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Autore: LoveShanimal    03/08/2011    4 recensioni
Io sono Helena. E questa è la mia storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera! Scusate se non faccio nessun ringraziamento o altro, ma è tardi! >.< Posso dire solo grazie a chi mi segue!
Buona lettura! 
(spero non troviate errori, lo ricontrollerò domani!)

Capitolo 3: I will never regret.
 

 
“Helena!” Shannon si avvicinò e mi cinse le braccia per salutarmi.
Io rabbrividii a quel contatto, ma feci finta di nulla.
“Allora? Come è andata l’altra serata alla fine?” scherzai io.
“Bene, avevi ragione!” iniziammo a ridere sotto lo sguardo allibito di Cristopher.
“Shannon! Non darle corda!” lo richiamò il fratello.
“Dai andiamo, prima che mi mandi in bestia.” Mi legai attorno al braccio il cinturino della mia macchina fotografica, e aspettai che anche Shannon tornasse al suo posto.
“Allora.. mettetevi nella posa che preferite, faremo qualche foto così e poi vedremo se mettervi in qualche modo particolare.”
In quel momento tornai seria e iniziai a scattare tantissime foto, poche serie e la maggior parte divertenti. Quei tre mi stavano simpatici, alla fine, perché pur avendo molto successo, secondo il mio assistente, erano naturali. Non portavano una maschera, non si erano creati un personaggio che sfoggiavano in pubblico, erano loro stessi nelle loro risate, erano loro stessi nel loro modo buffo di fare, erano loro stessi anche nei vestiti stravaganti che portavano.
Ad un certo punto iniziarono a litigare come tre bambini, e io non smisi di fotografarli. Shannon prese da dietro il fratello che finse di soffocare, mentre Tomo fingeva di svenire per la paura.
Io non mi scomposi più di tanto, mentre sentivo dietro Cris che non riusciva a trattenere le risate.
Passammo un’oretta buona per fare il servizio fotografico, e scattai talmente tante foto da attaccarle ai quattro muri di una stanza e non lasciare neppure uno spazio vuoto.
“Dobbiamo scattare qualche foto in una posa particolare?” disse ad un certo punto Jared, per la prima volta senza sputarmi veleno addosso e addirittura con un sorriso non sarcastico sulle labbra.
Io iniziai a riporre tutti i pezzi della mia macchina fotografica nella borsa, e risposi: “No, sono soddisfatta così… Cris? – dissi, girandomi verso il mio assistente – inizia a spegnere le luci e ad aprire le tende.” Lui nemmeno finita la frase scattò e si diresse verso le lampade colorate dietro la scenografia.
Presi solo la card della memoria dove c’erano tutte le foto che avevo appena scattato, e la infilai nel computer. Iniziai a tamburellare le dita sulla scrivania mentre la cartella non caricava, e intanto loro si avvicinarono.
Mi rivolsi a Tomo. “Siccome tu sembri molto più affidabile di loro due.. – puntai i due fratelli Leto – parlerò con te. Non penso di avere troppi problemi a smistare le foto, mi dovete dire il numero di scatti di cui avete bisogno e.. la scadenza. Se mi ci metto d’impegno potrei farvele anche per domani, non ci sono problemi.”
“Le foto non ci servono con urgenza. Abbiamo bisogno di una sola, in realtà, da usare come poster per il nostro prossimo tour. Abbiamo ancora alcuni mesi. Se vuole ce le puoi mette..” lo interruppi.
“Se avete bisogno di un grafico ci sono io. Con photoshoop me la cavo..” sorrisi. Era da quanto? Cinque anni? Si da quando avevo aperto il mio studio che mi esercitavo con quel programma.
“Stai scherzando?! Il nostro vecchio grafico l’abbiamo licenziato quindi.. ci faresti un gran favore ad aiutarci!” Tomo mi stava simpatico. Era gentile e non si dava tante arie, al contrario degli altri componenti della band.
“Ei ei ei! Caaaaaaaaalma. Cos’è tutta questa fretta e queste proposte lanciate così? Non possiamo offrire un lavoro al primo che capita!” si intromise Jared, rivolgendosi a Tomo.
“Ma..” iniziò lui la frase, e per la seconda volta fu interrotto.
“Niente ma! Qui non possiamo mettere in mano di chiunque il nostro lavoro!”
“Io non sono chiunque, caro Jared. Anche perché sei stato tu a venire da me non il contrario. Non vuoi una mano da me? Bene! Allora ti faccio pagare tutte le foto che ho fatto oggi, e con il grafico di tuo gradimento impazzirete per smistarle! – mi girai – guarda un po’, non solo uno vuole essere gentile..”
Sentii da dietro Jared sbuffare, e poi qualcuno che confabulava.
“Cris? Io stacco dieci minuti. Congeda tu i signori e fissagli un appuntamento per venire a ritirare le foto.” Iniziai a camminare verso l’uscita.
“Va bene..” rispose lui, un po’ confuso.
“Helena aspetta!” prima che potessi uscire Shannon mi rincorse. “Mi dispiace per mio fratello, è un..” esito, e io continuai la sua frase.
“Idiota? Deficiente? Egocentrico? Si, l’avevo capito.”
“Lo so, e mi dispiace, ma..”
“Nessun ma, e sono io a dirlo. Io lavoro per le persone, ma non vuol dire che queste mi possono mettere sotto i piedi. Anzi, nessuno può farlo. Ancora di meno tuo fratello.” Presi il cappotto appeso al gancio e iniziai ad infilarmelo.
“Ei mi ascolti un attimo? – mi bloccò il braccio e mi costrinse a guardarlo – lui è come un bambino, deve avere sempre ragione, deve avere sempre l’ultima parola. Ha solo visto la sua autorità cadere, solo questo! Non ha nulla contro di te! Però resta che noi abbiamo bisogno di un grafico. Ci hanno parlato bene di te perciò siamo venuti qui. Ci affidiamo a te anche per questo lavoro.”
Lo guardai dritto negli occhi, in quelle iridi nocciola, e vidi che era sincero. Sospirai, abbassai lo sguardo, e puntai gli occhi sulla sua mano che stringeva il mio gomito.
Appena se ne accorse anche lui mi mollò e si scusò.
“Va bene. Però se accetto questo incarico pretendo rispetto. Altrimenti non si fa nulla.” mi aggiustai il ciuffo e aspettai la loro risposta.
Prima che Shannon potesse dirmi qualcosa, parlò il fratello.
“Va bene. Hai ragione tu, scusa.” Mi sorprese quel suo cambio di atteggiamento, e solo dopo averci ragionato su mi riavvicinai al tavolo.
Presi l’agenda che c’era nel primo cassetto e iniziai a sfogliare le pagine.
Puntai la penna sul foglio e iniziai a scrivere:
 
