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Autore: Dejanira    09/09/2011    2 recensioni
Sopravvivere a Hogwarts non è tanto facile come sembra, soprattutto se tua madre e tuo padre sono eroi di fama nazionale. Lo sanno bene Rose Weasley, alle prese con aspettative troppo alte per non deluderle, Albus Potter, rinchiuso in una fortezza di serafica indifferenza, e Scorpius Malfoy, in perenne contrasto con se stesso e con il resto del mondo. Desideri di rivalsa e cotte adolescenziali non saranno certo paragonabili a Lord Voldemort e ai suoi Mangiamorte, ma chi dice che non è difficile?
[Rose/Scorpius]
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo 1

Capitolo 2

Checkmate

 

 

*

 

Da parte mia, l’ho sempre detto che qualcosa in Scorpius Malfoy non quadra. E credo che nessuno possa darmi torto quando affermo che effettivamente c’è qualcosa di, se non proprio sospetto, quanto meno curioso nelle continue ed estenuanti scenate di gelosia che Malfoy porta avanti nei confronti di Rose Weasley. Per quanto la sua relazione con Eliza Dermott sia stabile e ben consolidata da quasi cinque mesi ormai (concorrono alla nomina di coppia dell’anno, che verrà stabilita la sera del tradizionale Ballo d’Inverno, come ci terrei a ricordare), il Capitano degli Slytherin non manca mai di esibirsi in teatrini vagamente imbarazzanti ogni qual volta Sparks tenti di avvicinarsi alla ragazza. Che possa esserci qualcosa tra Sparks e la Weasley certo risulta difficile crederlo, se si considera l’atteggiamento di norma non proprio conciliante di Sparks. E, del resto, cosa potrebbe attrarlo della Weasley? Di certo non la sua proverbiale imperturbabilità: credo che ricorderete tutti quando l’anno scorso, vittima di qualche scherzo da parte di ignoto fattore,  è corsa fino alla Torre del Gryffindor infuriata per la fluente chioma blu – del tutto in tinta con gli occhi, aggiungerei – che ha costretto il professor Lumacorno a togliere una vagonata di punti a Ravenclaw per disturbo della quiete pubblica. Ma non è solo Sparks a darmi da pensare. Non è mistero per nessuno l’astio che Malfoy prova per Ike Sheldon (Ravenclaw, settimo anno, ex ragazzo della Weasley), spudoratamente palesato alla finale del Torneo di Quidditch dell’anno scorso, quando Malfoy ha palesemente buttato Sheldon giù dalla scopa, facendo guadagnare la vittoria alla sua Casa. Che sia per questo che Sheldon ha smesso di giocare? In questo caso, qualora i miei sospetti si rivelassero fondati, credo che ne vedremo delle belle. C’è solo da aspettare il Ballo d’Inverno.

June Dee, Daily Hogwarts, 16 ottobre

 

*

 

 

Per essere la pecora nera della famiglia, Albus Severus Potter non aveva mai sviluppato un carattere ribelle. Era anzi di un’accondiscendenza e di un’obbedienza perfino nei suoi momenti di maggiore obiezione da far innervosire anche il genitore più paziente e posato.

Per fortuna di Ginny ed Harry Potter, Albus non aveva mai dato motivo di preoccupazioni. A quello ci pensava già James. Al contrario, in sette anni di irreprensibile carriera scolastica Albus aveva collezionato voti invidiabili, una spilla da Prefetto prima e da Caposcuola poi, elogi da parte di qualunque professore, primo tra tutti Lumacorno che sosteneva di vedere in lui lo stesso intuito e la stessa abilità innata nelle Pozioni che avevano fatto di Lily Evans una delle migliori studentesse che avesse mai avuto.

Figlio di Harry Potter, studente modello, ragazzo a suo modo anche piuttosto attraente, Albus Severus Potter aveva solo una pecca: era uno Slytherin.

In potenza, questo non aveva mai rappresentato un grosso problema per i Potter. Harry gliel’aveva chiarito sin da quel primo giorno a King’s Cross, quando James (era stato lui a portare iella, secondo Hugo) aveva profetizzato il suo smistamento nella Casa di Salazar. Il problema era arrivato dopo, quando nelle prime lettere da Hogwarts, in cui descriveva entusiasta le lezioni, i professori e il castello, aveva cominciato a tirare fuori i nomi di alcuni suoi amici, uno più delizioso dell’altro: Malfoy, Nott, Selwyn… a Ron erano venuti i brividi.

Harry, comunque, non aveva fiatato. Riteneva assurdo covare rancore nei confronti di ragazzini che poco avevano a che fare con le eroiche gesta dei propri genitori. Certo era innegabile che, per quanto fidato Albus lo ritenesse, Scorpius Malfoy era stato educato sulla base di principi fondamentalmente razzisti. Non era mistero che considerasse i Babbani come meri accidenti che  lui si augurava non intersecassero mai la sua orbita vitale, eppure Rose Weasley era sua amica, né il ragazzo aveva mai, neanche tramite allusioni, mostrato di disprezzare la ragazza per le origini di sua madre.

