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Autore: CandyFawn    06/09/2011    0 recensioni
Con il trasferimento in North Carolina della sua famiglia, Amanda inizia una vita nuova, conoscendo nuove persone, ma soprattutto, iniziando a capire la storia della sua famiglia..popolata da segreti che per secoli sono stati tenuti al segreto nella vecchia villa di famiglia, e che ora, lei sta per portare alla luce.
Genere: Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La macchina aveva rallentato appena superato il cartello di benvenuto di Enchanted Falls. Il viale principale aveva due corsie e ai lati dei marciapiedi vi erano delle grandi querce e dietro di loro una serie di ville a schiera, ma non erano di costruzione recente, bensì ottocentesche o addirittura precedenti. La villa appartenuta allo zio, sarebbe andata in eredità a lei in ogni caso, infatti lei faceva parte di una delle sette famiglie che fin da sempre avevano vissuto lì, e che avevano fondato la città nel 1600 circa, purtroppo però, non sapeva niente altro della piccola cittadina. Il viale finiva in una piazza, e al centro di essa un monumento alle famiglie originarie. Il paese era delizioso, piccolo e l’aria che si sentiva era quella di fiducia, amicizia e sincerità, erano queste le basi su cui si fondava. «Guardate, questa è la casa dello zio Ferdinando». Amanda si voltò, e vide un giardino bellissimo, e al suo interno la famosa villa. «è ottocentesca e mantenuta in perfetto stato, ha un immenso giardino, quando ha saputo che venivamo lo zio ha deciso di costruire una grande piscina sul retro». La casa aveva tre piani ed era nettamente più grande di quella nel Michigan; un piccolo giardino con un sentierino in ghiaia e alla fine la spaziosa veranda, tutto rigorosamente dell’ottocento. Il piano terra aveva una porta principale al centro della veranda e poi una serie di portefinestre e vetrate. Era bellissima da fuori, Amy non riusciva nemmeno a immaginarsi l’interno. John posteggiò la machina proprio davanti all’entrata. «Coraggio entriamo e sistemiamoci» E scese di macchina. «Ma papà, non abbiamo le chiavi…» disse Amanda. John si chino e mise una mano dentro una delle piante sulla veranda, razzolò per qualche secondo e quando la tirò fuori sventolò un piccolo portachiavi. «Eccole, lo zio Ferdy mi ha detto dove trovarle, così come io ho fatto con Gerry, il mio socio, per far sistemare la mobilia». Amy e sua madre erano a bocca aperta, in quel posto le chiavi le avrebbero trovate tutti. Il signor. Taylor infilò le chiavi nella serratura e diede tre forti mandate, la porta si aprì. La famiglia entrò in un immenso salone, già arredato, sia con mobili moderni che con pezzi di antiquariato. «Benvenute a casa» disse John con aria soddisfatta. «Questa-è-casa-nostra?» Amanda scandì bene le parole, era incredula che tutto quello era suo e della sua famiglia. «Tecnicamente ancora è dello zio Ferdy, ma dato che fra una settimana firmerò il foglio della proprietà, direi di si, è nostro. In più, siamo una delle famiglie fondatrici, i nostri avi sono stati i primi ad abitare su questo territorio, è ovvio he abbiamo una casa così. «Ok, io vado a prendere la mia stanza» Amy salì velocemente le scale, che i suoi genitori non la videro nemmeno. Le scale erano doppie, proprio in stile ottocentesco. Il piano superiore era bello come il primo, aveva un balconcino che si affacciava sul salone principale e poi vi erano le varie stanze. Tre camere e ognuna di esse aveva un bagno annesso. Entrò nella prima stanza aperta, una camera semplice, ma allo stesso tempo regale, di cui si innamorò subito. La carta da apparati era d’orata, la mochette color