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Autore: wari    10/09/2011    6 recensioni
«Sasuke?» domanda, seriamente preoccupata.
Ecco, è uscito di nuovo di brocca, stavolta definitivamente: è pure scalzo. Adesso le verrà a raccontare che nella bacinella di fango c'era la testa di Madara che cercava di circuirlo con voce suadente.
«Devi aiutarmi» ribatte il pazzo, arrivandole davanti, serissimo e chiaramente in difficoltà. E Sakura sbianca, perché se Uchiha Sasuke, serissimo, ti chiede d'aiutarlo, significa proprio che la situazione è disperata.

Il caldo dà alla testa, si sa. E quando ci si mettono anche i gatti e le emergenze idriche, individui naturalmente propensi allo sbaglio come certi ex nukenin disadattati tendono a commettere errori piuttosto grossolani.
[Attenzione: tanta, tanta demenza gratuita]
Genere: Demenziale, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ino Yamanaka | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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Sono stata tentata di sostituire molte frasi di questa cosa con delle sonore pernacchie, perché tanto avrebbero avuto più o meno lo stesso senso logico, ma beh, alla fine eccoci qua. Utopico Allegro Mondo Perfetto condito di demenziale a profusione, paragrafi irrilevanti e il solito Naruto Due (che è il gatto, non vi sbagliate). Ciò detto, buona fortuna.




Di delitti imperfetti e funerali in giardino
(parte prima)



Nel vecchio quartiere del ventaglio ci sono così tanti problemi che, alle volte, verrebbe voglia di andare a chiedere a Pain perché diavolo non abbia concluso il lavoro e si sia preso la briga di buttarlo giù del tutto.
Sono attimi fugaci di insofferenza per i quali, poi, Sasuke prova un senso di colpa opprimente e mortale e si ravvede trascorrendo le giornate a cercare di far funzionare il quadro elettrico, riparare il tetto e convincere le ante dei mobili a lottare contro la gravità per qualche altro giorno.
È una cosa abbastanza maniacale, ma Naruto passa, saluta e non dice niente; oppure passa, saluta e fa «vuoi una mano?», e se anche Sasuke non risponde, troppo impegnato a scrostare lerciume da sotto il lavello e a capire perché diavolo di ogni cosa che aggiusta avanzi sempre un pezzo, gli si piazza accanto, porge arnesi, regge pezzi e tiene la torcia.
Più spesso, invece,
la casa sembra così enorme che Sasuke perde forze solo a cercare di capire da cosa sarebbe meglio iniziare per convincerla a restare in piedi; e la questione peggiora quando ci si mette anche l'estate, con temperature del tipo che salire due gradini è facilmente paragonabile all'assunzione di una doppia dose di valium a stomaco vuoto.
Per sopravvivere, il ninja medio deve necessariamente mettere in atto una serie d'espedienti e strategie volte ad impedirsi di stramazzare sul tatami ad ogni passo: e quindi Sasuke ha abilmente superato una nottata di caldo torrido dormendo in posizione seduta fuori, sull'engawa, avendo cura di scacciare il gatto ogni volta che minacciava di saltargli in grembo per ammorbarlo col suo spasmodico bisogno d'affetto ed il suo pelo caldo; si è fatto tre bagni in un lasso di tempo drammaticamente breve; ha fatto colazione coi ghiaccioli comprati da quel jinchuuriki idiota che riempie frigo e credenza di dolciumi e, al millesimo miagolio insofferente, si è fatto un quarto bagno portando il gatto con sé.
Ed è stato lì che è successo il fattaccio.
Sasuke di gatti se ne intende: gli piacciono, tutto sommato, più di molti altri animali. Ne ha visti abbastanza nella sua vita, che fossero gatti comuni o gatti ninja, e li ha sempre trovati delle creature sorprendentemente interessanti: pigri, sufficientemente spocchiosi, spesso intrattabili senza alcun motivo apparente, maliziosi e sempre con quell'aria di superiorità impressa nell'angolazione delle code erette o nei profili da statue troppo prese a contemplare l'universo per preoccuparsi di inezie terrene, almeno fino all'ora di pranzo.
Tutte queste considerazioni, più che altro inconsce – non è che si sia messo a studiare i gatti per hobby: non ne ha mai avuto il tempo –, l'hanno fatto giungere alla conclusione che, semplicemente, Naruto Due non è un gatto.
Non lo è. È troppo,
troppo idiota.
Un gatto, un gatto vero, non ti segue come un ombra dondolante mentre deambuli in giro per la casa cercando di costringerti a non espellere troppi liquidi corporei; un gatto vero non ha quella faccia da scemo contento di vivere, quando entra a contatto con tre metri cubi d'acqua; un gatto vero non ti intralcia continuamente il cammino e non lascia pozzanghere scivolose sulla traiettoria del tuo piede sinistro proprio mentre ti issi fuori dalla vasca e, soprattutto, un gatto vero non sgrana gli occhi con espressione colpevole identica sputata a quella di Uzumaki Naruto – arancione, baffi e tutto – quando il tuo tallone slitta sull'acqua e, con un movimento impacciato che è quanto di più lontano possa esserci dalla natura di un ninja, il tuo corpo si sbilancia all'indietro e la tua testa va a sbattere dritta contro il rubinetto, smontandolo. Non lo fa, punto.