In più, dall’alto della sua implacabile e fredda fermezza (un’altra qualità che poco aveva a che fare col gene Potter), Albus lasciava intendere chiaramente che qualunque divieto o critica nei confronti dei suoi amici, e di Scorpius in particolare, l’avrebbero toccato quanto un moscerino spiaccicato sul parabrezza della vecchia Ford Anglia di nonno Arthur.

Harry apprezzava molto suo figlio in questo. Sembrava non nutrire rivalità nei confronti di nessuno; il suo unico rivale era se stesso, e Albus si sfidava continuamente per arrivare sempre un po’ più in là del limite che si era imposto. James scherzando diceva che Albus sarebbe potuto essere allo stesso modo amico di uno Slytherin, di un Gryffindor e dell’assassino di sua sorella, con un umorismo un po’ macabro che non faceva piacere alla piccola Lily.

Tutto quello che James intendeva dire era che Al aveva una consapevolezza talmente forte di se stesso da non lasciarsi influenzare da nessuno, da non avere neanche l’ombra di un pregiudizio. Il fatto di essere uno Slytherin aveva lo stesso valore di essere nato, per esempio, coi capelli neri invece che rossi, un fatto del tutto accidentale che non avrebbe potuto cambiarlo o rovinarlo in alcun modo.

Nonostante tutto, Harry non se la sentiva lo stesso di biasimare le paure di Ron riguardo i giri di amicizie di Albus e Rose. Era inutile che andassero avanti a dire che i tempi erano cambiati, che la guerra era finita, perché guardando indietro nessuno di loro riusciva a dimenticare tutto quello che avevano passato. E il sangue o un cognome potevano anche non essere un’etichetta, avevano constatato loro stessi come anche nelle famiglie dalla nomea peggiore fossero venuti fuori un Sirius o un’Andromeda, però, come sosteneva sempre Ron, statisticamente parlando, come si faceva a non considerare il fatto che i Black, i Malfoy, i Lestrange fossero tutti imparentati? Il sangue là c’entrava poco, era un fatto di educazione e basta.

Di chiunque fosse la ragione, restava il fatto che Scorpius era il migliore amico di Albus e che Al veniva sempre invitato dai Malfoy durante le vacanze estive. Che poi Harry dopo tanti anni neanche parlasse, con Draco e Asteria Malfoy, quello era tutto un altro discorso.

In ogni caso, era in nome di quel freddo distacco che Albus quella mattina di ottobre, come tutte le mattine di ottobre della sua vita da sette anni a quella parte, si sedette al tavolo degli Slytherin per la colazione con la massima compostezza possibile.

- Charles – salutò in direzione dell’amico, già smagliante a quell’ora del mattino, affiancato da un lato e dall’altro da Dinah Godwin e Lucinda Whitby, due Slytherin del loro anno per le quali Albus non aveva mai nutrito troppa simpatia.

- Albus, buongiorno – rispose quello. Era uno dei pochi a non chiamarlo semplicemente Al, perché, secondo la sua inaffondabile teoria, chiamare le persone per nome, e col loro nome per intero soprattutto, le faceva sentire importanti, prese in grande considerazione, in un modo che disponeva positivamente gli altri nei propri confronti. Albus ne dubitava fortemente, ma era ben lungi da lui l’intento di spodestare Charles dal suo ruolo di maestro di charme.

Più che un maestro di charme, Albus avrebbe definito Charles Nott un vile bastardo.

Era il cugino preferito di Scorpius, figlio di Theodore Nott e Daphne Greengrass. Pur se oggettivamente piacente, quello che lo rendeva il sogno ricorrente di parecchie ragazze lì a Hogwarts, erano, distortamente, la sua sicurezza e il suo narcisismo.

Charles Nott si credeva sinceramente bellissimo, e di questo se ne era convinto a un punto tale da convincere anche gli altri. Un po’ come se il professor Paciock diceva che il pianto della Mandragole adulte è letale, con la convinzione di chi afferma una cosa perché studiata e provata sul campo per diretta esperienza, allora il pianto delle Mandragole adulte doveva essere letale. Sulla base di questo stesso principio, se Charles Nott si riteneva affascinante, beh, allora doveva davvero essere affascinante.

Certo una notevole eleganza nel portamento, i curatissimi e lucenti capelli castano chiaro, gli occhi che, seppur di un banalissimo nocciola, sembravano splendere di una sincerità e di una limpidezza disarmanti, tutto questo sicuramente aiutava. Tutto il resto era il frutto di una costante ricostruzione del proprio personaggio, che Charles portava avanti come il più ambizioso ed esigente dei direttori di scena.

Poi, osservava Albus, spogliato della meravigliosa idea che Charles aveva di se stesso, di lui non rimaneva che un ragazzo normalissimo, mediamente bravo a scuola e nel Quidditch, con tanti amici e conoscenze come se ne hanno a quell’età, e con una giustificata leggerezza nei rapporti con gli altri e nella vita, dettata dai suoi diciassette anni e da un’esistenza finora sostanzialmente facile e senza problemi.