crema; il letto a baldacchino era grandissimo e antico, in quel momento aveva una coperta bianca e le tende che lo contornavano erano in velluto rosso con rifiniture d’oro. Davanti a esso un enorme armadio in legno di faggio. E tra le due porte finestre un tavolino, dello stesso materiale dell’armadio e, alla parete uno specchio con una cornice dorata. Sul tavolo vi erano decine di profumi e una lettera. Amy la prese, ed esaminandola notò che vi era il suo nome, così la aprì velocemente e la lesse. Cara Amanda, non abbiamo mai avuto l’onore di presentarci, e ne sono terribilmente dispiaciuto, sono sicuro che sceglierai questa stanza, era la mia preferita, e questo è un piccolo regalino per te, così sono sicuro che almeno una volta ci vedremo di persona, per ricambiarci i ringraziamenti. Spero che apprezzerai ogni lato della stanza, anche i più oscuri. Con affetto. Zio Ferdinando P.S Se ti capita di venire nei dintorni di Firenze, cercheremo di incontrarci. Come faceva a sapere che gli adoro? Quella era una domanda a cui non sapeva rispondere. Lasciò la lettera sul tavolino e si avvicinò a una delle finestre quando notò una terrazza, non resisté e aprì le vetrate. Con una camminata lenta, si avvicinò al parapetto e davanti a lei il retro del giardino, la piscina che lo zio aveva fatto costruire per il suo arrivo e un immenso bosco. Era bellissimo quel posto, forse si sarebbe abituata prima di quel che credeva. Quando si accorse che era già passata un’ora dal suo arrivo, decise di scendere per aiutare i genitori. «Avete bisogno di qualcosa?» Domandò. «No, per ora ce la facciamo, perché non dai un’occhiata qui in giro» Rispose sua madre. «certo, se vi serve aiuto chiamatemi» e scappò via nuovamente. E ora che si fa? Pensò, mentre girovagava fra le stanze. Adesso si doveva trovare nel soggiorno, da un lato vie era un enorme pianoforte a coda in legno, dipinto di nero; Al centro della stanza due divanetti bianchi in pelle, con al centro un piccolo tavolino di vetro. Dalle enormi vetrate entrava abbastanza luce da illuminare tutta la stanza, nonostante fossero già le 7.00 di sera. Era arredata perfettamente, in modo “omogeneo”, né troppo esagerato né troppo semplice. In terra vi era un parquet chiaro, senza nemmeno un graffio. Uscendo dalla stanza, davanti a lei, lo spazioso corridoio che portava alla cucina, ma sinceramente non le andava di vederla, dopotutto quello era il regno di sua madre. Salì nuovamente le scale, ma non per tornare in camera sua, bensì per esplorare le altre stanze. Cominciò dal corridoio di destra. La prima era una piccola porta, appoggiò delicatamente la mano sulla maniglia laccata d’oro, la spinse verso il basso e la porta si aprì, vi entrò lentamente, come se nessuno lo dovesse sapere. Cercò l’interruttore della luce alla sua destra e accese le lampade. Era una camera, non molto grande in realtà, ma perfettamente arredata come la sua. Il letto era molto più piccolo del suo e attaccato alla parete. Un piccolo comodino in legno chiaro era alla sua destra e sopra d’esso una lampada classica. Le finestre erano grandi e si poteva osservare lo stesso spettacolo che dalle sue; al muro opposto del letto vi era un piccolo armadio in legno chiaro. Notò che alla fine del letto vi era una porta, nascosta dalla carta da apparati, non la aprì, sapendo che molto probabilmente collegava quella stanza con la sua. Uscì dalla camera, senza entrare nel bagno e passò alla terza stanza, quella dei suoi genitori. Era estremamente più grande, un grande letto matrimoniale classico, con tanti cuscini sopra e le lenzuola che scendevano fino a terra. L’armadio era enorme, vi potevano entrare tantissime più cose di