30 seconds to mars, 16:30.
 
La riposi nel cassetto, e presi uno di quei cartoncini con il logo dello studio sul davanti e nella parte posteriore due righi vuoti.
“Allora.. ho fissato un appuntamento per venerdì alle 16:30. Va bene?”
Al loro cenno di assenso, riscrissi quello che avevo scritto sull’agenda sul cartoncino, aggiungendo anche il giorno.
“Ma te l’abbiamo detto, non abbiamo tutta questa fretta..” disse Tomo.
“Voglio farvi vedere una bozza. Così possiamo discutere meglio sul tipo di foto che volete e su quelle che vi piacciono di più. Lo farei adesso direttamente ma tra un quarto d’ora ho un appuntamento, mi dispiace.” Gli porsi il cartoncino, e Tomo se lo prese.
“No anzi, sei molto gentile.” Mi rispose, sempre con gentilezza, lui.
“Noi togliamo il disturbo. Ti abbiamo fatto perdere già abbastanza tempo!” Jared mi rispose con un sorriso, e mi porse la mano.
Io iniziai a fissarla, e invece di un gesto usuale per salutare una persona ci vidi una richiesta di tregua, di alleanza.
Sorrisi di rimando e gliel’afferrai.
La tensione si rilassò, e salutai anche Tomo.
Loro si incamminarono verso la porta, io mi girai e mi trovai Shannon davanti che sorrideva.
“Grazie, davvero.”
“Non è nulla. Grazie a voi per il lavoro.” Dissi, mentre rimettevo la card nuovamente vuota al suo posto nella macchina fotografica.
“Che ne dici.. – mi disse, mentre sentivo il suo sguardo fisso su di me – di andare a prendere qualcosa al bar, nella tua pausa? Andiamo al ristorante, o dove preferisci!”
“Shannon..” il mio tono era di disapprovazione.
“Non è come pensi. Da amici.”
Mi girai, sorpresa, verso di lui. Non era sarcastico.
“Amici?” chiesi io, titubante. Il pensiero che Shannon potesse avere delle amiche mi era quasi inconcepibile.
“Si, amici! – disse lui, poi si corresse – Cioè amici.. almeno per oggi!”
Risi insieme a lui, e poi gli dissi di si.
“Perfetto! Ti vengo a prendere qui alle..?”
“Stacco verso l’una. Però non posso attardarmi troppo perché alle quattro ho un servizio fotografico e devo stare qui alle tre per aiutare Cristopher con la scenografia. E devo passare pure da casa..”
“Ok ho capito! Cenerentola deve tornare a casa presto!”
Sorrisi di nuovo e poi ci salutammo.
Scomparve da quella porta lasciando dietro di sé solo il ricordo delle sue labbra sulla mia guancia.
 
 
 