- Che fine avevate fatto tu e Scorpius ieri sera? – chiese Charles. – Non vi ho visti rientrare. –

- Te lo spiego più tardi – rispose Albus, rigirandosi tra le mani il suo caffè macchiato senza zucchero. Si concentrò unicamente sulla sua scarna colazione (Albus perdeva di loquacità di prima mattina, specialmente se la sera prima non aveva dormito), mentre di fronte a lui Dinah e Lucinda intervallavano il racconto di Charles, che di certo si stava vantando di qualche sua recente conquista, con risatine frivole e zuccherose. Le ragazze con Charles erano tutte così, sempre impegnate nel tentativo di compiacerlo.

- Buongiorno, ragazze. Ciao Al, ciao Charlie. –

Sabia Selwyn, l’altissima e biondissima Mezzosangue figlia illegittima di quel Selwyn Mangiamorte e di una Babbana, arrivò alle spalle di Albus all’improvviso, come sempre, e dopo aver afferrato la sua inseparabile marmellata di arance si sedette accanto a lui.

Charles la guardò malissimo - essere chiamato “Charlie” era una delle cose che detestava di più al mondo - ma abituato all’esuberanza di quella ragazza decise di lasciar correre.

- Pronto alla vittoria, Al? – chiese lei.

Albus, interrogativo, alzò appena gli occhi dal suo caffè.

- Il test di selezione per il corso di Pozioni – specificò la ragazza, spalmando energica la marmellata su una fetta di pane tostato. Lì a Slytherin era raro vedere qualcuno con una tale carica vitale. – E’ naturale che quest’anno la vittoria sarà tua. L’anno scorso non hai nemmeno partecipato, giusto? –

- Giusto – confermò atono. – Fino a qualche giorno non ero sicuro che avrei partecipato neanche quest’anno. -

- E’ per Rose? – s’informò Sabia. – Pensi che potrebbe prendersela qualora vincessi tu? –

Albus non se la prese neanche per quell’insinuazione, pronunciata tra l’altro senza la minima ombra di cattiveria. Anzi, Sabia era una delle poche lì a Slytherin che apprezzava Rose.

- Rose è brava abbastanza da superarmi. –

Sabia diede un morso alla sua fetta di pane, accompagnandola con un sorso di succo di zucca, prima di fissare Albus dritto in faccia.

- Allora sei tu che sei poco sicuro di te stesso? –

- Sono talmente sicuro di me stesso che non penso che questo corso possa essermi utile in qualche modo. –

Sabia sorrise; l’arroganza, vera o ostentata che fosse, tra di loro era regolare amministrazione.

La cosa divertente a stare in mezzo agli Slytherin, aveva detto Rose una volta, era che si perdeva il limite tra insicurezza e superbia. Nella loro esasperata ambizione, tutti loro non facevano che elevarsi a un livello più alto, almeno a parole, perché era troppo deplorevole mostrare di avere qualsiasi debolezza. A Ravenclaw era ancora peggio, sempre secondo lei, perché lì chi diceva di essere il migliore non lo faceva per dissimulare alcunché, ma perché era convinto seriamente di quel che diceva.

- La prossima volta che tu e mio cugino mi mollate solo nel dormitorio con Sparks ve la faccio pagare – si intromise Charles, visto che Dinah e Lucinda si erano messe a parlare di cosmetici con alcune ragazze del sesto. – Robin era in infermeria, voi due non c’eravate e io non riuscivo a dormire. Avevo una bottiglia di Firewhisky nascosta nel baule, ero così disperato che stavo per mettermi a condividerla con Sparks come fossimo vecchi amici. –

- Cos’è, ti sei ripassato tutte le ragazze maggiorenni e non te n’è rimasta più nessuna per riscaldarti il letto? – lo prese in giro Scorpius Malfoy, appena arrivato, con un braccio attorno alle spalle di Elizabeth Dermott, sua ragazza storica, nonché migliore amica di Rose.

Eliza Dermott era una Slytherin pallida e gracile, con capelli biondo paglierino e occhi verde scuro. Era carina, ricca e Purosangue, esattamente il genere di ragazza che chiunque si sarebbe aspettato di vedere al fianco di Malfoy. Era impeccabile, con i boccoli ben curati e l’uniforme nuova di zecca, e assolutamente inavvicinabile per chiunque, con quel suo fare un po’ snob e l’aria di chi aveva costantemente la puzza sotto il naso. La sua aurea altezzosa faceva desistere chiunque dal tentativo di avvicinarla, ma Al la conosceva bene e non risparmiò di salutarla con un sorriso invitandola a prendere posto vicino a lui.

- Rose? – chiese subito Eliza, mentre Scorpius le si sedeva accanto, continuando a chiacchierare col cugino.

