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Autore: Hilda Polaris    09/04/2004    1 recensioni
- 2019, ATTO I rimaneggiato e corretto. ATTO II revisionato e aggiunta scena V! -
Il Silenzio dei ghiacci, la maestosità dei monti, l'infinito fulgore dei cieli... Le Alfe, fate del gelo, si riuniscono in una radura tra gli abeti durante un'abbondante nevicata, e iniziano, a turno, a raccontarsi una favola.
What If strutturata come un'opera teatrale per chi ama il mondo di Asgard, vorrebbe sapere di più sul passato, presente e futuro dei protagonisti e, soprattutto, vorrebbe che la storia non fosse finita così.
Grazie in anticipo a chi vorrà leggere e commentare.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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A SILENT OTHER WHERE
 

ATTO II

 

SCENA I

 

La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta. ( CONFUCIO )

 

***

 

Azzurro del cielo, non tradire i miei occhi!

Io, Eis delle Alfe, narrerò questa parte della favola..

 

Sapranno le mie parole descrivere
I colori di un raggio di luce e di gioia?

Odino, assistimi.

Uomo, ascoltami.

(racconta Eis)

 

 

“ Una figuretta saliva trafelata ai piani più alti del palazzo.
Arrivata ad uno degli ultimi piani si fermò, ansante, per qualche secondo, e poi riprese il suo cammino nell’ampio corridoio che le si apriva davanti. Giunta davanti ad una porta che conosceva bene, la aprì senza esitare.

- Sorellina!

Hilda si voltò di scatto verso la porta, sorpresa.

- Freya? Cosa fai ancora qui? Non dovresti essere giù ad accogliere gli ospiti?

- Ne parli come se si trattasse di stranieri, sorella…- obiettò la fanciulla imbronciata, - I nostri cavalieri sono tornati, arrivano oggi a palazzo, e tu sei così calma?

Hilda abbassò per un momento lo sguardo, poi sorrise, continuando a pettinarsi. Freya non poteva sapere del tumulto che le occupava il cuore e che, allo stesso tempo, la riempiva di gioia e di paura. Gioia perché i suoi guerrieri le erano di nuovo accanto, ma anche paura, perché lei non si era ancora completamente liberata dai sensi di colpa riguardanti la sua precedente prigionia, e pertanto temeva un confronto diretto con coloro che più reputava di aver danneggiato.

L’incubo della notte appena trascorsa era un esplicito sintomo di quello che provava.

Per lungo tempo aveva creduto che anche la sua fragile ed amata sorellina minore le portasse rancore e per questo motivo cercava sempre di nascondere le sue paure persino a lei. Ma, con l’andare dei giorni, Hilda aveva infine capito che i suoi timori erano superflui, dal momento che aveva scorto nei grandi occhi di giada di Freya la solita adorazione nei suoi confronti. Forse la fanciulla era così felice, dal giorno in cui Odino aveva riportato alla vita i Guerrieri Divini, che ogni possibile passato dubbio circa la sorella era stato dimenticato… Oppure era semplicemente troppo inconsapevole, nella sua giovanissima età, per comprendere a fondo.
Guardando la propria immagine riflessa nello specchio Hilda ebbe un moto di subitaneo rimprovero verso se stessa: passava ancora troppo tempo ad arrovellarsi nei suoi dubbi e nelle sue domande retoriche… Quando avrebbe smesso?
“Continuando così rovinerai anche questi momenti di gioia, stupida!” pensò, rivolgendosi al proprio riflesso, “Dopo l’incontro di oggi niente più paure… O finirai per complicarti ulteriormente la vita da sola, anche quando non intervengono gli eventi esterni.”. E dopo un ultimo sguardo di rimprovero alla propria immagine, si alzò e si apprestò a seguire sua sorella.

La sala del trono si andava riempiendo di vita. Interamente costruita nel granito grigio/bluastro che componeva tutto il resto del castello, aveva al suo centro una specie di pozzo da cui scaturiva prodigiosamente una misteriosa fiamma azzurra. Le dicerie affermavano che si trattava del fuoco divino degli Asi, posto da Odino a protezione del Palazzo e a guida degli eredi dei Polaris. Non serviva legna o altro combustibile per alimentarne la luce e la vivacità; e, in più, lo strano fuoco non bruciava né emetteva fumo ma produceva soltanto un calore appena percettibile.