quante ne avessero. Non passò molto tempo lì, dato che ci sarebbe stata molte volte. Diede un’ultima occhiata in giro e uscì. « Amandaaaaa» appena chiuso la porta la madre la chiamò« va bene la pizza salamino piccante e bufala per cena?» «Certo mamma, perfetta» La pizza con il salamino piccante era la sua preferita e poi mangiava esclusivamente la mozzarella di bufala, come suo zio, da quello che sapeva, se ne faceva spedire ogni mese un po’ dalla Campania, in Italia. L’ultima stanza che visitò fu il vecchio studio appartenuto allo zio. Era ancora arredato con le sue cose: una vecchia scrivania, un camino infestato dalla polvere e vari oggetti d’epoca, come strumenti musicali. Amanda si avvicinò cautamente allo scrittoio, sul quale era posta una testa di cavallo di cristallo, molto ben fatta. Vi appoggiò una mano per accarezzarlo. Era liscio come l’olio, nemmeno un graffio. D’un tratto un raggio di luna lo colpì e automaticamente la ragazza tolse la mano. La figura emanava mille colori e brillava, come per magia. Tutto era perfetto, calmo, fino a quando un orologio non ritoccò le 21.00 e qualcosa dietro la scrivania si aprì. Amy si stava avvicinando, per vedere cosa stesse accadendo. Il suo cuore batteva all’impazzata. Le sue emozioni si erano unificate : paura, curiosità, adrenalina. Era quasi arrivata, tra poco avrebbe capito cosa fosse quel cunicolo. «Amanda» la voce del padre che la chiamava per la cena la bloccò di scatto, non sapeva che fare, le opzioni erano solo due: lasciar perdere e far finta di niente o entrare ignorando i genitori, sapendo che al suo ritorno le sarebbe spettata una ramanzina. «Coraggio sbrigati, la pizza si raffredda» il padre la continuava a chiamare, e lei era a metà fra la porta di uscita e l’apertura nel legno. Il cunicolo sarà lì anche dopo, pensò, e non mi conviene farli arrabbiare dopo poche ore che siamo arrivati. Uscì dalla porta, scese velocemente le scale ed entrò per la prima volta nella sala da pranzo. Era grandissima e il tavolo era rettangolare e lunghissimo, un po’ come quelli che si vede nei film. Loro ne occupavano una parte minima, se chiedeva a cosa servisse un tavolo così grande. Si sedette davanti alla madre e il padre era a capo tavola. «S-scusate» disse lei con voce tremolante «ma…ma a che cosa ci serve una tavola così lunga?» «Beh» rispose John « siamo una delle famiglie più importanti del paese, e saremo tenuti a dare delle feste in cui parteciperanno le altre famiglie “originarie”» disse lui calmo, e mangiò il primo pezzo di pizza. «Ci manca solo la sala da ballo» borbottò lei, credendo che nessuno l’avesse sentita, ma suo padre aveva un udito eccezionale. «Oh, ma c’è proprio accanto a questa stanza, hai presente quelle due enormi porte di legno chiuse?» lei annuì, come non notarle «ecco, domani le apriremo per sistemare le cose anche lì.» Continuava a mangiare, come se non si rendesse conto che quella non era una casa, ma una reggia! Durante il resto della cena, nessuno parlò più, intenti a mangiare e andare a letto, finalmente in un letto vero e in una casa loro. Appena finito di mangiare, buttarono via i cartoni della pizza, i tovaglioli, le posate di carta e le lattine delle bibite. Sue mise nella lavastoviglie i bicchieri, e diede una veloce pulita al tavolo. «Mamma, papà» disse Amy fingendosi stanca «io vado a letto, ho molto sonno, buonanotte» «Si, adesso andiamo anche noi, buonanotte» rispose la madre e il padre sussurrò un «’notte » la ragazza fece un finto sbadiglio e si trascinò fuori dalla stanza. Camminò lentamente fino al piano di sopra e entrò in camera. Avrebbe aspettato che i genitori si addormentassero, e sarebbe tornata nello