- L’ho vista prima, andava a fare un salto in biblioteca prima di andare a lezione – rispose Al.

Eliza si preparò la sua colazione priva di zuccheri, porgendo un orecchio a quello che diceva Scorpius e sorridendo di tanto in tanto con cortesia e compostezza, come le era sempre stato insegnato.

- …ed evita di nominare Sparks ancora una volta, per Salazar, sto mangiando – stava dicendo Malfoy, suscitando l’ilarità di Charles e Sabia. Lei mise su un’espressione tra il sospettoso e l’incazzato, tipica di Sparks, e cominciò a girare la testa di qua e di là, squadrando tutti dall’alto in basso come faceva sempre lui. Un paio di Slytherin del primo, colti casualmente dallo sguardo di Sabia, si sentirono messi persino in soggezione, cosa che scatenò ancora di più le risa dei tre. Charles stava dicendo ancora qualcosa di decisamente poco lusinghiero su Sparks quando Sabia prese uno zuccotto di zucca dal vassoio di fronte a lei e glielo tirò addosso.

Indignato, Nott stava quasi per urlarle contro perché mai avesse deciso di attentare alla sua costosissima camicia senza un buon motivo, quando il buon motivo si presentò al tavolo per la colazione sotto le sembianze di Sparks. Dopo aver scambiato un’occhiata d’intesa con i due amici, Charles, con studiata indifferenza, fece finta di specchiarsi nell’argenteria, come se non avessero amabilmente discusso di Sparks fino a tre secondi prima. Si schiarì la gola, si allentò il nodo della cravatta e si rivolse al compagno di Casa. – Ehilà, Sparks! –

Quello lo guardò appena di striscio, afferrando qualcosa da mangiare e andando a prendere posto a debita distanza sia da Malfoy che da Nott, quella minima distanza di sicurezza necessaria, come aveva detto una volta malignamente Scorpius, a non appestare la stessa aria che respirava la gente civile. E già che uno della stoffa di Scorpius Malfoy parlasse di gente civile faceva riflettere.

In realtà, quello Sparks tanto osannato da tutta Slytherin, e un po’ da tutta la scuola, aveva anche un nome, sebbene nessuno lo usasse: si chiamava Timothy, ma, come aveva suggerito un’altra volta ancora Scorpius, perfino sua madre probabilmente lo chiamava soltanto Sparks. Del resto, a sua detta era il cognome che contava di una persona. In sette anni Sparks non si era mai sprecato a chiamare qualcuno per nome, e il resto della scuola si era comportato di conseguenza

A vederlo così, in effetti, non ci sarebbe stato motivo di sbeffeggiarlo in continuazione.

Era un ragazzo di diciassette anni assolutamente nella norma. Certo era un po’ troppo ossuto, con quelle gambe e braccia lunghe e i tratti del viso parecchio affilati, e anche gli acquosi occhi neri come chicchi di caffè non ispiravano alcun tipo di simpatia. Le labbra pallide e sottili non si piegavano mai più dello stretto necessario per costruire un’espressione di diffidenza o disgusto, mai un sorriso né tantomeno un ghigno made in Slytherin. I capelli nero corvino e il fatto che, anche quando non indossava l’uniforme, avesse sempre addosso abiti dalle tinte scure gli conferivano un’aria tetra e distinta. Secondo Sabia Selwyn più che altro ricordava un becchino.

Per quanto il suo atteggiamento – quelli che rispettava li trattava con condiscendenza, il resto dell’umanità con puro disprezzo – non favorisse certo i rapporti sociali, chi aveva portato mezza Slytherin a tenersi alla larga da lui era Scorpius Malfoy. E anche Albus, per quanto lui, per sua natura, si tenesse sempre fuori da queste faide.

Sicuramente fin da subito Sparks non aveva avuto grandi amici, ma era stato quando aveva cominciato a mettersi contro Scorpius che la sua vita sociale era calata a picco.

Che piacesse o no, era Malfoy che dettava legge là in mezzo. Perciò, se Scorpius diceva che bisognava trattare Rose Weasley alla pari di qualunque spocchiosetta Slytherin dal pedigree inattaccabile, allora era così che le cose dovevano andare. Allo stesso modo, se Scorpius cominciava a trattare Sparks alla stregua di una matricola, un Gryffindor, un Mezzosangue o uno Schiopodo, che era più o meno la stessa cosa, allora gli altri finivano col seguirlo a ruota, ignorando bellamente il sangue purissimo e le nobili origini che Sparks poteva a buon diritto vantare.

Il fatto era che, semplicemente, Sparks non si sarebbe mai dovuto azzardare a criticare, quel nefasto giorno di settembre del loro terzo anno, la presenza di Rose Weasley al tavolo degli Slytherin.

Stava tutto lì il punto: Sparks non sopportava la Weasley, perché aveva il sangue sporco e comunque non era una di loro; e da quel giorno in cui aveva perfino osato insultare sua madre, beh, là neanche Albus ci aveva visto più tanto chiaro, e il passo fino alla rissa era stato breve.

