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Autore: Mitsutsuki    29/07/2011    1 recensioni
Non aveva un nome. Credeva che venir delineato da una parola come un’altra non facesse al caso suo. [...] Era per questo che non si presentava in nessuno modo, solo “lui”. Se poi c’era chi lo voleva additare con altri epiteti, libero di farlo. “Lui” rimaneva il suo preferito.
Genere: Comico, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
Le Regole


Tirò le maniche della felpa a coprire i polsi arrossati. Poi si passò una mano tra i capelli, mentre l’altra aggiustava gli occhiali sul naso. Nel complesso, cercò di darsi l’aspetto di chi si è trovato a casa di un amico a guardare un film, dimenticandosi di avvisare.
Zachary inspirò a fondo, portando lentamente una mano sul campanello del suo appartamento. A farlo entrare nel palazzo era stato un anziano ricurvo dell’ottavo piano, con un cappello calato su un codino di capelli bianchi troppo lunghi per un vecchio.
— Facciamo le ore piccole, eh? — Aveva gracchiato, battendo il pomo d’argento del suo bastone sull’orologio. L’una e mezza di una notte senza Luna. Poco importava che l’anziano stesse uscendo per andare chissà dove, a fare chissà cosa, per tornare a chissà quale orario: erano sempre i giovani reputati “degeneri” ad essere nel torto.
Un altro respiro e la mano che aveva sfiorato fiduciosa il campanello tornò ad afflosciarsi lungo un fianco. Zachary fissò l’occhiolino della porta come se questo ricambiasse il suo sguardo. Poi il tondino sparì dalla sua vista, portato indietro dall’aprirsi dell’ingresso.

Stiracchiò un sorriso forzato, mentre il cervello formulava un unico pensiero: “Merda.”
Sullo sfondo di una sala da pranzo illuminata a giorno, incontrò un’agente in divisa blu scuro, dalla corporatura modellata dal giubbotto anti-proiettile e le braccia così lunghe che avrebbero potuto abbracciare un container. L’uomo rischiò di travolgere il ragazzo e di far rovinare entrambi sul pavimento appena cerato, ma si fermò giusto in tempo.
— Trovato. — Fece l’agente vittorioso e alzò il polso destro a controllare l’ora — Dieci secondi. Un nuovo record! — Lo guardò riconoscente ed entusiasta al tempo stesso, benché la sua gratitudine sembrasse rimbalzare sulla depressione dilagante sul volto di Zachary. Quest’ultimo stava rapidamente passando in rassegna eventuali scuse e contro-scuse, corredate o meno da catastrofi naturali e cellulari traditori. Nessuna, purtroppo, gli suonava plausibile.
Raccontare di un folle che l’aveva sequestrato per insegnargli tre regole e ingaggiarlo per un lavoro (di cui non aveva voluto, né potuto, sapere altro)? Fuori discussione. Non voleva che sua madre si preoccupasse più del dovuto. Stava bene, in fin dei conti.
L’agente, che per la famiglia rispondeva al titolo di zio Karl, scivolò alle sue spalle. Lo fece in silenzio, senza nemmeno sfiorare il porta-ombrelli nell’angolo tra il muro e la porta, come solo anni di addestramento avrebbero potuto insegnargli.
Poggiò le mani sulle spalle di Zachary e lo spinse dentro.
Abbagliati entrambi dalla spropositata quantità di luci accese, nessuno dei due si accorse dell’ombra che si avventò sul giovane. Dalla foga si sarebbe detto tentasse di strozzarlo, mascherando l’omicidio con un innocente abbraccio.
Zachary annaspò, stretto tra le braccia della madre che singhiozzava convulsamente al suo orecchio, mentre Karl chiudeva la porta d’ingresso.
— Eleanor, lo uccidi. — Osservò un paramedico e le sue parole furono accompagnate da un gesto della mano. Stava appollaiato vicino alla finestra, col mento su di un palmo. Zio Brendon, sempre per la famiglia. Due metri di comprensione e complicità incoronati dai riflessi dorati di lunghi capelli biondi.
La donna scese dal figlio, troppo alto per lei e per essere ancora chiamato bambino. Questi riuscì a malapena a raddrizzarsi dolorante, prima che la madre gli si avvinghiasse nuovamente al collo.
Karl soffocò una risata passandogli accanto. Vedere la sorella saltare in quel modo era uno spettacolo. Una sorta di rimunerazione per le ore trascorse ad aspettare il figlio al prodigo, bevendo litri di caffè istantaneo e prodigandosi nel rassicurare Eleanor con le migliori frasi fatte del suo repertorio.
Il giovane cercò di afferrare le braccia della madre e costringerla a rimettere i piedi per terra, mugugnando un “mamma, ti prego”, rivolto più al soffitto che ai ricci scuri di lei.
Eleanor si sentiva leggera, quasi divertita. Le gambe le formicolavano come panetti di burro in padella: fu anche per questo che, benché il suo bambino avesse sciolto l’abbraccio, la mano destra scivolò da dietro al suo collo fino a trovare quella del figlio e stringerla forte, perché la sostenesse. Lo trascinò riluttante sul divano.
Dal canto suo, Zachary non oppose grandi resistenze. Era stanco. Non tanto fisicamente - anche se fare di corsa dalla campagna alla città non era stata un’idea brillante - quanto mentalmente: voleva smettere di pensare, stendersi sul letto e lasciare che il cervello si dilettasse davanti a qualche sogno più o meno sensato. Ma più di ogni altra cosa, desiderava che tutti quanti la smettessero di trattarlo come un pupazzo: lui l’aveva sequestrato e sua madre non faceva altro che abbracciarlo e accarezzarlo.
Sospirò, buttandosi di peso ad affondare sui cuscini del divano, gli occhi chiusi e la bocca adibita alla raccolta di ossigeno.

