Capitolo 7
Mi
sentivo una ladruncola curiosa per cui camminai in punta di piedi per
gran
parte del tempo: la mia coscienza mi stava dicendo di andare
direttamente al
piano di sopra, ma un’altra parte di me mi ricordava che
dovevo ancora cenare e
che quindi almeno in cucina dovevo pur andarci… E a quel
punto mi venne in
mente, che forse anche Claudine aveva fame. Avevo visto la madre di
Emile solo
in due occasioni e in nessuna di esse aveva aperto bocca, ma non potevo
credere
che fosse così fosse così immersa nella sua
tristezza da rinunciare anche a parlare ed esprimersi, doveva pur avere
dei momenti di “lucidità”!
Decisi
quindi di chiedere alla signora se avesse fame e salii le scale che
davano alle
stanze da letto: bussai alla porta ma non sentii alcuna voce, quindi mi
permisi
di entrare. Claudine apparentemente dormiva, mi avvicinai cercando di
far un
po’ di rumore in modo da annunciarmi, ma nulla si mosse nel
letto, così arrivai
accanto alla signora e mi accertai che dormisse. Decisi quindi di
scendere per
consumare il mio pasto, ma una volta fuori dalla stanza, mi
assalì la voglia di
vedere la camera di Emile: volevo conoscere il suo rifugio, il luogo in
cui
avrebbe dovuto esserci tutto ciò che lo riguardava; volevo
sapere tutto di lui ormai, volevo capire chi era davvero, se mi stavo
perdendo dietro un’immagine illusoria che avevo creato io,
oppure se il mio cuore aveva visto nella giusta direzione, capendo
prima della mia mente.
Le stanze al piano di sopra non erano molte: dalle scale si accedeva ad un corridoio che si estendeva a destra, lasciando lo spazio a sinistra solo per un ambiente, probabilmente un’altra stanza da letto. La camera della signora Claudine era la prima a destra, accanto c’erano due bagni e di fronte altre due stanze. Mi diressi verso queste ultime… e scoprii che entrambe erano chiuse a chiave!
Disgraziato, non si fidava proprio!
Una voce dentro di me mi
disse che
considerato ciò che stavo facendo, aveva decisamente
ragione, ma stizzita la
misi a tacere e cercai di curiosare nella stanza in fondo a sinistra, ma
risultò chiusa anch’essa!
Che
nervi, il mio momento da Sherlock Holmes rovinato prima di nascere!
Stizzita
con Emile e la sua eccessiva sfiducia, scesi in cucina, mi preparai un
panino e
andai nel salotto, quella che sembrava la stanza dedicata al passato di
Claudine. Ero curiosa di ascoltarla e di saperne di più,
volevo capire chi
fosse quella donna che aveva rinunciato a vivere; la solita vocina mi
disse di
non attardarmi lasciando la donna Claudine sola, ma pensai al suo sonno
profondo e infilai le cuffie per ascoltare il giradischi: la sua voce
era come
la ricordavo, dolce e delicata e il suo modo di cantare era sempre un
po’ soft,
una vera chanteuse!
Sfogliai
qualche rivista ordinatamente riposta negli scaffali, ma erano tutte in
francese e capii qualcosa solo dalle immagini: vidi Claudine Flaubert
radiosa
mentre riceveva dei riconoscimenti, ma soprattutto articoli di cronaca
rosa in
cui la signora compariva con un uomo, il padre di Emile, Alberto
Castoldi. Da
quanto riuscivo a capire, la stampa francese si era concentrata
più sui
pettegolezzi che sulla carriera della signora Claudine: probabilmente
era stata
una vittima del gossip più spietato a discapito dei suoi
meriti professionali.
Iniziavo a capire quanto Emile potesse odiare le persone invadenti e
pettegole
se i paparazzi avevano messo mano nel distruggere la carriera della
madre. A
quel punto decisi che era giunta l’ora di fare ciò
per cui ero venuta: presi
qualche altra scorta di cibo, gironzolai per il salotto in cerca di un
libro da
leggere e salii da Claudine.
Era
ancora addormentata, così mi accomodai sulla poltrona. Stavo
iniziando a
sbucciare una mela quando sentii un fruscio di lenzuola e alzando lo
sguardo,
vidi la madre di Emile che mi osservava:
«Tu
non sei Sabrina.» probabilmente si riferiva
all’infermiera.
«No,
sono Pasi signora, stasera ci sono io con voi.»