Era evidente che ci si trovasse di fronte ad un evento sovrannaturale, o comunque di natura non umana.

Il trono, sito al centro della parete di fronte all’ingresso sulla cima di una breve scalinata, era un alto seggio in pietra coperto da un drappo rosso e affiancato da due grandi sculture di grifoni rampanti, con una delle zampe anteriori poggiata nei pressi dei braccioli quasi a sottolineare la potenza di chi vi sedeva e la sottomissione ad esso delle creature più disparate. Forse tale immagine di forza avrebbe potuto non rappresentare convenientemente la dinastia del Polaris, fin dall’inizio votata alla pace; ma non bisogna dimenticare che, prima dei Polaris, Asgard aveva conosciuto una serie di famiglie reggenti dedicatesi quasi interamente ad affermare la propria presenza ed autorità a mezzo di guerre, e che, quindi, l’abbondanza di immagini orrorifiche sparse per la città era dovuta principalmente al mecenatismo di queste stirpi regali, così come la statuaria monumentale della sala del trono.

Asgard non era una città fuori dal tempo, anche se numerose coincidenze ed apparenze potevano dar modo, al visitatore straniero, di ritenerla tale: arretrata culturalmente e tecnologicamente.

Il passaggio dei secoli l’aveva sfiorata solo in parte, certo, ma la tecnologia vi era penetrata, seppur con fatica. I sovrani che si erano avvicendati nel corso del tempo, e soprattutto i soprattutto coloro che visto il dispiegarsi di secoli come il XIX e il XX, in cui i cambiamenti erano stati rapidissimi e fuorvianti, si erano adoperati perché gli abitanti avessero quante più comodità possibili. Rispetto allo sviluppo galoppante in altri paesi, ad Asgard c’erano voluti decenni su decenni per garantire ad ogni casa acqua corrente, elettricità e riscaldamento, per causa anche dell’impervia posizione geografica della città, arroccata su una montagna, preceduta da altre catene montuose, e a perpendicolo su un fiordo. Anche il clima proibitivo costituiva un serio problema: chi, non abituato a tutto questo, poteva aver voglia di impiantare qualcosa in quella terra dimenticata nel nord della Scandinavia?
Nonostante gli innegabili vincoli con la civiltà moderna, Asgard appariva, all’esterno, una città pressoché medievale. Vi erano automobili, ma erano usate pochissimo per la difficoltà delle strade e per il ghiaccio, così gli abitanti preferivano spostarsi nelle carrozze; inoltre, i loro abiti sembravano indietro di qualche secolo.
Una città povera?
No, assolutamente: la maggior parte delle abitazioni era antica, ma perfettamente agibile; nelle parti più impervie dell’altura su cui risiedeva la città si avvicendavano alcuni palazzi nobiliari e infine il castello, un capolavoro d’architettura scandinava ricostruito su resti di una precedente fortezza vichinga, che qualche architetto europeo aveva deciso di regalare secoli addietro al capriccio di qualche sovrano medievale ansioso di non essere da meno dei suoi illustri contemporanei dalle millenarie dinastie e auguste dimore. Austero ed imponente, durante la notte diventava quasi indistinguibile dal blu scuro del cielo per via della strana pietra bluastra di cui era fatto. La statua di Odino che si vedeva svettare a poca distanza dal castello era l’equivalente nordico di effigi colossali come la più conosciuta un tempo svettante nel porto di Rodi, in Grecia, e si diceva che fosse stata edificata dagli dei, per via delle improponibili e mastodontiche dimensioni. Per chi arrivava da lontano sembrava che il dio stesse arroccato sul punto più estremo del monte dov’era situata Asgard, brandendo Balmung per custodire e proteggere i suoi territori ghiacciati, circondato dalle vette bianchissime ed appuntite dei suoi monti. Si diceva anche che i meravigliosi arabeschi disegnati in cielo dalle aurore polari fossero gli iridati bagliori di Balmung, quando Odino, al di là del cielo, si lanciava nella lotta seguito da centinaia di Walkirie.
Nonostante il suo aspetto freddo e cupo potesse scoraggiare gli stranieri, Asgard sapeva innamorare di sé chi vi risiedeva: ammantata di algide e candide nevi e di trasparenti iceberg d’inverno, durante la fresca e breve stagione primaverile ed estiva si trasformava in un tripudio di campi verdeggianti e cieli cristallini. I suoi abitanti ne erano ferventi ammiratori, e, sebbene fossero spesso sottoposti a condizioni climatiche assai dure, non avrebbero cambiato la loro città con nessun’altra al mondo…”