«
Io ti odio» scandisce Sasuke, sepolcrale, il sedere dolorante, lo spruzzo d'acqua ormai fuori controllo che gli fischia appena accanto all'orecchio ed un piede a bordo vasca.
Naruto Due, degnandosi di prendere finalmente la prima decisione intelligente della giornata, abbassa le orecchie contrito e schizza via, la coda tra le gambe.


Sasuke non è un idraulico e la sua pazienza era esaurita ben prima che il sole sorgesse sul monte degli Hokage, quella mattina. A dire il vero, lo era anche ben prima che Naruto avesse la stupida idea di convertirlo alla pace e all'amore, un infausto giorno di tre anni fa, ma quella è un'altra faccenda. Adesso, adesso ora, il problema è che Sasuke non ha pazienza, ha un bernoccolo grosso come un melone sulla nuca, un gatto da ammazzare ed un bagno allagato.
«
Bene» sibila, scrutando torvo lo stato di sfacelo in cui versa la stanza. Avanza di qualche passo brandendo con sicurezza chiave a stella e saldatrice: non ha bene idea di cosa dovrebbe farci di preciso, ma tanto non c'è nessun essere inutile imbustato in qualche tuta arancione che possa prenderlo per i fondelli al riguardo, quindi procede, sicuro di sé. Aggira lo spruzzo, che ha da tempo centrato in pieno l'armadietto dei medicinali causando l'agonizzare in terra di boccette e quant'altro, dribbla il cumulo d'asciugamani che lui stesso ha messo a terra nel vano tentativo d'assorbire un po' d'acqua e si prepara all'attacco.
C'è la parte divelta di rubinetto che annaspa sul fondo della vasca strapiena, deformato dagli strati d'acqua sovrastanti.
Sasuke emette un impercettibile sbuffo, il pensiero tutto rivolto alla catartica vendetta che riverserà su quell'imbecille del gatto – da consumare prima che torni Naruto a ricordargli con la sua voce petulante che vendicarsi contro animali e oggetti inanimati è un chiaro sintomo delle sue notevoli nevrosi, e che quindi sarebbe il caso di ricominciare a prendere gli psicofarmaci – e immerge il braccio fino al gomito. Le sue dita incontrano il metallo e lo tirano su, ma anche se avere un utile pezzo in mano dovrebbe portare automaticamente avanti l'ardito progetto di riparazione che Sasuke aveva in mente, la faccenda non sembra funzionare granché: c'è il getto violento che crea un po' di problemi, quando si cerca di tapparlo col rubinetto, e mettersi ad avvitare pezzi di metallo mentre l'acqua ti si ficca in ogni orifizio della faccia non è esattamente agevole, soprattutto se la tua pazienza era finita già dal mattino, e da tre anni, e poi se l'è mangiata il gatto.
«Dannazione» mastica Sasuke, e gli ultimi residui di pazienza vengono espulsi tra gli incisivi serrati.
Sta per imprecare, o usare il chidori – sì, in un bagno allagato, giusto per ribadire la sua già nota propensione all'errare congenito – quando di colpo, proprio mentre lui sta facendo forza contro la pressione dell'acqua col palmo della mano, la spinta del getto si smorza di colpo, facendolo quasi cozzare con la testa contro le piastrelle.
«Eh?» articola, mentre l'acqua si riduce rapidamente ad un unico rivolo annaspante e sparisce del tutto, giù nel tubo.
Sasuke resta così, con le sopracciglia ad un millimetro dalla parete, il pezzo di rubinetto stretto in mano e le ginocchia in acqua.
«
Eh?» ribadisce con più impegno, quando nessun segno celeste si degna di spiegare l'accaduto.
Circospetto, la frangia zuppa appiccicata alla fronte aggrottata, si avvicina a quel che resta del rubinetto e spia con un occhio nel buco.
Niente.
Neanche la soddisfazione di essere vittima d'una scenetta comica di bassa lega, con spruzzo ad alta pressione in modalità accecamento. No: Sasuke Uchiha resterà una persona seriosa che vive in una grande casa buona per la demolizione, a far fronte all'ennesima emergenza idrica. Col caldo che fa, l'acqua gli è già evaporata da dosso e quella che si spande in pozze fuori dalla vasca, tra asciugamani zuppi e chincaglierie varie – delle mutande arancioni navigano solinghe in direzione del water – si sarà già riscaldata.
Costernato, Sasuke resta ad osservare l'acqua che attorno a lui si ritira nello scarico, vorticando in mulinelli discreti mentre il livello scende sempre più giù, sotto la vita, poi a mezza coscia, fino a rimanere un filo sotto le ginocchia e lasciare l'ex nukenin immobile nel mezzo d'una vasca vuota, le gambe pesanti sotto il peso dei pantaloni zuppi.


Fa caldo. Fa davvero troppo caldo, è inconcepibile.