Scorpius, Sparks e (per una delle poche volte in vita sua) perfino Albus erano stati messi in punizione, e da allora tra i tre era stata guerra fredda.

Così aveva avuto origine il declino di Timothy Sparks.

Senza contare che osservazioni di quel tipo, sulla purezza del sangue e tutto il resto, apparivano del tutto anacronistiche. Del Signore Oscuro e dei Mangiamorte non si parlava più, nemmeno a Slytherin. Un disprezzo di fondo per i Babbani e per i Sanguesporco continuava a persistere, era un fatto di educazione e un tratto ineliminabile di quella Casa, ma a parte Sparks e pochi altri puristi non era rimasto più nessuno a dimostrare un aperto disprezzo nei confronti dei Babbani. Non era più conveniente, di quei tempi, i più furbi lo capivano bene.

- Credo sia ora di andare a lezione -  disse d’un tratto Albus. Si alzò, raccolse i suoi libri, mentre Charles e Sabia cominciavano a fare lo stesso. Scorpius restò fermò ancora alcuni minuti, un braccio attorno alla vita sottile di Eliza, finendo con calma il suo caffè.

- Cerca di non dimenticare i libri, stavolta – intimò Al all’amico. – A dopo, Liz. –

 

*

 

Non era abitudine di Rose Weasley leggere il Daily Hogwarts. Personalmente, non capiva come si potesse star dietro alle fandonie imbastite da una ragazzina presuntuosa, capace di istigare nell’intera popolazione di Hogwarts una rivalità del tutto insana che non faceva che distruggere i rapporti che uno aveva impiegato anni a costruire. Eppure, quando Louis Weasley, quel mattino presto, si sedette accanto a lei in biblioteca porgendole una copia di quel ridicolo spreco di carta, aveva capito che evidentemente la Baker aveva colpito ancora.

Non che fosse una novità. Rose era una delle vittime preferite di June, pur nel suo costante tentativo di affondarla socialmente l’aveva probabilmente resa popolare solo grazie agli infiniti inserti che costantemente le dedicava. Così, quando Louis le passò il giornale, quella mattina, non si sentì neanche molto preoccupata, come di solito si sentivano in genere tutti quelli a cui giungeva voce di essere stati tirati in ballo nella rubrica di June.

- Per cominciare bene la mattinata – commentò sarcastico Louis, aprendo un libro di Aritmanzia che si era portato dietro.

A Rose non servirono più di tre minuti per leggere l’articolo e archiviarlo insieme a tutti gli altri ridicoli articoli che era stata costretta a leggere da alcuni anni a quella parte, quando qualcuno aveva avuto la brillante idea di far entrare June Baker in redazione. Rose gettò solo un vago sospiro, esausta. Aveva dormito poco quella notte e non aveva voglia di fare i conti col resto della scuola. Lei, Scorpius e Al ormai neanche ci facevano più caso a quel giornalino, ma c’era anche chi, molto tristemente, considerava June la bocca della verità.

Louis non era certo uno di quelli. Troppo intelligente per dare adito a sciocchezze simili, e comunque troppo amico di sua cugina Rose per credere anche ad una sola delle cose scritte lì.

Insieme ad Al e Rose, Louis era l’unico della famiglia a non essere confluito nella marmaglia Gryffindor. Aveva sedici anni, era biondo e con gli occhi azzurri, tutto di Fleur, frequentava il sesto anno ed era anche lui un Ravenclaw. Avendo tanti cugini, e tutti per lo più in età giusta per frequentare la scuola, erano parecchi quelli con cui Rose aveva stretto anche un rapporto al di fuori della famiglia, ma Albus, Dominique e Louis erano gli unici di cui poteva dire di fidarsi ciecamente, alla pari di Scorpius o qualunque altro amico.

- Ti conviene andare a lezione adesso – le consigliò Louis. – La maggior parte non avrà ancora letto l’articolo, se ti sbrighi puoi riuscire a evitare un bel po’ di frecciatine prima di entrare in classe. –

- Non importa – sospirò Rose. – C’è tutto il pomeriggio, e tutto un anno davanti. Non servirebbe a granché. –

- E poi si può sapere perché mai June Baker ce l’ha tanto con te? – chiese Louis, alzando per la prima volta gli occhi chiari dal libro. – A parte tutti i dispetti, gli scherzi e quella storia di Al, cosa le hai fatto di tanto grave? –

Rose si strinse nelle spalle. Non le andava di perdere tempo a rimuginare sulle oscure motivazioni che potessero spingere June Baker a distruggere la vita sociale della gente. Sempre che non lo facesse per semplice hobby.

- Beh – fece allora Louis – io credo di dover andare. Hai compagnia – aggiunse poi, indicando con un cenno del capo alle sue spalle.

Rose alzò gli occhi oltre Louis, dietro il quale sembrava essere appena arrivata Eliza. Louis la salutò con un civile e cordiale “Ciao Dermott”, a cui lei rispose con un altrettanto incolore “Ciao Weasley”. Non potevano piacersi né essere amici, Rose però apprezzava la loro capacità di sopportarsi a vicenda.

