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Autore: DuediCuori    31/01/2012    2 recensioni
Feliciano si era presentato a lui un bel giorno, a casa - aveva portato qualcosa come omaggio, roba da mangiare e una bella bottiglia di vino giusto per rispettare certe tradizioni. Era entrato nelle sue stanze private, perché "voleva parlare con lui di una cosa super importante" e come al solito aveva dimenticato di chiedere il permesso al proprietario dell'appartamento e aveva fatto tutto di testa sua. Arthur, da canto suo, aveva una tale coda di paglia da non riuscire a frenarlo in alcun modo, anche se lo seguiva come un'ombra e gli teneva gli occhi incollati addosso. Gli scappò anche un'imprecazione quando Feliciano rispose per la quinta volta la medesima parola - insomma, non rispose - alle sue domande insistenti, poi riprese un certo contegno e lo fece sedere sul divano del salotto.
E decise di affrontarlo da vero uomo d'onore.
Incrociò le braccia al petto, lo guardò serio in volto e proferì parola.
-Cosa vuoi dirmi, Vargas?
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'UkIta - In my fantasy, fabolous world'
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*Autore: Rota
*Titolo: Ricatto morale
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas
*Prompt/Sfida COW-T: Ricatto/Seconda settimana
*Genere: Sentimentale, Generale
*Avvertimenti: Shonen ai, What if...?, One shot
*Rating: Giallo
*Dedica: Alla mia personale Prof (L)
*Note autore: UkIta, di nuovo (L) Ci erano mancati, ci erano mancati parecchio questi due ù.ù
Fa sempre parte della nostra serie UkIta, perché la storia continua e non si fermerà mai più *parte coro angelico*
Niente, questo è quanto di più lungo mi sia venuto in questa folle raccolta XD Spero che possiate provare un poco di solidarietà per il povero Arthur, ne ha davvero bisogno.
Buona lettura (L)



Arthur, tutto sommato, aveva familiarità col pettegolezzo - abituato agli scandali dei secoli, solito a sfruttare notizie sulla vita privata delle persone e davvero abile a godere delle altrui faccende.
Sapeva gestire le curiosità moleste di chiunque, specialmente di quelli troppo insistenti per ricordare cosa fosse il pudore e la privacy della gente. Lui dopotutto era un maestro in questo, checché ne potessero dire le altre Nazioni a riguardo: Arthur era un giornalista nato, uno di quelli che non solo rendeva giustizia alle notizie ma riusciva a ricavarne persino dal nulla, da uno sguardo troppo recidivo, da una parola detta per caso, da un appuntamento e da un'eventualità non voluta.
Per cui, a parte l'irritazione iniziale, Arthur si impose di non dimostrare più rabbia del giusto - anche perché, oltre che un disonore alla sua persona, quello sarebbe valso la vittoria di Francis contro ogni suo spirito e orgoglio. Cominciò a porre l'attenzione su qualcos'altro, a far sì che sulle labbra della gente non ci fossero lui e quello stupido italiano bonaccione ma magari il nome della nuova amante di quel simpatico vice ministro così amante delle donne da non sapersi proprio trattenere o anche quel conduttore televisivo che aveva fatto fare una figuraccia immane a uno degli ospiti più illustri del suo programma politico. Insomma, cose a cui lui era molto avvezzo e solito. Non fu una cosa difficile, almeno non per lui, tanto che riuscì nel suo intento in poco tempo. Solo un'ultima battuta lo sorprese durante uno dei soliti meeting mensili, una roba di poco conto che venne soppiantata subito da altre chiacchiere e da altri interessi - Prussia aiutò con un aneddoto riguardo un certo biologo con problemi per rapporti difficili con anatre che lo credevano loro madre, racconto che fece davvero poco piacere e molto imbarazzare il fratello in realtà - ma per il resto non sentì nulla di così importante da rimanere all'erta.
Come sempre aveva superato brillantemente la prova e poteva benissimo essere orgoglioso di sé stesso.