«Sei
giovane.» in effetti la mia non era proprio la tipica
età da infermiera…
«S-sì,
sono ehm.. un’amica di Emile.» più
o
meno…
«Il
mio Emile è un bravo bambino vero? È
così tranquillo, così dolce, così
assennato… » Claudine era rimasta tutto il tempo
col capo sul cuscino, senza
mostrare la minima volontà di alzarsi a sedere, ma
all’improvviso la vidi
piangere e per un attimo andai nel panico!
«Io
non lo merito, è così buono Emile, io non sono
una brava madre… non sono capace
di fare la madre! Mon Emile è stato sfortunato! Mon petit
Emile!»
La
tristezza che traspariva da quelle parole mi strinse il cuore: Claudine
era
divorata dal senso di colpa per essere stata una madre assente e come
ogni
depresso che si rispetti, non era in grado di reagire. Posai la mela
che stavo
sbucciando e mi allungai ad accarezzare il capo di quella donna triste
per
darle un po’ di conforto:
«Non
è vero Claudine, non siete una cattiva madre. Sapeste come
vi guarda Emile! Vi
ama tanto e non è affatto arrabbiato con voi...»
Claudine
alzò il viso dal cuscino e iniziò ad osservarmi
attentamente.
«Non
è arrabbiato? Ma io sono stata cattiva con lui!
L’ho lasciato nella culla! L’ho
lasciato a piangere! Sono stata cattiva!»
«È
tutto passato, Emile non ci pensa più, non vi
preoccupate» continuai ad
accarezzarla per tranquillizzarla, mentre sentivo quegli occhi chiari
che
sondavano il mio volto, «Vi va una mela? La stavo sbucciando
proprio ora…»
Claudine
fece un cenno affermativo con la testa, così
l’aiutai a mettersi a sedere e
ripresi a sbucciare la mia mela, dandole gli spicchi mano a mano che li
tagliavo.
Guardai quella donna minuta mentre mangiava: il suo avambraccio era
terribilmente magro e il suo volto appariva più scavato
rispetto all’ultima
volta che l’avevo vista: chissà da quanto tempo
non faceva un bel pasto
soddisfacente! Asciugai
le lacrime dal
suo viso ma nemmeno se ne rese conto; doveva essere persa nei suoi
pensieri in
profondità, a ricordare qualche altro doloroso stralcio di
vita che non
riusciva a sopportare.
D’improvviso
si adagiò sul cuscino e chiuse gli occhi, dando
l’impressione di essere troppo
sfinita per fare alcunché, così smisi di darle la
frutta e la riadagiai nel
letto. A quel punto, dagli occhi chiusi di Claudine emersero altre
lacrime:
«Io
voglio bene al mio bambino…»
Parlò
senza aprire gli occhi, persa nella sua tristezza e nel senso di colpa;
allungai la
mano
sul suo volto per accarezzarlo come avevo visto fare ad Emile,
finché non la
vidi scivolare del tutto nel sonno.
Le
discussioni di quel giorno e i malumori consecutivi erano stati
terribilmente stancanti: dopo poco sentii che anche i
miei occhi chiedevano
riposo e mi addormentai, ma prima di perdere i sensi del tutto,
passò nella mia
mente l’immagine del giradischi in salotto che non avevo
spento.
*****
«Pasi… Pasi.»
«Mmm»
«Pasi…
sono tornato… sei libera ora.»
«Mmm
solo un attimo, mamma.»
«Pasi,
alzati che è tardi, o farai tardi a scuola!»
«Mmm»
Aprii
gli occhi malvolentieri, pensando che avrei dovuto affrontare un altro
giorno
di scuola. e mi ritrovai davanti il volto di Emile che mi
osservava divertito!
Balzai in un attimo sulla poltrona con il cuore in gola per la sorpresa
e
sentii quel diavolo rosso che se la rideva sommessamente.
«Paura
dei professori o della mamma?» mi sussurrò
malignamente, attento a non
svegliare la sua di madre.
«Divertente,
proprio divertente!» sbuffai, rendendomi conto che aveva
trovato un modo
encomiabile per svegliarmi di colpo!
«Visto
che non ti svegliavi, mi sono affidato
all’inventiva!» e continuò a farsi la
sua risatina malefica tra sé e sé.
«Potevi
anche lasciarmi dormire visto che c’eri!» risposi
irritata; possibile che
riuscisse a trovare un modo per prendersi gioco di me anche quando
dormivo?!