Andato via Louis, Eliza si fece avanti prendendo il posto appena lasciato vuoto dal Ravenclaw.

- Non sei venuta a fare colazione – notò la Slytherin.

- Non avevo fame – replicò Rose. Seguì lo sguardo dell’amica, in tempo per accorgersi che stava osservando la copia del Daily Hogwarts che Louis aveva lasciato sul tavolo. Rose non aveva dubbi che lei l’avesse già letta, del resto la Godwin e la Whitby, le sue tirapiedi, erano giornalmente impegnate nel sacro compito di diffondere il verbo di June Dee.

- Quello che ha scritto la Baker… - si sentì in dovere di giustificarsi Rose.

- Lo so. –

- Sono un mucchio di stronzate. –

- Rose… -

- Lo sai che Scorpius non potrebbe mai… e poi Sparks, andiamo, è ridicolo. –

Eliza poggiò le braccia sul tavolo. – Non c’è bisogno che tu mi dica niente. Pensi davvero che possa credere alle cose che scrive quella lì? – disse, accennando con sprezzo al giornalino.

Rose non rispose nulla. Era chiaro che Eliza non avrebbe mai dato ascolto alle baggianate scritte in pochi minuti da una Gryffindor troppo piena di sé, quel che preoccupava Rose era altro. Ovvero il fatto che Eliza in genere non era brava quanto gli altri nel farsi passare addosso le cose. Assorbiva tutto ma non si lasciava andare mai, restava sempre con tutto quel rancore celato dentro che non riusciva a mandar via.

Non era facile esserle amica. Lo erano state fin dal loro primo anno, le era venuto naturale passando tanto tempo con Al e Scorpius. A primo acchito, Eliza le era sembrata esattamente il genere di persona da cui solitamente si teneva alla larga – troppa alterigia, naso all’insù, predisposizione a passare ogni cosa sotto il proprio giudizio – ma poi in qualche modo le si era affezionata.

- Scorpius mi ha raccontato di ieri notte – andò avanti Eliza.

- Ah, sì. Le domande del test e tutto il resto – ricordò Rose con fare superficiale. Riflettendoci, l’unico interesse che aveva nel superare quel test era fargliela pagare a June. Tutto lì.

- Bel sangue freddo, complimenti. Ho sentito Lumacorno lamentarsi di alcuni rumori nel suo ufficio stanotte. Ovviamente non sospetta di nulla, tanto meno sospetterebbe di Al, figurarsi. –

La notizia non turbò Rose più del dovuto. Dopo sette anni di punizioni, uscite clandestine e sotterfugi, a situazioni del genere ci aveva fatto il callo.

- E’ davvero tardi adesso – disse Eliza. – Se arriviamo in ritardo a lezione Lumacorno ce li toglierà comunque, un paio di punti a testa – borbottò, alzandosi.

Rose la imitò, sovrappensiero. Poco prima di uscire, mentre Eliza ancora stava raccogliendo la sua borsa, la trattenne per un braccio.

- Per quel fatto del giornalino, sai, l’articolo… Mi dispiace. –

Eliza storse le labbra in un sorriso stentato. – Non fa nulla. Tu non c’entri. –

- Mi fai paura, a volte, Liz. Dovresti prendertela ogni tanto. –

Lei cominciò a camminare, aspettando che l’amica la raggiungesse. – Non serve a niente, credimi. Non serve a niente. –

 

*

 

Come la prozia Muriel non mancava mai di ricordarle, sembrava che ci fosse una cosa sola che Rose avesse ereditato da suo padre: una naturale, quanto inutile, bravura negli Scacchi.

Rose non possedeva né l’ammaliante fascino di Victoire, né la dolcezza di Lily, né era una promessa del Quidditch come Lucy. Era una brava giocatrice di Scacchi, attività, a detta di Muriel, molto poco consona a una ragazza. Avrebbe finito con l’ingobbirsi a furia di stare piegata sulla scacchiera e le sarebbero sicuramente venute prematuramente le rughe alla fronte vista la concentrazione con cui i giocatori se ne stavano ore e ore a meditare sulla mossa successiva.

Ma, fintanto che non era né gobba né rugosa, Rose considerava gli Scacchi uno dei suoi hobby preferiti. Per questo motivo non passava giorno senza che lei passasse dal club di Scacchi Magici della scuola, presieduto da Brandon Butler, un affabile Hufflepuff del settimo.

- Cavallo in F5 – scandì Rose, mentre il suo cavallo nero si spostava verso la casella da lei indicata, già occupata dalla Torre bianca. Prendendo il suo posto, il cavallo la distrusse e la fece esplodere, mentre Charles si passava una mano tra i capelli, segno che era nervoso.

- Stai perdendo, Charlie-Boy – lo prese in giro sua sorella, appollaiata sul bracciolo della poltrona di Charles.