I pantaloni gli si sono asciugati addosso e adesso gli graffiano le gambe con la loro rigidità un po' feltrosa, ogni volta che fa un passo. Sasuke sbuffa, fiacco, e scarta l'ultimo ghiacciolo al limone: è comunque
troppo dolce, ma sicuramente più appetibile di quelli alla fragola che sanno di zucchero e sciroppo per la tosse. Ed è un dramma, considerato che quello è rimasto l'unico alimento commestibile in casa, a parte gli onnipresenti cumuli di ramen e due pomodori agonizzanti.
Praticamente sciolto sull'engawa, nell'unico angolo d'ombra in cui comunque tirano quaranta gradi di solido caldo, il cervello assopito di Sasuke è ancora molto concentrato sul male che dovrà fare al gatto – gatto che se l'è chiaramente filata mollandolo da solo, cosa che dopotutto fa pensare che la bestiaccia conservi quantomeno un po' di spirito di sopravvivenza –, ma un quarto d'emisfero si sta ingegnando per capire come sopravvivere all'emergenza idrica.
E no, non funziona.
«Troppo caldo» delibera non molto brillantemente, seguendo quella linea di pensieri sciolti e bofonchiando in direzione di Ukki, la pianta preferita di Naruto.
La pianta preferita di Naruto, quella che lui tratta come una figlia, quella che, quando i due abitanti del quartiere sono via in missione, viene scarrozzata assieme al gatto nelle affidabili mani di Santo Iruka, in compagnia di qualche altro vasetto congruamente iscritto all'anagrafe immaginaria cui Uzumaki Naruto fa partecipare ogni essere vivente che lo circondi.
Ukki è stata la prima vera prova dei seri disturbi sociali del jinchuuriki, la prima reale conferma di una scomoda verità sempre taciuta nella cerchia di amici e colleghi, in nome dell'affetto che tutti provano per lui: Naruto è disturbato.
Certo, in molti danno semplicemente la colpa a Sasuke: la loro stessa relazione potrebbe essere facilmente inserita in un composito quadro di disturbi comportamentali dell'una e dell'altra parte, ma è chiaro che Sasuke non sia la sola causa di tutte le assurdità uzumakiane. È stato più che altro un fattore scatenante, un allergene che ha dato vita ad una serie di reazioni concatenate di violenza tale da sfuggire al controllo di loro stessi in tempo record.
Sasuke ha un sacco di colpe – centinaia di colpe, una più pesante dell'altra e nessuna completamente riparabile – ma se c'è una cosa per cui proprio non può essere accusato, è la faccenda delle piante.
Non che sia qualcosa di particolarmente inquietante, perché un bambino che cresce da solo in un monolocale avrà effettivamente bisogno di sfogarsi in qualche modo, ma Sasuke trova comunque ancora vagamente preoccupante il modo che Naruto ha di accarezzare le foglie chiare e brillanti di Ukki, mentre le somministra del fertilizzante preparato in casa con ingredienti oscuri – si sospetta anche
feci di Naruto Due – raccontandole allegro della sua giornata.
Certo, Sasuke non ha mai espresso questo insano desiderio a voce alta, ma si dà il caso che sarebbe ben più normale se fosse
lui, l'interlocutore di quelle lunghe chiacchierate: tanto Naruto non necessita di risposta, dato che può anche rivolgersi ad una pianta, no?
No, a quanto sembra. E non ci si può lamentare d'una cosa del genere, non quando solo un paio d'anni fa eri
tu quello che parlava da solo con la gente morta e credeva di vedere cose che stavano solo nella sua testa. Insomma, probabilmente chiacchierare con le piante è molto meno grave, se si è costretti a stabilire una scala di valori; ma comunque non completamente rassicurante della sanità mentale di un individuo, ecco.
Ma non c'è nulla da fare: quando si cerca di farglielo notare, o si minaccia distrattamente una possibile dipartita del tutto accidentale della simpatica pianta, Naruto elargisce sguardi offesi e sussurra col naso tuffato tra le foglie, materno: «lascia perdere il brutto nukenin mangiabambini, Ukki chan. Ci penso io a tenertelo lontano».
Ukki non è una pianta: Ukki è
la pianta, un essere vivente cui Naruto ha dedicato molte ore della sua vita, un essere vivente sensibile e delicato su cui il jinchuuriki ha riversato tutto il suo affetto inespresso di bambino solo: Ukki è viva.
Cioè, lo era.


Nell'unico angolo ombroso dell'engawa inondato di sole che corre attorno a casa Uchiha, si sono susseguite una serie di azioni inutili nella praticità, ma assolutamente necessarie perché Sasuke riacquistasse completa padronanza di sé: l'ex nukenin ha sgranato gli occhi, si è soffocato con l'aria nel più totale silenzio, ha emesso un flebile rantolo di costernazione e poi s'è alzato di scatto, imprecando sia perché la pressione sotto le scarpe gli ha regalato qualche secondo di visuale fuori fuoco, sia perché – cosa ben più grave – ha finalmente inquadrato per intero la gravità della situazione.
