Film > Kill Bill
Segui la storia  |       
Autore: Jolene    04/04/2006    3 recensioni
Questa è destinata a diventare una ff piuttosto ingarbugliata... è nata da un pomeriggio di nullafacenza stravaccata sul divano (avrei dovuto studiare fisica...^__^) spero che vi piaccia, commentate...
Genere: Azione, Thriller, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi ritrovai accasciata su un pavimento sporco di terra.
Vicino a me non c’era nessuno.
Mi alzai in piedi a fatica, con la testa dolorante.
Ero in una stanza deserta, una sala fresca e ombrosa con pavimenti di terracotta.
C’era una finestra molto ampia che si affacciava su una distesa solitaria.
Compresi di trovarmi nel bel mezzo della campagna texana vedendo un paio di cavalli che ingurgitavano del fieno, poco più avanti.
Provai ad aprire la finestra ma non ci riuscii.
Poi lessi un cartello messo di proposito sul davanzale: “Se provi anche a graffiare questa o altre finestre considerati morta”
Diedi un’occhiata alla stanza. Era un po’ soggiorno un po’ cucina.
Sul piano cottura c’era una scatola di corn’n’flakes mezza spiaccicata, mentre notai sul tavolo un pezzo di carta bianca intestata a Beatrix Kiddo, 31 Washington boulevard, Dallas.
C’era scritto: “Non avrai mai più indietro tua figlia.
Preparale una tomba perché è già morta.
La vendetta è un piatto che si gusta freddo, Kiddo”.
E poco più sotto recitava: “ Da Minnie Driver, la sorella della tua peggior nemica”
Cosa voleva dire quel biglietto?
In quel momento pensai che davvero sarei morta, che davvero avrei dovuto pentirmi dei miei peccati.
Mi trovavo nel bel mezzo di un deserto, e nessuno sapeva dove fossi nemmeno approssimativamente.
Abbandonai il biglietto dove l’avevo preso e mi sedetti sul divano con le molle rotte.
Non volevo pensare, non volevo pensare ma l’angoscia mi attanagliava.
Non riuscivo nemmeno a piangere.
Rimasi per mezz’ora immobile e fissa come una statua.
Poi sentii il rumore di un lucchetto che si apriva.
Un uomo spalancò la porta, seguito da una donna alta e bionda e da un altro uomo più anziano.
La donna aveva un paio di occhiali scuri.
Se li tolse quasi subito. 
Mi squadrò da capo a piedi
“E’ lei di sicuro”
Poi si rimise gli occhiali e sparì di nuovo fuori dalla porta insieme all’uomo più anziano.
“Controlla che non faccia stronzate” disse al più giovane mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Faceva un gran caldo lì dentro.
Avevo sempre sopportato a stento di dover stare ferma e zitta a stretto contatto con altra gente.
Quando qualcuno mi era vicino sentivo continuamente il bisogno di fare qualcosa, muovermi, insultare parlare o darle di santa ragione.
La mia classe di trenta alunni in quattro mura mi aveva sempre angustiata.
Ma ancora di più mi agitava il fatto di dover stare così vicina ad uno sconosciuto.
L’uomo che aveva il compito di sorvegliarmi mi si era seduto di faccia. 
Non potevo vedere i suoi occhi perché indossava un paio di ray-ban con le lenti doppie.
Tuttavia intuivo il suo sguardo fisso su di me.
Prese un pacchetto di lucky strike rosse e s’infilò in bocca una sigaretta.
Si alzò, fece qualche passo verso la cucina, poi ritornò.
Aveva in mano uno di quegli aggeggi con l’imboccatura del gas per accendere i fornelli delle vecchie cucine.
Lo avvicinò alle labbra e si accese la sigaretta.
Aveva fattezze messicane, labbra carnose e viso appuntito.
I capelli scuri erano raccolti in una coda.
Era di corporatura piccola e magra, e nonostante tutto gli spuntavano dalle braccia dei muscoli ben modellati.
Mia madre mi aveva insegnato che un uomo può diventare malvagio perché ha perso l’anima, ma una donna la cattiveria ce l’ha nell’animo.