- Sta’ zitta, Evadne – tagliò corto Nott, tutto concentrato; Rose, seduta di fronte a lui, era deliziata.

- Vederti in difficoltà è una delle cose che più mi rilassano al mondo – continuò Evadne, raccogliendosi i capelli biondi sulla nuca in uno chignon.

Evadne Nott, Eva, era la sorellina quindicenne di Charles. Appestava più o meno tutti i club della scuola, in modo tale da conoscere un sacco di gente e avere una discreta rosa di contatti a cui estorcere favori.

- Alfiere in E6 – contrattaccò Charles.

- Stai giocando a vuoto, perdi solo tempo – disse Rose. – Regina in B7. –

La Regina Nera si spostò, attese qualche secondo, poi distrusse il Cavallo Bianco. Il Re avversario, ormai del tutto isolato, fece cadere la spada.

Rose si esibì in uno dei suoi sorrisi migliori. – Scacco matto. –

- Non è possibile, hai vinto di nuovo! – si indignò Charles. Perdere non faceva parte della sua routine.

- Io vinco sempre a Scacchi – precisò orgogliosa Rose. Era stato suo padre a insegnarle a giocare. Nelle sere di fine estate, o anche d’inverno, durante le vacanze di Natale, organizzavano sempre dei tornei dopo cena. Anche Hugo era discretamente bravo, ma Rose lo batteva quasi sempre. Con Ron invece era molto più difficile, di solito era lui ad avere la meglio. Ricordava ancora una partita in particolare, che li aveva tenuti svegli fino a notte tarda. Alla fine era stata Rose a vincere. La mattina dopo a colazione non avevano parlato d’altro, Hermione quasi non ne poteva più.

- Questo perché sei una subdola calcolatrice – scherzò Charles. – Per forza riesci bene in questo gioco. –

- Stronzate – decretò Eva, mettendosi in piedi. – Ammettilo: sei semplicemente scarso, Charlie-Boy. Te la fai una partita con la tua sorellina? Ho voglia di vincere – concluse tutta allegra.

Charles sospirò pesantemente, rivolgendo a Rose un’occhiata affranta mentre sua sorella si allontanava verso il tavolo vuoto più vicino, cominciando a preparare la scacchiera.

- Con permesso, Rose. Ho un amor proprio da difendere – disse molto teatralmente, e alzandosi con l’aria grave di un soldato pronto a morire per la propria nazione, raggiunse la sorella al tavolo da gioco.

Rose lo guardò allontanarsi, un po’ perplessa, domandandosi come potesse esistere al mondo un idiota simile. Con un colpo di bacchetta riassettò la scacchiera, e le pedine bianche e nere cominciarono a disporsi ai loro posti, prontee per giocare una prossima partita. Ma si era fatto tardi, decise Rose guardando il suo orologio da polso, e aveva promesso ad Albus che si sarebbero visti per…

- Sua Eccellenza mi concede l’onore di una partita? –

Già con una mano a far leva sui braccioli della poltrona per alzarsi, Rose fu costretta a bloccarsi e a guardare dritto negli occhi Scorpius, tutto allegro e con l’aria un po’ scombussolata, cosa insolita per uno come lui.

- Ciao. Pensavo fossi con Eliza – disse, osservandolo mentre prendeva il posto occupato fino a un minuto prima dal cugino.

- Ero con lei fino a poco fa – rispose tranquillo, arrotolandosi le maniche della camicia sugli avambracci.

- Sì – Rose arcuò un sopracciglio, con un’espressione che faceva molto Hermione Granger. – Lo vedo – aggiunse poi, facendo riferimento alla camicia abbottonata di fretta, con i bottoni infilati nelle asole sbagliate, e il nodo della cravatta un po’ storto.

- Allora questa partita? – la sollecitò Malfoy.

- Come hai fatto a entrare? – replicò invece la ragazza. – Tu non sei del Club. –

- Butler mi doveva un favore, e non cambiare discorso. Preferisci i bianchi o i neri? –

- Veramente io stavo… -

- Usi sempre le pedine nere, quindi io prenderò le bianche. –

- Devo andare. Albus mi aspetta. –

- Tra mezz’ora – rettificò Scorpius, alzando gli occhi grigi su di lei, coperti appena da qualche ciocca di capelli biondi che gli era scivolata sulla fronte. – E’ stato lui a dirmi che eri qui. –

- Ma davvero? – fece Rose. Slytherin traditore che non era altro.

- Davvero. Non è che mi stai evitando, Rose? –

Lo sguardo di Scorpius si fece tanto severo e cupo che Rose non riuscì nemmeno a distogliere il suo. Forse era così che si guadagnava il rispetto di tutti. Ti incatenava là sul posto e non ti dava possibilità di scelta.

- Perché mai dovrei evitarti? – obiettò lei, un po’ accaldata.