studio. Intanto si mise il pigiama e si preparò per andare a letto. Quando sentì salire qualcuno entrò velocemente nel letto, nel caso uno dei genitori entrasse in camera per controllare, ma l’unico rumore che si udì fu quello di una porta che si chiudeva. Qualche minuto dopo, si sentì russare qualcuno, probabilmente il padre, quel gesto, segnalava che non c’era più pericolo, perché con il rumore, nessuno l’avrebbe sentita. Scese lentamente del letto, finché era in camera, non c’era pericolo che la sentissero camminare, grazie alla moquette. Si diresse alla porta e la aprì. Uscì, stando attenta a non fare rumore, sorpassò le due camere in punta di piedi e allungò il passo superata la stanza dei genitori. Arrivata davanti alla vecchia porticina, poggiò una mano sulla maniglia, si guardò intorno, stando attenta a non essere vista ed entrò senza pensarci due volte. Richiuse la porta alle sue spalle, prestando molta attenzione, e si avvicinò allo scrittoio con il cavallo. Cercò la porta dietro la scrivania, ma non c’era niente. Era come se fosse sparita nel nulla. Si avvicinò alla parete in legno, ma il cunicolo non c’era più. Cominciò a spingere la parete, quasi disperata, com’era possibile che quella porta si fosse richiusa così, senza un segno, come se si fosse riunita del tutto alle pareti. Si arrese, quando notò che non serviva a nulla, e tornò nella sua camera. Forse, pensò, non c’era mai stata nessuna porta, nessun cunicolo nel muro, ed era stata tutta immaginazione. Entrò in camera e si mise a letto, sotto un piumone di piume, il cuscino era morbidissimo, anch’esso dello stesso materiale della pesante coperta. Prima di addormentarsi ripensò attentamente a quello che era successo, cercando di non scordarsi nulla. Per prima cosa era entrata nella stanza e aveva acceso la luce. Poi si era avvicinata a una scrivania, con sopra un busto di cavallo realizzato con il cristallo e lo aveva toccato…in seguito, un raggio era entrato nella stanza, e aveva illuminato la scultura, facendo partire da essa tanti bagliori colorati…e poi…poi l’orologio aveva suonato, segnava le 7.00 e subito dopo si era aperto il cunicolo. Ripensandoci, non sembravano eventi casualmente accaduti, ma ben studiati, come se qualcuno volesse nascondere qualcosa all’interno del muro e per evitare intrusi, aprirlo una sola volta al giorno, e per pochi istanti. Si convinse che l’indomani, alle 7.00 di sera, si sarebbe recata nuovamente nello studio, e sarebbe entrata all’interno della stanza e avrebbe scoperto il segreto del cunicolo…la parte più brutta e rischiosa, era che doveva trovare una scusa con i suoi genitori. Si addormentò in fretta, pensando a varie “bugie” plausibili che avrebbe potuto raccontare. Durante la notte dormì tranquilla, serena, senza pensieri e al mattino si svegliò rilassata, lì per lì senza problemi e pensieri, fino a quando non si ricordò della missione giornaliera. Appena aprì gli occhi, guardò l’orologio, che segnava le 8.30 e decise che sarebbe andata a fare una passeggiata, ma prima si doveva alzare. Per primo, scese dal letto, s’infilò le ciabatte e la vestaglia ed entrò in bagno. Si lavò e si pettinò accuratamente i capelli, per prepararli alla messa in piega, che avrebbe realizzato dopo essersi vestita. Subito dopo, corse verso l’armadio, decisa a mettersi qualcosa di carino. Non sapendo però che temperatura faceva, si avvicinò alla finestra e la aprì. Era una giornata stranamente calda, con il sole che ancora non risplendeva pieno nel cielo azzurro e pulito. Tornò all’armadio, frugando fra i mille abiti. «Questo è troppo leggero…questo è troppo pesante…questo non s’intona con la borsa» ci volle un po’ per