Ukki,
Ukki chan, giace esanime nel vaso, la chioma smorta e floscia che penzola immobile oltre il brodo, il colorito pallido e marroncino: sembra una verza cotta, ha la stessa puzza di una verza cotta e se ne sta lì, le foglie sottili e pesanti, svenute.
E non è tanto questa la cosa grave, quanto piuttosto l'innegabile, incontrovertibile realtà dei fatti: Ukki era sotto la sua diretta responsabilità.
Quando Naruto è in missione, solo due cose sono richieste espressamente a Sasuke: non uccidere il gatto e innaffiare le piante. Sono in fondo due richieste non troppo impegnative, qualcosa di semplice che chiunque potrebbe fare anche senza delle direttive precise, e invece Naruto spende comunque quei dodici secondi della sua esistenza per ricordarglielo. Non è in ansia, ma lo fa comunque perché ci tiene, perché crede che sia suo dovere occuparsi di gatto e piante e che quindi, quando lui non può per cause di forza maggiore, sia comunque suo dovere far in modo che gli altri abbiano invece la possibilità di farlo in maniera il più possibile agevole.
Sasuke ce l'aveva, la possibilità di farlo. Ce l'aveva, ma se n'è scordato.
«Merda» impreca, chinandosi a guardare il vaso. Niente: anche a girarlo in tutte le direzioni, la pianta non si alza.
«Merda» ribadisce, mordendosi il labbro.
Si tira in piedi e va in cucina, svelto; nel frigo sono rimasti degli avanzi di sugo, dei pomodori agonizzanti, una confezione di latte e due bottiglie d'acqua: ne tira fuori una e quasi si scartavetra una mano cercando d'aprirla.
«
Merda» ripete, con una nota d'esasperazione: non è possibile che non riesca ad aprire una bottiglia, è senza senso. O forse ha le mani troppo sudate.
Fa un respiro profondo, afferra un lembo della sua stessa maglietta e ci avvolge il collo della bottiglia, per svitare il tappo senza farselo scivolare sotto le dita; poi scatta in direzione della finestra.
Ukki è ancora lì, e sembra più morta ogni minuto che passa.
Sasuke afferra il vaso con decisione, si accascia in ginocchio e ci svuota dentro mezza bottiglia d'acqua in un colpo solo; poi aspetta che le radici facciano il loro lavoro.
Aspetta.
Aspetta.
Versa il resto dell'acqua, che inizia a colare sia da sotto che dai bordi.
Aspetta ancora.
«
Merda» sibila, le labbra sempre più contratte. L'acqua non scende, sta lì a fare melma. Qualche fogliolina morta si stacca e naviga giù, colando sull'engawa sotto lo sguardo costernato di Sasuke.
Non si spreca neanche più a imprecare, l'ex nukenin, e l'unica cosa che gli viene in mente di fare è un collegamento completamente illogico: pianta in fin di vita – no,
non può essere morta – va portata da qualcuno che possa rianimarla. E dato che non c'è Orochimaru a portata di vista, e neanche Kabuto – forse perché tecnicamente sono entrambi alquanto morti – dovrà arrangiarsi con quel che offre Konoha.
Afferra il vaso con due mani e si alza in piedi, provocandosi la contrattura di un paio di vertebre e facendosi colare la fanghiglia addosso. Non ci fa praticamente caso, fa dietrofront e attraversa il soggiorno in un frusciare di foglie smorte, per aprire la porta di ingresso con la schiena, intimamente soddisfatto d'averla lasciata aperta come al solito – come Naruto detesta che faccia.
Si accorge di aver dimenticato i sandali quando ormai ha già attraversato quel che resta del vecchio ingresso del ghetto, e sinceramente non riesce neppure a restarne troppo turbato, anche se sotto le piante dei piedi il suolo scotta abbastanza.
Si schiaffa la pianta sotto un braccio e corre, neanche dovesse seminare una squadra di genin mandata ad impedirgli di tradire il Villaggio.


Poco dopo la pausa pranzo, è il momento che Sakura preferisce: solitamente i pazienti sono sonnacchiosi, specie con questo caldo, e l'ospedale sembra entrare in una bolla di tranquilla staticità, enormemente rilassante rispetto alla consueta frenesia.
Sakura finisce di ripulire il suo bento con calma, un po' annoiata per l'assenza di Ino, che ha la giornata libera e sta in negozio, e dà un'occhiata all'orologio. Sono le tre meno un quarto: ha ancora una decina di minuti di sosta.
Fa per recuperare la sua borsa ed estrarne un libro dall'aspetto malconcio, quando una serie di passi affrettati lungo il corridoio ed un paio di richiami concitati la sorprendono così, col libro in mano e il collo teso in direzione della porta.
«Sakura!» fa una voce bassa ma imperiosa.
Sakura sgrana gli occhi ed è seriamente tentata dal mettersi sull'attenti, prima di ricordare che no, non ha dodici anni, Uchiha Sasuke è un imbecille – il suo imbecille, come lo è Naruto. E nessuno s'azzardi a dirlo di fronte a lei – e non c'è alcun bisogno di farsi prendere da qualche sciocco batticuore, tanto più che, se Sasuke arriva in ospedale alle tre del pomeriggio e la chiama con una certa urgenza, la situazione può essere tutto fuorché piacevole.