- Quello che mi sono chiesto anch’io. Però, vedi… stamattina ti ho cercata nell’ora buca dopo Pozioni, e Liza mi ha detto che eri tornata nella tua Sala Comune per studiare. Allora sono andato alla Torre di Corvonero, ho parlato con la tua compagna di stanza, quella Nerissa Lear lì, e mi ha detto che studiavi e non volevi essere disturbata. Pensavo che ti avrei vista a pranzo ma il tuo cugino Ravenclaw mi ha detto che avevi mangiato in fretta e poi eri sparita. Questa sera ho chiesto ad Al se lui ti aveva vista e mi ha detto che eri al Club con Charles. E stamattina non c’eri a colazione. Allora, Rosie, che ne dici, mi stai evitando? –

Rose deglutì. – E’ un periodo strano. Ho voglia di stare per conto mio. –

- Peccato però che sembri che tutti ti abbiano vista tranne me. –

Rose incrociò le braccia al seno e mise su un’espressione accigliata. – Che razza di inquisizione è mai questa? Non ti devo spiegazioni. –

- In compenso mi devi una partita, e i bianchi muovono per primi. Pedone in A3. -

La pedina eseguì l’ordine di Scorpius, che le sorrise soddisfatto. L’espressione di Rose non si addolcì di un soffio.

- Non ho tempo, Scorpius. –

- Non si abbandona una partita di Scacchi Magici, lo sai – le fece notare lui. – Tocca a te, Weasley. –

Rose sbuffò, aveva ragione, il maledetto. – Sei solo un ragazzino arrogante e stupido – borbottò, analizzando la scacchiera. – E sei anche un pessimo giocatore. –

Scorpius fece spallucce. – Sarà. Ma una partita non è una partita se non c’è qualcosa in palio. –

- Che idiozia – commentò lei, muovendo a sua volta.

- Se vinco questa partita… - cominciò lui, e a quest’affermazione Rose emise uno sbuffo divertito. - …esci un po’ con me a Hogsmeade questa domenica? –

- Ho già un impegno per questa domenica. –

Scorpius fece finta di non aver sentito, come faceva sempre quando gli conveniva. – Andiamo a prenderci una burrobirra ai Tre Manici come ai vecchi tempi. –

Giocarono entrambi un’altra mossa.

- E quali sarebbero esattamente questi vecchi tempi? – chiese Rose.

- Beh – Scorpius ci rifletté un poco. – Come l’anno scorso, ad esempio. Quando tu, Al ed io stavamo in giro per il castello fino a ben oltre l’ora del coprifuoco, o quando venivi a vedere i miei allenamenti, o quando… - sembrava in dubbio se aggiungere qualcos’altro, o forse, molto più semplicemente, non gli venne in mente più nulla. – Alfiere in C4. -

- Hai una ragazza, Scorpius, e sarebbe bene che la tenessi un po’ più in considerazione – disse Rose, con lo sguardo basso sulla scacchiera. – Soprattutto se è la mia migliore amica. Pedone in H6. –

- Ovvio che la tengo in considerazione – si difese subito lui, risentito. – Te l’ho detto, ero con lei fino a poco fa. –

- Preciso: sarebbe bene che la tenessi un po’ più in considerazione anche quando non ci fai sesso. –

- Rose, diavolo, io non… - si bloccò, puntando gli occhi sulla sua prossima mossa. – Non mi servono i tuoi consigli. Liza e io stiamo benissimo. –

Il silenzio di Rose fu sufficiente come risposta. La ragazza puntò gli occhi altrove, aspettando che lui muovesse.

- Cavallo in C3 – disse Scorpius. – Allora, mi riserverai un po’ del tuo tempo domenica, se vinco? – chiese.

- Cavallo in C4 – rispose Rose, e il suo cavallo mangiò l’alfiere di Scorpius. – Se vinci – ripeté.

Scorpius storse le labbra. – Voglio solo sistemare le cose – Mosse l’altro alfiere. – Sei più fredda con me di recente. –

- E’ solo una tua impressione, data dal fatto che non appena ti accorgi che il resto del mondo non ruota attorno a te ti senti messo da parte. – Rispose muovendo la torre.

- Anche Charles ha detto che avevo ragione quando gliel’ho fatto notare. –

- Probabilmente stava pensando a cosa indossare l’indomani, ti avrebbe dato ragione in qualunque caso. –

Scorpius stette in silenzio, sapendo che era perfettamente plausibile. Mosse un pedone.

Rose mosse la torre.

Scorpius mangiò la torre con il suo alfiere.

Rose portò avanti la regina.

- Scacco matto – disse lei, e senza aspettare altro si alzò subito in piedi afferrando la borsa e il mantello che aveva mollato sul tavolino.

Scorpius non poté fare altro che assistere mesto alla sua sconfitta, mentre la ragazza si sistemava meglio la borsa sulla spalla.

- La prossima volta che ti verrà in mente di giocare una partita che sai già dal principio che perderai… beh, evita – lo ammonì. Poi alzò la mano in segno di saluto, con un mezzo sorriso. – Ciao ciao, Scorpius. Ci vediamo domani a lezione. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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