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Autore: Beatrix Bonnie    11/10/2011    4 recensioni
Tutti noi siamo stati bambini... ma non tutti i bambini sono stati normali.
Alcuni hanno rivelato di avere qualcosa di inaspettato, di favoloso, di... magico!
Tre piccoli episodi di magia che coinvolgono i miei tre protagonisti, Laughlin, Mairead e Edmund... ma in un tempo in cui erano bambini e il Trinity non era neanche lontanamente nei loro pensieri.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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Giugno 1988


Il bambino osservò la sua misera valigia con aria circospetta: era sicuro che la signorina Quinn, la sua assistente sociale, ci avesse ficcato dentro un sacco di inutile paccottiglia che lui aveva cercato inutilmente di scartare. Gli aveva messo dentro dei giocattoli. Assurdo.

«Allora, siamo d'accordo» esclamò l'assistente sociale, con un gran sorriso. Diede una pacca sulla spalla di Edmund, che aveva molto l'aria di essere una spinta, e poi allungò il modulo verso il signor Sunset per farglielo firmare. «Qualsiasi cosa succeda...» cominciò a dire, quasi a disagio. «Non spaventatevi, davvero. Edmund sa essere un bambino adorabile, quando vuole».

Sembrava proprio che stesse cercando di indorare la pillola. Ma la signora Sunset, una corpulenta donna di mezz'età, non sembrava affatto intimorita. «Non si preoccupi, signorina Quinn. Abbiamo cinque figli, di cui uno adottato e uno in affido. Sappiamo come cavarcela con i bambini» rivelò con una strizzata d'occhio.

La signorina Quinn fece un sorrisetto di circostanza e si affrettò a riporre il modulo firmato tra i documenti. La signora Sunset pareva anche una donna simpatica e aperta, forse avvezza ad avere marmocchi per casa, ma non aveva la più pallida idea di quanto potesse essere strano Edmund Burke.

«Allora, sei pronto, Eddy?» esclamò la signora grassoccia, allungando la sua mano verso di lui. Aveva un sorriso solare e aperto che Edmund trovò assolutamente fastidioso. Non c'era proprio niente da sorridere nel passare l'estate in un cottage di campagna in mezzo a una marea di frastornanti mocciosi che avrebbe dovuto considerare suoi fratelli.

«Vedrai, ti piacerà. Abbiamo anche un cane. Ti piacciono gli animali?» domandò gentilmente la signora.

Edmund incrociò le braccia al petto, per far capire che non aveva nessuna intenzione di darle la mano. «Solo i serpenti» rispose atono.

«Ah» commentò la donna, con un sorrisetto. «Be', ci saranno anche quelli... siamo in campagna, no?»

«Allora, ehm, bene» intervenne l'assistente sociale, nel tentativo di interrompere l'imbarazzante conversazione sui serpenti.

Prima che i coniugi Sunset ci ripensassero.

«Buona estate, Edmund. Ci rivediamo a settembre» esclamò con un tono che voleva essere convinto.

Edmund le rivolse un sorriso che era sinceramente inquietante per un bambino di nove anni. Faceva rabbrividire, per la precisione.

Cielo, fa che resistano almeno una settimana! pensò sconsolata la signorina Quinn, osservando le tre figurine che lasciavano l'orfanotrofio.


Durante il viaggio in macchina la signora Sunset cercava inutilmente di fare conversazione con Edmund. «Io mi chiamo Juliet e lui Andrew, ma puoi chiamarci mamma e papà, ovviamente, se ti va» gli disse, voltandosi verso il sedile posteriore con un gran sorriso.

«Signore e signora Sunset andranno benissimo» rispose Edmund, con le braccia incrociate e lo sguardo torvo.

La donna grassoccia scoppiò a ridere. «Oh, ma è così formale!» esclamò divertita. «Ci avevano detto che eri un ometto rispettoso. Ma, vedrai, quest'estate sarà uno spasso» continuò, ammiccando nella sua direzione. Per un attimo le parve di vedere un lampo di maliziosa furbizia balenare negli occhi azzurri del bambino, ma fu una frazione di secondo, poi tornarono limpidi e quieti.

La bocca sottile di Edmund si allargò in un sorriso. «Ne sono certo».

Almeno per me.


La casa della famiglia Sunset era un tipico cottage irlandese a due piani, immerso nelle colline e circondato dal nulla. Un piccolo ruscello, un orto, un albero di albicocche e le galline. Tutto finiva lì.

