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Autore: BBambi    25/01/2012    8 recensioni
La neve si adagiava su di loro, sui loro abiti, sui loro capelli.
A separarli solo il braccio teso di lei.
Gli occhi dell’uno si riflettevano in quelli dell’altra, mentre infondo a quel braccio si trovava una pistola che tremava nella mano incerta della donna.
La vita dell’uno dipendeva da quella dell’altro e non era solo quell’arma a fare la differenza.
Lui afferrò la canna della colt e se l’appoggiò sul petto.
«Spara Lisbon!».
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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48:48








Prologo
 

La neve cadeva copiosa. I cristalli di ghiaccio danzavano nell’aria, fragili ballerine dalla vita effimera.
La loro esistenza si protraeva nel lasso di tempo che le conduceva dal cielo alla terra, il tempo di una caduta libera insomma.
Ma quel balletto era così elegante, così delicato che più che pochi istanti sembrava durasse un’eternità.
Nel bianco più assoluto ogni rumore era dissolto, ogni movimento congelato, ogni emozione amplificata, come un’eco in quel vuoto niveo.
In quello statico ritaglio di realtà, solo il calore dei loro respiri che si condensava nell’aria punteggiata di bianchi fiocchi dava un senso di dinamicità.
La neve si adagiava su di loro, sui loro abiti, sui loro capelli.
A separarli solo il braccio teso di lei.
Gli occhi dell’uno si riflettevano in quelli dell’altra, mentre infondo a quel braccio si trovava una pistola che tremava nella mano incerta della donna.
La vita dell’uno dipendeva da quella dell’altro e non era solo quell’arma a fare la differenza.
Lui afferrò la canna della colt e se l’appoggiò sul petto.
«Spara Lisbon!».




  
48 Ore, Prima. 



48, il numero delle ore che Lisbon era scomparsa mentre effettuavano irruzione in una casa apparentemente abbandonata, alla ricerca di un possibile sospettato.
Indagavano sul caso del chirurgo da almeno un mese.
Il serial killer debuttò in dicembre, mentre l’aria si era fatta ormai più fresca anche in quel paradiso tropicale della California.
Le piste utili non avevano portato a nulla - se non a qualche sospettato ipotetico - e le vittime continuavano ad incrementare irrimediabilmente, senza poter porre un freno alla strage.
Il chirurgo, così ormai lo avevano ribattezzato i giornalisti, aveva ufficialmente fatto la sua entrée  con l’omicidio di Veronica Parker, una giovane donna caucasica, ritrovata nella propria abitazione, adagiata nuda sul tavolo di cucina.
L’assassino aveva praticato incisioni sul corpo mentre la vittima era ancora in vita - aveva constatato la scientifica - dopodiché aveva suturato le ferite con l’eleganza di un couturier d’alta moda.
Le cicatrici erano lievemente rialzate, mentre ogni eventuale traccia di sangue era stata ripulita dall’epidermide ormai livida del cadavere.
Quando la rinvennero nel suo appartamento di St. Alley Street, proprio dietro la The Old Spaghetti Factory, così deposta su quella superficie lignea, con il disegno delle cicatrici che le decorava le carni ormai esanimi, Veronica Parker sembrava l’elemento protagonista di una raccapricciante composizione artistica.
La prima ipotesi avvallata fu quella del contrabbando illegale di organi, ma lo stesso medico legale rimase attonito nel constatare che dal corpo, rattoppato come quello di una bambola di pezza, non era stato asportato alcunché.
Essendo l’omicidio avvenuto nella giurisdizione di Sacramento, il CBI venne coinvolto nelle indagini pressoché da subito e il caso venne affidato alla squadra del capo Lisbon.
Era gennaio, i giornalisti televisivi impazzivano tra presunti risvolti nel caso del chirurgo e l’imminente arrivo di Juanita.