Ed è infatti con notevole apprensione che Sakura molla il suo libro e si affaccia, in fretta, solo per inquadrare la figura lunga e accaldata di lui, nascosta dietro ad una sorta di ingombrante ciotola piena d'erbacce che cola fango tutt'intorno, tra gli insulti di un inserviente che si è già messo a pulire il corridoio blaterando di malasanità e presunta sterilità dell'ambiente ospedaliero.
«Sasuke?» domanda, seriamente preoccupata.
Ecco, è uscito di nuovo di brocca, stavolta definitivamente: è pure scalzo. Adesso le verrà a raccontare che nella bacinella di fango c'era la testa di Madara che cercava di circuirlo con voce suadente.
«Devi aiutarmi» ribatte il pazzo, arrivandole davanti, serissimo e chiaramente in difficoltà. E Sakura sbianca, perché se Uchiha Sasuke, serissimo, ti chiede d'aiutarlo, significa proprio che la situazione è disperata.
Nella mente della kunoichi si aprono una serie di scenari terrificanti, con nuove minacce al Villaggio, al Paese, al mondo intero.
«Io... entra» conclude, cercando di calmarsi. Sasuke annuisce e la precede nello stanzino ingombro di scartoffie, mentre lei si scusa frettolosa con l'inserviente e chiude la porta.
Fa scattare la maniglia e segue con lo sguardo le impronte polverose e le gocce di fango che conducono ai piedi scalzi di Sasuke; lui ha appena poggiato la bacinella sul tavolo di metallo che sta accostato alla parete e se ne sta lì, coi capelli neri a ricadergli davanti al viso, la linea delle labbra tesa e i pugni serrati.
E nessuna di queste cose è un buon segno.
Si volta e la guarda, senza riuscire ad articolare verbo.
Sakura ricambia lo sguardo con decisione e si avvicina per esaminare la bacinella, che non è una bacinella: è un vaso.
«Sasuke» respira, ritrovandosi per un attimo senza forze. «
Questo è Ukki».
Lui non risponde, le pupille incollate alle foglie flosce che praticamente galleggiano nel terriccio misto ad una quantità spropositata d'acqua e ricadono pendule da ogni lato, come alghe bagnate.
«Ah, è maschio?» borbotta l'ex nukenin, a disagio.
Sakura alza gli occhi al cielo e trae un profondo respiro.
«Non è questo il punto» mastica, trattenendosi dall'urlare – è Sasuke, ci vuole pazienza:
è Sasuke – e cercando piuttosto d'assumere un tono tranquillizzante. «Come hai fatto a ridurlo così? Non puoi innaffiarlo così tanto, ci sono... le piante non vanno innaffiate così tanto!»
«Lo so, cosa credi? Non l'ho... ho dimenticato di... invece di decidere di chi è colpa, perché non fai qualcosa?» risolve, con una nota d'isteria incastrata in gola e tradita dal gesticolare nervoso delle mani – solo quelle, tenute giù oltre la cintola.
Sakura lo guarda e respira. Poi respira di nuovo, ricordando che spiegare a Sasuke il concetto di responsabilità personale – non c'è bisogno d'aprire un caso giuridico: è
ovvio che sia colpa sua, se Ukki è in quelle condizioni – è un'assoluta perdita di tempo, e può avere solo conseguenze distruttive sulla sua già disagiata psiche. Perciò ignora semplicemente l'intera questione e si concentra sull'assurda richiesta.
«Sasuke, io sono un medico» dice, guardandolo dritto negli occhi. E quando lui aggrotta le sopracciglia e fa per ribattere aggiunge «un medico, un dottore per persone. Converrai con me che c'è una certa differenza tra un uomo ed una pianta».
Sasuke stringe le labbra e borbotta «però il capitano Yamato lo curi», sostenuto.
Sakura si trattiene dallo strabuzzare gli occhi e preferisce poggiargli cautamente una mano sull'avambraccio.
«In ogni caso, credo ci sia poco da fare, ormai» suggerisce, con voce comprensiva ma in tono definitivo, come avesse appena diagnosticato una malattia mortale ad un paziente e lo stesse comunicando ai familiari.
Sasuke le rivolge un'occhiata seriamente preoccupante, esattamente come il familiare di qualcuno cui sia appena stata diagnosticata una malattia mortale, appunto; Sakura deglutisce.
«Ma è Ukki» riprende l'ex nukenin, distante. «Se fosse morta quell'altra lì, quella specie di cactus che ha comprato due mesi fa, sarebbe stato tragico, ma non devastante. Questa...
questo è Ukki. Io non posso avergli ucciso Ukki» conclude, costernato, parlando più tra sé e sé che con Sakura.
«D'accordo. Stiamo calmi» fa lei, aggrottando le sopracciglia. La pianta ha macchiato diversi dei fogli che erano sul tavolo e acqua sporca continua a filtrare dai buchi sul fondo del vaso. «Forse potresti portarla da Ino» propone, mordendosi l'interno della guancia, mentre con un indice dubbioso cerca di tirare su qualcuna delle lunghe foglie.«Ma l'hai lasciata a friggere con questo caldo?» si lascia sfuggire, in un mugolio.
