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Autore: billiejoe    07/07/2011    0 recensioni
La storia di un ragazzo alla deriva in una piccola città di provincia, diviso tra i sogni di diventare famoso, il ricordo del passato felice che non ritorna, e l'angoscia dell'aver perso l'amore di tutta la vita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Across the Universe
 


Aveva un paio di jeans aderenti, che gli esaltavano le forme che più amava del suo corpo, e una camicia blu abbottonata quasi fino al collo. Era parecchio freddo il suo piccolo monolocale, ma aveva quel piumone scuro sul letto, e si sentiva protetto. Un tempo, quando passava i suoi pomeriggi su quel sito di impiccioni, aveva commentato che bastano poche cose per il Paradiso. Un letto caldo, un portatile, e un barattolo pieno di nutella. Non aveva parlato del Prozac, all’epoca gli piaceva ancora apparire come un ragazzo sereno e senza turbe mentali.
 
E adesso, era davvero giunto il momento di vedere se quel Paradiso fosse o meno reale, e speciale come lo aveva immaginato. Aveva preso il suo barattolino mezzo vuoto di nutella e un cucchiaio, e si era infilato sotto le coperte tutto vestito, senza togliere neppure gli stivaletti neri di pelle. Si era sistemato il cuscino alle spalle ed aveva iniziato ad armeggiare col suo lettore mp3.
 
Damon amava ogni genere di musica, purchè fosse profonda e intelligente, a prescindere dal genere e dall’età di una canzone. Amava i Beatles, perché riteneva che nessuno avrebbe mai più potuto creare quei capolavori di semplicità ed emozioni che Paul e John avevano nel tempo offerto ai loro fan, e agli amanti della musica di tutto il mondo. Mentre mangiava la nutella, leccando il cucchiaio lentamente, e facendola sciogliere sotto il palato, per gustarne meglio il sapore, ed il calore che dava alla sua bocca ed al suo cuore, Damon aveva selezionato una cartella speciale nel suo ipod, ed era davvero speciale perché l’aveva creata quando aveva diciassette anni.
 
L’aveva creata nella sua testa, quando era chiuso in quella stanza asettica e fredda, con il crocefisso dipinto e l’odore di alcol. Aveva cantato nella sua mente ognuna di quelle canzoni, una ad una, cercando di ricordare ogni parola, ogni diverso suono di ogni diverso strumento, e ogni pausa, ogni tempo, ogni sfumatura nella voce di chi cantava. Aveva pensato sempre che un giorno la pazzia avrebbe preso il sopravvento sulla sua testa, e avrebbe cancellato tutti i suoi ricordi più belli, ma era certo che niente avrebbe potuto rimuovere le emozioni e i ricordi che lui aveva collegato a quelle canzoni, a quelle parole, a quelle note.
 
Aveva finito tutta la nutella e aveva nascosto il barattolo nel cassetto del comodino a tre piedi. Stava fermo a guardare il muro di fronte a sè per cercare di capire se quella falena fosse reale, o fosse semplicemente un’allucinazione.  Ma ormai la sua mente era presa da una febbre irreale, e non era più in grado di distinguere la realtà dalla finzione.
 
Lentamente, e metodicamente, aveva iniziato ad arrotolare le maniche della sua camicia fino al gomito, stirando con le dita accuratamente ogni piega, e poi era rimasto per un attimo a fissare le sue braccia martoriate.
 
In quei mesi si era tagliato talmente tanto, e tanto spesso, che la sua pelle era ormai un velo bianco e sottile ricoperti di crosticine sottili e ancora non indurite. Aveva accarezzato quelle cicatrici pensando a quello che ciascuna di esse aveva rappresentato per lui, ma non riusciva a ricordare tutto il male che aveva dentro.
 
Si era infilato una mano nella tasca stretta dei jeans, e aveva tirato fuori un flacone di Prozac. Certo, un vero uomo di sarebbe sparato un colpo facendosi saltare le cervella, oppure si sarebbe lanciato sotto un treno in corsa, ma lui era sempre stato vanitoso, e voleva che il suo corpo non subisse traumi dalla sua morte. Aveva svuotato le ventisette pillole nella sua mano destra, ed una ad una le aveva infilate in bocca, e le aveva mandate giù senza bere nemmeno. Così, non ci sarebbe stata schiuma alla sua bocca, perché era orribile vedere i cadaveri dei morti per overdose.
 
