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Autore: Herit    21/09/2011    3 recensioni
Filippo e Lorenzo sono gemelli, opposti in tutto e per tutto dall'aspetto esteriore e caratteriale, alla scelta della scuola, per passare in fine all'orientamento sessuale.
Arianna è la migliore amica di Lorenzo, ed è innamorata di Filippo più o meno da sempre. Phill però non la vede. Lui guarda altro, a differenza del fratello.
Giovanni è al primo anno di magistrale ed è costretto a dare ripetizioni un po' in tutte le materie a Phill. Ma tra loro c'è anche altro.
Riccardo è l'ex di Giovanni, partito per studiare all'estero senza lasciare notizie di sé, che ora vuole tornare nella vita dell'universitario. O forse non è davvero così? Il cuore umano è volubile, infondo.
E poi ci sono Vanessa, Stefano... e la droga.
Vite che si intrecciano e che prendono distanze. Frammenti che cadono a terra come foglie d'autunno e come sfondo una Venezia fin troppo calda.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. I Ripetizioni.


I don’t wanna work today

Maybe I just wanna stay
Just take it easy cause there is no stress.
I know it’s not an awful crime
Something special in my mind
Nothing’s gonna cause me distress.

(No Stress, Laurent Wolf)


Sale gli scalini a due a due. Scale scoscese e ripide, come quelle di qualunque buon palazzotto veneziano. Scalini rovinati che un po' franano sotto i piedi, così come le pareti che si sgretolano quando ci posi le mani sopra. Braccia che si allungano ad avvolgere un collo lungo e forte, così come le spalle larghe e solide. E labbra che si incontrano. Calde. Morbide. Affannate. Umide.

“Ho voglia di darmi ad attività più ricreative dello studio.” Glielo comunica subito, Phill, quando Giovanni si stacca dalla sua bocca che profuma ancora di tabacco. Lo fa con un sorriso che sa di malizia, che però trova una morte discretamente dolorosa in un viso imbronciato e serioso.

“Tu devi studiare. Alle 'attività più ricreative' penseremo poi, se questo 'demonio' ne ha voglia.” Lo rimprovera l'uomo, sciogliendo quell'intreccio di braccia che ancora li tiene legati e facendogli strada verso lo studiolo. Si morde la lingua, il liceale, perché l'ha sentito e sa che metterà in atto quello che lui ha previsto. Perché la persona che gli fa ripetizioni, nonché il suo ragazzo, sa essere terribilmente permaloso.

“Dai. Dai. Dai. Non ho proprio voglia di studiare. E poi ci pensa già mio fratello a stressarmi abbastanza. Come se non bastasse la scuola. E come se non bastasse quello stronzo di Gottardo che vuol rifilarmi il debito in storia ed in filosofia.” Con Giò i capricci non funzionano, Filippo lo sa. Ma sembra provare un divertimento masochista nel farlo arrabbiare. Quello poi è anche il suo modo di sfogarsi. Un nervosismo che viene a galla tutto d'un tratto. Di scatto. Pericoloso come una reazione atomica della quale è stato perso il controllo. “E poi lo sai che questa è l'unica scusa valida che ho per vederti. Potrei farmi bocciare, non dovrei impegnarmi nemmeno tanto, così il prossimo anno potremmo restare ancora assieme.” Battute fatte senza reale convinzione. Ma lui è un bravo attore e sembra davvero farci un pensierino, quando si picchietta l'indice contro il mento sporcato dal pizzetto. E' la reazione di Giovanni che lo fa trasalire. Sussulta quando lo vede girarsi di scatto dedicandogli un'occhiata sbieca.