Due tocchi al suo ginocchio costrinsero Zachary a riaprire gli occhi. Alcune luci erano state spente, solo il soggiorno e la cucina rimanevano illuminati.
Per un motivo o per l’altro, avere le luci accese aveva un effetto terapeutico su Eleanor, come se la rassicurassero, divorando le paure della notte.
Zachary guardò sua madre. Gli sorrideva, mentre la stessa mano che aveva richiamo la sua attenzione si sollevava e indicava di guardare avanti.

Il signor Oakley fumava la pipa e fumava la pipa perché era irritato.
Come ricordandosi solo in quel momento di dover delle spiegazioni, magari affiancate da qualche scusa sentita, Zachary ebbe un sussulto e si mise seduto sul bordo del divano con la schiena ben diritta.
Preparò i propri polmoni all’arduo compito che li aspettava - non ricevere ossigeno per i minuti immediatamente successivi - mentre lo sguardo, indisposto ad incrociare quello del padre, seguiva zio Karl affiancarsi al fratello vicino alla finestra, avendo appena assolto al ruolo di spegni-luce.
Eleanor accarezzò la mano del figlio in un gesto che poteva dirsi incoraggiante e ingenuo al tempo stesso, a seconda che credesse o sperasse di ottenere delle spiegazioni valide.
— Ehm... — Zachary si rimproverò da sé quel pessimo inizio. Si schiarì la gola.
Howard Oakley aggiunse del tabacco alla pipa, gli occhi nascosti dalla piega delle sopracciglia.
— Sono stato a casa di un amico a vedere un film. Mi sono addormentato. Non ho potuto chiamare. —
Era un pessimo bugiardo. La voce eccessivamente acuta, le frasi brevi recitate con meccanicità malamente studiata. Se fosse stato un attore si sarebbe tuffato in una cassetta di pomodori per evitare agli spettatori la fatica di gettarglieli addosso.
Si concesse un breve respiro, prima di tornare a trattenere il fiato succube della ruga che si delineava sul volto del padre. Questi aveva allontanato lentamente la pipa dalla bocca per parlare, ma anche per far patire al figlio l’attesa di vedere finalmente la mano appoggiarsi sul ginocchio.
Il signor Oakley odiava la guerra e qualsivoglia forma di violenza fisica o psicologica. Tuttavia, amava vendicarsi a suo modo.
— Non ti credo. — Sentenziò capitale, dopo un tempo che avrebbe potuto coprire intere ore e accogliere l’alba. Poi guardò la moglie i cui ricci seguivano il cenno del capo, sembrando contrariati anch’essi.
Howard si domandò se leggere le labbra le desse la facoltà di percepire le menzogne. In quel caso, avrebbe comunque preso le difese di Zachary?
Lui no. Nemmeno se l’avesse onorato della verità.
Eleanor era troppo buona. Una caratteristica peculiare nella sua famiglia, tanto che, a un gesto della donna, zio Brendon si sentì in dovere di rendervi onore, schierandosi a sua volta dalla parte di Zachary, che all’osservazione di Howard non aveva trovato di che replicare.
— È tardi. Come paramedico e zio suggerisco a Zach di andare a letto. — Lanciò un’occhiata eloquente al ragazzo, immobile nella pallida contemplazione della pipa sul ginocchio nodoso del padre. Fu solo quando la vista gli risultò ostacolata da una mano agitata davanti al volto che rinvenne. Sua madre gli fece il chiaro segno di andare a letto. E subito. Prendeva sempre molto sul serio le prescrizioni di Brendon.
Zachary si sollevò lentamente, con la circospezione di chi teme l’aria delle quote elevate. Poggiò le labbra sulla fronte di Eleanor, trovandola piacevolmente calda, e sfilò davanti agli zii sussurrando un “buonanotte” a mezza voce, mentre sentiva la disapprovazione di suo padre farsi opprimente sulle spalle, seguito dall’odore di tabacco.
Il giorno dopo, si ripromise, avrebbe dovuto articolare meglio la propria bugia.

