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Autore: Fe85    07/11/2011    1 recensioni
Inghilterra vittoriana. Prendete uno spietato assassino che miete vittime tra le strade di Londra, e associatelo ad un geniale detective che gli sta dando la caccia. Cosa succede quando il Bene e il Male hanno lo stesso volto?
[Titolo ispirato al celebre romanzo di R.L.Stevenson]
[Pairings:LxMisa,MelloxNear,MattxBeyond Birthday onesided,LightxMatt,Beyond BirthdayxNaomi Misora]
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«I ricordi hanno una loro vita e una loro forza che spesso supera la nostra stessa volontà. Siamo noi ad appartenere ai nostri ricordi, più che loro ad appartenere a noi: ci divorano.»  (M. Eisenberg)

 

Beyond Birthday osservava la donna che aveva di fronte ad occhi spalancati.

Non era così che doveva andare.

A lui piaceva crogiolarsi nel dolore altrui, arrecare sofferenza al prossimo ed ergersi a simbolo del male, tuttavia Naomi Misora pareva non essersi “piegata” al suo tacito volere. Quando poco prima le aveva fatto visita e le aveva comunicato personalmente del ritrovamento del cadavere del suo fidanzato, Raye Penber, la nobildonna non era scoppiata a piangere come una fontana (com’erano invece solite fare le altre rappresentanti del gentil sesso quando, ad esempio, perdevano il proprio uomo in guerra o si spezzavano un’unghia), bensì aveva mantenuto un portamento composto e fiero, degno di qualsiasi statua del periodo ellenico.

Probabilmente era stata educata in quel modo dai genitori, oppure era lei stessa a non voler sbandierare pubblicamente la propria sofferenza. Il dolore è un sentimento molto intimo e a volte si radica nell’animo come un’edera difficile da estirpare, così come ci sono diversi modi di manifestarlo, e B aveva optato per quello più cruento. Inizialmente, un flebile senso di colpa nei confronti delle sue vittime fungeva da campanello d’allarme, suggerendogli di smettere di compiere quelle atrocità, poi però era stato surclassato dall’odio e dal rancore che dettavano ogni sua azione. Veder scorrere sangue non lo aveva mai deliziato come in quel periodo; il sapore acre e metallico di quel liquido rosso lo mandava in estasi come una di quelle creature immaginarie chiamate “vampiri”, partorite dalla mente di qualche scrittore sotto l’influsso dell’oppio.

Beyond era quello che i medici dell’epoca denominavano “malato mentale”.

Tuttavia,  non era sempre stato così.

 C’era stato un tempo, ormai remoto, in cui aveva provato un sentimento simile all’amicizia.

C’era stato un tempo in cui una persona riusciva a calmarlo e a farlo desistere dai suoi propositi al limite della moralità.

C’era stato un tempo in cui poteva affermare di aver vissuto dignitosamente.

Da quando si era trasformato in un pazzo omicida che si diverte a sperimentare nuovi metodi per torturare e uccidere degli innocenti?

Il suo cervello altamente sviluppato elaborò in pochi istanti la risposta: da quando A era morto, o meglio, da quando L aveva mandato A incontro a morte certa.

La scomparsa di A era stata come una sorta di blackout: aveva perso l’unica persona che si preoccupasse davvero di lui. L’unico che sapesse come placare la sua furia e che lo avesse accettato per quello che era.

Da tempo immemore Beyond aveva perso la fiducia nel genere umano, forse perché non aveva mai avuto una famiglia vera e propria. O forse perché lo considerava terribilmente imperfetto, a differenza di lui che amava la perfezione, specialmente quella insita nell’arte che tanto lo affascinava. E cercava di rendere tali anche i suoi omicidi: unici ed ineccepibili come delle opere d’arte, nonostante lui stesso fosse difettoso come la feccia che tanto detestava.

 Il direttore dell’orfanotrofio in cui era stato, suo malgrado, costretto a crescere gli aveva riferito che era nato da una relazione extra coniugale di sua madre, un’esponente dell’aristocrazia di Londra, con un panettiere.

Watari, questo il nome del direttore dell’istituto in questione, gli aveva anche raccontato che il suo vero padre, una volta venuto a conoscenza dell’accaduto, aveva ucciso entrambi gli adulteri, accecato dalla rabbia.

Beyond non si reputava nient’altro che un bastardo, nato da uno sporco tradimento, ed erede della follia di suo padre. Anche la mancanza di un senso di appartenenza a qualcuno o a qualcosa aveva giocato un ruolo importante nella sua crescita.

Spesso gli era capitato di sentirsi solo o incompreso, ma non aveva mai fatto parola con nessuno di tutto ciò, temendo di passare per debole o, peggio ancora, di ricevere la compassione altrui. Ormai era troppo occupato nella sua battaglia personale contro L per perdere tempo prezioso in quelli che lui aveva catalogato come sciocchi “sentimentalismi”.

Improvvisamente, il viaggio nel suo subconscio venne interrotto dalla signorina Misora che aveva assunto un’espressione severa.

«Mister B, Le ho chiesto di aiutarmi nelle indagini, non di fissarmi imbambolato.»

Beyond inclinò la testa di lato, mordicchiandosi un pollice.

«Mi scusi, stavo riflettendo circa il movente che avrebbe potuto spingere l’assassino a compiere il delitto.»

«Semplicemente perché si diverte ad uccidere. Raye è stato ingiustamente coinvolto nello stupido gioco di quel pazzo.» controbatté lei con fare accusatorio, stringendosi nelle spalle e restando in silenzio per qualche attimo.