Purtroppo però non aveva fatto i conti con chi, incredibilmente, non teneva troppo conto di alcuni scandali e si interessava invece moltissimo di questioni private che riguardavano le persone con cui condivideva il letto. Era una cosa che aveva preso dal suo fratellone spirituale, cosa che lo rendeva terribilmente dolce e temibile allo stesso tempo, perché niente è più temibile della purezza per chi conosce la profondità della malizia.
Arthur non sapeva come comportarsi di fronte a Feliciano, almeno non in maniera razionale e logica. Certo non poteva ubriacarsi ogni volta che lo vedeva o lo affrontava a quattrocchi, ma se quello fosse stato possibile mantenendo allo stesso tempo una buona dose di dignità non ci avrebbe pensato davvero due volte, piuttosto che dover ricordare per forza il suo sorriso innocente e quel suo tono della voce assurdamente felice e acuto.
Feliciano si era presentato a lui un bel giorno, a casa - aveva portato qualcosa come omaggio, roba da mangiare e una bella bottiglia di vino giusto per rispettare certe tradizioni. Era entrato nelle sue stanze private, perché "voleva parlare con lui di una cosa super importante" e come al solito aveva dimenticato di chiedere il permesso al proprietario dell'appartamento e aveva fatto tutto di testa sua. Arthur, da canto suo, aveva una tale coda di paglia da non riuscire a frenarlo in alcun modo, anche se lo seguiva come un'ombra e gli teneva gli occhi incollati addosso. Gli scappò anche un'imprecazione quando Feliciano rispose per la quinta volta la medesima parola - insomma, non rispose - alle sue domande insistenti, poi riprese un certo contegno e lo fece sedere sul divano del salotto.
E decise di affrontarlo da vero uomo d'onore.
Incrociò le braccia al petto, lo guardò serio in volto e proferì parola.
-Cosa vuoi dirmi, Vargas?-
Feliciano, che si stava ancora guardando attorno per riconoscere elementi di quella casa che già conosceva, gli rivolse il sorriso più grande del suo repertorio e rispose con sincerità e decisione.
-Tu mi piaci, Kirkland!-
Aveva usato anche lui il cognome per imitazione, non tanto perché si sentiva in dovere di mantenere le distanze appropriate - insomma, in realtà pensava di aver superato quel limite già da tempo e gli sarebbe sembrato alquanto stupido tornare indietro a quella maniera - ma sembrava che l'effetto delle sue parole fosse stato tanto devastante come se avesse detto qualche bestemmia volgare o, in alternativa, qualcosa di molto sgarbato.
Arthur lo fissò con tanto d'occhi prima di intravedere in quanto aveva sentito una scappatoia decisamente poco onorevole.
-Ciò non può che far piacere a te. Cosa c'entro io con questo?-
Anche Feliciano strabuzzò gli occhi, perché gli sembrava stupido dover ripetere una cosa appena detta, quasi stesse dando dell'imbecille al proprio interlocutore. Per questo si fece più dimesso e titubante, guardando in basso mentre si torturava le mani.
-Beh, sei tu che mi piace...-
Arthur fu ancora duro, irremovibile, senza pietà. Se avesse continuato così l'avrebbe sicuramente spuntata - e allora la salvezza lo avrebbe liberato per sempre di quella molesta e assurda presenza, una volta per tutte.
-Ciò dovrebbe significare qualcosa per me?-
Feliciano, tuttavia, recuperò un po' della sua baldanza. Non era difficile scoraggiarlo, in realtà: pavido lo era e neppure troppo coerente con sé stesso, però possedeva una tale sicurezza emotiva da farlo vacillare tanto in guerra quanto pochissimo in amore.
Quindi Feliciano sorrise ancora e ancora, mentre gli si rivolgeva.
-Mi piacerebbe uscire con te di nuovo!-
Arthur vide la sicurezza nei suoi occhi e ne fu quasi colpito, un poco spaventato - intimorito. La sua strategia d'attacco iniziava a vacillare, anche perché secondo i suoi calcoli se non riusciva a concludere subito il discorso l'unico a essere sconfitto sarebbe stato proprio lui.