La perturbazione Juanita, dal nome spagnoleggiante, arrivava dall’Oceano Pacifico e stava portando con sé una massa d’aria gelida che – annunciavano preoccupati i meteorologi - avrebbe causato un’anomala nevicata a partire dalle coste californiane assolate, piacevoli anche nelle giornate invernali, fino all’entroterra.
« Neve a Sacramento? Andiamo è assurdo!»
« Tu che non sei ancora stato sbattuto fuori dal CBI, questo sì che è assurdo, non trovi?» la voce piatta dell’agente Cho – chino sui documenti che stava esaminando - s’intromise velata di cinico sarcasmo.
« E’ un problema di correnti! » tentò di intervenire Van Pelt, cercando di dare un tono scientifico alla conversazione.
« E’ un problema di audience!» la rimbeccò vivacemente Jane, prima di portare il bordo di porcellana alle labbra, piegate in un’espressione dolcemente canzonatoria.
« Pensate che troverò delle catene da neve dal ferramenta?» farfugliò agitato Rigsby, toccandosi nervosamente il capo.
Nessuno riuscì a trattenere un sorriso.
Ma questo era prima, prima che lei sparisse.
Lisbon entrò in ufficio, rompendo l’atmosfera ilare con il precipitoso scalpiccio dei suoi passi.
« Abbiamo una pista!» esordì.
Si scostò i capelli dalla fronte e si posizionò al centro della stanza così da attirare l’attenzione di tutti i presenti.
Jane la osservò, si mordeva il labbro inferiore, faceva vagare gli occhi nella stanza senza mai posarli su qualcosa di preciso e continuava a scacciare la frangia lateralmente con la mano destra, mentre l’altra era adagiata sul fianco.
Era decisamente nervosa, diagnosticò, mandando giù l’ultimo sorso di tè.
« Che succede capo?» Cho si alzò dalla propria postazione e si appoggiò alla scrivania, le braccia conserte, l’espressione compassata.
« Ho appena saputo che anche l’FBI è sulle tracce del chirurgo…a Washinton gli danno la caccia da sei mesi ormai! »
Van Pelt sussultò « Sei mesi? Come mai noi non ne sapevamo niente? ».
« Parliamo dei federali…avranno fatto in modo di contenere la notizia ed evitare la fuoriuscita di informazioni per agire in modo più discreto!» ipotizzò pensieroso Rigsby, ancora realmente focalizzato sulla questione delle catene da neve.
« Quello che conta è che hanno deciso di condividere con noi alcune informazioni.» sentenziò Lisbon con un tono che non ammetteva repliche o eventuali interventi.
Jane la osservò, era da moltissimo che non vedeva la collega così coinvolta in un caso.
Sembrava quasi che il chirurgo fosse il Red John di Lisbon.
Sorrise amaramente del suo pensiero leggero e tristemente sarcastico.
« Abbiamo un indiziato in fuga da Washinton.» riprese la donna « Il potenziale assassino si chiama William Turn».
William Turn.
Jane aprì le porte del suo palazzo della memoria. Se avesse potuto prevedere i risvolti di quella vicenda, avrebbe relegato William Turn nell’appartamento più terrificante della sua mente e ce lo avrebbe lasciato marcire.
Non avrebbe mai dimenticato quel nome.
William Turn era gracile nella foto segnaletica fornita dall’FBI, un trentenne emaciato con una manciata di capelli pagliericci sparsi a caso sulla testa ovale. Nel viso affilato e pallido spuntavano come atolli aguzzi gli zigomi pronunciati, mentre i piccoli occhi di un azzurro slavato s’infossavano nelle cavità oculari.
Aveva le lentiggini e segni rossi sul naso causati dalla montatura degli occhiali.
Sembrava un pallido demone in quell’istantanea.
Aveva la faccia da assassino squilibrato.
Turn non aveva precedenti e non era schedato in alcun archivio legislativo. Era pulito.
Risultava residente a Santa Barbara da soli tre mesi , mentre non c’era alcuna traccia di precedenti recapiti.
William Turn non esisteva a Washington, perché William Turn non esisteva affatto.
