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Autore: Patta97    28/06/2011    4 recensioni
Ciao! E' la prima ff che scrivo su Fairy Oak, ma avevo quest'idea già da un po' e finalmente ho avuto il tempo di scriverla! Questa long parlerà di Felì che, dopo che sono trascorsi altri 15 anni e ha accudito un maghetto in un altro paese magico, scopre di aver ricevuto una lettera da parte di Vaniglia, che la prega di venire ad accudire la sua bimba, che nascerà a breve. Questa storia sarà molto tranquilla e piena di descrizioni di luoghi e delle vite dei nostri non più così giovani eroi e dei loro degni figli. Spero vi incuriosisca e vi piaccia! Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero troppo euforica, troppo arcicontenta. Ero accecata dalla felicità e, come diceva il mio stupendo nome, avrei voluto farlo sapere, anzi, gridarlo al mondo intero.
Le mie amiche fate erano molto contente per me, ma erano restie a lasciarmi andare così presto, infatti, ero appena tornata, come avevo accennato in precedenza, dal mio secondo incarico. Era stato presso un paesino non molto più grande di Fairy Oak, New Hou, e avevo fatto la tata a un dolce maghetto di nome Acero, sotto la guida di sua zia, Betula, maga semplice e tutto ciò che restava ad Acero. A malincuore avevo abbandonato anche lui e mi ero lasciata alle spalle la vita tranquilla a New Hou, proprio come, quindici anni prima, avevo fatto con Fairy Oak.
Le fate del Regno delle Rugiade d’Argento, Stellalucentedisera e io festeggiammo l’evento la sera prima della partenza con un piccolo banchetto a base di ottimi fiori d’arancio e bevemmo nettare dolcissimo a sazietà. La mattina dopo, in effetti, quando fui svegliata all’alba da un’eccitatissima Stellalucentedisera, mi sentivo la testa leggermente pesante. Anche la mia giovane amica, infatti, avrebbe affrontato il viaggio con me, arrivando  a Fairy Oak prima di quanto richiesto per ambientarsi al meglio.
Ci mettemmo in cammino, i saluti gridati e gli abbracci caldi delle nostre amiche alle spalle e promesse accoglienti e familiari all’orizzonte, accompagnate dal cadere leggero delle foglie croccanti d’autunno e dal vento freddo che preannunciava una stagione rigida.
Impiegammo poco più di una settimana di viaggio. Volavamo tutto il giorno, attraversando montagne, valli, fiumi, laghi, campagne e pianure, osservando case, fattorie, villaggi e boschi, dormendo ogni sera in un fiore diverso, tulipani, girasoli, papaveri, per poi ripartire poco più tardi dell’alba, dopo una leggera colazione.  Poi, eccolo lì.
Bosco-Che-Canta si stendeva davanti a noi, con tutti i suoi maestosi alberi, anime di chi aveva trasgredito la legge per amore, per proteggere i propri cari. Scendemmo quasi raso terra e volammo tra i rami, bassi, alti, nodosi e sottili, facendo sberleffi e carezze agli animali che ci guardavano, curiosi. Non mi accorsi quasi subito del Salice. Era ancora come lo ricordavo, imponente e maestoso, con i rami lunghi e filiformi che quasi toccavano il terreno ricoperto di muschio. Stellalucentedisera notò la mia improvvisa serietà e smise di fare dei leggeri buffetti sulla testa di un coniglietto dal musetto simpatico, per seguirmi, volando piano. Mi fermai davanti al tronco e feci una carezza alla corteccia; un venticello improvviso fece muovere lievemente i rami dell’albero, o forse era solo lui che mi rivolgeva un saluto.
- Chi è? – chiese Stellalucentedisera, quasi sussurrando, gli occhi color di rosa pieni di curiosità.
- Solo una vecchia e saggia amica – risposi io, rivolgendole un sorriso.
Ricominciammo a volare con una nuova baldanza, consapevoli che la meta fosse così vicina nonostante fosse ancora pomeriggio; a prendercela comoda, saremmo arrivate entro sera.