Uno “stupido gioco”? Birthday non aveva gradito il modo in cui la donna aveva qualificato il suo piano, che non si limitava ad essere un banale passatempo, ma una sfida lanciata in grande stile al geniale detective di Kensington Road.

«Miss Misora, il suo compagno avrebbe dovuto essermi grato per avergli assegnato un ruolo nella mia lotta contro L.»

 «Non voglio che il ricordo di Raye sbiadisca, per cui vendicherò la sua morte.» fino a quel momento quell’idea era sostata solo nella sua mente, sospesa tanto quanto il London Bridge sul Tamigi, e pronunciandola desiderava che acquistasse concretezza.

«D’accordo, Miss Misora. Le darò una mano a stanare il colpevole, se Lei me lo permette.»

«Io…non posso accedere direttamente alle informazioni della polizia; sicuramente il comandante Yagami mi vieterebbe di prendere parte alle loro ricerche, per cui tu dovrai essere i miei occhi e le mie orecchie, B. Mi riferirai tutto ciò che i poliziotti scoprono, e in seguito ne discuteremo insieme.» il suo tono di voce era deciso e perentorio come quello di un insegnante che sgrida i suoi alunni.

Lei sembrava diversa. Miss Misora era diversa da tutte le donne con cui si era rapportato in precedenza (e che non avevano visto mai più il sole sorgere). Le altre dame erano frivole, esuberanti e terribilmente ignoranti, anche se quando si trattava di soldi, divenivano scaltre come volpi. Si vantavano di possedere cose futili o di scalare la gerarchia sociale con il loro suadente fascino, mentre Miss Misora voleva entrare in un mondo pericoloso e senza scrupoli, che raramente concede una seconda possibilità.

Quello era il suo mondo.

Tuttavia, Naomi Misora era un elemento senza dubbio interessante e meritevole di attenzione, soprattutto perché non aveva reagito nel modo in cui lui si aspettava.

E dovette ammettere a se stesso che ciò lo aveva infastidito non poco; però anche gli imprevisti possedevano la loro attrattiva.

«Come desidera.» la sua frase venne accompagnata da un sorriso storto, che la donna non mancò di notare.

La caccia aveva avuto inizio.

                                                                       ***

«Buongiorno, Lawliet. Come state?» gli domandò Light Yagami, indossando un sorriso cordiale sul volto, non appena il detective gli aprì la porta. L odiava essere disturbato nel bel mezzo delle sue indagini, ma vista l’assenza di Watari, che si sarebbe prolungata fino a tarda sera, doveva svolgere il compito di padrone di casa.

Lawliet era sempre abituato a stare per conto proprio, o al massimo con il suo maggiordomo, quindi per lui anche le più piccole cose, quali ad esempio l’accoglienza di un ospite, rappresentavano una sorta di “problema” da affrontare. La sua attenzione venne immediatamente catturata dal sacchetto che Light teneva nella mano destra: a giudicare dal nome stampato su di esso, quei croissant dovevano provenire dalla coffee house di Old Bond Street.

Un posto da intenditori, degno del rampollo di casa Yagami.

«Bene, grazie. Sono per me?» con un dito indicò fiaccamente i croissant che, senza dubbio, gli interessavano più di Light.

«Sì, esatto. Sono all’albicocca e, correggetemi se sbaglio, dovrebbero essere i vostri preferiti.» rispose l’altro, edulcorando le sue parole con un tono di voce ammaliante.

L recuperò le brioche senza tanti complimenti e, dopo averne presa una tra le mani, la addentò avidamente. A differenza del giovane avvocato, egli era un tipo diretto che esponeva i suoi pensieri senza mezzi termini; per questo motivo, talvolta risultava antipatico o sconveniente agli occhi delle persone.

E’ risaputo che la verità è scomoda per chiunque e capace di bruciare tanto quanto una ferita.

«Con me puoi toglierti la maschera, Light. Di cosa hai bisogno?»

Light studiò l’investigatore compiaciuto: il loro era uno strano rapporto, non erano amici, ma uno necessitava dell’aiuto dell’altro. Mesi addietro, lui gli aveva procurato delle informazioni molto importanti, sfruttando suo padre che, involontariamente, si confidava con lui riguardo le sue indagini.

Ora i ruoli si erano invertiti ed era lui ad aver bisogno dell’appoggio di Lawliet. Yagami si divertiva a paragonarlo ai solitari samurai, valorosi guerrieri che secoli prima avevano popolato la sua terra natia, il Giappone.

«Si tratta di mia sorella Sayu. E’ scappata di casa e non riusciamo più a rintracciarla.» affermò Light, consultando il suo orologio da taschino e risistemandoselo poi nel doppiopetto. In un primo momento, Soichiro aveva avanzato l’ipotesi del rapimento, ma essendo trascorse delle settimane e non avendo ricevuto richieste di riscatto, quella certezza aveva iniziato a vacillare e a cedere il posto ad altre supposizioni.

«Problemi in famiglia? Con un fratello arrivista come te, non mi stupirei del contrario.» lo punzecchiò il detective, spremendo la marmellata fuori dall’impasto e leccandola.

«Siete sempre molto…» temporeggiò qualche istante alla ricerca di un termine adatto che potesse definire il suo interlocutore «…sagace, L. Mi dispiace deludervi, ma ho sempre avuto un ottimo rapporto con mia sorella. Non le sono stati imposti matrimoni e ha sempre goduto di una certa libertà, quindi non riesco a trovare un motivo logico alla sua scomparsa.»