 

***

 

- Eis…

 

- Sì?

 

- Apprezzo il tuo modo di magnificare Asgard,

rende onore agli Dei che l’hanno innalzata nella notte dei tempi…

Ma non vorresti ritornare alla tua narrazione?

 

- Seelye, è mio dovere informare i mortali sugli splendori che Asgard nasconde sotto la propria coltre d’infido ghiaccio!

Essi sono troppo portati a credere alle apparenze,
e avrebbero finito per ritenere Asgard una città fredda, vuota e primitiva,
se si fossero lasciati trasportare dalla loro abitudine.

- La limitatezza dell’uomo mi è nota, sorella mia, e intuisco anche facilmente che,
se tu non avessi illustrato e spiegato quanto di bello Asgard celi,
essi non si sarebbero preoccupati di indagare
per verificare se loro eventuali conclusioni fossero o meno discutibili.

Ma è tempo di proseguire, non credi?

Lascia una possibilità agli esseri umani: hai suscitato la loro curiosità,
e ora fa’ che sia loro cura reperire gli altri misteri di Asgard,
intuendoli dal tuo racconto o scoprendoli da soli.

- Certo, Seelye: questo è un altro degli insegnamenti che i mortali potrebbero,
se lo vogliono, ricavare dalla nostra favola.
Un accenno che funga per loro da guida…

Gli oracoli non parlano che per metafore.

 

***

 

“L’enorme scalinata che accolse i visitatori al loro ingresso sorprese maggiormente uno di loro che non aveva mai messo piede in dimore di quel genere per quasi tutta la sua vita e che pensava di non ammirarne mai.

- É incredibile! Non immaginavo tanta magnificenza. -

Farfugliò, confuso, volgendo lo sguardo in tutte le direzioni non appena lui e suo fratello furono introdotti nell’atrio del castello. Ogni minimo dettaglio di quel maniero lo stupiva e affascinava al tempo stesso, dal colore bluastro dei muri all'eco che dai suoi passi si propagava nelle sale. E poi era tutto così grande.
Non aveva mai conosciuto tutti quegli agi, e il ricordarlo gli procurava un dolore interno sordo e persistente, specie se ne riportava alla memoria i motivi. Si fermò per un istante, fingendo di guardare un quadro. Suo fratello si accorse immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Erano stati separati per tanti anni, ma il feeling interiore ed inspiegabile che lega le menti e le vite di due gemelli faceva sentire la sua presenza nonostante essi fossero tanto simili fisicamente quanto differenti nell’animo.

- Cosa succede, Bud?

Gli fu chiesto dietro di lui.
Bud si voltò, e si specchiò nell’immagine dell’altro se stesso che aveva odiato e amato, poi addolcì il proprio sguardo, passandogli un braccio attorno alla spalla.

- Non è nulla di particolare…- rispose sorridendo – vecchie memorie e vecchi dolori. Sai benissimo a cosa mi riferisco; e non voglio parlarne.

- Bud, ti prego…

Lui si portò l’indice sulle labbra, per indicargli di tacere.

- Tu sei stato abituato a vivere nel lusso fin dall’infanzia. Io no, e mi sembra naturale stupirmi davanti a cose che non ho mai visto e di cui avrei dovuto invece godere. E credo anche di avere ogni diritto di innervosirmi pensando ai motivi… Ti pare?

