Quando Break si chinò verso di lui, il felino fece per muoversi con intento piuttosto ostile verso di lui, ma di nuovo il docente sembrò anticiparlo: «Ah-ah, io non lo farei.» lo ammonì neanche avesse a che fare con il bambino più tranquillo del mondo.

«Non credo proprio, che se tu ferissi ancora qualcuno, il signor Kolstoj sarebbe propenso a lasciarti libero come sei stato finora. Ed è già così difficile coprire questo increscioso incidente con il signor Bezarius…» lasciò cadere, meschino, alludendo a qualcosa di ben preciso. Lo stava palesemente mettendo in condizioni di non fare altro se non obbedirgli.

«Non mi mostreresti quel campanello che porti al collo?» chiese quindi con falsa dolcezza, tendendo la mano in avanti; Cheshire tuttavia sgranò gli occhi, caricando il colpo con una delle zampe anteriori, del tutto intenzionato ad attaccare l’albino.

Né Oz né Alice furono in grado di dire con esattezza come si fosse mosso Break: era solo stato estremamente veloce, tanto da ricordare un po’ Aedan al biondo che lo aveva visto all’azione, e sempre contro Cheshire.

Il docente sembrava aver evitato quell’attacco – forse prevedibile – senza troppe difficoltà. Ed ora, a qualche passo di sicurezza dal felino sorrideva soddisfatto.

Alzò una mano, quanto bastò a far dondolare il campanello che aveva in mano e che doveva aver chiaramente sottratto a Cheshire prima di allontanarsi da lui; questi sembrò entrare nuovamente nello stesso stato di isterismo che aveva provocato Oz stesso poco prima.
Si mosse nuovamente in avanti, verso Break – e nello specifico proprio verso la mano che teneva l’oggetto rubato – con un verso grottesco che fece rabbrividire anche lo stesso docente, sebbene non si notasse dall’espressione o simili.

Xerxes evitò l’impatto diretto, lasciandosi però sfuggire di mano il campanello, che cadde con un leggero rumore metallico accompagnato dal tintinnio dovuto al contatto con il pavimento. Il docente fece schioccare le labbra con fare seccato, imprecando a mezza bocca.

Oz non seppe precisamente cosa lo portò a farlo, ma si ritrovò ad allungare una mano verso l’oggetto conteso; forse qualcosa gli suggeriva che prendendolo, o facendo almeno in modo che non tornasse in possesso di Cheshire, tutto quello che ancora necessitava una risposta sarebbe stato anche solo un pochino più chiaro.

Forse, sperava soltanto che potesse essere così.

Notandolo, Cheshire cambiò bruscamente direzione, scagliandosi non più contro Break, ma contro Oz: «Restituitelo!» gridò «Restituitelo a Cheshire!»

«Oz!» si sentì richiamare da Alice, cercandola con lo sguardo ed individuandola appena prima che le dita della ragazza si stringessero attorno al campanello, sottraendolo sia alla presa di Oz, che a quella di Cheshire.

Ci fu qualche istante di stallo totale, in cui nessuno disse nulla, né mosse un solo muscolo; poi, in un momento di immobilità totale… Alice cadde in ginocchio.

Oz le fu immediatamente accanto, l’espressione preoccupata in viso: «Alice!» la chiamò «Alice, che hai?!»

«Che… diamine è questo affare?!» sbottò lei, il tono sofferente e gli occhi chiusi, quasi nella speranza di alleviare il dolore alla testa che si stava facendo sempre più forte.

 

Non c’erano cambiamenti evidenti in ciò che li circondava – almeno per ora – se si escludeva l’assenza di Cheshire. Eppure Oz aveva addosso la pessima sensazione di essere in un posto diverso. Sembrava, per quanto assurdo potesse suonare, di respirare la stessa aria e percepire la stessa atmosfera che c’era stata in presenza di Glen.

L’inspiegabile consapevolezza di essere nel posto sbagliato, in un luogo che non ti apparteneva e che non avresti nemmeno dovuto vedere; stavolta, però, Oz non aveva né idea di dove si trovasse, né di come si fosse spostato.