«Non
sarebbe stato cortese lasciarti dormire in quella posizione scomoda,
ora sei
libera di andare a riposare in modo degno» solo allora mi
resi conto di essermi
addormentata poggiando la testa sul letto, mentre accarezzavo il volto
di
Claudine… Emile mi aveva visto in
quell’atteggiamento così confidenziale?
Probabilmente no, altrimenti di sicuro sarebbe andato in escandescenza,
anche se agitandosi
avrebbe potuto svegliare
sua madre…
Probabilmente
aspettava di scendere al piano di sotto per farmi la ramanzina,
però il suo
viso sembrava sereno, molto sereno ora che ci pensavo…
«Andiamo
giù, così non svegliamo mia madre.»
Eccolo lì, l’inizio di un altro
battibecco…
vabbè ormai ero sveglia e fosse mai che avessimo un discorso
civile! Scendemmo
le scale e arrivammo in cucina,
Emile si diresse verso il frigorifero.
«Vuoi
un po’ di latte?»
«N-no
grazie, sono a posto così.»
Se
la stava prendendo comoda: stava forse pensando a cosa dirmi? O forse
in
effetti non c’era una ramanzina da farmi…
«Ti
sono piaciute le canzoni di mia madre?» …
sì, la ramanzina c’era!
A
quelle parole ricordai di aver lasciato il giradischi con la lucina
accesa,
mostrando palesemente e svergognatamente, di aver frugato in casa
sua…
Ma
se dovevo essere ripresa, tanto valeva reagire subito senza subire e
considerato che gli avevo appena fatto un grosso favore, poteva
tranquillamente
evitare di adirarsi per una cosa simile. Così con tutto il
mio coraggio, feci
la faccia da poker più credibile che avessi e risposi.
«Sì,
ha una bella voce.» e aggiunsi «è molto
dolce.»
«Sì,
è vero» senza l’alone di un sarcasmo o
un accenno di rimprovero nella voce,
venne a sedersi al tavolo proprio di fronte a me, con il suo latte
davanti.
«È
stata tranquilla? Hai avuto problemi?»
Emile
mi osservava con calma mentre mi chiedeva della madre, e si stava
gustando il
suo latte; questa probabilmente era la prima volta che parlavamo in
modo
civile!
«Nessun
problema: si è svegliata e ha mangiato una mela e poi si
è riaddormentata»
Non
volevo riportargli la nostra conversazione, perché avevo
l’impressione che
fosse un argomento troppo intimo e che la mia intromissione, seppure
involontaria, fosse del tutto fuori luogo.
«Credo
di essere crollata anche io dopo un po’!» dissi con
un po’ d’imbarazzo; Emile
sorrise lievemente.
«Beh,
non è di certo un lavoro divertente, quello! A proposito,
dimmi quanto ti devo,
prima che me ne dimentichi.»
Voleva
pagarmi? Non avevo nemmeno pensato a quella eventualità!
«Ma
no, io l’ho fatto con piacere, non ce
n’è bisogno! Anche in comunità
presto volontariato, non vado lì per essere
pagata...»
«Ma
in comunità non vai di notte, cadendo addormentata in modo
scomodo e per niente
rilassante.»
«Non
importa, Fede dice sempre che dare calore umano è la cosa
più importante, al di
là di come avviene, ed io la penso allo stesso
modo.»
«Calore
umano?»
«Esatto;
quello che si dona quando si aiuta chi è in
difficoltà o si consola chi è
disperato o il semplice atto di condividere qualcosa insieme. Fede
è un
distributore instancabile di calore umano, mi è
d’esempio!»
Iniziai
ad infervorarmi parlando dell’ammirazione che nutrivo per il
mio amico, così
capace di avvicinare le persone e percepire ciò che si
portano dentro. L’entusiasmo
doveva essere altamente palese sul mio viso, perché Emile
fece un lieve sorriso.
«Federico
è una bella persona e ci sa fare con gli altri.»
Ricordai
com’era stato capace di calmare Emile con un solo gesto della
mano e una frase
e immaginai che anche il ragazzo di fronte a me stesse riportando la
mente a quello
stesso momento.
«In
qualche modo però voglio sdebitarmi con te; innanzitutto,
non puoi andartene a
casa da sola a quest’ora ed io non posso accompagnarti o
lascerei sola mia
madre. Vado a sistemare il letto nella stanza degli ospiti,
così potrai
riposare lì.»
«Ma
no che dici, non ce n’è
biso…» feci uno sbadiglio colossale, mentre
Emile
sorridendo uscì dalla cucina.