- Non arrabbiarti, sai benissimo che sono sempre stato dalla tua parte.

- Non ne dubito. Da una comoda poltrona di velluto e davanti ad un caminetto acceso e ad un bicchiere del miglior idromele deve essere stato sfiancante. Ma non hai mai avuto il coraggio di fare o dire qualsiasi cosa che potesse cambiare la situazione, mi sembra.

Syd si passò nervosamente la mano sui capelli. Era vero.

Da quando aveva saputo dell’esistenza di suo fratello e della vita di stenti che era stato costretto a condurre per via della vigliaccheria dei suoi genitori, si era sentito impotente, vile e colpevole. Lui era stato il prescelto. Perché lui, poi? Era più basso, e meno forte.
Perché non Bud, che egli riteneva molto spesso migliore di sé?
Sospirò, poi rispose, lievemente accigliato:

- Non c’è bisogno che insisti nel ricordarmelo, lo so bene. Odino solo sa quanto mi sia sentito indegno del mio nome e del mio ruolo da quando sei tornato!

- …Syd, andiamo. Io non intendevo questo. Sei un cittadino e un figlio esemplare: mite ed obbediente. Non hai voluto ribellarti alle leggi o all’autorità di Xander, tutto qui. Non ho più le stesse idee di prima riguardo a te. Non ti addosso più colpe che non ti appartengono.

I due continuarono a percorrere i corridoi del palazzo, seguendo Hengi. Per un po’ rimasero in silenzio, poi Syd si rivolse nuovamente al fratello:

- Xander è tuo padre, fratello; perché lo chiami ancora per nome?

- NO! – Urlò improvvisamente Bud, fermandosi, - Xander è tuo padre, Syd. Mi ha rifiutato quando ero venuto alla luce da pochi minuti. Non lo considero mio padre, né l’ho ancora perdonato per quello che mi ha fatto. Non aspettarti che io cambi la mia opinione in proposito.

- E allora perché sei venuto a vivere con noi?

Syd conosceva le passate difficoltà del fratello e la sua conseguente e naturale diffidenza nei confronti della sua famiglia d’origine; della loro famiglia. Era questo il solco che ancora separava le loro due anime, anche se i maggiori problemi di interazione erano stati risolti durante la battaglia contro i Bronze Saints: infatti, prima di allora, Bud lo aveva odiato per molto tempo. Ma, pur comprendendo le sue pene, non riusciva a spiegarsi certi suoi atteggiamenti.
Rivolgendogli quella domanda il suo sguardo era stato di sincero stupore.

Bud ribatté, sorridendo e cambiando nuovamente tono.

- Che domanda inutile! Andiamo, Syd… Io non sono stupido né privo di un qualsiasi senso d’affetto. Ho accettato la proposta di condividere la dimora di Xander e sua moglie anzitutto per poter stare con te.

Syd sorrise.

- Certo. E… poi?

- …E poi… Ho deciso di concedere una possibilità alla tua famiglia di spiegare le loro azioni passate, e una possibilità a me stesso di provare a perdonarle. Non ti assicuro che questo avverrà, comunque, eh?

- La decisione sarà tua.

- E di nessun altro. Per lo meno, il vostro pregiato idromele mi aiuterà a chiarirmi le idee. -
Sogghignò Bud, mentre il fratello sembrò non apprezzare la battuta, ma come succedeva di solito preferì non replicare, dando a lui la sgradevole impressione di lanciare una secchiata d'acqua contro un muro.
Il domestico che li aveva accompagnati si fermò davanti ad una porta in legno finemente scolpita con figure mitologiche e sottili decorazioni curvilinee in oro.

- I signori desiderano essere annunciati?

Chiese, apprestandosi ad aprire la porta, ma la mano di Syd bloccò la sua.

- Lascia stare i formalismi, Hengi, conosco la strada… E poi non credo che la regina desideri un ricevimento ufficiale in pompa magna; non ha mai mostrato propensione per questo genere di cose.

- Come desiderate, signore.

