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Autore: _CodA_    08/01/2012    6 recensioni
Brittany e Santana sono state insieme per circa 15 anni, ma qualcosa sconvolgerà le loro vite...
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Santana Lopez
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Non credo che possa funzionare…”
“Oh io credo di sì!”
Quinn era molto più entusiasta di me di fronte alla mia immagine riflessa nello specchio.
Chissà quale futuro, quale scenetta deliziosa, le avevo evocato io con quell’aspetto pulito e aggraziato.
In un semplice vestito, un velo di trucco e il mio solito profumo alla vaniglia, lei ci vedeva già una cena romantica, inutili spiegazioni e una notte di fuoco.
Io invece sostavo incerta davanti allo specchio e tutto ciò che vedevo era una ragazza colpevole ed impaurita, che avrebbe faticato ad accostare due parole di senso compiuto, vergognandosi terribilmente della sua scelta di puntare tutto sull’aspetto, perché sapevo che non sarebbe bastato.
Il mio abito blu non mi convinceva: non doveva essere un appuntamento, né una qualsiasi uscita galante; non dovevo conquistare Santana, quello l’avevo già fatto una quindicina di anni fa… il mio obiettivo per quella serata era ristabilire l’ordine nelle nostre vite, fornire delle necessarie spiegazioni a ciò che era accaduto in quell’ultimo mese e, a mia insaputa, in quegli ultimi quattro anni, e far si che Santana si fidasse nuovamente di me.
Per Quinn tutto ciò che dovevo limitarmi a fare era sbattere le ciglia; ed occasionalmente far svolazzare la gonna per mostrare le mie gambe.
Non mi sembrava di giocare pulito: non volevo prendere in giro Santana, non volevo meschinamente farmi perdonare così, anche se sapevo che in fondo sarebbe stato piacevole per tutte e due… ma di certo non avrebbe sistemato le cose!
“Britt, non morderti il labbro! Quella bocca sarà la chiave del tuo successo questa sera!”
Sentire Quinn fare allusioni su me e Santana mi risultava ancora strano.
E mi innervosiva la sua sicurezza in quello che io avrei dovuto fare!
“Quinn… non sono sicura di farcela… insomma… Santana… non merita questo… non…”
“Non potrà resisterti!” esclamò eccitata.
“E’ proprio questo il punto!” diedi finalmente le spalle a quel terribile specchio, guardando Quinn dritto negli occhi. “Mi sembra di giocare sporco…” ammisi abbassando il capo.
“Ma noooo!” mi canzonò la piccola bionda, aggiustandomi il decolté. “Ti stai semplicemente assicurando la vittoria!”
Le sue parole non mi lasciarono del tutto convinta, ma capì che parlare con lei era fiato sprecato.
“Allora… a che ora hai dato appuntamento a Santana?”
Sgranai gli occhi e anche il suo volto si tramutò in un’espressione preoccupata.
“Britt… hai chiamato Santana, vero?”
“Credevo l’avessi fatto tu!! Ti ho detto che non avevo il coraggio di sentire la sua voce!”
“Oh cavolo, Britt! Sentirai la sua voce tutta la dannata sera!” mi rispose urlante e stizzita.
“Lo so, ma… è diverso!!”
Il mio tono colpevole e dispiaciuto fortunatamente placò il suo animo. E dopo aver nascosto per un considerevole lasso di tempo il viso dietro le mani per far scemare la rabbia e cercare un’illuminazione, tornò a guardarmi più seria che mai.
“Allora.. sono le 7 e 40. Magari se la chiamo adesso siamo ancora in tempo. Sicuramente non starà che poltrendo sul divano in cerca di una risposta divina sul significato della propria inutile e solitaria esistenza!” vagheggiò mentre si dirigeva in salotto per il telefono.
“Cosa ne sai?”
“E’ ciò che l’ho trovata a fare nell’ultime due sere..” pronunciò con fare disinteressato, quando a me saperla in quella situazione mi metteva in uno stato di ansia e sconforto totale.
Così mi abbandonai pesantemente sul bordo del letto e attesi a mani congiunte che Quinn tornasse con notizie positive.



“Proooonto?”
Una voce sconsolata prese vita dall’altro capo del telefono.
“Santana? Sei davvero tu?” chiese incredula Quinn.
“E chi altro potrebbe essere? Sono sola ormai!” pronunciò con quell’enfasi che le ricordò tanto Rachel Berry ai tempi del liceo.
“Oh ti prego! Non essere melodrammatica!”
“Q, che cosa vuoi?” chiese seria la bruna, sentendosi già abbastanza giù di suo.
“Buone nuove! Britt vorrebbe incontrarti, stasera…”
Un tonfo sordo lasciò Quinn un attimo interdetta.
“Santana..? Tutto bene..?”
“Eh.. si.. ero sul divano… e… Q, Britt vuole davvero vedermi?”
“Già, ha semplicemente chiesto a me di telefonarti mentre lei è andata a prepararsi..”
Santana deglutì.
“Ci sei ancora?”
“Sisisi, sono qui!” si affrettò a confermare la latina.
“Allora?”
“A che ora?” domandò secca.
“Pensava tra un’oretta, a casa tua.. la faccio accompagnare da Puck così tu avrai più tempo per prepararti e..”
“tu – tu – tu – tu – tu – tu….”
“Santana..? Santana?!? Ha riattaccato…” constatò Quinn incredula, ma piuttosto soddisfatta.