«Siamo ancora nel corridoio…?» mormorò, più a se stesso che non agli altri due, venendo interrotto dalla voce di Break che era a pochi passi da lui, una mano posata contro il muro quasi a sorreggersi.

«Non è Latowidge.» disse «Non quella che conosci tu, almeno. È molto più simile a quella che io e Rufus abbiamo vissuto.» chiarì, affiancando il biondo.

Oz era però confuso da quella spiegazione: «Quella che avete frequentato da studenti? Come fa ad esserne così sicuro guardando solo un corridoio?» diede voce a quella domanda legittima.

Break portò lo sguardo su di lui, l’espressione divertita e il sorrisetto furbo sulle labbra, mentre un dito indicava un quadro. Oz, tuttavia, non avrebbe saputo affermare con certezza se ci fosse già o meno. L’altro però non sembrava aver bisogno della sua conferma.

«L’ho accidentalmente fatto sparire durante il mio terzo anno ♪» ammise tutto tranquillo; Oz non riuscì proprio a mascherare un’espressione che era un misto tra l’allucinato e il comprensibile dubbio su quali fossero i limiti comportamentali di Xerxes Break.

«…Seriamente, lei come ha fatto a diventare insegnante?» si lasciò sfuggire, con quella sfumatura di arroganza che si era sempre ed inevitabilmente ritrovato ad usare con lui, ricevendo in risposta quel sorrisetto tipico del docente – che mentalmente stava probabilmente prendendo in considerazione di tentare di strozzare il caro signor Bezarius e farlo apparire come un tragico incidente.

Oz non aggiunse nulla, Alice che sembrava essersi ripresa in quel breve lasso di tempo: «Va meglio?» le chiese il biondo, osservandola. La ragazza scosse appena la testa, confusa.

«Che è successo?» domandò, riscuotendosi poi in un secondo momento: «Oz!» lo richiamò agitata «quel coso, è sparito!» esclamò poi, portando vicino ad entrambi i loro volti la mano che aveva afferrato il campanello, che ora non c’era più.
«Abbiamo un altro problema, temo~ » quasi canticchiò Break, accucciandosi al loro fianco ed indicando giocosamente davanti a loro.

Entrambi spostarono lo sguardo nella stessa direzione, e Oz ebbe un senso di dejà-vu improvviso: quel luogo, ovunque fosse, cambiava lentamente davanti ai loro occhi.

Quel corridoio anonimo si faceva confuso e poi, tornando pian piano più nitido, acquisiva caratteristiche che ricordavano… un giardino.

Il biondo deglutì a vuoto: avrebbe potuto azzardare ad indovinare dove fossero, fino a poco prima di incontrare Glen… tuttavia ora non era più certo che una distorsione dello spazio di quel tipo indicasse per forza di essere in un ricordo piuttosto che nella realtà.

Dopotutto era vero che quello era stato il modo in cui lo scenario era cambiato quando Jack gli aveva mostrato alcune cose che riguardavano lui e Glen, ma era anche vero che allo stesso modo era cambiato quello che c’era davanti ai suoi occhi in altre occasioni.

Volte in cui, ne era certo, era stata la realtà tangibile di ogni giorno a diventare a quel modo per assumere poi nuova forma.

«Che cavolo ci trovi di divertente, idiota di un insegnante?!» sbottò Alice, che evidentemente non si sentiva affatto a suo agio in quella situazione – come forse era normale sentirsi, pensò Oz. Erano lui e Break a non essere “normali”, in un certo senso. Anche se il docente lo era forse ancor meno di lui: almeno Oz aveva dalla sua il fatto che non fosse una situazione nuova e che ci si fosse in qualche modo abituato.

«Ma dai, signorina Lewis…» la prese bonariamente in giro Break, prima di cambiare totalmente espressione, passando da una scanzonata ad una divertita tanto quanto lo era stata nel ritrovarsi nella condizione di schiacciare Cheshire poco prima: «se ci facciamo prendere del panico, non finirà bene, e sarà la volta buona che Rufus mi ammazza. Sempre nell’ottimistica previsione di sopravvivenza. Che, non avendo idea di dove siamo o di cosa stia accadendo, è una cosa che non so quanto considerare certa.» commentò, una certa serietà di fondo nella sua affermazione. Anche se più che tranquillizzare, da bravo insegnante, rischiava di agitare gli altri due ancora di più.