“Gottardo. Di solito ne parlano bene. Quando escono i voti?” Gli domanda inizialmente, ostentando nella voce quella freddezza che però quegli occhi di ossidiana non possono mostrare. Troppo dolci, in realtà. Troppo preoccupati per quello che è il loro tesoro più prezioso. Tesoro che però probabilmente lui non appellerà mai così. “E non pensarci nemmeno. Non mi sono smazzato tanto per vederti bocciare, alla fine. Tra l'altro il prossimo anno devo presentare la tesi, non avrei tempo da dedicarti.” Glielo ricorda con franca freddezza, lasciandolo bloccato sulla porta dello studio. Phill si concede qualche istante per osservare le librerie che ingombrano tre delle quattro pareti che formano lo stanzino, creando un ponte sopra la scrivania ingombra di fogli ed occupata in parte da un notebook sapientemente lasciato chiuso. Ed un altro sopra la sua testa, sopra la porta. Mobili chiari, che la prima volta che aveva messo piede in quel luogo, gli avevano dato l'impressione di venir fagocitato da quel quantitativo impressionante di conoscenza. Camera sua, per contro, è ricolma di fumetti e libri sull'anatomia e sul disegno dal vivo. E' sempre stato bravo a disegnare e progettare ambienti. Questo chiunque glielo riconosce. Così come il suo 9 tondo tondo in disegno tecnico. Non gli piace studiare, è vero, ma se qualcuno glielo chiedesse, risponderebbe sinceramente che gli piacerebbe diventare architetto. O per lo meno lavorare in quell'ambiente. A divenire fumettista, ha già rinunciato da un po'. Ma non ha il coraggio di dirlo, lui. Non ha il coraggio di sentirsi ripetere che quella strada non fa per lui. Che deve rinunciare senza nemmeno averci provato. Sospira, abbassando per qualche istante il capo, prendendo posto non sulla sedia che Giovanni gli ha preparato, ma direttamente sulle sue gambe. Capriccioso.

“Domani. Ho una scaga pazzesca di vedere filosofia in rosso... Hai qualcun altro dopo di me?” Gli chiede lasciandosi passare un ciuffo di quei capelli lunghi e corvini dietro l'orecchio. Quella coccola Giò gliela concede volentieri. Sa che con un po' di rassicurazioni, Phill diventerà un più accondiscendente e disposto a collaborare.

“Lo sai che quando vieni tu, poi mi tengo il resto del pomeriggio e della sera liberi. Oggi tocca matematica, quindi scendi subito da qui e cominciamo.” L'invita con calma, attento a quel suo essere particolarmente lunatico, soprattutto sotto stress. Scende con la mano lungo il suo capo, passandogli dietro la schiena e percorrendogli con calma la colonna vertebrale, facendolo tremare un poco, tanto che Phill sembra sul punto di far le fusa. Un preludio di quanto avverrà dopo. Sembra prometterglielo, quando si ferma sulle sue natiche, sfiorandole appena. Prima il dovere e poi il piacere: è così che lo mette in chiaro.

“Ma abbiamo tempo. Solo un po', restiamo così.” Ancora capricci, ed allora, gli arriva un pizzicotto sulla gamba. Pizzicotto che lo fa sobbalzare e lo costringe ad alzarsi. La lingua che vien portata oltre le labbra, messa in mostra in uno sberleffo, che gli fa guadagnare una smorfia in risposta.

“Prima finisci di studiare, prima ci rilassiamo. Ho preso un bel film.” Giovanni non lo guarda, ma almeno spera di aver chiuso così la faccenda. Tanto sa che il film non lo guarderanno nemmeno. Ma spera di allettare così il suo ragazzo. Afferra qualche libro dallo scaffale, facendo scivolare all'indietro la poltroncina con le rotelle, ed inizia a sfogliarlo velocemente, cercando gli esercizi con lo sguardo. Quei volumi, tanto, lui li conosce a memoria.

“Ma... matematica! Perché non mi fai fare ripasso pratico di biologia?” Ci prova ancora a sviare il discorso Phill. Lo fa con insistenza, ma in realtà ha già tirato fuori i libri ed ha iniziato a scarabocchiare qualcosa su di una pagina bianca del quaderno a quadretti.

“E' una battuta vecchia, Filippo. E poi, il ripasso dell'apparato riproduttore maschile, puoi farla anche da solo.” Risuona seccata la voce di Giò che chiude di scatto il tomo che stava consultando, incrociando indispettito le braccia contro il torace. Il piede destro che tamburella a terra, nervoso.

“Ma perché dovrei masturbarmi, se ho te?” Stacca gli occhi dal quaderno, Filippo, portandoli lentamente sull'uomo. L'espressione pregna di una tragica ingenuità che sa simulare perfettamente, tanto che l'altro sente già prudere le mani, tentato di rifilargli uno scappellotto.