Quinn ritornò verso la sua camera da letto dove credeva di trovarmi ancora intenta a trastullarmi davanti allo specchio. Ma rimase sorpresa non trovando nessuno.
“Britt? Dove sei?”
Si aggirò per casa, chiamandomi, e quando mi vide non poteva crederci.
Jake e Katherine erano seduti sul tappeto nel salone, con la tv accesa ma ignorata; giocavano alle costruzioni. Ed io era seduta accanto a loro, in jeans e maglietta, con ben più difficoltà con le costruzioni rispetto a loro due.
“Brittany!!!” irruppe Quinn con tono di rimprovero.
Non avendola sentita arrivare, fui colta sul fatto e non seppi cosa fare. Lasciai istantaneamente le costruzioni e la guardai negli occhi, mettendo su il viso più dolce che conoscevo.
“Stavamo solo giocando…” tentai di giustificarmi.
E Quinn con le mani sui fianchi e il viso contrito era sul punto di sgridare quella che ai suoi occhi era solo una bambina troppo cresciuta.
“Non sono arrabbiata per questo! Cosa ne hai fatto dell’abito che ti avevo prestato?”
“Oh.. quello.. Quinn, devi perdonarmi, ma non posso proprio! Non mi sembrava giusto! L’ho rimesso dov’era… nell’armadio”
Non poté resistere a quel tenero faccino, a quella voce dispiaciuta, a quelle labbra già incurvate per occhi quasi in preda alle lacrime.
“D’accordo, d’accordo!” alzò rapidamente le mani in segno di resa. “Ma davvero non ti capisco!”
Io sorrisi contenta di poter finalmente fare di testa mia.
Tornai alle costruzioni e Quinn si sedette su uno dei braccioli del divano rosso scuro che ci circondava.
“Ho chiamato Santana..”
Al suo nome i miei occhi furono su di lei, attenti e in attesa, preoccupati.
“Tra un’ora sarà felice di averti da lei” concluse con un sorriso sincero.
In quel momento non seppi se essere sollevata o maggiormente angosciata.
Nonostante conoscessi la situazione difficile in cui mi ero andata a cacciare in quell’ultimo mese, vivere a casa di Quinn aveva significato uscire dall’ordinario, vivere in sospeso, incurante di tutto e tutti se non di me e della piccola Katherine.
Mi ero ritagliata una vita diversa fatta di giochi e novità che avevano divertito Kat e tenuto occupata me.
Ora dovevo fare i conti col mondo reale, con Santana che era stata messa in disparte senza una parola o un biglietto di scuse.
Era davvero difficile essere adulti.
Osservai i due piccoli che giocavano di fianco a me, sereni e liberi; li invidiai.
Tirai un lungo sospiro e poi tornai a guardare Quinn.
“Va bene, sono pronta”
Lei mi fece un accenno col capo, rassicurante.
“Puck sarà qui a momenti; dovrete passare a prendere qualcosa da mangiare lungo la strada se hai intenzione di fermarti lì..”
“Quinn, non so come andranno le cose. Per adesso non so nemmeno se riuscirò a parlarle, figuriamoci cenare insieme! Un passo alla volta.”
Ma lei si affrettò a bofonchiare sottovoce, assicurandosi che però io la sentissi.
“Se avessi messo quel vestito mozzafiato…”
“Non una parola!” la avvisai stufa, con un dito puntato verso di lei.
Fece il segno di cucirsi le labbra e alzò le mani arrendendosi.
“No, Jake! E’ mio!”
Quelle urla catturarono i nostri sguardi e la nostra attenzione.
Il piccolo Fabray ghignava soddisfatto con un  pezzo delle costruzioni in una mano alzata sopra la testa ancora troppo bassa della biondina.
“Jake, restituiscile il suo gioco!”  intimò la madre, stanca di dover avere a che fare con un simile teppistello, oltretutto sangue del suo sangue.
“Non è suo, è mio! I giochi sono i miei e ci gioca quando dico io!”
“E perché mai?” chiese la madre.
“Perché lei è una femmina!” sputò con disprezzo, facendo la linguaccia alla tenera bambina seduta sul tappeto con le lacrime agli angoli degli occhi.
Quinn gettò la testa tra le mani, in preda alla disperazione.
“Come ho fatto a crescere un simile demonio, persino misogino?! Ha solo 7 anni!”
Si sentì in lontananza la serratura della porta d’ingresso girare e Puck fece la sua entrata.
“Tesoro, sono a casa! E’ pronta la cena?”
“Ecco come!” esclamò arresa Quinn, mentre si chiedeva perché avesse sposato quell’idiota e ci avesse anche fatto un figlio assieme.
Io sorrisi divertita alla scenetta che si svolgeva davanti ai miei occhi, trovando impressionate l’orgoglio e la fierezza con la quale quel settenne sfoggiava il suo lato peggiore. Tutto suo padre!
Ma in cuor mio sapevo che Quinn e Puck si erano sposati per amore, quell’amore inevitabile che ti travolge ed è impossibile fermare.
Nella loro diversità, nei loro caratteri, seppur totalmente opposti, si erano attratti e compensati.
E anche se non l’avrebbero mai ammesso in presenza di altri, si amavano come sempre, forse più di prima, ora che dovevano affrontare un figlio, una vita, e tante avversità, insieme.
Oltre tutti quei difetti c’era una reciproca fiducia che non sarebbe mai venuta a mancare;
e lo vedevo nei loro occhi, nello sguardo divertito che si scambiarono una volta che lui ebbe varcato il salotto ed ebbe finto di essersi offeso ai commenti della moglie.
Semplice routine!
Guardandoli, ero fiera di loro. E i miei problemi sembrarono irrisori assistendo al loro giocare, litigare, prendersi in giro, come una normale famiglia.
Desiderai per me e Santana qualcosa di simile, sperando che i miei desideri coincidessero con i suoi, ancora.