«Tuo padre gode della posizione di comandante di Scotland Yard, non ha avvisato o mobilitato le forze dell’ordine dei paesi o delle contee antistanti Londra?»

«Sì, senza ottenere risultati tangibili. Io ho assoldato una spia, anzi non è corretto affibbiargli una tale qualifica…diciamo piuttosto un informatore che avrebbe dovuto compiere delle verifiche, però ha fallito su tutta la linea.» specificò l’erede di casa Yagami stancamente «vorrei che foste Voi ad occuparvi del ritrovamento di Sayu. Provvederò a fornirvi quanti più dettagli possibili sul suo conto per semplificare il vostro lavoro, senza tralasciare il compenso. In dolci, ovviamente.»

«Dovresti sapere che accetto solo incarichi che destano la mia curiosità, e al momento il caso del serial killer assorbe completamente il mio tempo.» mentì prontamente L. Ormai era diventato talmente bravo a mentire che era difficile capire se stesse bluffando o dicendo la verità: era ben cosciente del fatto che procrastinare il suo arresto avrebbe designato la perdita di altri innocenti, e questo non poteva permetterlo.

«Già, ha assassinato persino un dipendente di mio padre, Raye Penber. Inoltre, mi è giunta voce che persino Sherlock Holmes[1] di Baker Street stia tentando di acciuffarlo; avete un rivale, L.» gli fece notare ironicamente Light, ignorando il fatto che le sfide stimolassero in modo positivo l’intelletto di Lawliet. Non si preoccupò di celare la delusione che aleggiava sul suo volto perfetto nell’apprendere che L non si sarebbe prodigato per la sorella.

L era testardo e capriccioso come un infante, ed era difficile (o pressoché impossibile) che cambiasse idea riguardo a qualcosa.

«La cosa mi lascia del tutto indifferente.» proclamò l’altro, dondolando la testa su di un lato e ricordando quasi un gufo.

«Se siete così sicuro di Voi, è perché vi siete già fatto un’idea su chi sia il colpevole.»

«Io so chi è l’assassino, Light.» gli occhi di L, spenti e vuoti fino a quel momento, mostravano una decisione e un vigore tali da sorprendere Yagami, basito di fronte a quell’esclamazione tanto ardita.

Quest’ultimo restò in silenzio una manciata di minuti, come se volesse accertarsi di non aver travisato la dichiarazione di Lawliet. Ostentava sicurezza o si sentiva semplicemente il fiato di Holmes sul collo?

«E come mai non lo avete ancora catturato, se è lecito saperlo?» le domande fuoriuscivano dalla bocca del giovane come un fiume in piena, tanto bramava conoscere il motivo che aveva condotto L a compiere una simile leggerezza.

Quindi, anche lui, come ogni altro essere umano, sbagliava di tanto in tanto. Anche per L Lawliet era contemplata la cosiddetta percentuale di sbaglio dello 0, 01%.

L evitò di rispondere al suo giovane ospite, concentrandosi nuovamente sul dipinto che sostava sopra il camino: ritraeva tre adolescenti, due di loro quasi identici se non fosse stato per il colore degli occhi, il taglio di capelli e i vestiti. Basil Hallward[2], il pittore a cui era stata commissionata l’opera, sosteneva di aver catturato le loro essenze in quel quadro.

Eppure, secondo la sua cognizione, il tempo scorreva più lentamente, le ore e i giorni si trascinavano come un mendicante zoppo che chiede l’elemosina.

La prematura dipartita di A e l’allontanamento di B dal suo mondo erano dei pensieri fissi che tartassavano la sua mente come picchi molesti.

 I colori ad olio della tela cominciarono a mischiarsi ai ricordi del detective, trasportandolo in un luogo impregnato di un aroma alla mandorla.

 

«Non ci provare, Lawliet, è mio!» esordì una voce minacciosa, interrompendo la calma che albergava in una delle aule della Wammy’s House, la struttura che si occupava di offrire agli orfani di Londra una sistemazione e un’istruzione. Un sedicenne dagli occhi cremisi, resi incandescenti dalla rabbia, stava custodendo gelosamente un dolcetto alla zucca da colui che poteva essere definito la sua nemesi; c’era stato anche chi li aveva scambiati, erroneamente, per fratelli gemelli (con suo grande disappunto).

L Lawliet, questo il nome dell’interpellato, studiò il suo coetaneo con fare stralunato. Lui e B erano stati accolti all’orfanotrofio più o meno nello stesso periodo e tra loro si era instaurata da subito un’accesa competizione. Infatti, quel posto non si limitava ad essere una casa per i bambini o gli adolescenti meno abbienti della società, bensì si prodigava a raccogliere sotto lo stesso tetto le menti più promettenti della capitale dell’arcipelago inglese, stimolandone ed incrementandone le potenzialità.

«Oggi è il mio compleanno, dovresti essere meno avaro, B.»

«E allora? Questo non ti autorizza ad avere tutti i dolci per te!»

«Infantile.»

«Adesso ti faccio vedere io chi…»

Beyond stava già per avventarsi su L, quando un terzo ragazzo si avvicinò ai due contendenti e li guardò esasperato. Aveva un anno in meno di loro ed era arrivato alla Wammy’s House qualche mese prima, in seguito alla morte dei genitori in un incendio doloso: il suo vero nome era Abel Aaron Hunt, ma per tutti era semplicemente A.