“La smetti? Se la poniamo in questi termini, sappi che oggi andrai definitivamente in bianco.” L'ultima parola è la sua, lo sa. E si gode la reazione di Phill che rizza completamente il capo, osservandolo con gli occhi sgranati ed un'espressione degna di un cucciolo. Ed il nervosismo viene sostituito da una vaga dolcezza che aleggia nell'aria, rendendola ovattata. Carezzevole per pochi attimi. Giusto il tempo di tornare alla scrivania. Quell'ultima minaccia, lo sa già, non la metterà in pratica, ma almeno così è riuscito ad ottenere la sua piena collaborazione. Nonché qualche preghiera che per il momento preferisce non ascoltare. Lui osserva quel quaderno aperto e quella pagina scribacchiata. Riesce a riconoscere il delinearsi del suo profilo, tra quelle righe, e non può non ammettere che quel ragazzo che ancora sbuffa come una pentola di fagioli, ha talento. Che ci mette davvero affetto in ogni tratto che delinea con la matita. E non riesce a fare a meno di sorridere, perdendo quella patina fredda mantenuta fino a quel momento. Sogghigna di nascosto, avvicinando le labbra alla guancia di Filippo e vi deposita sopra un bacio leggero. Breve, perché la barba in fase di crescita del ragazzo pizzica sulla pelle sensibile delle labbra. Fugace, perché subito dopo gli piazza il libro con gli esercizi davanti al naso, ritornando inflessibile e deciso. Lui lo sa da tempo, che c'è un momento per il lavoro ed uno per il divertimento. Ed in qualche modo deve insegnarlo anche a quel “ragazzino”. Almeno prima che gli esami siano iniziati.

***

“Io mi chiedo come fate ad andare a ripetizioni da un finocchio, tu e mio fratello.” Commenta aspro Lorenzo, guardando Arianna solo di sfuggita. Sono a casa di lei, due coppe di gelato sotto il naso e le scene di “Kung Fu Panda” che passano lentamente davanti ai loro occhi. Si ferma per qualche istante, la ragazza: il cucchiaino ancora in bocca ed uno sguardo perplesso che regala al ragazzo.

“Ma che hai, Lollo? Non è da te parlare così.” Ci mette un po' a reagire, lei, aggrottando le sopracciglia ed arricciando il nasino in un modo adorabilmente buffo che la fa sembrare ancora un po' una bambina.

“Nah, lo so, Aria. Sarà il nervoso per 'sti cavolo di esami. E poi non lo so... Phill mi sembra troppo preso da 'sta cosa.” Ammette, accennando un sorriso quando “Bo” cerca di piantare gli shuriken contro la parete, senza il minimo successo. Lui non la guarda in viso. Non lo fa mai perché ogni volta si sente le guance andare in fiamme, nonostante sappia che il loro colorito niveo rimane tale. Anche lei distoglie lo sguardo dal ragazzo, tornando a guardare il dvd come se non fosse affar suo. Ci mette qualche attimo ad abbassare lo sguardo. Lei sa. Sa del fatto che Filippo e Giovanni stanno assieme. E sa anche cosa spinge il ragazzo a non dirlo al suo gemello. Come biasimarlo, infondo? Scuote un po' il suo gelato al melone pensierosa, per poi sospirare. Lei sa eppure questo non le ha impedito di innamorarsi di quel ragazzo un po' strano. Diverso. Speciale. Fin troppo.

“Credo che non voglia deludere i vostri genitori. E che non voglia deludere te, soprattutto. Infondo se il suo preziosissimo fratello gemello, credo ci tenga a diplomarsi con te.” Ammette -mente-, tornando a mangiucchiare il cucchiaino, pensierosa. Le gambe raccolte contro il petto e quei piedini piccoli, dalle unghie laccate di blu che si muovono nervosi. Un vezzo il suo. Un nervosismo che si esprime tramite il corpo. Lei lo fa anche quando ha le scarpe addosso. Quando è agitata si alza sulle punte come una ballerina. Le pianta a terra come le più solide radici quando è seduta, come se il sostegno dovesse mancarle da sotto i piedi da un momento all'altro. Lorenzo conosce a memoria quei piccoli tic. Ma non ne parla. Sono quei particolari che la rendono sua, seppure sua lei non lo sia.