scegliere cosa mettersi «Eccolo, mi metterò questo…con…questo…» scelse un abitino senza spalline color azzurro, che si stringeva sotto il seno e subito dopo scendeva leggero fino a metà coscia. Per evitare di prendere un raffreddore, prese anche il giacchetto in pelle finta bianca. Gli indossò velocemente e tornò in bagno ad accendere il ferro per capelli. Impiegò circa mezz’ora per realizzare una pettinatura degna dell’armonia del suo viso, acconciando i capelli a boccoli. Decise di darsi anche un leggero trucco, un po’ di Blush sulle guance, un ombretto leggerissimo sugli occhi, un po’ di mascara e un lucidalabbra. Quando ebbe finito, notò come le stesse bene quel vestito, le faceva risaltare gli occhi, che erano azzurri come gli zaffiri. Appena ebbe finito indossò le sue decolté bianche e prese la pochette intonata. Si guardò un ultima volta allo specchio e si mise un po’ di Coco Mademoiselle regalatole dallo zio. Ora era pronta. Scese lentamente le scale, per evitare una storta, e si recò in cucina. «Buongiorno!» salutò i genitori.«io andrei in esplorazione del paese oggi» «Buongiorno anche a te» risposero entrambi. «d’accordo, avvisami se torni per pranzo» disse Sue. «Certo mamma» sorrise e prese un biscotto «io vado, a dopo» e uscì. Uscire dal giardino non fu difficile, ma lungo, per fortuna appena superati i cancelli vi era subito la strada del paese che conduceva alla piazza. Camminò fino ad arrivare nel centro della cittadina, e poi non seppe più dove andare. Il giorno prima, quando era arrivata, aveva visto un enorme giardino, ma ora non lo sapeva ritrovare. Continuava a camminare, cercando di ricordarsi dove fosse quel parco, quando si scontrò con qualcosa. «O mio dio» disse frastornata «perdonami» non aveva ancora alzato gli occhi, per vedere a chi fosse andata addosso, e quando lo fece, vide due profondi occhi blu che la fissavano. «Ciao, tutto bene?» il ragazzo era tranquillo e amichevole, dato il fatto che lei fosse una perfetta sconosciuta. «Si…si…tutto okay» era rimasta ammaliata dal ragazzo che le stava davanti. Praticamente non riusciva nemmeno ad aprire bocca. «Io sono Alexander Davies» gli prese la mano destra e la baciò con delicatezza «è un piacere conoscerti» Lei, per stare al gioco, sfoderò uno dei suoi sorrisi angelici e fece un piccolo inchino, proprio come veniva descritto in “Orgoglio e Pregiudizio”, uno dei suoi libri preferiti. « Amanda Taylor, anche per me è un piacere» ritirò la mano e la riappoggiò sulla borsa. «Taylor? Come il vecchio Ferdinando?» a quanto pare conosceva bene i cittadini del paese. «Sì, mio padre è il nipote, ci siamo trasferiti qui dal Michigan» rispose lei, che si era sbloccata e riusciva a parlare senza far tremare la voce. «Infatti mi sembrava un volto nuovo il tuo, se lo avessi già incontrato non me ne sarei di certo scordato» sorrise, quasi imbarazzato. Quella frase l’aveva messa nuovamente in difficoltà, ma cercò di restare il più calma possibile. «Beh…io stavo cercando il parco, sembra strano, ma mi sono persa in una cittadina come questa» fece una piccola risatina, aspettando una risposta. «Per il parco?» lei annuì «allora devi proseguire fino in fondo a questa strada e svoltare a sinistra, continuando per la via troverai l’entrata del giardino» sorrise. «Ti ringrazio» pronunciò le parole, sempre con un filo di imbarazzo. «Io devo andare, ci vediamo in giro» Alexander aspettò ancora qualche secondo. «Ciao allora» Amy rimase in mobile, mentre lo guardava allontanarsi, quando era ancora ferma, lui si girò, le sorrise e continuò per la sua strada. Lei sospirò, nonostante la sua età Amanda Taylor non aveva mai avuto un ragazzo e quella era stata la