Mentre volavamo sopra la Valle di Verdepiano, sentivo risvegliarsi in me i ricordi delle mie precedenti avventure, dei giochi, delle risate, della mia vita in quel luogo incantato. Vidi la Rocca di Arrochar, antro di terrore e di paure, cui volammo paurosamente vicino, e, in lontananza, la fattoria dei Poppy, culla di ricordi lieti e sereni, cui volammo, invece, purtroppo, troppo lontano per vedere se fosse ancora abitata o meno. Poi il faro, il porto, col Sant’uomo ben ormeggiato insieme a tante barche più piccole, le baracche dei marinai, il Museo del Capitano…
Si fece sera e, di là, la casa dei Rose, quanto saranno diventate grandi Salvia e Nepeta! E lì, quella dei Corbirock, i sette monelli come staranno? Quella laggiù, invece, la staccionata di casa Bugle, la piccola Margherita sarà cresciuta ottimamente sotto le cure del caro Acanti.
Poi, la piazza di Quercia. Era lì, il saggio e un po’ pettegolo vecchio albero, se possibile, più maestosa di quanto ricordassi. Volammo giù da lei e mi riconobbe subito.
- FELÌ! – esclamò col suo vocione. – CARA FATINA, SONO PASSATI TANTI ANNI, EPPURE ECCOTI QUA! – disse poi, avvicinandomi un ramo e dandomi un colpetto sulla spalla in segno d’affetto, io glielo strinsi, con le lacrime che mi facevano luccicare gli occhi. Poi Quercia notò la mia compagna.
- CHI È QUESTA BELLA E GIOVANE FATINA, MIA CARA FELÌ? – chiese.
- Piacere, Quercia – si fece avanti la mia amica, titubante. – Sono Stellalucentedisera, e sarò la fata-tata dei Burdock, richiesta dall’onorevole strega Vaniglia Periwinkle in persona per sua sorella Pervinca – aggiunse, orgogliosa.
- BENVENUTA, STELLALUCENTEDISERA – la voce di Quercia era come se sorridesse. – FAIRY OAK SARÀ LA TUA CASA -.
Facendo un ultimo saluto a Quercia, volammo, sfinite ma emozionate, verso piazza Soffiododicisofficisoffidivento. Il cuore, mentre ci avvicinavamo alla fontanella dove anni prima Vaniglia aveva visto il suo destino, prese a battermi forte forte; Stellalucentedisera mi strinse la mano, rassicurandomi. Arrivammo di fronte alla casa. Era tutta in pietra grigia e legno, con una staccionata che profumava di castagno e un grande giardino verde, con un grande olmo in un angolo, che ombreggiava una panchina di pietra. La facciata era seminascosta da una grande rampicante verde, priva di fiori in quel periodo. Una cassetta delle lettere in legno portava scritto sopra “Casa Burium” a caratteri svolazzanti e ordinati: la calligrafia di Babù. Attraversammo la facciata per arrivare davanti alla porta di legno scuro, da una finestra arrivava una luce tremolante di qualche candela. Feci per bussare, ma sentii la stretta di Stellalucentedisera allentarsi per poi svanire. Mi voltai verso di lei.
- Devi entrare da sola, Sefelicetusarai… Felì – disse, sorridendomi incoraggiante. - Ti aspetterò tra i rami di quell’olmo, sono tanto stanca… quando vi sarete riabbracciati a dovere mi chiamerai, strega Vaniglia è comunque la mia strega – aggiunse, facendomi l’occhiolino e  volando fra i rami dell’olmo.
Mi rigirai verso la porta e bussai, controllando prima che i miei capelli e il vestito di nuvola fossero in ordine. La porta si aprì e ogni preoccupazione volò via, così come il senso di emozione. Era solo gioia, gioia pura, come se ogni pezzo del mio cuore si fosse messo al proprio posto.
 
 
___________________ 
Ma ciao!
Vi lascio con un pochino di suspense, nell’attimo in cui Felì sta per rivedere la sua amata Babù dopo quindici anni.
Spero di poter aggiornare presto!
Patta 
  
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