« Avrà sicuramente falsificato i passaporti» sospirò Lisbon, non meno tesa di quando era entrata.
« Ma per aver effettuato un viaggio così lungo, braccato dall’FBI oltretutto, deve avere di sicuro qualche conoscenza ai piani alti!» asserì Grace picchiettando le lunghe dita sulla tastiera del pc « Voglio fare alcune ricerche capo».
« Abbiamo bisogno di tutto il materiale che riusciamo a trovare su questo Turn, o chiunque si celi sotto questa identità» concluse Lisbon posando entrambe le mani sui fianchi « Jane» lo chiamò e lo inchiodò con i suoi occhi smeraldini « Tu cosa ne pensi?».
Se avesse veramente potuto esprimere i suoi pensieri presenti avrebbe detto di trovarsi metaforicamente con una pistola alla tempia. Quegli occhi così determinati lo avevano appena spiazzato, per la prima volta, facendogli riscoprire la tenacia di quella piccola donna che per lui, a volte, sembrava indistruttibile.
Lisbon era forte, era coraggiosa e non solo perché aveva una fondina legata in vita con una colt pronta ad essere sfoderata. Lei gli aveva salvato la pellaccia più di una volta.
Lei lo stava salvando da una minaccia invisibile.
Un pericolo che nessun altro riusciva a vedere.
Se stesso.
« Credo che dovremmo fare una visitina a questo Turn…o quantomeno perlustrare la sua…casa? Laboratorio? ………………Tana?» alzò un sopracciglio dorato cercando di smorzare la tensione, cercando di uccidere ogni giovane germoglio sentimentale che cercava di attecchire nel suo arido petto.
I colleghi sospirarono.
« Ma l’avrà già fatto l’FBI» intervenne pacatamente Grace.
« No » le rispose Lisbon « Loro si sono mossi nella propria circoscrizione, quando ha smesso di colpire a Washington lo hanno perso di vista e solo da pochi giorni hanno designato questo Turn come possibile indiziato» si guardò attorno agitata «Mi procuro immediatamente un mandato per una perlustrazione alla residenza di Santa Barbara» si avviò all’uscita, indugiando con lo sguardo sul consulente prima di lasciare l’ufficio «chissà che non fai funzionare i tuoi super poteri da sensitivo là dentro!».
Jane sorrise e la stessa espressione si riflesse per un breve momento sul viso tirato di Lisbon.  

Juanita era ormai vicina, si sentiva nell’aria che da tiepida si era fatta improvvisamente pungente, dalla brina mattutina e dal sottile strato ghiacciato formatosi sulle pozzanghere che costellavano il vialetto della residenza di Turn.
Il grande fuoristrada nero dai vetri oscurati divorò la terra polverosa sotto gli pneumatici e si fermò presso la staccionata che delimitava la proprietà. Il recinto di assi di legno, verniciate di bianco e scolorite in più punti, racchiudeva pochi metri quadrati di prato avvizzito. L’erba rada e sofferente del cortiletto era tagliata a metà da un viottolo delimitato da simmetriche file di ciottoli tondeggianti.
La cura nella disposizione delle pietre, reciprocamente speculari sui due lati, stonava con la trascuratezza di quello che doveva essere un rigoglioso giardino, notò Jane scendendo dalla vettura.
Lisbon rimase ancora qualche secondo sul veicolo, dando a Cho disposizione di attenderli lì fuori fino a nuovo ordine.
« Se ci mettiamo troppo, chiama i rinforzi!» gli intimò, sperando tacitamente che quella situazione non si realizzasse.
La casa si sviluppava su un unico piano, il tetto di tegole ammuffite era spiovente e percorso perimetralmente da una grondaia arrugginita, in perfetto accordo col colore ramato dell’intonaco  scrostato.
La donna e il consulente giunsero al portico, fuori dalla casa nessun segno del proprietario.
Nessun oggetto che rivelasse la presenza di qualcuno che vi abitasse.
Suonarono ripetutamente il campanello e rimasero ad attendere senza successo sulla soglia.