Mi
affrettai a seguirlo e l’aiutai a preparare il letto per me:
ero in una delle
stanze che avevo trovato chiuse a chiave, per la precisione in una
delle due di
fronte alla stanza di Claudine. Le pareti erano color caramello, un
letto in
legno scuro era disposto sulla destra della stanza mentre la parete di
fondo
aveva due finestre che davano sulla strada, coperte da tendine.
L’arredamento
era scuro ma semplice e tutto l’ambiente aveva
un’aura accogliente. Finimmo di
mettere a posto il letto ed Emile si apprestò ad uscire
dalla
stanza.
«Ti
lascio riposare, domani troverò un modo per sdebitarmi con
te.»
Era
già sulla porta quando d’improvviso la mia
coscienza parlò per me.
«Scusami
se ho ascoltato i dischi di tua madre, so che è stato un
atto maleducato da
parte mia ma...»
«Non
preoccuparti, la voce di mia madre dev’essere
ascoltata!» disse questa frase
abbassando lievemente il capo e indurendo la voce e capii che la
carriera della
signora Claudine o meglio, quello che supponevo fosse la sua mancata
realizzazione, fosse il perno su cui si ergeva tutto il dramma di
quella casa.
«Posso
continuare ad ascoltare le sue canzoni?» Emile si
voltò con la sorpresa sul viso.
«Mi
piace la sua voce e… in qualche modo mi rilassa, mi fa
sentir bene… mi
piacerebbe ascoltare tutto ciò che ha inciso!»
Mi
guardò con un’espressione indecifrabile sul volto,
poi sorrise lievemente.
«Da
piccolo amavo ascoltarla quando ero triste o quando ero arrabbiato:
sentire la
sua voce era un po’ come ricevere un suo abbraccio
confortante e aveva
l’effetto di farmi star meglio.»
Immaginai
Emile bambino, con l’istinto di correre a rifugiarsi tra le
braccia di sua
madre, ma impossibilitato a
riceverne il
caldo abbraccio: quante volte anche io avevo desiderato il conforto dei
miei
genitori! E com’erano state rare le volte in cui ero riuscita
ad ottenerlo! Io
ero cresciuta mettendo distanza tra me e loro, invece Emile cercava
ancora la
presenza della madre nella sua vita, altrimenti non avrebbe mai assunto
un
atteggiamento così dolce nei suoi confronti.
«Che
bello! La voce di mia madre invece mi mette ansia.» mi
accoccolai sul letto,
sentendo un’improvvisa sensazione
d’intimità pervadere quella stanza.
«Forse
perché ti fa da sveglia!» Emile prese a
sogghignare prendendomi in giro, mentre
si voltava del tutto in mia direzione.
«Uff...
e non solo, mi fa anche da allarme se rientro tardi, se alzo troppo la
voce, se
assumo atteggiamenti “poco consoni”….
È una tortura! Mi sta sempre col fiato
sul collo!»
Piegai
le ginocchia e le portai al petto per stringerle a me, Emile chiuse la
porta
alle spalle e vi si appoggiò.
«Probabilmente
sarei contento anche di sentirla opprimermi se fosse un modo per avere
mia madre
accanto.»
A
quelle parole mi sentii davvero un’ingrata priva di tatto per
essermi
lamentata di qualcosa che lui desiderava tanto avere.
«Scusami,
sono una stupida insensibile!» poggiai la testa sulle mie
ginocchia, incapace
di guardarlo in viso.
«Non
preoccuparti, non era una recriminazione, ormai me ne sono fatto una
ragione.»
«Non
c’è proprio verso che guarisca?»
«Ormai
sono vent’anni che versa in queste condizioni, ci sono stati
momenti in cui
sembrava star meglio, ma più tempo passa e meno
possibilità ci sono che si
riprenda… e ultimamente sta peggiorando.»
«E
i farmaci?»
«Quella
roba ha solo finito di distruggerla! Le hanno dato tutti i tipi di
antidepressivi, ma non c’è stato niente da fare,
anzi, le hanno solo minato maggiormente
la salute! È tutt’ora in terapia, ma serve solo a
farla dormire e a non farle
fare sciocchezze.»
«Per
sciocchezze intendi…»
«Suicidio,
sì… ha già tentato tre volte di
uccidersi in questi anni e ogni volta l’abbiamo
salvata per miracolo!»