«Dovreste comportarvi da veri gentiluomini, non da bambini viziati.» li rimproverò, cercando di mostrarsi autoritario. Abel era un tipo piuttosto pacato, affabile e modesto, preferiva ascoltare le persone piuttosto che parlare di sé e, soprattutto, odiava i litigi. Nessuno conosceva dettagli inerenti al suo passato, solo l’accento raffinato ed elegante con cui era solito esprimersi, così come i suoi modi di fare impeccabili,  suggerivano che la sua città natale fosse Oxford, considerata la detentrice della lingua inglese “pura”.

«La tua paternale durerà ancora a lungo, damerino?» lo prese in giro B, sfoggiando un ghigno inquietante come quello di Jack O’Lantern.

A, ormai abituato al carattere irascibile dell’amico, lo ignorò e appoggiò un muffin sul tavolino intarsiato davanti al quale era seduto L, facendo poi gli auguri al festeggiato.

Sebbene esternamente A ostentasse una certa temperanza, nel suo subconscio si agitavano mille contraddizioni e insicurezze. Si sentiva schiacciato dal giudizio altrui e aveva una scarsa autostima, che poteva compromettere la sua futura carriera di investigatore. Abel era molto intelligente, ma non possedeva il sangue freddo e l’intuito di B oppure le straordinarie capacità logico-deduttive e la memoria fotografica di L.

Lui era “troppo” normale e il ruolo di “collante” tra i due geni iniziava a stargli stretto: infatti, nonostante la costante rivalità che li portava spesso a scontrarsi, L e B nutrivano stima e rispetto reciproci.

Se L e B erano il Sole, lui era come la Terra che ruotava attorno allo splendente Astro. Eppure, A non si era reso conto dell’importanza del ruolo che rivestiva e delle conseguenze che la sua assenza avrebbe determinato nella vita di chi gli stava intorno.

 Questo suo disagio interiore era fomentato anche dal segreto che gravava sul suo cuore; per quanto tempo ancora sarebbe stato in grado di mentire ai suoi amici? Ormai, non riusciva più a guardarsi allo specchio e a non provare ribrezzo per se stesso.

«Grazie, A. Tu sì che sei gentile a differenza di qualcun altro.» lo ringraziò L, facendosi volutamente sentire da B che tentò di non calcolarlo.

«Buongiorno.» li salutò Watari, interrompendo così il loro “bisticcio”«dovreste dare il buon esempio ai vostri colleghi più giovani, dimostrando maturità e buon senso.» li rimproverò con fare paterno, ma nascondendo un sorriso sotto i baffi bianchi come la neve. Gli orfani residenti alla Wammy’s House erano praticamente la seconda famiglia del vecchio inventore e animavano le sue giornate, facendolo sentire ancora utile. Nella sua mente si disegnavano costantemente mille progetti per nuove invenzioni, ma in quel momento quello più grande e concreto erano i suoi ragazzi.

  «Questa sera, alle otto, si terrà una prova speciale per testare le vostre abilità, dato che nelle ultime graduatorie vi siete classificati ai primi tre posti: in poche parole, dovrete assicurare alla giustizia la banda della Rosa dei Venti che sta saccheggiando Londra. Ogni metodo è lecito, purché non utilizziate oggetti contundenti. La vostra arma migliore, nonché carta vincente, deve essere il cervello.»

A sussultò impercettibilmente, abbassando il capo ed evitando di guardare i suoi “rivali”. L mangiucchiava il suo muffin senza scomporsi, ma nella sua mente stava già predisponendo una valida strategia per rintracciare i malviventi.

«E come facciamo a sapere dove colpiranno? Abbiamo informazioni su di loro? Nemmeno i giornali si sbilanciano sulla loro identità.» domandò Beyond alquanto scettico, mentre era intento a sistemare il nastro che teneva insieme il suo codino.

«Le uniche indicazioni che  posso darvi sono le seguenti: ogni membro dell’organizzazione possiede un nome in codice, che rimanda ai quattro punti cardinali, e un crocifisso di materiali e pietre differenti.» Watari scrisse su una lavagna un rapido promemoria con le notizie essenziali. Il tempo per rintracciare la banda era poco, ma è proprio quando si è sotto pressione che si dà il meglio di sé.

«Un’ultima cosa: quando avrete terminato il vostro compito, recatevi sul ponte del Tamigi con i crocifissi che avete recuperato. In bocca al lupo, ragazzi.» Watari, ermetico come sempre, si soffermò a fissare i suoi “allievi” per una manciata di secondi, dopodiché abbandonò la stanza, lasciandoli ai loro pensieri.

I tre amici non avevano colto completamente il vero significato di quell’esame: oltre al loro intelletto, sarebbe stato valutato anche il loro modo di approcciarsi ad una situazione tanto delicata.

“Cosa faranno L e B quando si troveranno faccia a faccia con la verità?” pensò Watari tra sé e sé, una volta tornato nel suo ufficio.

 

A era seduto ai piedi del salice piangente che costeggiava il laghetto artificiale, ubicato nel giardino dell’orfanotrofio. Il prato era spruzzato da margherite e lillà che ondeggiavano sospinti da una brezza pungente.

Probabilmente, il loro mentore aveva intuito qualcosa, e lui si sentiva in trappola: doveva continuare a vivere come A oppure avrebbe dovuto svelare a L e B che lui in realtà era Ovest, un misero ladro che rubava per saldare i debiti che suo padre aveva contratto giocando a carte? Sospirò pesantemente, tormentandosi poi un ciuffo di capelli color caramello; tergiversare era inutile e scappare era sinonimo di codardia.