Oz abbozzò un sorrisetto leggero, tornando poi con lo sguardo di fronte a sé: il nuovo paesaggio era ormai definito, ma era un giardino come tutti gli altri, con nessun particolare che potesse far intuire ad Oz se fosse o meno un posto conosciuto o visto almeno una volta.

Questo almeno finché non fu proprio Break a riconoscerlo, assumendo un’espressione così allibita da risultare buffa, tanto che il biondo avrebbe ridacchiato se la situazione fosse stata diversa: «…Ma siamo solo nel giardino di Latowidge.» se ne uscì.

Oz stava prendendo in seria considerazione di prepararsi ad un’aggiunta sul genere di “lo so perché a quell’albero ho appiccato fuoco durante il secondo anno” – visti i precedenti – quando il fiato gli morì in gola.

Inquadrò poco distanti da loro tre figure che Break ed Alice, presi ad osservare in un’altra direzione, non avevano ancora notato; Oz si bloccò per qualche istante, senza riuscire a fare altro che osservarli, quasi dimenticandosi di respirare.

Poi, allungò appena una mano a tirare una manica del docente, attirandone l’attenzione: «Non è Latowidge… è solo un ricordo.» mormorò, guadagnandosi un’occhiata piuttosto perplessa da Break e a dir poco confusa da parte di Alice.

«Potresti ripetere, signor Bezarius?» lo incalzò Break, sebbene con il tono di chi ti stava seriamente prendendo per pazzo.

«Ha capito bene.» ribatté quasi brusco Oz, indicandogli a quel punto la direzione in cui aveva notato quel particolare che gli aveva reso tutto più chiaro e verso cui si voltarono anche gli altri due, proprio mentre Oz spiegava il perché di tanta sicurezza.

«Non potrebbe essere altrimenti. Se c’è mio fratello… non può essere altro che un ricordo.»

 

 

Note autrice (ancora viva, sebbene data per morta)

 

Vorrei potermi rallegrare del fatto che sono passati esattamente 4 mesi – e quindi della mia precisione in fatto di giorni – ma è un tempo immane. Non c’è niente di cui rallegrarsi ;__;”

Con questo ritardo immondo, passo alle comunicazioni di servizio.

 

Innanzitutto, la frase in apertura è dell’anime “Uraboku”.

Poooi. La fine di Rinnega si avvicina (ebbene sì, esiste la parola fine): con questo capitolo 19 concluso, ne mancano esattamente 3 più un epilogo.

Nota dolente, è che sicuramente ritarderanno un poco: devo cercare di non far crescere le ragnatele anche ad un altro progetto. In più, proprio come è stato per il primo anno di pubblicazione, vorrei festeggiare il secondo con uno special :3 (anche se non ci sarei arrivata a due anni se non avessi rallentato i ritmi 8D ma queste sono quisquilie).

Dunque in caso che questo secondo special ci sia, il prossimo capitolo arriverà un pochino più tardi. Ma non passeranno 4 mesi, confido nelle mie (brevi) vacanze dagli esami 8DDD

 

Nuit: sì, i nervi di Sirjan li stiamo perdendo per strada, ma come dargli torto ormai XD Ma con lui, almeno fino all’ultimo capitolo, si può star certi di una cosa: c’è sempre qualcosa dietro 8D
Per Alice, ormai ci siamo quasi, abbi fede. Anche se probabilmente è la persona meno probabile…? *bello che non lo sa nemmeno lei*

Per Lacie non si è ancora capito nulla da questo capitolo, mentre invece almeno si è spiegato il perché dell’odio di Lottie maturato negli anni Anche se all’effettivo, quella donna più che tramare… assiste a tutto senza muovere un dito, LOL

Anche se in mega ritardo, spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento – anche se è forse il più corto e con meno chiarimenti di tutti quelli scritti finora… *e dire che avvicinandosi alla fine dovrebbe essere il contrario*

   
 
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