 
“Arrivederci!” dissi, alla donna che era venuta nel mio studio a ritirare le foto della comunione della figlia.
Avevo mandato via Cristopher così avrebbe potuto riposare, ed ero riuscita a congedare la signora prima del previsto, così ancora venti minuti mi dividevano dall’una.
Presi il cellulare e nel frattempo chiamai Kris.
“Sei viva allora!” disse lei, neanche dopo un attimo che aveva aperto la chiamata.
“Si, sono ancora viva! Anche se ho mal di testa e sono stanca!” proprio in quel momento sbadigliai.
“Oh mi dispiace! Non avrei dovuto tenerti fino a tardi al telefono ieri sera!”
“No, non è colpa tua. In realtà dopo aver chiuso la conversazione con te ho fatto un bagno. E stamattina mi sono svegliata pure tardi pensa te..” dissi, sedendomi sulla poltroncina blu che era stata la prima quando avevo arredato lo studio.
“Ma tu sei stupida! Un bagno così tardi? E come hai fatto con la band?”
“Niente. C’ho fatto una grandissima figuraccia, e praticamente il frontman mi ha preso pure in antipatia!”
“Bene! Ma com’erano?” disse lei, improvvisamente coinvolta nella conversazione.
“Kris..” dissi io, scuotendo la testa.
“E’ inutile che stai lì, seduta sulla tua sedia a scuotere la testa! Era solo una domanda!” era incredibile come mi conoscesse bene.
“Sbagliato! Sono sulla poltrona. Comunque mi hanno offerto un altro lavoro, di grafica. Li vedrò spesso a quanto pare..” mentre parlavo mi massaggiavo le tempie, anche se era del tutto inutile perché il mal di testa non accennava a passare.
“Uh davvero? Chissà che qualcuno di loro non sia bello!” rise.
“Kris..” ripetei.
“Lo dicevo per me, che vuoi!” disse lei, strafottente.
“In realtà ci esco con uno di loro. Il batterista. A pranzo.”
“CHE COSA?” urlò lei, dall’altra parte del telefono.
“Come amici!” sottolineai.
“Sai che quando torni mi devi raccontare tutto? Dalla prima all’ultima parola?”
“Ma non ci sarà nulla da raccontare! E poi alle quattro ho un servizio fotografico, non so se riesco a chiamarti. Altrimenti stasera.”
“Va bene. Ti lascio che è entrato un cliente. A dopo!”
“A dopo..” tornai alla scrivania, e presi dalla borsa un’aspirina. Avrei dovuto mangiare qualcosa, ma stavo per andare a pranzare e mi sembrava sciocco.
Proprio in quel momento, però, Shannon entrò dalla porta. Ci sorridemmo e senza dire una parola uscimmo da lì.
Solo quando mi ritrovai davanti una moto bianca e blu, tentennai.
“Metti questo e copriti. Ti porto in un posto.”
Io lo guardai ancora più ad occhi sgranati e lui disse: “Helena, ti vuoi muovere si o no? Cenerentola deve tornare a casa prima della mezzanotte, quindi non abbiamo tempo da perdere.”
Titubante, salii sulla sua moto e lui sgommò.
Avrebbero dovuto ritirargli la patente. Andava troppo veloce e faceva delle curve da pazzo. Io inizialmente stavo il più lontano possibile da lui, e mi tenevo aggrappato al sedile sotto il mio sedere, ma appena aveva iniziato ad accelerare non avevo potuto fare a meno di aggrapparmi a lui come una ventosa.
Gli stringevo le braccia attorno alla pancia e avevo la testa appoggiata alla sua schiena, con l’orecchio destro poggiato ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Non l’avevo fatto a posta, ma adesso non riuscivo a fare a meno di stare così.