Quando l'instancabile Hengi si fu congedato, Syd aprì risolutamente il massiccio portone ed entrò nella sala del trono, seguito a poca distanza da suo fratello.
Tutti i suoi amici! Tutti di nuovo vivi e sorridenti! Per un attimo credette di trovarsi in un sogno.
Bud, che non conosceva nessuno di loro e non era abituato a stare con molta gente, sembrava lievemente a disagio, ma il fratello lo invitò a farsi coraggio con un’amichevole pacca sulla spalla.

- É quasi irreale… - soggiunse poco dopo, procedendo all’interno della sala e guardandosi attorno, - Mi sembra di essere ritornato indietro nel tempo.

- Rendi grazie ad Odino per tutto questo, Syd!

Una nota voce femminile lo fece immediatamente voltare.
Hilda, la regina, aveva appena fatto ingresso nella sala attraverso una porta laterale insieme a Freya. Il suo squillante tono di voce riscosse molte altre persone tra i presenti, e presto un mormorio d’ approvazione, nel ritrovare in lei la donna d’un tempo, corse per tutta la sala.
Syd, sorridendo, s’inchinò e le depose un lieve bacio sul dorso della mano. Quello era tutto ciò che l’etichetta consentiva ad un guerriero verso la propria sovrana, ma era talmente intensa la gioia che egli provava nel rivederla che, se avesse potuto, l’avrebbe stretta a sé.
Quasi subito anche gli altri le si avvicinarono; non c’era ombra di rancore o rimprovero nei loro sguardi, ebbe modo di notare Hilda, piacevolmente sorpresa. Le sembrò di toccare il cielo con un dito.
Passò in rassegna con lo sguardo tutti quei visi sorridenti che le stavano intorno, soddisfatta.
Syd e Bud sembravano finalmente essere in buoni rapporti, notò, e ne fu felice; Fenrir se ne stava, come al solito, un po’ in disparte, ma pareva tranquillo; Mime accennava distrattamente qualche nota con la sua cetra, seduto sulla scalinata che conduceva al trono; Thor le era arrivato accanto e si informava gentilmente sul suo stato di salute; Hagen, dal canto suo, aveva raggiunto Freya e non le staccava gli occhi di dosso; e Siegfried, dopo aver salutato Syd, sembrava raggiante, nonostante la mano sinistra ancora fasciata. Hilda provò un’acuta stretta al cuore: lei era stata la causa di quella ferita durante la battaglia di Siegfried contro uno dei guerrieri di Atena, e tutto solo perché il cavaliere, risoluto nel tentativo di apprendere la verità sulla sua prigionia e sull’Anello del Nibelungo, si era rifiutato di obbedire al suo ordine di attaccare il nemico.
Dopo un po’ di tempo trascorso nel dare informazioni sulle proprie condizioni di salute, durante il quale Hilda pensò, con riconoscenza e stupore, che i suoi guerrieri si stavano interessando a come lei potesse aver sofferto sotto l'anello, piuttosto che alle proprie sofferenze, la regina si diresse verso la scala di pietra che portava verso il suo trono, ma anziché percorrerla interamente e sedersi su uno dei simboli della potenza regale, preferì sedersi su uno dei gradini accanto a Mime. Tutti la imitarono, felici di constatare che tutto, proprio tutto, era ritornato alle origini: Hilda non aveva mai amato le ricorrenze ufficiali o gli esibizionismi di cui la sua condizione privilegiata consentiva approfittare, e il fatto che, durante la sottomissione all’Anello, lei si era mantenuta a debita e sprezzante distanza da loro mettendo molto più in evidenza il suo ruolo di sovrana, era stato uno dei primi e più evidenti segni del suo cambiamento.

- Anzitutto, - esordì, con gli occhi bassi, - vorrei scusarmi con tutti voi per i disagi ai quali siete stati sottoposti per via del vostro patto di fedeltà con la sottoscritta. La mia incapacità vi ha causato tormento, ferite e morte, e certo avrei meritato...