Divenne un poco più cattivo, giusto per rimarcare le sue intenzioni.
-Non so in quali fantasie tu abbia vissuto fino ad adesso ma noi non siamo mai usciti assieme, Vargas.-
E Vargas lo sorprese, ancora, con la sua sincerità disarmante.
-Allora mi piacerebbe fare ancora quelle cose con te!-
Pausa, perché Arthur non aveva cattiverie con cui replicare, almeno non in quel momento, e si rifiutava di dare un senso e una definizione a "quelle cose".
-A te non piacerebbe?-
-Cosa te lo fa credere?-
-Il fatto che, per quanto ti abbia irritato la cosa, tu non l'abbia mai smentita...-
Amore. Sesso. Più il secondo che il primo.
Arthur aveva provato quale fosse la sensazione impagabile di beatitudine dopo un rapporto disinteressato e libero da vincoli e costrizioni, un rapporto assolutamente non premeditato e per questo innocente e puro, un rapporto dove la forza non gli era bastata né servita per la dominazione più abietta, un rapporto dove confusione e stabilità si mescolavano senza alcuna logica razionale.
Non pensava che potesse essere paragonabile all'amore, quello, forse solo perché di amore vero non ne aveva mai provato o sicuramente non a quella maniera tanto innocente. Però sapeva che gli era piaciuto, enormemente.
Perché sentire che, nonostante non fosse spaventato da lui, Feliciano aveva provato desiderio per il suo corpo e piacere per le sue carezze e i suoi baci, lo aveva gratificato e appagato come poche altre cose. E Feliciano l'aveva perfettamente capito, lui così stupido in moltissime cose ma così acuto e sensibile in altre - aveva sondato il suo animo senza il minimo sforzo e l'aveva compreso, intimamente, senza fare alcuna domanda. Arthur non sapeva se essere spaventato da quella capacità mostruosa o abbandonarvisi completamente e lasciarsi cullare dalla sua profonda dolcezza.
L'italiano, non ricevendo alcuna risposta e vedendo una rigidità fisica preoccupante nell'altro, tentò di attirare la sua attenzione.
-Allora?-
Arthur sbatté le palpebre e lo guardò, come in un risveglio improvviso.
Sì, doveva rispondere. Sì, poteva ancora farcela.
Recuperò la sua dignità con il semplice gesto di sistemarsi la cravatta al collo - non si rese conto che invece, così, testimoniava solamente il suo disagio fortissimo.
-Vargas, tu ti stai prendendo un po' troppe libertà... Io non sono certo una di quelle persone...-
-Quali persone?-
-Quelle che assecondano senza pensare le proprie pulsioni.-
-E allora di che tipo di persona sei?-
-Sono una persona che riflette e ragiona su tutto ciò che fa.-
-Quindi tu hai fatto quelle cose con me perché volevi farle?-
Ancora una volta Feliciano aveva centrato il punto - o forse stava svelando solamente una capacità oratoria che Arthur non gli aveva mai attribuito.
Perché era difficile credere che fossero arrivati proprio a quel punto per puro caso: Feliciano aveva manovrato il discorso dalla sua partenza, senza sbagliare una sola battuta e gestendo abilmente forze e pesi. Insomma, si era rivelato un abilissimo stratega, capace persino di mettere nel sacco una persona attenta e accorta come Arthur Kirkland.
Perché a quel punto l'inglese non poteva certo tirarsi indietro, ne andava del suo orgoglio e della sua coerenza. Ma d'altra parte cedere voleva dire fare il gioco dell'italiano, ovvero ammettere quanto provato e sentito quella fatidica notte che li aveva visti amanti.
Tra i due mali, Arthur decise che se doveva morire, almeno l'avrebbe fatto con dignità e onore, quindi tanto valeva scavarsi la fossa da solo e usare quanta più energia possibile.
Si fece dimesso, quasi piccolo, e abbassò il capo mentre Feliciano seguitava a fargli domande.