conversazione più lunga della sua vita con un perfetto sconosciuto. Seguì attentamente le indicazioni di Alexander e arrivò sana e salva al parco. Era bellissimo, grande e verde. Davanti a lei un enorme viale alberato e ai suoi lati il prato che pareva finto. Vi entrò e cominciò a camminare, inizialmente sul viale e poi spostandosi all’interno. Ripensò al suo primo incontro, quel ragazzo era veramente bello, occhi azzurri, capelli biondo scuro, alto, sicuramente un giocatore di football, ma soprattutto gentile, a lei non importava della bellezza, anche se era un fattore importante, non era determinante, ma l’animo di una persona era fondamentale, e lui, aveva uno spirito sicuramente pulito. Arrivò ad un laghetto, che risplendeva con il sole mattutino, era bellissimo quel posto, e non rimpiangeva più di aver lasciato il Michigan. «Ciao, tu sei nuova?»disse una voce che piano piano si faceva sempre più vicina. Quando Amanda si girò, vide una ragazza dalla pelle olivastra, i capelli castano scuro e gli occhi ambrati. «Ciao, si sono arrivata da poco» Amy rimaneva sempre più sconcertata dalla gentilezza e dalla voglia di conoscersi delle persone del luogo. «Bene, benvenuta a Enchanted Falls, dove tutto è incantato e dove tutti sono strani»rise«io sono Samantha Gresham e…tu…sei?» «Ah, Oh si, io sono Amanda Taylor, piacere» «Spero diventeremo amiche Amanda, perchè qualcosa mi ha spinto a venirti a parlare e mi sono fidata del mio istinto, che di solito non fallisce mai» rise «posso invitarti a pranzo nel fast food locale?» Non si era mai fidata così tanto di una persona «certo, andiamo» ma lì era sola e voleva farsi delle nuove amicizie. Uscirono dal parco, parlando del più e del meno e si recarono nel fast food a pochi metri di distanza. «Va bene questo tavolo?» chiese Samantha. «Si, perfetto» Si sedette in uno dei due posti e l’amica fece lo stesso. «Allora dimmi» chiese la ragazza dalla pelle olivastra, in attesa di prendere le ordinazioni «come ti trovi nel North Carolina?» era entusiasta di aver conosciuto Amanda. «Beh, non sembra molto diverso dal Michigan, è un luogo verde, fresco, un piccolo paesino in cui tutti sanno gli affari di tutti…è carino»concluse. «Buongiorno, avete scelto cosa ordinare?»un cameriere moro e di piccola corporatura si era avvicinato al tavolo delle ragazze. «Si» disse Amanda «io prendo dei bocconcini di pollo e patatine fritte con ketchup e una Coca-Cola, mi porterebbe anche un po’ di pane per favore». «Per me invece» ora era il turno di Samantha «un Hamburger con patatine fritte e maionese e da bere prendo…una birra analcolica grazie». «Arrivano subito» concluse con aria distaccata il cameriere, che si allontanò subito. «Tu abiti qui da sempre?»ora era il turno di Amanda a fare domande. «Sì, beh…la mia famiglia non è di qui, originariamente era britannica, ma qualcuno ha avuto la brillante idea di trasferirsi…e eccoci qui» sorrise amichevolmente. Qualche secondo dopo arrivò il cameriere che aveva preso l’ordinazione, in mano aveva i piati delle ragazze. Li posò sul tavolo e andò a prendere le bibite che erano state versate in due grandi bicchieri di vetro. Appena aveva finito il suo lavoro, si diresse verso un altro tavolo. Le due cominciarono subito a mangiare. «John» disse Sue, dopo aver finito di mettere a posto la cucina «ti ha chiamato Amy? Doveva dirmi se tornava per pranzo» «No, aspetta prendo il telefono così glielo chiedi» disse lui. «E’ qui in cucina, non preoccuparti!»urlò lei. Compose il numero della figlia e aspetto che gli rispondesse. «Mamma? O giusto, dovevo chiamarti, scusa» «Si, non importa, ma torni o no?» Susanne non era assolutamente preoccupata. «No, ho