Sasuke soprassiede, facendo finta di non sentirla.
«Yamanaka potrà servire a qualcosa per una volta nella vita?» mastica, aspro, meritandosi un'occhiataccia di rimprovero.
«Non se non cerchi almeno di essere gentile» lo ammonisce Sakura, severa. «Ino è in gamba, e se c'è qualcuno che si intende di piante quella è lei. Va' e comportati come si deve» delibera, decisa, ma senza incrociare il suo sguardo. Fortunatamente, lui è ancora troppo preso dalla pianta e non si accorge né della nota tremante nella voce di Sakura, né del rossore che le è salito in viso: è sempre così, tanto è facile cazziare Naruto anche per le cose più sceme, tanto è difficile contraddire Sasuke o, peggio, cercare di rimproverarlo quando lui fa cose completamente ai limiti della legalità o del buon senso. E succede almeno una volta al mese, quando va bene.
«Da Yamanaka» ripete l'ex nukenin, traendo un respiro un po' più profondo. Poi si sistema di nuovo il vaso tra le braccia, aiutato da Sakura, che gli sposta un po' di fogliame da davanti al viso, premurosa.
«Ma non ci sperare troppo» aggiunge, materna.
Sasuke mette su una mezza smorfia, ma non dice niente. L'istante dopo è già in corridoio a farsi urlare dietro dall'inserviente.
Sakura resta in piedi davanti alle cartelle imbrattate di fango e sospira, prima di rinfilarsi il camice e cominciare il turno con quasi cinque minuti di ritardo.


Konoha è un posto stupido pieno di gente stupida e, se c'è una cosa che Sasuke detesta, è andare in giro per il villaggio e scoprire di non ricordare minimamente dove dovrebbero essere certi edifici una volta noti. Grazie a Pain, ovviamente, e anche a quel capitano Yamato che sarà pure abile a tirar su case dal niente, ma in quanto a fantasia non si è sprecato più di tanto, e molti edifici si somigliano lasciando ai passeggiatori non abituali la sensazione di star camminando sempre nello stesso posto.
Quando finalmente avvista l'insegna del negozio di fiori Yamanaka, Sasuke si è già fatto un buon pezzo di strada più del dovuto, scottandosi i piedi, sudando e attirandosi le occhiate tra il perplesso e l'inorridito di una buona metà dei passanti, quelli che non si sono semplicemente limitati a distogliere lo sguardo dalla sua pericolosa nonché riprovevole persona come di consueto.
Sasuke si pianta davanti alla porta a vetri, incorniciata tra due arbusti rigogliosi ed altre piante grasse generiche poste all'esterno, e bussa, facendo tremolare vetro e cartellino “chiuso” appeso all'interno.
Bussa un'altra volta, più forte, e finalmente dei passi annunciano che qualcuno dentro c'è; fingeva solo di non sentire.
«Non sa leggere?» esordisce la voce di Ino, da oltre la porta. Uno dei pannelli scorre a mostrarne la faccia tra il seccato e il perplesso «Siamo chiu-oh. Sasuke kun?» fa, l'occhio visibile sgranato.
Lui le offre un'espressione chiaramente spazientita, prima di annunciare senza troppi preamboli: «
puoi fare qualcosa?», mettendole Ukki sotto il naso.
Ino il naso lo storce, tirando un po' indietro il collo per esaminare più agevolmente lo stato pietoso in cui versa la pianta.
«Che diavolo dovrei farci, con quest'ammasso di foglie morte?» fa, guardando Sasuke come se lo trovasse completamente suonato.
Lui si trattiene dal mandarla al diavolo, mentre una vocina paurosamente simile a quella di Sakura gli ripete
sii gentile, sii gentile nell'orecchio, o forse nella zona più malata del suo cervello, la stessa che lo sta contemporaneamente incitando alla violenza selvaggia contro quel covo di ipocriti teste di cazzo che è il villaggio della Foglia.
«
È di Naruto» comunica, e lo sa che gli è sfuggito un tono sottilmente supplice. Lo sa, perché Ino sgrana gli occhi ancora di più e lui si maledice. La kunoichi alza le pupille al cielo e fa «entra» scostandosi per permettergli di passare.
Nel negozio la luce filtra prepotente, ma mitigata da tutto quel fogliame verde equamente distribuito tra pavimento e soffitto, dal quale pendono complicati intrichi di piante in vaso, in un soffocante miscuglio di pollini e
puzze.
Ino gli fa cenno di posare Ukki sul bancone e poi lo aggira, per sistemarsi dall'altro lato, di fronte alla pianta.
«Un esemplare di
chlorophytum comosum. Volgarmente detta pianta ragno» commenta, dopo una breve ispezione delle foglie. «Chi è il cretino che si è dimenticato di innaffiarla?»
Sasuke non fa neanche lo sforzo di schiarire la voce o mostrare qualche segno di imbarazzo: diventa semplicemente un blocco di marmo. Un blocco di marmo sudato con le labbra strette.