Lisbon estrasse la pistola dalla fondina e la impugnò con entrambe le mani, portandola alla destra del suo viso, poi si voltò verso Jane e con la testa gli fece cenno di farsi da parte.
« Facciamo irruzione?» domandò sussultando l’uomo.
Ma la risposta che ricevette fu il piede di Lisbon che si abbatteva contro la porta, vincendo la resistenza della serratura.
« Facciamo irruzione.» si fece eco da solo, alzando le spalle rassegnato.
Si introdussero nel corridoio lungo e stretto, Lisbon davanti, le braccia protese a puntare la pistola contro eventuali attacchi e Jane alle sue spalle.
La casa era immersa nel silenzio e nella semioscurità.
Incontrarono solo due porte chiuse lungo il corridoio che si apriva in un grande salone.
Qualche raggio di luce filtrava timidamente dalle finestre velate da tende infeltrite, mentre alcune persiane erano state inchiodate dall’esterno.
Procedevano cautamente, percependo le sagome dei mobili e lo spesso strato di polvere dalla quale erano ricoperti.
« Non credo che Turn vivesse qui» mormorò l’agente.
Il silenzio di Jane la fece rabbrividire.
Si voltò di scatto, la pistola tremava nelle sue mani.
Jane era sparito.
« Jane» lasciò esplodere la sua voce e iniziò a correre in direzione contraria rispetto a quella in cui stavano procedendo, mentre i suoi passi risuonavano rumorosamente nella casa «Jane».
Quasi giunta al corridoio urtò un mobile e cadde a terra imprecando dal dolore.
Il ginocchio le doleva terribilmente.
A  terra, nel buio, respirando la polvere che velava anche il pavimento, per un attimo fu colta dal panico.
Costrinse i suoi polmoni a riempirsi d’aria e si issò facendo forza sulle braccia.
La gamba sinistra era lievemente contusa, ma non c’era sanguinamento, constatò tastando l’area interessata.
Il suo respiro, quasi asmatico, era fuori controllo.
Tremante, zoppicò in prossimità dell’andito  «Jane» gracchiò per l’ultima volta con voce ansante.
« Che c’è?»
Al suono di quella voce lei si arrestò su posto.
La testa del consulente fece capolino da una delle porte apparentemente chiuse a chiave « Stavo perlustrando!» disse mostrandole la forcina con cui aveva scassinato la serratura.
Abbozzò uno dei suoi sorrisi, pur essendo conscio del turbamento che aveva appena provocato nella donna.
Doveva stare attento con lei.
Doveva andarci più piano.
Forse stava iniziando ad esagerare, pensando che lei potesse reggere qualsiasi cosa, che fosse indistruttibile.
Ma forse era solo che voleva elegantemente ignorare quell’apprensione che lei provava nei suoi confronti.
Si riservava ancora il privilegio di definirla apprensione.
« Non farlo mai più» riuscì a minacciarlo lei, mentre la sua voce era smorzata dal fiatone e dall’adrenalina scatenata dalla paura.
« Ho trovato qualcosa di interessante…ma che hai fatto alla gamba?» le domandò notando l’andatura singhiozzante della collega.
« Ho sbattuto!» tagliò corto lei.
« Che significa “Ho sbattuto?”» le posò dolcemente  le mani sulle spalle, come a volerla trattenere.
Ma la lasciò subito andare.
Lui non doveva, non poteva permettersi certe debolezze.
Si era ripromesso che l’avrebbe aiutata sempre, che l’avrebbe salvata sempre.
Ma in realtà era lei che lo faceva.
Lo teneva inchiodato alla realtà.
Lui palloncino pieno d’elio, lei la mano che lo teneva stretto.
Lui sarebbe volato via, avrebbe sorvolato i confini della vita per dedicarsi alla sua vendetta.
Lei era la sua zavorra, il peso della sua coscienza.
La sua ancora di salvezza.
Ma niente più.
Le voltò le spalle, lasciandosi dietro verità scomode, difficili da accettare.