Neppure la velocità mi sembrava più un problema, perché mi concentravo su quel battito regolare e possente, che mi entrava nelle orecchie fino a toccare il cuore.
Con quell’uomo non condividevo nulla, però c’era qualcosa in lui che mi attirava, e quel momento in cui i nostri cuori entrarono in contatto mi sembrò un qualcosa su cui basare un nuovo legame.
Forse stavo solo vaneggiando, ma in quel momento mi sentivo in pace. In pace con me, con Shannon, con il genere umano.
Troppo presto iniziò a decelerare, e quando parcheggiò scesi dal veicolo a due ruote un po’ spossata. Le tempie pulsavano e dovetti sbattere più volte le palpebre per sentirmi di nuovo bene.
“Dove andiamo di bello?” chiesi, per distogliere l’attenzione dal dolore alla testa.
“Andiamo in un bel posto. E’ una bella giornata primaverile no? Fa pure abbastanza caldo! Quindi invece di rinchiuderci in un ristorante ci andiamo a fare un bel picnik sul lago. Che ne dici?”
Io mi fermai, e lo fissai incredula.
“Che ne hai fatto dello Shannon Leto che ho conosciuto qualche settimana fa? L’hai ucciso eh? Oppure.. – lo guardai con fare indagatore - Non sarai mica come il dottor Jekyll e Mr. Hyde? Di giorno un romantico ragazzo che porta le ragazze a fare i picnik sul lago e di notte un mangiatore di donne? Mmm..”
“Ma la smetti? Volevo essere gentile, non ti sarai fatta una buona opinione di me.. come vedo!”
Io non mi mossi.
“Ricominciamo daccapo? Da oggi, da adesso?” Mi porse la mano per invitarmi a raggiungerlo.
“Ci sto. Tu e tuo fratello siete pieni di sorprese!” ridemmo e iniziammo a scendere delle scalinate che portavano ad un infinito spazio verde circondato di alberi e fiori colorati. Di fronte, il lago.
Sorrisi. Era davvero un bel posto.
Shannon mi portò prima in una specie di salumeria, dove comprò quello che avremmo mangiato; non era nulla di elaborato, solo tramezzini e panini, e poi comprò qualche biscotto.
Mise tutto in un delizioso cestino che lasciò scegliere a me tra quelli che erano esposti in vetrina. Comprammo anche un telo celeste che stendemmo sul prato.
Lui si distese, io invece mi sedetti con le braccia attorno alle gambe mentre guardavo il panorama che si stendeva davanti i miei occhi.
“Allora.. ti piace?” disse lui, rialzandosi.
“Si. Tanto. Non ero mai venuta in un posto così bello.” Non smettevo di guardare quel lago che si confondeva con il cielo, e aveva un colore tanto simile a quello dei miei occhi.
“No, non ci credo! Sono sicura che c’è stato un tuo ragazzo che ti ha portato in un posto mille volte più bello di questo!”
Non risposi, e lui si affacciò a guardarmi. Mi ero rattristata.
“Scusami non volevo dire qualcosa di..”
“No, non ti preoccupare. Acqua passata. Un giorno te la racconterò questa storia.” L’avrei mai fatta? Avrei mai raccontato a qualcuno che non fosse Kris la storia di Arnold? Non ne ero realmente sicura.
“Stooooop! Smettila di pensare. Ti ho portato qui per farti passare una bella giornata, una giornata che non dimenticherai per un bel po’. Mi racconterai la storia si, ma un’altra volta. Adesso voglio che tu sorrida!” mi afferrò la spalla e mi tirò giù.
Risi. “Grazie. Non lo dimenticherò mai!” anche lui si distese e iniziammo a guardare le nuvole, a cercare di scovare qualche figura nascosta.
 