Una donna è un essere molto più complesso e pericoloso.
Quando diceva queste cose mi veniva l’istinto di spiaccicarle la testa contro il muro.
La volta che ci provai mi ritrovai per terra con tutte le ossa indolenzite.
Il messicano si sedette al mio fianco. Mi diede in faccia un’alitata che sapeva di sigaro e cointreau.
Aveva le mani abbandonate tra le gambe e mi fissava.
Non resistetti.
“ Che guardi?” gli dissi.
Strinse gli occhi.
“Tu, che guardi”.
Eravamo lì da tre secondi ed io già non sopportavo la sua faccia. 
“Vaffanculo, sono io che ho fatto la domanda e tu rispondi”
Lui invece non rispose. Si limitò a tirar sù un altro po’ di fumo.
“Che hai? Ti hanno mozzato la lingua?”
Mi osservò. I suoi occhi spaziarono in un lampo rosso.
Forse si chiedeva cosa maledizione ci facesse lì a fare il cane da guardia ad una stronza del genere.
Forse si aspettava di godersi finalmente una ricompensa per tutti i suoi lavori sporchi.
Forse si chiedeva che fine avesse fatto la sua ragazza che non sentiva da mesi.
Forse pensava alla casa che avrebbe comprato con il suo guadagno poco onesto.
“Quanti anni hai?”
 mi chiese
“Non sono cazzi tuoi”
Mi posò la mano sulla gamba.
Non me l’aspettavo.
Gliela scansai rabbiosa come un bastardo di strada.
Tentò di afferrarmi il polso ma io gli mollai un pugno con l'altra mano.
Allora mi lanciò in faccia il portasigari.
Provai a schivarlo, ma mi prese la mascella e parte dell'orecchio.
Per un momento mi sentii come immersa in una sostanza calda e densa.
Le palpebre scivolarono giù senza volerlo.
Battei la tempia contro lo spigolo del tavolino, e quando riaprii gli occhi ero lunga distesa sul tappeto.
La mia testa era in fiamme.
Sentivo tutti i nervi tendersi per il dolore.
Il messicano mi spinse i polsi a terra e mi premette un ginocchio sullo stomaco.
Tossii.
A malapena mi tenevo sveglia, riuscivo appena a respirare.
Sentii i miei capelli morbidi sparsi sul tappeto scuro insudiciarsi di acari e polvere.
Il dolore alla testa si faceva meno intenso e più diffuso.
Quando mi premette la guancia ferita contro il pavimento, ogni forma di tenace ribellione sparì dal mio corpo.
Lui prese a sbottonarmi la camicetta frettoloso.
Tentai di oppormi con le braccia ma non sentivo più il sangue scorrerci dentro.
Ero diventata una bambola di pezza e non riuscivo a fare nulla.
Il mio viso era diventato rosso per lo sforzo di muovermi, di fare qualcosa.
Ma la caduta aveva rallentato tutti i miei sensi.
Era come vedere ogni cosa in flashback.
"Lasciami!"
Mi aveva sbottonato la camicetta e già mi sollevava la gonna.
La vergogna e la rabbia m'invasero.
"Lasciami!"
Mi vergognai di me stessa. Possibile che mentre lui si tirava giù la cerniera dei jeans non fossi capace di fare niente di più che gridare come una bambina?
"Lasciami!"
TUMTUMTUM
Il cuore mi batteva come un tamburo. Non volevo, non volevo, non volevo!
Non riuscivo ad allontanarlo, perchè non potevo essere forte come lui?
Perchè le mie braccia non erano in grado di reagire?
"Ti prego, no.."
Premette il suo corpo contro il mio così forte che mi mozzò il respiro.
Strinsi forte gli occhi che mi bruciavano.
Una lacrima grossa e calda mi scivolò in bocca senza che riuscissi ad evitarlo.
Un singhiozzo mi serrò la gola.
Il messicano mi tappò la bocca con la mano.
"Stà zitta, piccola stronza"
Mi riscossi, ma non servì a nulla.
Il mio corpo non mi sarebbe mai più appartenuto.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Kill Bill / Vai alla pagina dell'autore: Jolene