I figli erano davvero cinque: un maschio e una femmina più grandi che sembravano essere intorno ai sedici anni, un ragazzino di colore con una massa di capelli ricci, una biondina slavata con l'aria da dura e un cappellino da baseball calato storto sugli occhi, e un bambino che poteva avere circa la sua età. Erano tutti schierati davanti a casa, pronti ad accogliere il nuovo fratellino.

«Ciao» lo salutò il più grande, con un sorriso. «Io mi chiamo Peter».

«Io Rose» si presentò la seconda figlia.

«Kevin» aggiunse quello di colore.

«Will» ringhiò la ragazzina tosta. Edmund ghignò: aveva anche il nome da maschio. Forse era la contrazione di qualcosa di terribile come Willhelmina.

«Josip» concluse l'ultimo, con un leggero accento slavo.

«Edmund» si presentò a sua volta il bambino.

La ragazzina tosta ridacchiò. «Santo cielo, il nome l'hai rubato ad un romanzo di Jane Austen?» gli chiese con un ghigno.

«E tu all'ultimo ragazzo che hai scuoiato?» la rimbeccò Edmund. Odiava il suo nome e odiava quando gli altri lo prendevano in giro per come si chiamava.

«Suvvia, ragazzi, cercate di essere carini con Ed e di farlo sentire a casa» intervenne la madre, con un leggero tono di rimprovero. Ma, a giudicare dai sorrisi falsi e disinteressati che Edmund si vide rivolgere, i figli non sembravano affatto dell'idea.


Quella sera la cena fu piuttosto caotica. Edmund, che adorava la solitudine e il silenzio, si sentì come travolto da una mandria di rinoceronti impazziti.

Quando fu finalmente libero, si rifugiò nella cameretta di Josip, dove era stato aggiunto un letto per lui, e si rannicchiò in un angolo a leggere “Le metamorfosi” di Kafka. Era talmente concentrato che quasi non si accorse che tutta la banda Sunset si era catapultata nella stanza.

«Ci sono un paio di cosette che dobbiamo mettere in chiaro, Ed» sentenziò Peter, il più grande. Edmund mise il libro da parte con aria scocciata, ma non si alzò dall'angolino in cui si era rintanato: non voleva dimostrare ai ragazzi Sunset di dare importanza alla faccenda.

«Allora. Primo: non si entra nelle camere degli altri senza bussare» recitò Peter.

«Secondo: non si prendono le cose degli altri senza chiedere» aggiunse Kevin, il ragazzo di colore.

«Terzo: quando vengono le mie amiche non ti devi impicciare» rincarò la dose Rose.

Will si fece avanti di un passo con aria strafottente. «Quarto: siccome tu sei l'ultimo arrivato, tocca a te pulire il bagno al primo piano tutte le mattine» decretò in tono perentorio.

Peter allora le mise una mano sulla spalla e la fece retrocedere sulla linea del fronte Sunset. «Vedi, Ed, siamo in tanti e ci vuole un certo ordine. Tra di noi, così, per regolarci. Non pensare di andare a piagnucolare da mamma e papà» concluse Peter, in un tono che voleva essere affabile. «Tutto chiaro?»

A Edmund ricordava tanto un lager. Annuì lentamente, fissando i suoi occhi azzurri in quelli di Peter. Era una sfida aperta.

Peter non si scompose minimamente. «Ottimo, allora» esclamò, battendo le mani, come se fosse stato raggiunto un difficile accordo diplomatico tra nazioni rivali. Il fronte Sunset batté in ritirata, tranne Josip, ovviamente, che si trovava già in camera sua. «Buona notte» salutò Peter, prima di sparire e chiudere la porta alle sue spalle.

Edmund rimase a fissare con astio il punto dove era scomparso per parecchi secondi. Avrebbe voluto dargli fuoco con lo sguardo.

«Non hanno niente contro di te, sai» gli rivelò Josip, preparando il letto per andare a dormire. «Fanno così con tutti, l'hanno fatto anche con me. Solo che tu sei l'ultimo arrivato»

«E sarò anche il primo ad andarmene» mormorò Edmund, raggomitolandosi sul letto a leggere.

«Ti conviene metterti il cuore in pace, sai. Ci devi stare qui tutta l'estate» gli rispose Josip. Sbadigliò e poi si infilò sotto le coperte. Per un attimo vide un'inquietante espressione brillare sul volto del nuovo arrivato, ma forse era solo un gioco della lampada sul comodino.

Edmund si lasciò sfuggire un sorriso. «Tu lo credi».


L'erbetta era umida e gli solleticava i piedi nudi. L'aria fresca e piacevole gli si infiltrava sotto il pigiama, provocandogli dei brividi lungo la schiena. Era buio, c'era silenzio, solitudine. Si stava magnificamente.