“Che cosa devo fare?” estrasse dalla tasca della sua giacca di velluto un crocifisso in argento, legato ad una catenella, in cui vi erano incastonati tre smeraldi; sul retro, invece, vi era inciso il suo pseudonimo, che sottolineava il senso di appartenenza alla banda della Rosa dei Quattro Venti.

La sua prigionia.

 Era talmente concentrato nelle sue riflessioni che, solo in un secondo momento, si accorse dei passi alle sue spalle. Si affrettò a nascondere l’oggetto, dopodiché si voltò verso il suo “visitatore”.

«Ah, L sei tu. Sono venuto qui perché sono un po’ preoccupato per l’esame di stasera.» farfugliò imbarazzato, sperando che l’altro non si fosse curato del crocifisso.

Lawliet si accucciò accanto a lui e rimase in silenzio, incollando i suoi occhi neri come l’inchiostro in quelli grigi del compagno, quasi a voler sondare il suo animo.

«Cosa ti turba?»

A tacque diversi istanti, rimuginando su una risposta convincente da propinare ad L.

«Non so come comportarmi, temo di fallire.» infarcì la sua frase con l’ombra di un sorriso per attribuirle una certa leggerezza.

«Guarda nel lago e dimmi cosa vedi.» controbatté Lawliet con voce atona.

L’altro obbedì, un po’ sorpreso da quella richiesta singolare, e si sporse leggermente, squadrando l’immagine proiettatagli dall’acqua.

«Bé, vedo…me stesso.»

Un ragazzo esitante e pieno di paure.

Poco dopo L raccolse un sassolino e lo gettò nel punto dove vi era il riflesso di A, “rovinandolo”, mentre al suo posto andavano creandosi dei cerchi concentrici.

«Ognuno di noi ha dei pregi e dei difetti, per cui dobbiamo accettarci per quello che siamo. Possiamo tentare di cambiare completamente, ma a quel punto, il lago ti mostrerebbe un’immagine distorta, proprio com’è successo poco fa. Dunque, saresti un’altra persona.» il tono fiacco di L era come un invito a riflettere sulle sue parole.

 «C’è il 79% di probabilità che, dentro di te, tu conosca già la risposta a ciò che ti assilla. Comunque, hai davvero un buon profumo…sai di mandorla.» asserì  L, annusando A e portandosi poi un dito sulle labbra  «ero venuto ad avvisarti che Mister Hallward ha terminato il nostro dipinto e a me e B farebbe piacere se ci accompagnassi a ritirarlo.»

Era impressionante la velocità con cui L riusciva a cambiare argomento, tuttavia A gli fu molto riconoscente. Grazie al suo discorso aveva capito cosa fare.

Abel, e non A o tantomeno Ovest, doveva prendere in mano le redini della sua vita. Da quel momento iniziava il suo futuro.

«Certo, verrò volentieri. Mia nonna lavorava in una pasticceria, quindi mi ha insegnato le ricette dei suoi dolci; proprio ieri ho provato a preparare dei pasticcini alle mandorle, ma non sono venuti bene.»

I due si alzarono e si diressero verso l’entrata della Wammy’s House, senza accorgersi che la loro conversazione era stata spiata da un terzo individuo: Beyond Birthday.

 

Quella sera la nebbia aveva coperto con il suo manto la città di Londra, rendendola ancora più cupa e tetra del solito. Le strade erano pressoché deserte, eccezion fatta per qualche ubriaco di ritorno dalle taverne o dai pubs e alcuni mendicanti in cerca di elemosina.

Il Big Ben dominava la capitale solitario, mentre i suoi dodici rintocchi annunciavano la mezzanotte.

L Lawliet procedeva a tentoni verso il Tamigi, luogo prefissato per il loro incontro dopo il compimento della missione: scovare e catturare Est, una donna di diciotto anni dai lunghi capelli rossi e gli occhi celesti, non era stato facile, e aveva richiesto più tempo del previsto. Tuttavia, grazie ad un’efficace rete di informazioni e di ragionamenti, aveva trionfato e aveva ottenuto il crocifisso in oro e lapislazzuli della criminale. Quando era giunto ormai in prossimità del ponte, notò una sagoma accovacciata contro di esso.

Prese a camminare più velocemente (cosa assai insolita per uno come lui), colto da una strana sensazione che mischiava angoscia e preoccupazione: era come se il suo sesto senso gli suggerisse che fosse accaduto qualcosa di brutto.

La sua apprensione si palesò del tutto quando si accorse che la persona in questione era A: il suo corpo era scosso da violenti tremiti e un’ampia ferita all’addome colorava di un conturbante rosso il maglione di lana che indossava.

Non appena gli si avvicinò, valutò con rapidità le sue condizioni, usufruendo della fioca luce emessa dalla candela di un lampione lì vicino.

“L’emorragia è estesa, se lo spostassi c’è il rischio che si aggravi ancora di più. Ormai c’è il 5% di probabilità che si salvi.” pensò L, mentre gli sollevava il maglione e tentava, invano, di bloccare la fuoriuscita di sangue con alcuni fazzoletti. Sentendosi venir meno le forze, A si lasciò andare, ma venne prontamente sorretto dal compagno, che lo adagiò delicatamente sull’asfalto.