“Non credo. Non ha mai dimostrato un particolare interesse nel venir promosso. Ogni anno ne esce con qualche debito. Forse quest'anno è riuscito a passare per il rotto della cuffia, con tutte le sufficienze. Credo che il merito sia anche di quel tipo, anche se non mi piace ammetterlo. Quando studiavamo assieme io e Phill, lui era sempre con la testa tra le nuvole. Mi dava fastidio, perché mi sembrava di spiegare le cose ad un muro... anzi, forse un muro starebbe più attento. Ascolterebbe in silenzio. Ed in quei momenti, pensavo che a quel punto sarebbe stato meglio si arrangiasse da solo e che avrei avuto caro se fosse stato bocciato, quell'anno. Che gli sarebbe stato bene. Sono davvero pessimo.” Lo confessa abbandonando le braccia sulle gambe. Il barattolino di gelato ormai concluso, sospeso pericolosamente a mezz'aria ed il capo portato all'indietro, posato sui cuscini del divano. Arianna l'osserva attentamente. Lo fa a lungo, senza dire una parola, ma non sembra essere particolarmente spiazzata da quelle parole. Sembra solo alla ricerca di qualcosa da dire. Di un modo per rassicurarlo. E poi sorride senza un motivo apparente, posandogli la coppetta di gelato mezza piena su una guancia, attirandone l'attenzione. Non è da lui parlar tanto, e in qualche modo sembra farle tenerezza. Sa che quegli sproloqui sono causati dallo stress da esami. Sa tante cose di lui, che forse nemmeno lui stesso sa di sé. Sa di un amore che non potrà mai sbocciare e che gli fa paura. Che fa paura anche a lei. Ed allora si allontana un poco, mettendosi in piedi e raccogliendo la sua ciotola ormai vuota. Vuota come lo spazio che c'è tra loro. Un vuoto invisibile ed incolmabile.

“Non sei pessimo. Ma non gli hai nemmeno mai perdonato il fatto che lui non abbia seguito te al classico. O che non sia andato all'istituto d'arte. Ma conoscendoti, se fosse andato al tecnico, l'avresti assillato a vita perché non ti dedicava abbastanza tempo. Tu non hai “caro che venga bocciato”. E' che ti dà fastidio che stia con Giò, perché lo sta portando via da te. Ma soprattutto, è sempre stato il nervosismo che precede la fine della scuola a farti parlare così. Sai che Filippo ha scelto una strada sbagliata. Lo sa anche lui. E lui stesso sta male nell'esserti lontano, ma affronta la realtà: state crescendo. Non avete più tre anni, quando dormivate assieme. Né i sette in cui vi siete iscritti assieme a karate. O ancor meno i tredici dell'esame di terza media che avete fatto passandovi i bigliettini. Ed è stata una sua scelta. Con il senno di poi sbagliata. Ma sempre sua.” Sorride lei, sedendosi nuovamente sul divano ed incrociando le gambe pulite -depilate-, macchiate qui e là da qualche neo. E da qualche cicatrice pallida sulla pelle già abbronzata. E' bella Arianna, quando parla così. Gli parla con il cuore aperto. Con il suo cuore aperto. Perché lei lo sa leggere come un libro. “Filippo l'ha già capito. Per questo ha scelto una scuola diversa dalla tua. Che poi non sappia nemmeno lui capire il perché l'abbia fatto, questo è un altro paio di maniche. Ma ti adora. Ti lascia toccare i suoi disegni ed i suoi fumetti. Ti lascia correggere le sue bozze e le sue storie. Tu sei parte di lui e lui lo è di te, quindi non farti strane paranoie che manca una settimana a quello stronzo di un esame e di paranoie dovresti averne per quello, non per tuo fratello.” E ride. Ride con la spensieratezza di una bambina e con con la risata di una donna. Perché Aria, un po' bambina, infondo lo è ancora. Si rannicchia maggiormente sul divano che l'accoglie in un abbraccio candido, bianco come la neve, e Peppa non vede l'ora, perché compare dal nulla. Una gatta nera. Nera come la notte. Un neo scuro sul candore della pelle che fodera il sofà. Balza sulle gambe di Arianna leggera e pesante assieme. Perché il suo peso, la ragazza l'avverte bene, quando le atterra sulle cosce. Il pancione gravido che non riesce a sconfiggere la gravità ciondola e ballonzola verso il basso e sfiora la pelle glabra della giovane. Lorenzo le osserva entrambe. La sua amica e la gatta. E la micia si volta verso di lui, allungando il musetto a richiedere coccole. A fare coccole. Lo guarda sorniona, con quegli occhi che dicono che lei sa già tutto. Anche cose che lui non può conoscere, perché lei fa avanti e indietro da casa loro, a quella di Arianna, per poi seguire Filippo a casa di Giovanni. Scivola sulle sue, di gambe, leccandogli la mano con quella linguetta ruvida che fa il solletico, a contatto con la pelle delicata e sottile delle mani.