«Scusami,
non voglio farti un interrogatorio, né voglio farti
ricordare momenti
spiacevoli… e può sembrarti una sciocchezza bella
e buona quella che sto per
dirti ma… credo di essermi affezionata a lei stasera e mi
piacerebbe saperne di
più sul suo conto.»
Il
sonno mi aveva tolto ogni inibizione: parlavo davvero senza freni,
incurante di ogni possibile reazione irritata di Emile.
Quest’ultimo si lasciò
cadere a terra, appoggiando la testa alla porta e sorrise.
«È
facile affezionarsi a lei, nei brevi momenti in cui interagisce con
noi, riesce
sempre ad essere come la sua voce: dolce e delicata.»
«Tuo
padre dev’essersi innamorato di lei perdutamente,
allora!» cambiai posizione,
sdraiandomi in tutta lunghezza sul letto, in cerca di una posizione
più comoda.
«Mia
madre è l’amore della sua vita: ha sempre detto
che ama e amerà solo lei finché
sarà al mondo ed io ho il sospetto che troverà un
modo di farlo anche
nell’aldilà!» Emile socchiuse gli occhi
sorridendo, immerso in qualche ricordo
personale, poi continuò riportandomi alcuni aneddoti che suo
padre gli aveva
raccontato riguardo la storia d’amore con la madre.
Venni a sapere così che Alberto Castoldi
era un artista emergente in mostra in una galleria d’arte
quando Claudine Flaubert, nota cantante in ascesa, vide le sue opere e
volle conoscere il suo autore. Appena incontratisi i due
s’innamorarono sul colpo e Claudine disse senza troppe remore
ad Alberto che lui sarebbe stato con lei per sempre e il pittore
sembrava essere d’accordo, tant’è che
dopo solo tre mesi decisero di sposarsi!
Trascorremmo
qualche ora parlando in tutta tranquillità, con
un’intimità e una confidenza
che mai mi sarei aspettata di avere: crollavo dal sonno, eppure non
volevo
andare a dormire, volevo godermi il più possibile quel
momento di assoluta
confidenza con Emile.
Solo
qualche ora prima avevamo discusso furiosamente e la mia giornata,
già non
esaltante, era diventata un vero incubo; mai avrei pensato che si
sarebbe
conclusa con me sdraiata su un letto in casa di Emile e noi due che
parlavamo
fino all’alba come due vecchi amici.
*****
Quando
mi svegliai, non mi resi conto di dov’ero: quello non era il
mio letto e non
ero di certo in un luogo a me familiare. Ma dopo qualche secondo mi
ricordai
della giornata surreale che avevo vissuto il giorno prima e soprattutto
della
fase notturna: iniziai a sentire una calda felicità
irradiarsi dal mio petto al
pensiero di essere riuscita ad avvicinare Emile senza litigarci,
soprattutto
perché improvvisamente quella notte aveva iniziato a
parlarmi apertamente,
senza più barriere. Probabilmente avendo capito che non
fingevo quando dicevo
di voler aiutare Claudine, sentiva di potersi fidare un po’,
ma non osavo
sperare che si fosse deciso a trattarmi senza stupidi preconcetti!
Piuttosto
iniziai a comprendere un dato importante su di lui: le porte del cuore
di
Emile, si aprivano passando dalla camera di sua madre.
Quella
mattina mi aspettavano tanti nuovi cambiamenti: dovevo trovare un
lavoro e
prendere la mia roba per cambiarmi (e avevo decisamente bisogno di una
doccia!), dovevo dire ai miei che non avrei più vissuto con
loro e avrei dovuto
cercare anche un luogo in cui vivere, non volendo restare a far da
parassita
nell’appartamento di Rita. Prima però dovevo
alzarmi dal letto e uscire da
quella casa.
Aperta
la porta della stanza, mi ritrovai nel corridoio immerso nel silenzio:
non
avevo la più pallida idea di che ora fosse né
tantomeno di chi fosse in casa a
quell’ora. Molto probabilmente la signora Claudine aveva
l’assistenza
dell’infermiera, ma gli altri due abitanti della casa erano
lì? Sarei uscita silenziosamente
come una ladra senza salutare e/o ringraziare nessuno? Mi diressi verso
la
stanza di Claudine (almeno avrei salutato lei!) e trovai la porta
aperta. Un
uomo stava cambiando le lenzuola del letto, mentre una voce proveniva
da dietro
una porta socchiusa nella parete di destra: doveva trattarsi
dell’infermiera che
aiutava Claudine a
lavarsi, per cui l’uomo alle prese con cuscini e copriletti,
doveva essere il
padre di Emile! Percepì la mia presenza e si girò
nella mia direzione:
«Buongiorno!»