Nonostante la sua giovane età, Lawliet aveva già risolto parecchi casi e affrontato nemici pericolosi, eppure contro la morte non poteva combattere ad armi pari: lei vinceva sempre e comunque.

«Sai, L sono contento che tu sia qui con me...ho fatto come mi hai detto prima, finalmente sono stato me stesso…» sussurrò A con il respiro affannoso e il dolore che si faceva via via più intenso.

Era la prima volta che L si trovava in un situazione del genere e non sapeva quale fosse la prassi da seguire: doveva confortare Abel, dargli false speranze oppure restare in silenzio e ascoltarlo? Lui e B avevano intuito da tempo la doppia identità del loro amico, ma non gliene avevano mai fatto parola, decidendo di comune accordo di lasciare le cose come stavano: la loro proverbiale incapacità di esprimersi a parole  li portava a compiere gesti impliciti, volti a dimostrare la solidità del legame che li univa.

La solitudine, fidata compagna di L e B, aveva sempre minato i loro rapporti interpersonali, rendendoli quasi schiavi di se stessi. Abel, invece, era riuscito in qualche modo a tirare fuori il meglio da entrambi e a farli “convivere”.

In un certo senso, era stato grazie a lui se erano diventati “amici”. Sì, lui poteva considerare tali sia A che B. Quell’ammissione era costata molto ad L, sempre restio a donare la sua fiducia a chicchessia.

Lawliet coprì A con il suo cappotto, quando sentì la mano dell’altro stringergli debolmente la manica della camicia. Le sue labbra stirate in un sorriso malinconico e la vista annebbiata.

 «Prima di morire, vorrei dirti un paio di cose.»

«Dovresti risparmiare le energie ed evitare di sforzarti.» gli suggerì L, portandosi il dito indice sulle labbra.

Per la prima volta in quindici anni, A disobbedì a qualcuno e continuò a parlare, mosso da un coraggio inaspettato. Era assurdo che la Nera Signora avesse voluto concedergli quel “regalo” estremo nei suoi ultimi attimi di vita.

 «Vorrei che ti occupassi di B, tende spesso a cacciarsi nei guai. E poi…è stato Nord…lui…» purtroppo Abel non fece in tempo a finire la frase, dato che il suo cuore cessò di battere. L stette immobile a guardarlo, impassibile e marmoreo, dopodiché giurò sul suo cadavere che avrebbe punito il suo assassino.

“Occhio per occhio, dente per dente.”  

Questa era la filosofia di L Lawliet.

«Dunque è stato Nord a colpirlo a tradimento e  a rubargli il crocifisso che ho visto oggi pomeriggio...» dedusse dopo aver notato l’assenza dell’oggetto sia dalle tasche che dal collo del compagno.

Le sue ipotesi vennero troncate dall’arrivo di un Beyond Birthday trafelato: tra le mani un crocifisso in bronzo con dei diamanti (appartenuto presumibilmente a Sud, l’ultimo membro della banda) e sul viso un’espressione distrutta dopo aver visto il corpo di A inerme. Si portò le mani in faccia, rischiando di staccarsi le guance con le unghie, tanto era forte la sua presa. Abel, sfuggevole come il vento, non c’era più ed era stato proprio L ad incitarlo ad andare incontro al suo triste fato: se qualche ora prima lui non gli avesse fatto quel discorso e non lo avesse spronato a cambiare, A sarebbe stato ancora vivo, pronto a sgridarlo per la sua impulsività.

Aveva perso per sempre la sua bussola, la sua guida.

Piangere non lo avrebbe di certo riportato da lui, ma la vendetta avrebbe alimentato quotidianamente le sue giornate, ricordandogli il motivo per cui doveva vivere.

«Sappi che non ti perdonerò mai. Da questo momento noi saremo nemici, Lawliet.» sibilò B, scrutandolo per diversi attimi. Avrebbe smesso di credere nella giustizia, l’ideale che veniva tanto decantato alla Wammy’s House, e si sarebbe schierato dalla parte del Male, ovvero dalla parte dei vincenti.

Fu in quella notte che Beyond Birthday gridò contro ad L, diventato involontariamente il carnefice di Abel Aaron Hunt, tutto il suo odio e il suo dolore.

Eppure L, mostrando la sua consueta espressione indifferente, si fece carico della sofferenza collettiva, anche a costo di essere ripudiato dal suo migliore amico.

L Lawliet decise di rimanere dalla parte dei “perdenti”, perché lui aveva fiducia nella Giustizia.

                                                                       ***

Misa Amane picchiettava i tacchi sul pavimento di una locanda, spazientita.

Meg le aveva promesso che quella sera avrebbero provato fino a tardi, dato che l’indomani si sarebbero esibiti al Royal Court Theatre[3] con l’Amleto: Shakespeare e Othello avevano portato fortuna alla loro compagnia, per cui avevano deciso di comune accordo di riproporre un’altra opera del decantato drammaturgo per cercare di incontrare nuovamente il favore del pubblico. Lei avrebbe interpretato Gertrude, la madre di Amleto, nonché regina di Danimarca (un ruolo che ben si adattava al suo ego vanitoso), invece Meg avrebbe vestito i panni di Ofelia, la fidanzata dello sfortunato principe.

«La prossima volta, però, scegliamo una commedia, almeno ci facciamo quattro risate!» si lamentò Misa sbuffando, mentre era intenta a spazzolarsi i lunghi capelli biondi davanti allo specchio.