“Forse hai ragione, Aria. Ma... Bah. Non importa. Vuoi ripassare o finiamo di guardare un film che non abbiamo nemmeno seguito?” Le domanda e lo fa indicando lo schermo. Il protagonista in fase di agopuntura che discorre con un serpente. Non gli sono mai piaciuti i cartoni animati con gli animali parlanti. Poco credibili. Non gli sono proprio mai piaciuti i cartoni animati, a quel che ricorda. Preferisce i libri lui. Tutto al più i racconti che scrive suo fratello.

“Mi sento come Vladimir di 'waiting for Godot'.” Commenta dal nulla Arianna, dissentendo con la testolina di ricci folti e pieni. Non risponde, ma questo significa che non ha la minima intenzione di rimettersi a studiare. Allunga le braccia oltre il capo, stiracchiandosi e Lorenzo l'osserva perplesso. Interrogativo. Senza capire.

“Spero che tu non voglia farmi intendere che io sono Estragon e devo darti una mano ad impiccarti, perché hai scelto la persona sbagliata, Aria.” Ribatte pronto, imponendosi tuttavia di restare serio, dissentendo con veemenza mentre parla. Tanto più che nessuno dei due porta la cintura. Considera mentalmente, allungando una mano per tastarle il fianco, pensieroso. Però non parla, lui. E lei grida. Un urlo acuto perché soffre il solletico. Ed è velocissima Peppa a saltar giù dal divano, con il ventre gravido che penzola raso terra. Veloce quanto la sua pseudo padrona ad afferrare la mano del ragazzo.

“Non lo fare di nuovo o ti trancio le dita.” Una minaccia giocosa e lei ricambia quel gesto, pizzicandogli delicata un fianco, incontrando solamente la pelle e le ossa del bacino, perché lui di ciccia non ne ha. E lei sbuffa. “Comunque non mi hai capita. Vedi?” Protesta ed allunga le mani per richiamare a sé Peppa, che accoglie al volo l'invito, accoccolandosi nuovamente sulle sue gambe. Il condizionatore che con il suo ronzio uccide il caldo soffocante ed quell'afa tutta veneziana che fuori strema, lasciandole solo la sensazione piacevole di quel corpo tiepido e peloso sulle gambe lasciate parzialmente nude. E si accoccola contro il braccio di Lorenzo, lei. Un gesto amichevole e fraterno. Sanno entrambi che non c'è nulla di più in quel gesto. “Quei due poveri pazzi aspettano l'arrivo di Godot. Ma non si sa se lo incontreranno mai. Lui arriverà 'domani', perché oggi non può. Io mi sento come loro. Io attendo gli esami e quella maturità che con essi dovrà arrivare. Però... però non lo so, Lore. Diventerò mai davvero matura? Sono davvero pronta? E poi... e poi questi esami mi sembrano irraggiungibili. E invece sono lì. Basta allungare la mano per afferrarli. E poi cosa ci sarà? Perché in realtà ho paura di quello che sarà dopo. Fuori dalle mura protettive della scuola. L'università. Il lavoro. Io aspetto, ma non so se sono pronta ad affrontarlo.” Mugugna e la voce si spezza in quel nervosismo che la fa tremare un poco. Sospira. Respira a fondo, Arianna, e carezza Peppa che per ricambiare fa le fusa, allungando il musetto verso il volto della ragazza, strusciando la testolina contro la sua guancia piena. Morbida. E Lore ascolta in silenzio. Il capo reclinato all'indietro, di nuovo contro i cuscini. E gli occhi che si perdono nel crema pallido del soffitto.

“Sei paranoica. Non pensare a quello che ancora non c'è. Dovresti dedicarti al presente. E' questo quello che non va in 'waiting for Godot'. A parte che parliamo di teatro dell'assurdo, e a me sinceramente non piace. Ma quei due poveracci finiscono ogni volta a parlare del passato e del futuro. Non pensano mai al presente. E questo li mette ulteriormente in difficoltà. Tu ora pensa che sei qui, seduta accanto al tuo migliore amico. Anzi... spalmata contro il tuo migliore amico. E che gli stai facendo un caldo d'inferno perché sei peggio di un termosifone. E che gli esami li passerai... sicuramente.” Non è mai stato bravo a rassicurare le persone, lui. Piuttosto, di solito passa per quello che ha bisogno di rassicurazioni. Perché lui, dietro quella sottile corazza di ghiaccio, è fragile. Vetro foderato di ghiaccio che può incrinarsi o infrangersi ad ogni mossa sbagliata. Avvolge tuttavia le spalle di Arianna con un braccio, stringendola a sé nonostante il caldo. Gesti dolci. Intimi. Noti, perché abituali. E che non vanno mai al di là di quello, ma che portano ogni volta una fitta al cuore.