Senza occhiali, il soffitto al buio era un’insieme di puntini minuscoli, quasi fossero i pixel di un televisore spento. Osservandoli attentamente cominciavano a muoversi - ma forse era solo frutto della sua immaginazione - e allora potevano essere paragonati a miriadi di insetti più piccoli di un moscerino.
Sbuffò, girandosi su un lato. Le molle del letto cigolarono, impadronendosi della notte: un solo piccolo rumore contro l’immensità del silenzio, costretto a ritirare le truppe finché la minaccia non fosse passata.
Zachary vagò con lo sguardo dove sapeva trovarsi la scrivania. Più che vederla, la immaginò: il piano largo, la lampada in un angolo, i libri aperti, le penne sparse... avrebbe dovuto riordinarla, come lo avevano esortato a farlo innumerevoli volte.

Non contraddire chi è più grande di te.

Fece una smorfia e tirò le lenzuola a scacciare quel ricordo molesto. La voce di quel folle gli rimbombava nel cervello: ogni volta che pensava a qualcosa, sembrava che una di quelle sue maledette regole fosse stata fatta apposta.

Non contraddire chi è più grande di te e ti dice di fare ordine.”
Non contraddire chi è più grande di te e ha capito che stai mentendo.”

Inspirò a fondo, aprendo definitivamente gli occhi.
La sveglia sul comodino segnava spietata le quattro del mattino. Rimase a guardarla storto qualche istante, tentando di addossarle la colpa della sua insonnia. Mentre si domandava se cambiare orario l’avrebbe predisposto ad una sana dormita, si risolse di tirarsi a sedere, sollevandosi sui gomiti.
Inforcò gli occhiali e accese la luce.
Ricordava che, una volta, il dottor Ward gli aveva detto che scrivere le cose che lo preoccupavano avrebbe favorito il loro “smaltimento” da parte del sub-conscio, che se ne sarebbe liberato. Zachary non ci aveva creduto granché ed ora che si accingeva a dargli retta, l’idea di assecondare le originali cure del suo dottore lo allettava molto di più che pensare di mettersi a scrivere in nome della seconda regola di quel lui.
Lo faceva per relegare i suoi problemi su un foglio, non certo per ricordare.
Descrisse alla carta dell’infelice esperienza avuta con l’uomo e di come gli avesse messo in testa quelle maledette regole che non lo facevano dormire.
Appena la penna ebbe tracciato l’ultima frase: “Esci da qualunque situazione, sempre e comunque”, la mano corse ad accartocciare il foglio e gettarlo nella spazzatura.
Zachary stese le braccia sopra la testa, sbadigliando. Per una volta pensò che avrebbe dovuto dire al dottor Ward che un suo metodo aveva dato risultati soddisfacenti.
Ma quando si fu rimesso a letto, temette di dimenticarsene e di nuovo la voce di lui tornò a rimbombargli nel cervello.

Se non te lo ricordi, scrivilo.

Al diavolo.



RE - Recensioni

Angiericcio: grazie, sono contenta ti abbia incuriosito :)
Eastre: grazie mille, sei stata molto gentile. Sono felice che ti piaccia e che trovi ben descritti gli ambienti - sono sempre stati un mio cruccio, a dire il vero (di fatti in questo capitolo sono un po' trascurati). Il concorso è andato molto bene, mi sono classificata quinta con un punteggio di 55,5/60. Posso ritenermi soddisfatta, è un ottimo punteggio.

Ringrazio chiunque abbia anche solo letto distrattamente questa storia.
Davvero, per me è già una piccola gioia sapere che, nonostante la mia auto-stima mi sia avversa, c'è qualcuno che legge e magari apprezza.
  
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