«Si dice che è più difficile far ridere la gente, piuttosto che commuoverla. E noi dobbiamo badare a ciò che piace al pubblico.» le aveva ricordato Meg gentile, ma decisa. Sapeva che se avesse mostrato il minimo tentennamento, Misa ne avrebbe sicuramente approfittato per ribadire la sua teoria.

«Uffa, Meg sei la solita rompiscatole!» detto questo, le aveva lanciato contro un cuscino e avevano spettegolato tutto il pomeriggio riguardo ai rampanti aristocratici londinesi, arrivando addirittura a stilare una classifica sui più appetibili.

Mentre attendeva la sua amica davanti ad un bicchiere di limonata, ripensò alla serata precedente e le sfuggì un sorriso: nonostante fosse burbero e taciturno, il dottor Watson[4] si era dimostrato un ottimo compagno di letto. Ampiamente soddisfatta dalle coccole e dalle suadenti frasi sussurratele a fior di labbra dall’uomo, che l’aveva letteralmente trattata come una principessa, sorseggiò la sua bevanda, mostrando un’espressione sognante.

Le aveva perfino regalato un abito in raso che lei non aveva tardato ad inaugurare durante la loro prima notte insieme. John l’avrebbe davvero resa felice? Il loro era un incontro clandestino oppure tutto ciò avrebbe avuto un seguito che, in un futuro non molto lontano, sarebbe sfociato nel matrimonio?

Sfortunatamente, l’animo estremamente romantico e ingenuo della ragazza non le permetteva di distinguere con razionalità una semplice cotta da un amore vero.

Forse perché lei stessa era innamorata dell’Amore.

Due operai, coperti di macchie d’olio e di sudore, la fissavano insistentemente, cercando di attirare la sua attenzione per offrirle qualcosa da bere. Non appena si rese conto di essere osservata, diede loro le spalle, segno che non gradiva compagnia.

Adorava essere corteggiata, però con classe; era esigente anche sotto quel punto di vista.

«Mi dispiace, cocchi ma ho standard più elevati. Certo che non è da Meg ritardare in questo modo…è quasi un’ora che la aspetto. Mi conviene andare a casa sua, tanto non è molto distante da qui. »

La giovane abbandonò la sua postazione (e i suoi sfortunati spasimanti) e lasciò quattro penny sul bancone, imboccando poi l’uscita di quello squallido locale. Fuori si era fatto buio e la prospettiva di dover girare da sola, seppur per un breve tragitto, non la allettava particolarmente.

Imboccò un viottolo dove un gruppetto di bambini stava calciando un pallone di stoffa; sebbene indossassero degli stracci parevano felici e spensierati e le ricordarono istantaneamente lei e suo fratello minore.

Da piccoli giocavano spesso insieme, fino a quando, in seguito ad una violenta litigata con il padre, lui se ne andò di casa, senza fare più ritorno. Misa lo aveva cercato a lungo, nelle campagne e nei paesi vicino ad Oxford, fino a quando i genitori non glielo proibirono categoricamente. Che sapessero qualcosa di cui lei era all’oscuro?

Il suo sogno di intraprendere la carriera di attrice le aveva fatto un po’ dimenticare la questione di suo fratello, dato che in quel periodo le sparizioni o i rapimenti di persona erano all’ordine del giorno, nonostante il desiderio di ritrovarlo non si fosse mai estinto completamente in lei. Percorse ancora qualche passo a piedi, dopodiché giunse finalmente nel quartiere in cui abitava l’amica e salì con una certa premura le ripide scale che conducevano al suo appartamento.

«Meg, sono Misa!» il suono squillante della sua voce accompagnò quello grave del batacchio che sbatteva contro la porta. Non ottenendo alcuna risposta da parte dell’amica, sospinse leggermente la porta, accorgendosi che era aperta.

“E’ strano, di solito Meg è molto prudente e chiude sempre a chiave…”

«Meg! Meg!» la giovane Amane esplorò la cucina, dove trovò soltanto una teiera che sbuffava inviperita. La tolse dal bollitore, iniziando a preoccuparsi sul serio e a pensare che qualcuno si fosse introdotto furtivamente in casa.

Era risaputo che la miseria che aleggiava a Londra portava la gente più povera a commettere furti e rapine per sfamarsi.

Si guardò intorno con circospezione, cercando un oggetto che avrebbe potuto esserle utile per difendersi in caso di un probabile assalto. Optò, infine, per un vaso di porcellana (contenente delle camelie) che non avrebbe tardato ad usare se si fosse trovata faccia a faccia con il malvivente.

«Meg…» la sua voce non era cristallina come poco prima, risultava invece tesa e spaventata come quella di un bambino che si perde in mezzo ad una folla «se è uno scherzo, non è divertente!» Misa non brillava certo per coraggio; infatti detestava tutte le leggende, tipiche del folklore inglese, in cui venivano nominati fantasmi, folletti o creature magiche.

In quel momento avrebbe desiderato ardentemente avere John al suo fianco e godere della sua protezione.

“Perché gli uomini non ci sono mai quando servono?” sbuffò stizzita, controllando poi la camera e la sala, anch’esse vuote e perfettamente in ordine. Se si fosse trattato di un furto, un ladro avrebbe creato disordine e scompiglio, ma lei non era certo un detective e in quei frangenti la sua lucidità pareva essersi eclissata, così come la sua amica Meg.