Edmund allargò le braccia, chiuse gli occhi, si lasciò invadere da quella piacevole sensazione di nulla eterno, di serenità.

Fu allora che lo sentì. Un sibilo, emesso da un piccolo serpentello di campo che strisciava nell'erba davanti a lui. Edmund adorava i serpenti: aveva un certo feeling con quegli animali, un'empatia particolare. Riusciva a capirli, a parlare con loro.

«Ciao, piccolino» sibilò nella notte. La sua voce aveva un che di serpentesco quando parlava con quelle bestie. Non se lo sapeva spiegare, ma riusciva a capirle.

«Vendicami» rispose quello, strisciando contro i suoi piedi.

Edmund si inginocchiò e allungò la sua mano verso l'animaletto, come se si trattasse di un grazioso cagnolino da accarezzare. «Vendicarti, perché?» gli domandò, sfiorando con un dito la testolina viscida della bestiola.

Il serpente sembrò guardarlo dritto negli occhi. «La mia casa. Distrutta» sibilò in risposta.

Edmund capì immediatamente che doveva essere stata Will, con il gusto di fare qualche stupido scherzo all'animaletto, a distruggergli la tana. Certe volte i bambini sapevano essere davvero cattivi.

Ma Edmund di più.

«Ti vendicherò» promise, mentre una malvagia prospettiva si delineava nella sua mente. Un sorriso perfido si allargò sulle sue labbra.

«ODDIO! Vai via, brutta bestiaccia!» strillò proprio in quel momento la signora Sunset, brandendo una scopa per cacciare il serpente. Sembrava folle e terrorizzata assieme.

«No!» esclamò Edmund, proteggendo il suo piccolo amico dalla furia della donna.

«Allontanati, allontanati, Eddy! Ci penso io!» gridava quella, svegliando con le sue urla il resto della famiglia.

«Sali» ordinò Edmund al serpente, emettendo sibili sinistri. Si alzò da terra, mentre la povera bestiola si avvolgeva intorno alla sua gamba nuda, strisciando sotto il pigiama finché non raggiunse il ventre del bambino e vi si avvinghiò.

La signora Sunset rimase pietrificata dal terrore, con la scopa levata in aria. Non sapeva se era peggio l'idea che una biscia strisciasse sulla pelle nuda del bambino o l'espressione feroce che quello le rivolse.

«Edmund, fai scendere quel serpente da lì» intervenne il signor Sunset, apparso in pigiama e vestaglia al fianco della moglie.

Edmund gli puntò i suoi occhi addosso. «Non dovete fargli del male, lui è mio amico» replicò con un tono di voce forte. Era un ordine, senza dubbio.

Il signor Sunset annuì accondiscendente. «Va bene, Ed, ma tu fallo scendere».

Edmund rimase immobile per una manciata di secondi, ma alla fine si inginocchiò e poggiò una mano a terra. «Scendi» sibilò rivolto al serpente, che strisciò lungo il suo braccio fino a raggiungere l'erba. Prima di sparire, si voltò verso di lui. «Sarai vendicato» gli promise Edmund, in tono serio.

«Quel coso... quella biscia...» borbottò la signora Sunset, incredula. Sembrava che il bambino riuscisse a comunicare con la bestiola ed era assurdo il modo in cui quella sembrava obbedire ai suoi ordini sibilati al vento.

Edmund si alzò nuovamente in piedi. «So parlare con i serpenti. Loro... mi trovano, mi sussurrano cose».

La signora Sunset rabbrividì.

Il signor Sunset osservò il cupo cielo notturno sopra le loro teste e infine mormorò: «Torniamo dentro».


Per tutto il giorno successivo, la famiglia Sunset lo lasciò in pace. Avevano assistito tutti alla scena con il serpente, che era stata francamente inquietante, e non volevano avere nulla a che fare con quello squilibrato. Così, Edmund poté progettare la sua vendetta in tutta tranquillità.

Il piano aveva un duplice scopo: vendicare il serpente, come promesso, e convincere i signori Sunset a riportarlo all'orfanotrofio al più presto. Non che quel luogo rappresentasse qualcosa di positivo, ma almeno là tutti lo consideravano strambo e lo lasciavano in pace a leggere.

Quella sera, terminata la cena, Edmund sgattaiolò fuori. «Venite, miei amici!» sibilò con aria eccitata. Arrivarono a frotte, da ogni tana, da ogni buco. Il suo esercito. Edmund sorrise malefico. «È ora di ricambiare la gentilezza di questi umani» ghignò, voltandosi verso il cottage.

Entrò in ingresso con passo deciso, come un vero conquistatore.

«Che cosa...?» cominciò a dire Rose, la secondogenita.