« Ho trovato una botola» disse Jane chinandosi ad afferrare l’anello di metallo incastonato nel pavimento.
Tirò e il chiusino si aprì.
Una scala di ferro scendeva per un paio di metri in una stanza immersa nelle luci blu di una doppia fila di neon.
« Andiamo» disse Lisbon impugnando la pistola con la destra e puntellandosi al muro con la spalla sinistra per avere più stabilità sulle gambe incerte.
Lui la seguì, confortato dall’ampiezza di quelle piccole forti spalle, che riuscivano a sorreggere anche le sue debolezze.
Rimasero ammutoliti quando giunsero infondo alla rampa.
Nel seminterrato di quella casa era stato allestito un vero e proprio laboratorio medico, con tanto di provette, ampolle contenenti densi liquidi colorati e lettino metallico.
L’aspetto asettico trasmesso dall’attrezzatura cozzava con il nudo cemento delle pareti e  con la sporcizia del pavimento.
Nel lavandino di acciaio erano abbandonati un paio di guanti ed un bisturi insanguinati.
« Dobbiamo avvertire il CBI» mormorò Lisbon lasciando vagare gli occhi sbarrati in quell’incredibile fabbrica di morte.
Non che non avesse mai visto niente di simile, ma era ancora scossa dalla sua corsa nel buio.
« Sì, direi che è l’ora di chiamare i rinforzi» aggiunse Jane.
Risalirono la scala e si immisero nel corridoio, ma proprio prima di giungere alla soglia, chiusa, Lisbon udì un rumore ovattato alle sue spalle.
Si voltò di scatto.
Jane era riverso a terra privo di conoscenza, una sagoma indefinita torreggiava su di lui e prima che potesse sparargli le era già addosso.
Qualcosa si abbatté violentemente sulla sua testa.
L’ultima cosa che vide fu un viso allampanato con due piccoli occhi blu.

Quando Jane riprese conoscenza si trovava in un letto d’ospedale, l’odore pungente dei medicinali a stuzzicargli il naso e il fastidioso bip del suo cuore a scandire il tempo.
« Sveglia Jane » il viso sorridente di Lisbon sembrava galleggiare in un bagliore solare abbacinante.
« Ma io sono sveglio» disse con voce impastata.
« No, svegliati!» disse la voce ridente sempre più lontana, mentre il viso sbiadiva.
Aprì gli occhi di scatto.
L’odore pungente era ancora lì. E così anche il bip dei suoi battiti.
Ma lei no.
Non ricordava nulla. Il vuoto totale.
Avvisato del suo risveglio dall’infermiera di turno, fu Rigsby il primo ad entrare nella stanza.
Aveva il viso tirato, occhiaie scure e l’espressione di chi deve dire qualcosa di scomodo.
« Avanti, spara Rigsby, che succede?»
« Come ti senti?» lo dribblò impacciatamente.
« Come se avessi preso una botta in testa» disse tastandosi il capo ricciuto alla ricerca del bernoccolo « Eccoti qua!» sorrise carezzando l’escrescenza.
« Già…» l’agente abbassò lo sguardo sul pavimento candido della stanza.
« Ma che diavolo è successo?» domandò e come se la sua mente avesse obbedito a quella richiesta, i ricordi piombarono nella sua testa come un pianoforte in caduta libera « Dov’è Lisbon?».
Rigsby non rispose e continuò a guardare in basso.
« Che le è successo?»
« Jane» fece una pausa, deglutendo a fatica « Non riusciamo a trovarla….da 48 ore!».
Il bip elettronico cessò per un lungo istante.





Ispirazione notturna…=) non ero sicura di questa storia...per niente...ma Esperimentiamo...il mio ritorno a Fringe m sta traviando, aspettatevi di tutto XD
Una breve storia…teoricamente di soli due capitoli…per variare un po’ dalle solite One-shot =)
Imprevedibili risvolti….senza abbandonare la mia usuale vena tragica XD
Spero di avervi incuriosito =)
A presto
BB
  
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