“Il bagno… mi manca solo il bagno.” non appena iniziò a camminare lungo il corridoio del bagno, le si inumidirono le scarpe di velluto, cosa che la infastidì ulteriormente. Chissà come mai ogni volta che acquistava qualcosa di nuovo, questi doveva necessariamente rompersi o rovinarsi.

«Ci mancava anche questa!» con lo sguardo seguì la scia d’acqua che sembrava provenire da sotto la porta e lo sciabordio che si percepiva dietro di essa.

Il cuore le batteva a mille e la sua gola era diventata arida quanto il deserto del Sahara. Una vocina dentro di sé la intimava a scappare e un’altra a rimanere e a cercare Meg.

Dopo aver dato fondo a tutta la sua audacia, ruotò la maniglia e chiuse gli occhi, addentrandosi sulla soglia della stanza. Quando li riaprì subito dopo, pensò di essere stata catapultata in un sogno: la vasca da bagno, colma d’acqua e con la manopola in ottone aperta, ospitava il corpo senza vita di Meg.

Della sua migliore amica Meg.

La riconobbe dalla camicia da notte in raso che lei stessa le aveva regalato per il suo ultimo compleanno. Gli occhi castani spalancati e vitrei, le mani sollevate e i palmi aperti, i capelli che fluttuavano nella sua “tomba”, le labbra secche semi socchiuse; la sua posa ricordava molto quella di Ofelia ritratta nel quadro del pittore Millais[5]. Possibile che Meg avesse deciso di suicidarsi come l’eroina che avrebbe dovuto impersonare nel loro sceneggiato? Misa sussultò, accorgendosi solo in quel frangente della realtà dei fatti.

Meg era morta.

Un grido disperato e un pianto altrettanto angosciato squarciarono la tranquillità del quartiere e disturbarono il lavoro di due spazzacamini che stavano pulendo senza troppa convinzione la canna fumaria di un tetto.

«Tsk, quante storie. Quella gallina non ha mai visto un cadavere?» mormorò Beyond Birthday, sfilandosi con i denti dei guanti sporchi di sangue e privandosi poi anche del resto del travestimento.

Matt, poco distante da lui, lo osservava con fare assorto, sorreggendo una scopa: forse non era il momento giusto per confessargli ciò che provava nei suoi confronti, ma dopo aver ucciso qualcuno il suo capo pareva sentirsi meglio, e quindi perché non fare un tentativo? Anche se quella sera l’assassino aveva qualcosa di diverso.

Sembrava lontano.

Sembrava essere con qualcun altro.

«Basta incertezze, altrimenti non mi prenderà sul serio.» deglutì un paio di volte e cercò di ricordarsi di tutte le volte che aveva provato ad utilizzare il teschio Amleto come cavia per le sue dichiarazioni.

«Beyond, devo dirti una cosa.» esordì lui, cercando di mostrarsi risoluto. Aveva persino sollevato i suoi occhiali da aviatore sulla testa per poter guardare Beyond direttamente negli occhi.

L’altro si girò lentamente, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e squadrando il suo assistente con aria annoiata.

«Che c’è? Ti sono finite le sigarette per caso?» ribatté ironicamente.

«No, si tratta di te. Ma anche di me, cioè…» iniziò a farfugliare e a dimenticare il discorso che si era preparato con tanta cura dopo diverse settimane di esercitazioni. Come se non bastasse, venne interrotto dal rumore di una porta che sbatteva, segno che quasi certamente Misa Amane fosse scappata via.

«Che sfortuna. Lo spettacolo è già finito. Torniamo a casa, Matt.» 

«Amleto, da domani si ricomincia daccapo…» pensò Matt tra sé e sé, sospirando abbattuto e seguendo il killer.

Camminarono in silenzio per parecchi minuti, fino a quando Beyond non si fermò e si voltò verso Matt. 

«A proposito, non dovevi dirmi qualcosa?»

Matt si irrigidì tanto quanto il cadavere della donna che stava nella vasca da bagno, mentre una goccia di sudore gli scese dalla fronte.

«Ah, s-sì, ecco…» temporeggiò, pur sapendo quanto l’assassino odiasse le pause in un discorso «volevo dirti che la prossima volta, al posto di utilizzare il sangue per scrivere messaggi, potresti ripiegare sulla marmellata di fragole, che ne pensi?»

«Idiota.»

 

 

 

 

 


[1] Sherlock Holmes: il celebre detective nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle.

[2] Basil Hallward: personaggio di «Dorian Gray» del famoso Oscar Wilde.

[3] Importante teatro di Londra, esistente tuttora.

[4] Aiutante di Sherlock Holmes e personaggio di Arthur Conan Doyle.

[5] “Ofelia”(1852) di John Everett Millais. Qui potete vedere il quadro a cui ho fatto riferimento: http://www.daneel59.altervista.org/nnophelia.htm

 

 

 

FE SCRIVE...

Ciao a tutti,

come state?

Mi scuso ancora una volta per la mia assenza prolungata, ma ho diversi problemi in questo periodo, piuttosto seri, quindi mi dedico alla scrittura solo nei ritagli di tempo, ahimè. Ci tengo a precisare una cosa: non ho abbandonato nessuna delle mie fanfic, ma aggiornerò lentamente.

Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, che hanno inserito la storia in una delle tre liste e la mia amica Robby-chan per l'immagine che apre il capitolo. Chiunque voglia commentare con consigli, critiche e quant'altro, mi renderà felicissima*___*

Scusate se sono stata un pò stringata, ma vado un pò di fretta>___<

Fe

   
 
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