“Lollo, ti rendi conto che stiamo parlando di scuola anche ora, sì? Questi esami che friggeranno il cervello. Lo so, io. Non ne uscirò viva..!” Mormora Aria, sospirando e sollevando il musetto di Peppa, posandole un bacetto sul naso. Bacio che la gatta ricambia con un morso scorbutico prima di saltare a terra con un balzo agile e ballonzolante per via della panciotta gravida.

“Non è che ci sia molto da friggere, in realtà.” La canzona, punzecchiandola, ma stringendola nel mentre di più a sé, con quel braccio, lasciandola accomodare meglio contro il suo fianco. Fianco che lei però pizzica indispettita, con un broncio infastidito che le sporca il viso.

“Come sei gentile, mio caro.”

“Tutto amore, mia cara.” Ed era vero. Era una maldestra manifestazione del suo affetto, quella. Quell'affetto un po' strano e non ricambiato che gli stringeva ogni volta dolorosamente la bocca dello stomaco. Quell'affetto noto ad entrambi, ma che non aveva ancora trovato voce.

***

Suona un telefono. Lo fa con insistenza. Una voce maschile ed un poco graffiata si espande per la stanza, fastidiosa in quel ritmo martellante. Fastidiosa per lui che non è ancora riuscito a chiudere occhio nonostante sia notte fonda. Volta gli occhi verso il comodino intercettano le lancette fluorescenti del suo orologio da polso. La vista annebbiata visto che non ha gli occhiali o le lenti a contatto addosso. Forse sono le quattro e venticinque. Forse le cinque e venti. Fatto sta che è terribilmente tardi -o presto, a seconda di come la si vuol vedere- e lui non ha dormito affatto. Sospira ed ancora si chiede perché diavolo non ha ancora cambiato quella cazzo di suoneria. Allunga mollemente un braccio ad afferrare quell'arnese malefico, adocchiando lo schermo. Chi diavolo è quel coglione che lo chiama a quell'ora? Sussulta mettendosi a sedere di scatto, Giovanni. Gli occhi sgranati e le labbra strette tra loro. Terrore. Tutti ma non lui. Lo schermo continua a lampeggiare con insistenza. Quella voce gli martella i timpani arrogante. Trattiene il respiro almeno fino a quando questa non finisce. Il cellulare tra le mani che lo stringono tanto che potrebbero romperlo, ma il resto del mondo attorno a lui non sembra esistere. Cessa quel tentativo di chiamarlo, ma puntuale arriva il messaggio. E' sempre stato così. Sempre. Così come quel cuore che gli martella nel petto, imbizzarrito.

Vieni da me.

Mai. Si stringe in se stesso, tornando a stendersi e chiudendo completamente il telefono. Da quanto va avanti quella storia? Una settimana? Un mese? Da quanto è tornato? Sbuffa esasperato, Giò, ma quel muscolo maledetto non sembra volerne sapere di cessare di pulsare così forte. Ha quasi paura che Filippo possa sentirlo, in quel momento. Filippo che lo abbraccia. L'ha svegliato, lo sa. Fa male, perché lui è quello preso sul serio da quella relazione. Da loro. Fa male, perché non vuol farlo soffrire. Si stringe le tempie tra le dita, massaggiandole lentamente, mentre il ragazzo dietro di lui gli lascia un bacio sul collo. Alla fine lui stesso è coinvolto. Lo adora, ma è ben diverso dall'amore.

“Sono appena le quattro. Chi era?” Domanda con la voce che però non sa affatto di sonno. L'ha sentito rigirarsi fino a quel momento, Giovanni. Nervoso. Esagitato a dispetto della calma con cui solitamente riposa. Probabilmente nemmeno il suo amante ha dormito poi molto.

“Mi dava numero sconosciuto. Probabilmente hanno sbagliato.” Mente chiudendo gli occhi. Mente rigirandosi verso di lui e baciandolo con trasporto, una volta che ne trova la bocca. Vuole tenerlo buono. Mansueto. Non vuole che gli faccia domande. Non ora che si sente così sporco.

“Voglio farlo di nuovo.” Un mormorio basso e Giò non può far altro che dargli via libera.

   
 
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