incontrato una ragazza e mi ha invitato a pranzo, siamo al fast food vicino al parco». «Si, divertiti» e riattaccò. «Allora John, siamo solo io e te, ha incontrato un’amica e è rimasta a pranzo con lei…almeno ha fatto amicizia con qualcuno». Il marito annuì e tornò ai lavori di giardinaggio. Intanto lei, si gettò a capo fitto nell’arte culinaria. «Era mia madre, voleva sapere se tornavo per pranzo» Spiegò ad Samantha il motivo della chiamata. «Certo, anche mia zia è così, ma col tempo ha imparato a lasciarmi i miei spazi» mangiò un altro boccone di Hamburger. Amanda sperò che anche per lei sarebbe stato lo stesso, avvolte i genitori erano un po’ angoscianti. «Hai altre amiche qui, a cui sei particolarmente legata?» chiese lei, non voleva assolutamente mettersi in mezzo a un amicizia secolare. «Si, c’è Rachelle, è la mia migliore amica, ci conosciamo da tantissimo tempo, ma non preoccuparti, sono sicura che ti troverà simpatica» si fermò per vedere la reazione di Amanda, ma lei era stranamente a suo agio. «E poi è lei che mi ha lasciato qui durante le vacanze estive per andare sulla costa» Rise e continuò a mangiare. Amanda aveva quasi finito di mangiare, quel posto faceva davvero un ottimo pranzo. Era tranquilla, fino a quando non vide gli occhi dell’amica alzarsi al cielo, come se qualcosa la stesse disturbando. «Ti spiace se ci prendiamo un gelato in un altro posto? Non mi va più di stare qui». Disse Samantha che intanto aveva preso la borsa. Amy annuì e si preparò per uscire. «Roger» chiamò Samantha «Metti sul mio conto, passo a pagare più tardi». In lontananza si udì un «siii». Quando Amanda si girò per recarsi all’uscita, scontrò ancora contro qualcosa, proprio come prima. «Sembra che l’unico modo per incontrarci sia questo». Una voce a lei familiare, si allontanò leggermente e quando alzò gli occhi, vide davanti a se due occhi blu che la fissavano. «Già…l’unico modo» Automaticamente sul suo volto comparve un sorriso. Quando scostò leggermente lo sguardo, notò che dietro al ragazzo c’era una comitiva di ben cinque coetanei. «Io dovrei…» con la mano, Alexander, indicò gli amici che lo seguivano. «Ciao» disse allora lei, e lo liberò dal suo sguardo. «ciao» si allontanò con il gruppo. «Amanda, andiamo» la chiamò Samantha e si precipitò d lei. Uscirono dal locale e Samantha non resistette dal farle una domanda. «Ti ho vista parlare con Alexander Davies…»
«Si, l’ho urtato stamattina mentre cercavo il parco, lo conosci?» chiese Amanda incuriosita. «Hai un po’ di tempo? Così ti spiego tutto per bene». Stava per rispondere di sì, quando si ricordò che per le 19.00 doveva essere a casa. «Io dovrei fare una cosa» cercava di essere vaga, ma poi rifletté e decise che se non fosse stata sola sarebbe stato meglio «ti va un pigiama party da me stasera? Ti darò uno dei miei pigiami » sfoderò uno dei suoi sorrisi che avrebbero fatto dire di sì a tutti «devi solo avvisare tua zia». «Ok, le scrivo un messaggio». Prese il telefono e cominciò a cliccare velocemente sui tasti. Amanda era contenta, aveva già in mente il programma della serata. Scrisse velocemente un sms alla madre per avvisarla : Samantha dorme da noi stasera, se a voi va bene potremmo ordinare cinese. Baci Amy . Lo inviò, sicura che ai genitori sarebbe andato bene. Notò ancora l’orologio, era davvero ora di andare, così le due si incamminarono verso la Black Forest, una grande macchia nera vicino al cimitero e poi proseguirono fino allo Sparkling Bridge, fiume che sfociava in un grande lago attraverso una serie di cascate, lo attraversarono e continuarono fino a casa, assorte ognuna nei propri pensieri.
  
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