«Attaccate!» ordinò Edmund, alzando le braccia davanti a se. Almeno un centinaio di serpenti si riversarono in casa, sul pavimento di terracotta, sulle pareti. Una moltitudine di esseri disgustosi strisciò ai piedi di Edmund, si avvinghiò sui mobili, risalì il divano, sibilò verso la famiglia Sunset. Una piccola biscia di campo si arrampicò lungo il corpo del bambino, sotto i vestiti, e si posizionò a spirale intorno al suo braccio destro.

Era una scena apocalittica. L'intera famiglia Sunset strillò e si fiondò verso le porte per scappare, ma queste sbatterono violentemente e si chiusero magicamente a chiave. Rose spinse violentemente su e giù la maniglia, in preda al panico, ma questa non si aprì. Erano in trappola.

«Aiuto!» gridò la signora Sunset, come se qualcuno potesse udirli.

«Edmund, smettila!» lo implorò il signor Sunset, cercando di essere ragionevole.

Il volto di Edmund era una maschera di durezza. «Will ha distrutto la tana di questo serpente, per dispetto. Ci ha buttato dentro i sassi, l'ha quasi ucciso» spiegò con una voce forte, perentoria. «Ora provate quanto è bello che qualcuno vi distrugga la casa».

«Non è vero, non è vero!» gridò Will, in preda al terrore. «Io non ho fatto niente!»

«MENTI!» gridò Edmund, irrigidendosi e stringendo le mani a pugno. «Chiedi scusa per quello che hai fatto!»

«Io non ho fatto niente!» replicò Will, scoppiando a piangere.

Edmund ringhiò. Gli bastò volerlo, e le due finestre del salotto semplicemente esplosero, schizzando proiettili di vetro dappertutto. «Chiedi scusa!» ordinò, con un'espressione folle che gli attraversava il volto.

E finalmente Will capitolò; si accasciò a terra e gridò: «Va bene, va bene! Scusa!»

Edmund rilassò i muscoli e tornò sereno. Tutti i serpenti si tranquillizzarono e poi si radunarono strisciando ai suoi piedi. Edmund sorrise angelico, ma i suoi occhi azzurri erano un pozzo di oscurità.

«Visto che non era difficile?»


Edmund attraversò il cortile dell'orfanotrofio con evidente soddisfazione. Reggeva la sua piccola valigia in mano e aveva un'aria estremamente trionfante.

La sua assistente sociale, invece, aveva il morale a terra. Avevano resistito due giorni, i signori Sunset, prima di riportare Edmund e bagaglio all'orfanotrofio, con tanto di espressione terrorizzata e voci tremanti. Tutte le volte la stessa storia.

«Questo bambino è malvagio!» squittì la signora Sunset, con gli occhi sgranati. Tutti i suoi buoni propositi riguardo all'estate e al “noi sappiamo come cavarcela con i bambini” erano spariti.

«Sul serio, dovreste farlo ricoverare in manicomio» rincarò la dose il signor Sunset, restituendo alla signorina Quinn le carte firmare per la riconsegna del “pacco”.

Edmund osservò i coniugi Sunset che si allontanavano con evidente soddisfazione. La sua espressione era meschinamente beffarda.

«Santo cielo, Burke, perché per una volta non ti comporti come tutti gli altri bambini?» sbottò la signorina Quinn, esasperata.

Edmund le rivolse un sorriso innocente. «Perché io non sono come loro» rispose senza scomporsi troppo. «Io sono diverso».

E non immaginava neanche lontanamente quanto diverso.



Eccoci qui!

Questa storia l'ho scritta per prima, ma cronologicamente doveva essere l'ultima, posta a chiusura della piccola raccolta dedicata all'infanzia dei tre protagonisti.

Se le altre storie erano tenere e carine, questa trovo che sia francamente inquietante! Il piccolo Edmund non ha nulla di dolce! Ahahah! È l'unico che sa già indirizzare la sua magia e sfruttarla per punire chi gli fa del male. Vi ricorda qualcuno, magari? ;-)

L'idea dell'affido estivo mi è venuta in mente ripensando ai bambini dell'est che d'estate vengono in Italia a fare le vacanze ospitati da qualche famiglia. La povera signorina Quinn tenta ogni volta di spedire Edmund a fare una di queste vacanze, ma tutte le volte è la stessa storia: le famiglie affidatarie riportano indietro il pacco in fretta e furia... chissà perché!

Va be', spero che questa piccola raccolta vi sia piaciuta! Io, più che altro, mi sono divertita a scriverla e spero vi aver divertito un po' anche voi!

Alla prossima occasione!

Beatrix B.



   
 
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