Quinn dopo poco notò il mio sguardo perso e si affrettò ad informare Puck del piacere che doveva farmi accompagnandomi da Santana.
Lui non fece domande e non si lamentò, comprese anche lui la preoccupazione sul mio volto.
Così mi alzai e lei mi accompagnò alla porta.
“Allora, Britt.. ricordati di respirare!” scherzò notando il mio volto pallido.
Ma lo scherzo non coinvolse me.
“Britt..” si fece improvvisamente seria. “Non hai fatto nulla di male. Di tutto quello che ho capito di questa faccenda è che tu non sei colpevole di nulla; quando ti sarai spiegata, tutto sarà perdonato. Santana non vuole altro che riabbracciarti e riaverti con sé!”
“Speriamo…” sospirai incerta.
Lei mi sorrise, sincera, e apprensiva mi abbracciò.
Chiusi gli occhi per trarre forza da quell’abbraccio, quella salda amicizia che mi aveva sostenuto nel momento del bisogno, quando credevo di aver perso ogni appiglio.
Ma la lasciai andare.
Adesso era il momento di cavarmela da sola.
Ed infondo, nonostante la paura, il timore, l’angoscia, la vergogna… tremavo di gioia all’idea di rivedere la, se ancora così potevo chiamarla, mia bellissima Santana.
 
 
 
 
 
5 settimane prime

Spostai rapidamente lo sguardo una volta entrata nel piccolo bar all’incrocio della strada indicatami.
Non sapevo bene cosa cercare in effetti, non avevo alcuna informazione, per cui il mio sguardo e il mio comportamento dovettero risultare piuttosto goffi e circospetti.
Notai però un ciuffo biondo al centro della stanza che apparteneva ad un viso fin troppo conosciuto: era un ragazzo probabilmente della mia età, con un accenno di barba e degli occhi chiarissimi; sedeva ad un tavolino e sorseggiava qualcosa di caldo.
“Sam?! O mio Dio, quanto tempo! Che coincidenza!!!” gridai sconvolta una volta che mi fui avvicinata a lui “Che ci fai qui?”
Lui un po’ stordito dalla mia reazione mi fece segno di sedermi e con occhi tristi e voce seria iniziò a parlare.
“Vedi Britt, non è una coincidenza il nostro incontro.. sono stato io a chiamarti ieri sera..”
Spalancai gli occhi incredula.
“E.. e perché non mi hai detto che eri tu?”
“Ero imbarazzato.. e temevo non avresti acconsentito ad incontrarmi, per via di...”
Mi guardò timidamente, in totale contrasto al tono serio e quasi minaccioso che aveva finto al telefono, cercando di farmi intuire qualcosa, di trovare una certa complicità e una sintonia che gli avrebbe permesso di tacere parole inutili.
Capì a cosa si riferisse e gli sorrisi tranquilla.
“Sam… è acqua passata! Davvero, non preoccuparti. Non poteva che farmi piacere incontrarti. Ed infatti.. eccoci qua!” esclamai con un sorriso, ancora ignara di cosa mi attendeva.
Il suo sorriso non fu altrettanto sincero e spensierato. Si limitò a sforzare una smorfia coperta rapidamente dalla tazza calda e fumante che attendeva solo di essere svuotata.
Dopo qualche momento di silenzio, presi in mano la situazione.
“Sam, perdonami però.. cosa ci faccio io qui?”
Posò la tazza e si asciugò la bocca.
“Hai ragione, scusami. Tentavo di rimandare l’inevitabile, ma pare sia arrivato il momento…”
“Sam, è successo qualcosa di grave?” gli chiesi preoccupata, poggiando le mie mani sulle sue adagiate sul tavolino di ceramica.
Notai il suo sguardo finire sulle nostre mani che si toccavano. Ed evitai ogni commento ed ogni reazione per non ferirlo.
“Ho fatto un pasticcio, Britt… e spero davvero tanto che non mi odierai per questo.”
 
  
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