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Autore: Mina7Z    21/09/2011    12 recensioni
Gli equilibri si infrangono, il tempo ha ritmi diversi ma ciò che è scritto non può essere modificato. Due personaggi costruiscono, anzitempo, un rapporto fatto di complicità e intimità.
Scuote la testa e si morde un labbro. Non ricorda neanche che giorno fosse quando il destino li ha fatti incontrare. Ricorda che era notte e che quel giorno di primavera c’era stato il sole.
Ricorda tutto di lei. E ricorda il suo immenso amore per lei. Solo per lei.
“Come eravamo, amore mio, noi due”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Come eravamo” 

 “Come eravamo, amore mio, noi due”




 

Testarda.
Testarda e irragionevole.
Caparbia, tenace, coraggiosa. 
Misteriosa e oscura come una notte senza luna. 
Chiara e limpida come le acque trasparenti di un ruscello di montagna.
E bella. Incredibilmente bella. Bella come nessun’altra.
Chiude gli occhi ma  i tratti del volto di lei riempiono la memoria, scuotono i  sensi.
Gli occhi pieni di lei.
La voce squillante che pronuncia il suo nome.
Prezioso come una  gemma rara  il ricordo della sua risata allegra.
Deglutisce quando l’immagine di lei, finalmente sorridente, gli invade le membra.
E’ così chiara questa visione e vorrebbe rinchiuderla nel suo cuore, per ricordarla per sempre.
Vorrebbe piangere, urlare, batterei pugni, imprecare, maledire.
Ma non riesce a muovere neanche un muscolo.
Vorrebbe che Dio gli avesse risparmiato anche questo e si chiede il perché di tanta magnanimità nei suoi confronti. Non merita niente, lui, e non ha diritto di essere ancora lì.
Darebbe la sua vita per riportarla indietro.
Per stringerla a sé, ancora una volta. Per poterle dire che nella vita si ama una volta sola, se si è fortunati, ma che nella disperazione, in due si può trovare  conforto. Si può tentare di vivere. O di sopravvivere.
Vivere.
Morire.
Maledetta testarda.
Testarda. Come nessun’altra.
Non  ci ha voluto neanche provare.
Neanche per lui. Neanche per il suo amore.
Mantiene chiusi gli occhi. Non gli piacerebbe quello che vedrebbe se li riaprisse e preferisce stare lì, con le mani premute sulle pupille. Non lo vedrebbe vedere più questo mondo.
Proprio come lui. Come il suo amico.
Vorrebbe il buio a velare il suo sguardo. Tanto non c’è più nulla che valga la pena di essere visto.
Oggi esiste solo per ricordare.
Ricordare.
Scuote la testa e si morde un labbro. Non ricorda neanche che giorno fosse quando il destino li ha fatti incontrare. Ricorda che era  notte  e che quel giorno di primavera c’era stato il sole.
Ricorda tutto di lei. E ricorda il suo immenso amore per lei. Solo per lei.
“Come eravamo, amore mio, noi due”.
 

 

***
 

Si dirige verso casa barcollando. Non ha bevuto molto e comunque l’abitudine al bere lo ha reso piuttosto resistente all’alcool. Ha un passo incerto, però, e forse è  la stanchezza di 24 ore ininterrotte di servizio che sembra rendergli difficile mantenersi in piedi. E l’oscurità di questa notte senza luna sembra farsi beffa del suo incedere titubante.
Qualcosa sotto i piedi  interrompe il suo cammino e lo fa inciampare.
“Ehi, ma che diavolo! Amico, hai bevuto più di me stanotte, vedo!”.
Cerca di mettere a fuoco la figura malamente sdraiata a terra.
“Ma tu sei un soldato. Accidenti!”.
Osserva la divisa e posa le mani sul volto dell’uomo che riverso per terra è oscurato dai lunghi capelli.
“Sei della Guardia Reale, amico mio. Guarda, guarda, un Ufficiale. Guarda qui le stellette. Quale onore amico mio venire in soccorso di un soldatino di Sua Maestà. Accidenti, proprio a me dovevi capitare? Io volevo solo tornare a casa un po’ sbronzo, ma neanche troppo, e invece chi ti incontro?”
Posa a fatica l’orecchio sul petto dell’uomo.
“Sei fortunato amico, sei ancora vivo. La Regina non perderà il suo soldatino. Fortunata l’austriaca….. fottuta Austriaca, ci porterà alla rovina….”.
Afferra con forza il viso che stringe tra le mani e avvicina il volto al suo su cui inizia a posare lievi schiaffetti.
“E’ troppo buio amico, non vedo niente, non so se sei ferito o solo ubriaco. Mi tocca portarti a casa mia, accidenti a te. Perché non sono passato da un’altra strada stasera? Sarei già nel mio letto, sai, bel damerino”.
A fatica si carica sulle spalle quel corpo inerme e percorre traballando la strada verso casa.
“Facciamo piano damerino, mia madre e mia sorella stanno dormendo e non voglio svegliarle”.
Adagia il corpo sul suo letto e cerca di accendere dei lumi.
“Che onore, un soldatino della Regina nel mio letto. Allora, vediamo cosa ti è successo. Sei ferito?”.
Accosta il lume al volto e per un attimo il cuore ha un sussulto. Un rigagnolo di sangue scorre sul viso diafano e si accorge che c’è una ferita alla testa che continua a sanguinare.
“Accidenti, adesso mi tocca svegliare mia madre e chiamare un medico per te. Non mi sembri messo bene damerino”.
Mentre sta uscendo un gemito attira  la sua attenzione. E’ un lamento a cui seguono dei colpi di tosse. Sembra soffocare. Lui sbottona velocemente la divisa  cercando di consentirgli di riprendere aria. Poi posa le mani sulla camicia bianca che inizia a slacciare sciogliendo i nodi del fiocco e allargando i lembi alle estremità.
Le mani tremano, la fronte si aggrotta.
Posa piano un dito sul viso ancora immobile e percorre con delicatezza la pelle morbida e vellutata. Troppo.
Un dubbio lo assale
“Non può essere….ma chi sei?  Cosa sei?  Non può essere!”.
 

 





Note dell’Autrice:
Gli equilibri si infrangono, il tempo ha ritmi diversi ma ciò che  è scritto non può essere modificato. Due personaggi costruiscono, anzitempo, un rapporto fatto di complicità e intimità.
Come al solito, una storia tutta da costruire….
Tremate, sono tornata....nonostante le dichiarazioni di tregua... Non capirete molto da questo capitolo, o forse si?!
   
 
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