Un
viso allegro e un sorriso caloroso mi diedero uno dei
“buongiorno” più belli
che avessi mai ricevuto: quell’uomo era davvero molto simile
a Stè!
«Buongiorno!»
la sua allegria mi mise immediatamente a mio agio e la
balbuzie-da-vicinanza-di-stupido-arrogante,
che mi prendeva in presenza di Emile non ebbe modo di venire a galla.
«Dormito
bene?»
«Sì
grazie, ho dormito benissimo!» senza nemmeno accorgermene mi
avvicinai al letto
per dare una mano e ricambiai il suo sorriso mentre sprinacciavo il
cuscino.
«Emile
è al lavoro ora, ma credo che te l’abbia detto,
no?» mi disse mentre preparava
quel lato del letto che avrebbe accolto la moglie.
«In
verità no, ma del resto non è importante che io
lo sappia…» restai ferma
accanto al letto lievemente perplessa per quella affermazione.
«Uhm…
deduco che non abbiate parlato molto allora stanotte, vi siete dati
alla pazza
gioia, eh?» e
dopo aver fatto
quest’insinuazione che trovai alquanto sospetta, si fece una
bella risata
sincera… Avevo come l’impressione che il signor
Alberto non sapesse il motivo per
cui io ero lì quel giorno…
«Ehm
…in che senso mi scusi?» feci la gnorri, con la
speranza di aver capito
male…
«Oh
beh, non credo di dovertelo stare a spiegare io cosa succede se un
ragazzo porta la propria ragazza a casa
sua…»
OH
MIO DIO!
L’imbarazzo totale mi avvolse nel giro di
un istante: il padre di Emile stava tranquillamente scherzando
all’idea che io e suo figlio avessimo passato la notte
insieme… a letto!
«Oh
nononononono! Non è come pensa! Io ho dormito da sola,
cioè, non sono...» respira
Pasi respira!
Feci
un breve sospiro: «Sono
venuta qui ieri
sera per accudire la signora Claudine perché Emile ha avuto
un imprevisto e
siccome è tornato tardi, sono rimasta a dormire...»
«Un
imprevisto? Gli è successo qualcosa?»
L’espressione sul volto di quell’uomo
cambiò repentinamente dal gioviale al preoccupato.
«Nono,
è stato chiamato per un’esibizione improvvisa e
quindi mi ha chiesto di stare
accanto alla signora mentre era via. È tutto ok, io so
quello che faccio, mi
creda, ho esperien…»
«Sì,
sì, figurati, se Emile ha chiamato te significa che sei in
gamba, non ne ho
dubbi… È che poteva avvertire me, così
sarei tornato a casa! Ma ovviamente,
non avrà voluto rovinarmi il giorno di vacanza e se
l’è vista da solo. Mio figlio è votato
al martirio!» rise ironico, ma c’era anche una
punta di rassegnazione nel suo tono.
Arrivò
l’infermiera con la signora Claudine: cercai di salutare la
mia compagna
notturna, ma non sembrava riconoscermi; quando il marito
l’aiutò a mettersi a
letto, girò lo sguardo verso di lui e fece un debole
sorriso. Alberto ricambiò
il sorriso con amore e le diede un bacio sulla fronte
e una carezza sul viso, proprio come avevo
visto fare ad Emile, ma con un sentimento di diversa origine: in quei
gesti
c’era un amore così forte da essere palpabile, non
era l’amore che nascondeva
il desiderio di essere notato e amato che doveva essere
nell’animo di Emile,
era amore per la donna della sua vita, quella donna che non avrebbe
lasciato
per nessuna cosa al mondo. Guardandoli ripensai alle parole di Emile,
che la
notte prima mi erano sembrate quelle di un figlio che idolatra il
proprio
genitore, invece mi resi conto che aveva perfettamente ragione: il
signor
Alberto aveva tutta l’aria di essere capace di amare sua
moglie anche da un
altro piano di esistenza.
Scendemmo
insieme in cucina e come un ripetersi della stessa scena, anche lui mi
fece
accomodare nello stesso posto in cui mi ero seduta la notte precedente
insieme
a suo figlio.
«Hai
avuto difficoltà con Claudine?» disse,
mentre preparava un caffè per
entrambi.
