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Autore: Less_    11/08/2011    0 recensioni
Sarà il caso di chiudere le persiane. Ma saranno bagnate. E le sue mani si bagneranno e lei odia avere le mani bagnate. Si passerà i palmi sul pigiama, salvo poi strofinare ancora sulle tracce umide, e si laverà le mani e non le asciugherà affatto bene sul sottile e freddo asciugamano a nido d’ape, sempre più bagnato che asciutto.
E il profumo del sapone le entrerà nelle narici e le darà fastidio perché sarà penetrante e dolciastro come al solito. Così, se davvero sarà stizzita e non avrà nient’altro da fare, scenderà le scale per usare il sapone al mughetto dell’altro bagno, e ci sarà sua madre, e si scambieranno sguardi truci o non si guarderanno affatto, ciascuna seguendo un filo di pensieri che non svelerà.
E la cena salterà o ci sarà in silenzio e nessuna delle due vuole davvero parlare, ma nessuna delle due vuole davvero tacere.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fruscio della pioggia che tamburella sui vetri la scuote dagli ultimi residui di sonno. È un suono così dolce che difficilmente potrebbe averla svegliata, tanto più che piove da ore. Lo stesso suono monotono che amava ascoltare in compagnia di suo padre. Non parlavano né si guardavano per ore, ma sapevano che l’altro era sveglio e incantato.
Sbatte le palpebre un paio di volte.
La confusione si allontana lentamente dai suoi pensieri, come un banco di nebbia. Stringe gli occhi, ricordando il suono lieve del portone principale che si apre e si chiude, un cigolio e poco più di un sussurro.
A malincuore si sporge oltre la sponda del letto, abbandonando il calore delle coperte. Posa i piedi sul parquet freddo e polveroso. Sente immediatamente la polvere e lo sporco incollarsi alla pelle nuda, ma non si spreca neanche nel tentativo di trovare le pantofole. Probabilmente sono nel punto meno raggiungibile della stanza, ipotizza. Si muove lentamente, senza poter evitare lo scricchiolio delle assi fissate male. Dorme in quella stanza da una vita, eppure è come se non ci fosse mai entrata davvero. Come se non la conoscesse; e quanto a cose sconosciute, ha una certa esperienza.
Riesce ad aprire la porta silenziosamente, però, complici tutte quelle volte in cui si è dovuta rintanare dentro, non vista.
Scende lentamente al piano inferiore, riuscendo a non fare rumore.
Non c’è nessuno. Il suono secco dello scatto dell’interruttore rompe l’atmosfera onirica assieme alla luce, che squarcia le cose e le mette a nudo. Tutto esattamente come prima. Ma perché non è cambiato niente? Non sarebbe stato meglio se, sentendosi morire dentro, ci fosse stato qualcosa a testimoniarlo? Perché qualcuno non lo si poteva pretendere né anche solo chiedere. Ma qualcosa? No? Neanche una scheggiatura dove prima il muro era intatto e senza crepe? La casa è silenziosa. Fino a quel momento, lei aveva dato per scontato che qualcuno fosse entrato ma, a quanto pare, qualcuno è uscito.
E recentemente, oltre a me, c’è solo un’altra persona che possa uscire, pensa, con amarezza.
Si avvicina alla finestra del salotto. Un’alta figura si trova, immobile, al centro del cortile buio e fradicio. Sembra che abbia il viso rivolto verso il cielo, ma è difficile dirlo, visto che si tratta solo di un’uniforme silhouette completamente nera. Nera come l’inchiostro, come uno squarcio nello spazio, come l’assenza stessa del colore.
Forse sta sotto la pioggia perché si confonda con le sue lacrime, pensa.
E, immediatamente, prova un immenso, profondo disprezzo. Come se lei dovesse piangere. Come se lei non avesse un tetto sulla testa, come se lei avesse perso.
Ma è stata lei a dare inizio a quella partita infernale.
E sicuramente si è accorta che una luce, dentro casa, si è accesa. Lo sa, che lei è lì, che lei è sveglia, per l’ennesima volta, per colpa sua.
Ma non le importa; non le importa, forse, semplicemente non ci bada, come se lei fosse solo un dettaglio, solo una luce accesa oltre le sue spalle.
E questo dettaglio, attenzione, significa qualche cifra in più sulla bolletta; non che sua figlia esiste.
Dentro la casa, la ragazza corruga le labbra e stringe gli occhi. Sente di nuovo quel mantello di oppressione avvolto saldamente attorno alle spalle, attorno al cuore, attorno allo stomaco. Quella
repulsione così forte che, se potesse, la scaglierebbe lontana un chilometro.
Ma non può perché, nonostante tutto, nonostante odi se stessa e sua madre, ha scelto lei. Spegne la luce e sale di nuovo in camera sua, senza più curarsi di fare silenzio. Vorrebbe che ci fosse rumore, invece.
Ma non ne fa quanto vorrebbe; i piedi si limitano a piombare, rabbiosi, sul legno, e il suono soffocato fa forse più male dell’intorpidimento laddove sbatte con violenza.
Non riesce a farsi sentire. Non riesce ad essere abbastanza evidente, abbastanza lampante per sua madre. Il pensiero le riesce insopportabile, perché non sembra che importi a nessun altro, e perciò non dovrebbe importare nemmeno a lei.

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So bene che è un po' confusionario, con tutti quei pronomi e neanche un nome proprio. Però preferisco che mi facciate notare dove è particolarmente incomprensibile, per spiegare e correggere, piuttosto che dare ai personaggi un nome. Il problema è che voglio che non ce l'abbiano. Voglio che siano indefiniti e, al contempo, tratteggiati con margini precisi. E voglio che, leggendo, se per un orribile caso del destino ci doveste riconoscere qualcosa, possiate dare loro i nomi che volete.
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