«Puoi fare qualcosa?» chiede ancora, stavolta senza neanche nascondere la vena di panico.
Ino sospira forte, le sopracciglia aggrottate e le mani che frugano tra le foglie.
«Beh, se non era morta prima, l'ha stroncata la colata d'acqua, direi: come offrire un banchetto in dieci portate ad un sopravvissuto nel deserto. Dubito di poter fare qualcos... Sasuke kun, ti senti bene?» domanda, quando nota chiaramente un accenno di tic nervoso nell'occhio destro dell'ex nukenin.
Lui espira un po' d'aria dal naso, la mano che teneva sul bancone stretta fino allo spasmo e lo sguardo fisso sull'esanime Ukki.
«Sì,
benissimo» sibila, minaccioso. «Ho appena ucciso qualcosa come il parente più prossimo di Uzumaki Naruto, ma sì, va tutto a meraviglia».
«Vuoi un bicchier d'acqua?» propone Ino, conciliante; ma si vede che ce la sta mettendo tutta per trattenere
le risatine.
«Non c'è niente da ridere» l'ammonisce Sasuke, appena prima che lei scoppi davvero in una risata, nascosta dietro la mano e le fronde morte –
morte, morte, morte – di Ukki.
«Sì, sì» ansima la kunoichi, cercando di trattenersi senza successo. Fa un profondo respiro, per darsi un contegno di fronte al viso immobile e serio di Sasuke.
Sospira e scivola via dal bancone, diretta verso le piante in vaso sul lato sinistro del negozio.
Ammonticchiati su uno sgabello, prosperano dei rigogliosi sosia di Ukki.
«Che ne pensi?» propone Ino, prendendo un esemplare bello grande.
Sasuke si concede una lunga occhiata che va dalla kunoichi alla pianta ragno e vice versa.
«
Non sostituirò la pianta...» comincia, combattuto, senza riuscire a staccare gli occhi dal bel colore verde chiaro che spunta a ciuffi morbidi dal vaso.
Ino carezza le foglie con studiata noncuranza.
«Ti farei un prezzo modico» continua, ammaliatrice.
«Io non sostituirò la pianta!» ribatte Sasuke, deciso e un po' brutale.
«Come vuoi, come vuoi» sbuffa lei, roteando gli occhi. «Naruto sarà addolorato... Sakura dice che sia molto affezionato alle sue piante» commenta, sospirando mesta.
Sasuke stringe le labbra, mentre un macigno di rovente senso di colpa gli frigge le viscere.
Sposta gli occhi dalle spoglie mosce di Ukki, ancora immobile sul bancone, alla bella pianta viva che Ino non ha ancora riposto sullo sgabello.
«Dammi quella maledetta pianta» mastica, furioso.
Ino rilassa le sopracciglia, sorridendo vittoriosa.
«È un piacere fare affari con te, Sasuke kun».


Ci sono stati attimi di panico, ma non a caso Uchiha Sasuke è un ex ricercato di livello S, mica uno scemo qualsiasi. E comunque le missioni le ha sempre svolte in maniera efficiente.
Purtroppo, non riesce a pensare alla pianta come
Ukki: gli viene una sorta di bruciore alla bocca dello stomaco. Potrebbe anche essere perché non ha pranzato, ma non ha alcuna voglia di scoprirlo.
Quindi resta fermo, accasciato sull'engawa coi piedi doloranti, a fissare il vaso ricolmo che si è sistemato accanto: l'ha accomodato su un vecchio sgabello che consenta alle propaggini filamentose di penzolare indisturbate e ora le foglie della pianta frusciano serenamente al lieve spostamento d'aria causato dal fiato di Sasuke stesso, che sta seduto vicino come dovesse assicurarsi che non capiti nulla.
È sudato come una spugna e per lavarsi almeno in parte ha dovuto usare l'ultima bottiglia d'acqua rimasta, perché il quartiere è ancora in piena emergenza idrica e la questione gli è tornata in mente solo quando finalmente ha messo giù la pianta. Rassegnato alla situazione, s
i è sistemato accanto al vaso e da lì non si è più mosso, troppo stanco e seccato con se stesso, l'universo e specialmente Ino, che ha accettato che lui si portasse via a credito il chlorycoso cosum – era uscito senza sandali, figurarsi se aveva pensato a portarsi dietro dei soldi – ma a prezzo maggiorato, per via di non si sa quale politica del negozio che Sasuke non aveva voluto sapere.
«Azzardati a morire e me la pagherai» sibila l'ex nukenin alla nuova pianta, con lo stesso tono ammonitore che è solito rifilare al gatto.
Ecco, ha pure perso il gatto, nel frattempo. Probabilmente si è sciolto da qualche parte in giro per il quartiere ed è morto, perché non c'è una cosa che vada giusta, in quel posto, mai. Non c'è una cosa che vada giusta nell'universo, in realtà. La vita non ha senso, il mondo è stupidamente storto e tutto quel che succede succede senza alcuna ragione, in un continuo agitarsi senza scopo di sciocchi, patetici tentativi di dare un proprio ordine al caos.