«No,
nessun problema, come ho già detto a suo figlio, sua moglie
ha mangiato una mela
e poi si è riaddormentata.» e omisi il fatto che
mi fossi assopita anche io…
«Così
tu non sei la sua ragazza… e non sei
un’infermiera… Devi essere davvero
speciale se mio figlio si è fidato di te al punto da
affidarti sua madre!»
A
quel punto l’imbarazzo tornò a travolgermi
«Capisco,
ecco spiegato l’arcano!»
Alberto sorrise divertito, prima di continuare,
«Vedi, devi sapere che
mio figlio non è proprio un chiacchierone e purtroppo le
condizioni di Claudine
lo hanno reso ancora più chiuso verso gli altri, quindi
è difficile che si fidi
tanto di qualcuno che non sia qui per lavoro… a proposito, avete pattuito un
compenso?»
«No,
o meglio, non
l’ho voluto; è stato un
piacere per me aiutare vostra moglie, d’abitudine presto
volontariato alla
comunità, perciò anche in questo caso non
è stato un problema assistere la
signora Claudine…»
Alberto
venne a tavola con le tazzine e ripetendo lo stesso gesto del figlio,
si
sedette guardandomi con stupore.
«No… Non è niente
di che…» avevo il viso nel fuoco: non avevo mai
ricevuto simili complimenti in vita mia. Agli occhi dei miei genitori,
il mio volontariato era sì un gesto lodevole, ma nella loro
ottica mi sottraeva tempo per ciò che era
più importante: lo studio. Nel mio gruppo poi era cosa
normale, essendoci anche Fede che faceva molto di più di me.
Per cui non mi ero mai sentita così speciale nel fare quello
che facevo, e quel complimento improvviso mi dette davvero tanta gioia.
Alberto
era un uomo alto sulla quarantina: i capelli castani che gli avevo
visto in
foto erano ora screziati di grigio e molto più corti, ma
riconobbi ugualmente
gli stessi ricci di Emile, probabilmente l’unica cosa che i
due avessero in
comune esteticamente. Gli occhi erano scuri, ma emanavano luce e
vitalità, gli
zigomi erano alti e una fossetta nel mento dava al suo viso
un’espressione di
immediata allegria e simpatia. Quell’uomo mi piaceva
davvero!
«Sarei
felice se Emile riuscisse a fidarsi di te ancora, gli unici suoi
compagni sono
la musica e i ragazzi con cui suona; non è mai stato capace
di stringere rapporti
duraturi con qualcuno che
non fosse per
un suo fine preciso. Sono convinto che se avesse la
possibilità di far carriera
da solo, non si farebbe scappare la minima occasione! Non suona insieme
ai GAUS per piacere
o per amicizia, ma solo per interesse:
mio figlio mette la musica al primo posto nella sua vita e non si rende
conto
che i rapporti interpersonali sono altrettanto importanti.»
Sentii
tangibile la preoccupazione nella sua voce, in contrasto col suo volto
predisposto al sorriso.
«Purtroppo questo suo atteggiamento non
è nemmeno del tutto colpa sua: Claudine ha avuto una
depressione post partum molto acuta e da allora non si è
più ripresa. Emile è cresciuto nella speranza di
ricevere le attenzioni della madre, osservando medici, ficcanaso e
falsi guaritori che si sono avvicendati in questa casa, promettendo
guarigioni sicure che non sono mai avvenute e ha dovuto trascorrere gli
anni dell’infanzia sballottato negli asili o con mille
babysitter perché io non potevo badare a lui. E
ciononostante, non ho mai visto un segno di rancore nei sui occhi,
né verso di me, né tantomeno verso sua madre. Ha
buon cuore il mio ragazzo, ma ultimamente glielo vedo mostrare sempre
di meno.»
Istintivamente
allungai una mano su quella di Alberto, che tratteneva la tazzina di
caffè sul
tavolo: mi commossi vedendo la preoccupazione sul suo volto e il senso
di colpa
per aver offerto al figlio un’infanzia infelice e solitaria.
E ancora una volta
ripensai alle recriminazioni e alle accuse che imputavo ai miei
genitori, che
al di là di tutto, erano sempre stati presenti nella mia
vita, seppur non nel
modo che volevo io. Alberto poggiò l’altra mano
sulla mia e continuò
«Pasi,
mi chiamo Pasi.»
«Ah
grazie. Stagli accanto, Pasi. Sei una brava ragazza, aiutalo a fidarsi
di te,
aiutalo a ritrovare la speranza e la fiducia nelle persone.»