 
“Allora, ti riaccompagno a casa?” eravamo vicino alla moto. Stavo infilando il casco, quando lui mi prese il mento e lo alzò.
“Sei sicura di stare bene? Sei bianca.” Aggrottò le sopracciglia e mi fissò.
“Ho mal di testa in realtà..” dissi io. Mi sentivo debole.
“Aspetta..” scansò il casco e poggiò il dorso della mano sulla mia fronte.
“Ma tu scotti!” disse preoccupato.
Io sbattei solamente gli occhi.
Ci pensò su, mi mise il casco e si tolse il giubbino. Me lo porse.
“Mettitelo.” Non c’erano altre possibilità nella sua voce, o accettavo quello o lo accettavo.
Non avevo la forza di controbattere, quindi lo presi e lo infilai.
“Ma tu prendi freddo..” scosse la testa sorridendo e chiuse la zip del suo giubbino. Mi sfiorò il mento e io rabbrividii.
Ero tanto imbottita da non riuscire a toccare con le mani i fianchi. Shannon mi aiutò a salire sul motorino e mi ordinò di aggrapparsi a lui.
Lo abbracciai da dietro, e attesi.
Lui non partiva.
“Helena?”
“Si..?” dissi io, con un filo di voce.
“Se non mi dici dove abiti non posso portarti da nessuna parte.” Disse lui, guardandomi con la coda dell’occhio.
“Oh, hai ragione..” cercai di connettere il cervello e gli dissi l’indirizzo.
Partì.
Il vento non mi arrivava in faccia, ero coperta dalla sua possente schiena. Sotto i vestiti miei e di Shannon sudavo freddo, e con le gambe stringevo convulsamente la moto.
“Stiamo per arrivare!” urlò lui, per farsi sentire. Annuii per risponderlo, non riuscendo neppure a parlare.
Arrivammo dopo non so quanto tempo a casa, e diedi indicazioni a lui su dove stavano le chiavi di riserva. Feci qualche passo in avanti, ma ero debole. Così Shannon mi prese in braccio e mi portò dentro.
Mi poggiò delicatamente sui divano, e mi chiese dove si trovasse il termometro.
“Nel.. primo cassetto.. lì..” indicai il comò di fronte a me.
Lo sentii sbattere il termometro e poi passarmelo.
Lo misi sotto il braccio e attesi.
“Dai che andrà tutto bene..” mi diceva intanto Shannon, accarezzandomi la fronte.
Bip.
Lo presi da sotto il braccio, e prima che potessi leggere lui lo afferrò.
“Hai quaranta di febbre Helena.” Mi disse preoccupato.
“Oh no…”
 

 
 
  
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