-Sì...-
-Quindi ti piace farle con me?-
-Sì...-
-Quindi ti piacerebbe rifarle?-
-Sì...-
-Sono molto felice di sentirtelo dire, perché anche a me piacerebbe rifarle!-
Quando a quella esclamazione Arthur alzò finalmente il viso, lo vide tanto felice da risultarne assai infastidito.
Che avesse pietà degli sconfitti, come si conveniva a buon soldato, dannazione!
Fece un ghigno strano, giusto per condensare la voglia di ucciderlo e la voglia di sprofondare in un buco nero in un solo gesto.
-Cosa vuoi, Vargas?-
L'altro battè le mani - era evidente che il discorso fosse arrivato proprio alla sua parte preferita e lui si lasciò prendere dall'eccitazione del momento. Gli brillavano quasi gli occhi, da tanto era contento, ma la sua voce fu assolutamente seria e pragmatica, tanto che cominciò a elencare alzando una a una le dita della mano destra.
-Vorrei che tu fossi più gentile con me. E che non puzzassi di alcool. E che vestissi di scuro, anche. Oh, e che non cucinassi per me né prima né dopo, altrimenti rischio d'avvelenarmi. E che mi porti una rosa rossa quando ci vediamo. E che mi porti in un locale bello dove fanno della buona pasta e servono del buon vino.-
Arthur lo fermò bruscamente, perché non capiva dove mai volesse arrivare.
-Cos'è questo elenco, Vargas?-
E l'altro sorrise, beato, ingenuo, innocente, cattivissimo nella sua pura perfidia.
-Le condizioni perché tu mi possa rivedere ancora!-
Arthur era decisamente attonito: non riusciva a capire se Feliciano lo stesse prendendo in giro o se era davvero stupido di suo.
Alzò la voce, perché la confusione che aveva in testa e l'imbarazzo che provava erano troppo forti da sostenere tutti in una sola volta.
-Io possa rivedere te? Ma non volevi anche tu rivedere me?-
Feliciano non si scomodò per nulla, anzi. Lo ammonì con una certa severità e tentò di rimetterlo al suo posto - ovviamente, ci riuscì alla perfezione nonostante tutti i tentativi di ribellione dell'inglese.
-Certo, ma la volta scorsa sei stato troppo rude e non hai fatto niente di tutto questo, quindi questa volta rimedierai.-
-E se io mi rifiutassi?-
-Temo che non sarà possibile vederci ancora. A me piace fare all'amore ma ogni cosa deve essere fatta correttamente.-
Sconfitto, abbattuto, affondato.
Arthur si afflosciò sui cuscini del proprio posto mentre ancora guardava quel sorriso che oramai l'aveva condannato.
Mandarlo al diavolo, buttarlo fuori di casa e far finta che niente fosse accaduto gli si palesò in testa come la scelta più ragionevole, tanto che fu molto vicino dal mettergli le mani addosso e prenderlo di peso per mandarlo via.
Ma la forza del sorriso di lui, la gentilezza delle sue intenzioni, la speranza nelle sue parole furono devastanti sull'anima e sulla coscienza dell'inglese. Moralmente era diventato il suo prigioniero e con tutto quello che stava subendo e avrebbe dovuto subire a causa del suo orgoglio l'unica ancora di salvezza che gli rimaneva era la speranza di poter godere appieno della presenza dell'altro in ogni aspetto della sua vita, sentimentale o sessuale che fosse.
Insomma, era diventato proprio ciò che sempre aveva temuto.
Ebbe un solo ultimo moto di ribellione, perché la sua bella faccia doveva pur valere qualcosa. Ma nessun vigore e nessuna convinzione c'era nel suo tono, tanto che quasi fu ridicolo.
Povero Arthur.
-Questo si chiama ricatto. Lo sai, Vargas?-
Feliciano lo canzonò, arrivando persino a dargli una pacca sul ginocchio - tanto, ormai, poteva fare qualsiasi cosa.
-Ricatto è una brutta parola, io ne userei un'altra! Per esempio patto, promessa, appuntamento come si deve!-
Qualsiasi cosa, anche infierire sul suo cadavere.
   
 
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