Mi
guardò con una supplica negli occhi a cui non riuscii a
resistere
Non
avevo la più pallida idea di come avrei fatto a mantenere
fede ad una promessa
simile, considerato che non sapevo nemmeno se avrei rivisto
più Emile, ma non
riuscii a negarmi a quegli occhi che chiedevano di ricevere una
speranza... e
d’altronde, anche io desideravo rivedere il ragazzo con cui
avevo parlato
quella notte, e non il tipo borioso e arrogante con cui mi ero
scontrata
finora. Se il vero Emile era quello che avevo appena conosciuto, se il
suo modo
di fare così antipatico e aggressivo era una corazza che si
era costruito, avevo
intenzione di scalfirla se non infrangerla! Volevo conoscere
l’anima di Emile,
non quell’armatura con cui si proteggeva!
Alle
mie parole, Alberto fece un sorriso raggiante e quasi si commosse, poi
mi diede
un buffetto sulla mano e si alzò.
«Puoi
tornare quando vuoi a trovare Claudine se ne hai voglia» Mi
guardò in tralice
somigliando improvvisamente al figlio, per comunicarmi un significato
nelle sue
parole che non era stato espresso, ma che era quello più
importante per lui: vieni a trovare Claudine
quando Emile è in
casa.
«E
chiamami Alberto e dammi del tu, con un po’ di fortuna vedi
mai che si diventa
parenti!» salì al piano di sopra
sorridendo di gusto, mentre il mio viso
tornava ad ardere!
*****
Tornai
a casa per prendere i miei indumenti e tutti i miei effetti personali,
pronta a
trasferirmi provvisoriamente da Rita e sperai che in casa non ci fosse
anima
viva. Avevo scelto un orario in cui solitamente i miei genitori erano
assenti:
non mi andava di incontrarli, non dopo i mille dubbi che mi stavano
assalendo.
Parlare con Emile e successivamente con suo padre, mi aveva fatto
capire
quanto poco fortunata fosse la loro famiglia, ma quanto affetto ci
fosse tra i
suoi componenti. Mi ero sempre lamentata
dell’oppressività dei miei genitori ma
Emile mi aveva fatto capire che per quanto potesse essere
insopportabile, era
la testimonianza del loro amore verso noi figli e in fondo era la
benvenuta se
indicava che tua madre e tuo padre ci tenevano a te.
Però
nonostante avessi una famiglia a suo modo presente, invidiavo
profondamente i
Castoldi: nonostante tutte le sfortune e le assenze,
all’interno
di quella
famiglia regnava l’amore, l’amore puro e vero,
senza recriminazioni, senza odi. L’amore incondizionato di
Alberto per
sua moglie, quello altrettanto forte per suo figlio, l’amore
di Emile per sua
madre e di sicuro anche per suo padre e l’amore che avevo
visto persino nello
sguardo spento di Claudine, nelle sue lacrime quando parlava di Emile e
nel suo
sorriso dolce quando guardava il marito. Io ero fortunata ad avere
entrambi i genitori
con me e in perfetta salute, ma avrei
fatto volentieri a cambio con la famiglia di Emile!
Con
questi pensieri entrai silenziosamente in casa mia e mentre stavo per
dirigermi
in camera da letto, apparve Simona sulla porta della sua stanza.
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NDA
Mentre rileggevo questo capitolo prima di pubblicarlo, mi sono resa conto che fa uno strano effetto tornare indietro con la storia quando sei ad un passo dal concluderla. In questi giorni sto scrivendo il capitolo 19 e con molta probabilità (salvo colpi improvvisi d'ispirazione folle), sarà anche l'ultimo. Se da un lato mi dipiacerà prendere le distanze dai miei ragazzi, da un altro è un bene poiché urge che riprenda le attività che ho messo da parte per dedicarmi a questa storia... e poi chissà che non mi venga in mente un seguito xD
Vabbè scleri personali a parte, come sempre ringrazio tutte le mie tesore che mi seguono, si entusiasmano e m'incoraggiano ad andare avanti: Iloveworld, Ana-chan, Saretta, Niky, Vale, Cicci ed Ely in primis, seguite da tutte le sisters di Facebook che si sono fermate a leggere qualche capitolo e che hanno apprezzato la storia.
Inoltre ringrazio tutti coloro che seguono questo racconto, coloro che si sono fermati a leggere anche un solo capitolo e tutti coloro che per un motivo o un altro, sono passati, passano e passeranno da qui.
Grazie grazie grazie! Arigatou Gozaimasu!