Gli è venuta la nausea.
«Ah, ci sei!»
La voce squillante di Naruto lo fa letteralmente saltare; Sasuke sbatte un gomito contro lo stipite dello shouji e per poco non ficca l'altra mano dentro il vaso del nuovo Ukki.
«Ti ho chiamato almeno due volte. La pianti di lasciare la porta aperta?» aggiunge, brontolante. Però ride, contento per non si sa cosa, dato che ha un aspetto lercio, polveroso e anche un po' insanguinato – sangue d'altri, si spera – e gli si lascia cadere accanto, liberandosi della giubba con un certo impaccio e facendola atterrare poi sul tatami. «Si sta più freschi, qua?» domanda poi, forse cercando un perché all'aver trovato Sasuke accasciato tra finestra ed engawa, stretto tra lo shouji e una pianta in vaso.
Sasuke lo studia, guardingo e immobile, sulla difensiva.
«Stai bene?» chiede subito il jinchuuriki, perplesso; lui, che pare sopravvissuto ad un tornado, piuttosto che ad una missione.
«Certo» ribatte Sasuke, dandosi un contegno più composto e cercando di smetterla di fare pensieri assurdi su come, voltando di poco il collo, Naruto noterà che la tonalità di verde di Ukki è un po' troppo scura, e che le strisce giallo–biancastre e marcate che attraversano longitudinalmente tutte le foglie sono un po' troppo chiare e che il vaso non è esattamente delle stesse identiche dimensioni di quello di Ukki, e forse neppure della stessa sfumatura di argilla terrosa.
Naruto annuisce tranquillo, e gli dà un pugno leggero sulla spalla, prima di alzarsi e annunciare «vado a farmi un bagno», coronando il tutto con una scricchiolante stiracchiata di colonna vertebrale.
Sasuke annuisce e ne segue distrattamente il fondoschiena con lo sguardo, prima di uscire dalla trance.
«Non puoi fare il bagno» afferma, basso.
Naruto interrompe la falcata a metà e si volta; il tatami scricchiola sotto il suo peso.
«Il bagno. Non puoi, non c'è l'acqua» spiega Sasuke, neutro.
Il jinchuuriki rantola, scoraggiato.
«Di nuovo?! Non è possibile! L'altro giorno c'era...» sospira e sbuffa, maledicendo il dannato caldo e lamentandosi delle mutande che gli si sono appiccicate addosso; non contento, si gratta le chiappe con un'espressione scocciata, per sottolineare il concetto. «Vabbè, mi arrangio con quel che c'è...» brontola, prima di dirigersi in cucina con una stretta delle spalle.
Sasuke stringe i denti.
«È finita anche quella» annuncia, con la maggiore naturalezza possibile.
Sente chiaramente Naruto che apre la porta del frigo e poi fruga sotto il lavello, per accertarsene.
«Ma che cazz...» impreca, scontento. «E perché non l'hai comprata?» gli urla, dalla cucina.
Sasuke rifila un'occhiata assassina alla stupida pianta ragno, prima di mugugnare con palese fastidio.
«
Andiamo ai bagni pubblici?»
La testa bionda di Naruto sporge incredula dall'ingresso del soggiorno.
«Il luogo
in cui gli immondi abitanti di Konoha credono di poter lavare via la loro... com'era? Condotta immorale?»
«
Le loro sudicie coscienze, usuratonkachi» rettifica Sasuke, sostenuto. Poi si schiarisce la voce. «Lo penso ancora. Ma per una volta può andare».
Naruto scoppia a ridere, gaio.
«Sei uno stronzo senza possibilità di redenzione» commenta, giulivo. «Vado a prendere la roba!» aggiunge, facendo i gradini a due a due in un concerto di scricchiolii, evidentemente dimentico d'essere stanco morto.
Sasuke sospira e lancia l'ennesima brutta occhiata alla pianta. Finirà per ammazzarla a furia d'ammonimenti gratuiti.
Cerca semplicemente di pretendere che nulla sia successo, e riesce quasi a inalare finalmente un sufficiente quantitativo d'ossigeno per rischiararsi il cervello, quando la voce di Naruto lo fa sobbalzare di nuovo, arrivando alta e inquisitoria dal piano superiore della casa.
«Sasuke! Che cazzo hai fatto in bagno?!»
Ah, già
. Il bagno.
Sasuke si preme le dita in mezzo agli occhi, stremato.



Nda
Continua causa logorrea.
L'engawa è quella sorta di veranda che corre attorno alle vecchie case giapponesi, separata dall'interno dagli shouji, i pannelli scorrevoli con l'intelaiatura coperta da carta di riso. I fusuma sono più o meno la stessa cosa, ma di legno, e di solito si usano all'interno, per separare gli ambienti.
Per chi si fosse chiesto come abbia fatto Uchiha Sasuke a distruggere un rubinetto con una testata, la risposta ovviamente è: “Sasuke ha la testa più dura del mondo”. Compris?

Ma è narusasu o sasunaru? Come vi pare, per me è ininfluente.


  
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