Aveva sistemato il suo cuscino e poggiato la sua testa stanza rivolta verso il soffitto. Aveva paura del buio, e dormiva sempre, sempre con la luce della sua lampada accesa. Aveva sistemato le cuffie nelle orecchie cercando di fare in modo che non gli facessero male quando si girava, perché sapeva che non avrebbe resistito molto in quella posizione, e che presto o tardi si sarebbe rannicchiato come un bambino nell’utero materno, per sentirsi meno solo.
 
Man mano che i minuti passavano, gli occhi di Damon si facevano sempre più pesanti. Nella mano destra non c’era che una sottile patina gelatinosa dovuta alle capsule che ormai erano dissolte nel suo organismo. E sul cuore, stretta in un abbraccio forte e passionale, c’era una foto in bianco e nero, una foto fatta col cellulare di lui, in quel locale fumoso, quella sera di sette anni prima.
 
Non si vedeva nemmeno bene, e lei era leggermente voltata a guardare il palco, ma il suo sorriso era limpido, e i suoi occhi erano innamorati, ed erano tutti per lui. era la prima foto che aveva fatto a Maria, e sebbene lei la odiasse a lui piaceva ricordarla in quel locale, con quella maglietta nera con una scritta assurda inneggiante ai Beatles, e i capelli corti, la frangia sottile sugli occhi scuri e la sigaretta tra le labbra morbide. Maria era stata l’unica donna che lo avesse mai, mai amato. E lui non aveva mai svelato a nessuno i segreti del suo cuore e della sua mente, e non aveva la forza di pensare di poter un giorno ricominciare da zero, e condividere le sue paranoie con un’altra donna.
 
Damon non aveva la forza di ricominciare. Punto. Non aveva la voglia di riprendere le redini della sua vita e di continuare un percorso che lo aveva spaventato sempre. Non voleva vivere più, era stanco. Probabilmente, i suoi amici e la sua ragazza avrebbero etichettato il suo ultimo disperato gesto come un atto di vigliaccheria, e forse era davvero solo questo. Ma Damon aveva un’altra verità.
 
Ogni notte, due uomini dal nauseante odore di formaldeide entravano nella sua stanza, avevano il volto coperto, e le braccia pelose, un camice bianco e un fazzoletto. Mentre uno di loro gli metteva il fazzoletto in bocca, l’altro gli tirava giù i pantaloni, e iniziava a stuprarlo sotto lo sguardo eccitato dell’altro. Lo avevano violentato quattro volte, nel silenzio della sua stanza asettica, lasciandolo con i pantaloni bagnati di pipì. Ogni notte, Damon si svegliava nel suo letto bagnato, e piangeva, e non riusciva a cancellare quei ricordi che lo tormentavano ormai da dieci anni. Teneva la luce accesa e fissava la porta, e non vedeva quegli uomini finché i suoi occhi non riuscivano più a reggere il peso della stanchezza.
 
Non quella notte. Aveva tirato un sospiro profondo, e aveva chiuso gli occhi. Le magiche note di Across the Universe avevano iniziato a investire la sua mente ormai confusa e stanca. Le parole avevano davvero iniziato a danzare nella sua testa, e quei suoni psichedelici si erano trasformati in immagini e colori meravigliosi.
 
Un profondo senso di pace si era impossessato del suo corpo stanco e martoriato. Come in un film aveva rivisto tutti i momenti più belli della sua vita, e solo quelli. Lo aveva letto da qualche parte che prima di morire il cervello si prepara a rivivere solo i momenti più belli, quelli che danno pace e sollievo al corpo, per prepararlo meglio alla morte.
 
Aveva scostato la mano e spento la lampada. All’improvviso l’alone giallo nei suoi occhi chiusi era scomparso, e aveva sentito freddo, un brivido inatteso e violento. Ma poi, come aveva previsto, si era rannicchiato sotto le coperte, e aveva sorriso. Il mio ultimo pensiero è per te, Maria. Aveva sussurrato quelle parole con calma e fredda rassegnazione. E con amore. Forse non erano neppure uscite dalla sua bocca.
 
Damon si era addormentato. Ma questa volta non si sarebbe svegliato tra le lenzuola bagnate, tra gli incubi, e il suono vuoto del telefono spento di Maria. Non si sarebbe svegliato spaventato e confuso. Non si sarebbe svegliato più.
  
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