- Maestà, – La interruppe Syd, – Attribuite a voi stessa colpe che appartengono ad altri. Se c’è qualcuno cui andrebbe rimproverata la nostra disfatta è Poseidone!

Hilda socchiuse gli occhi, non troppo convinta, nonostante il tono fervente del giovane, che riprese dopo una piccola pausa:

- Parlate della nostra morte come se voi stessa aveste brandito l’arma che l’ha provocata…

- In un certo senso è così, Syd. – gli rispose Hilda, contrita.

Ma il ragazzo scosse la testa, imitato da altri. Hagen intervenne, dimenticando per qualche istante di adorare Freya:

- Mia regina… Sarebbe stato facile ma ingiusto da parte nostra serbarvi rancore. Troppo semplice scaricare su di voi tutta la responsabilità ed usarvi come capro espiatorio. Tutti, voi compresa, abbiamo subito e sofferto questa situazione.

- Ma…

- Niente “ma”, mia regina; qualunque evento sgradevole sia successo in passato, adesso è solo un brutto ricordo. Odino ci ha onorato della sua benevolenza concedendo una seconda vita a noi cavalieri e una rinnovata serenità a voi e al resto del Regno. É compito di noi tutti, adesso, ricostruire Asgard guardando al futuro, e non proseguire la vita indugiando su rimpianti passati. Non credete?

Alle parole di Hagen successe immediatamente una serie di approvazioni e cenni affermativi. Hilda si girò lateralmente, confusa.
Ad un certo punto Mime, seduto accanto a lei, pose ancora una volta la propria mano sulla sua, poi la guardò inclinando leggermente il capo, lasciando che i capelli gli coprissero parzialmente il viso, e i suoi occhi chiarivano il suo sentire molto più di quanto avrebbe potuto qualsiasi discorso.
Speranza, fiducia, incoraggiamento.
Aveva intuito di nuovo le insicurezze della sua regina, anche se, stavolta, di diversa natura, e aveva tentato di dissiparle in uno dei due modi in cui amava maggiormente esprimere i suoi pensieri: lo sguardo e la musica. Non ci fu bisogno di alcun suono pronunciato dalle loro labbra per capirsi all’istante. Hilda gli fu enormemente grata, e a Mime parve di scorgere, tra le sue ciglia, una lacrima di commozione.

Poco dopo, nel momento in cui i cavalieri che non risiedevano stabilmente al castello si apprestavano a tornare alle rispettive dimore, Hilda porse ad ognuno un piccolo sacchetto di velluto blu chiuso da un nastro del medesimo colore. Molti visi s’illuminarono, nel ritrovarvi all’interno gli zaffiri di Odino. Queste grandi e preziose pietre color del cielo simboleggiavano le sette stelle dell’Orsa Maggiore, ed erano incastonati ognuno in una delle armature dei Guerrieri Divini. La loro unione e loro disposizione sull’enorme elmo della vicina statua di Odino permetteva l’apparizione della leggendaria armatura del padre degli Dei, interamente di platino e scolpita a guisa di cristalli di ghiaccio, all’interno della quale si trovava la sacra Balmung. Durante la battaglia finale contro i guerrieri di Atena, tale armatura aveva rivestito, per qualche attimo, uno di loro, il quale, per mezzo di essa, aveva potuto udire la voce e gli ordini del dio ed utilizzarne la Spada per liberare Hilda dall'Anello.
Dopo la morte dei sette guerrieri l’armatura e la Spada erano tornate al loro sonno all’interno della statua di Odino, gli zaffiri si erano staccati dall’elmo ed Hilda li aveva ritrovati, qualche giorno dopo, sul piazzale antistante la statua dove solitamente si svolgevano i riti celebrativi in onore degli dei.
La regina li aveva conservati gelosamente ma tristemente, ritenendoli l’ultimo ricordo del sacrificio dei suoi guerrieri… Ma adesso essi erano tornati alla vita, e le pietre, come nel loro diritto, avrebbero dovuto ritornare a loro incastonate nelle loro armature. Guardando i preziosi nelle loro mani ognuno di essi sembrava quasi felice di rivedere un vecchio amico sparito per un lungo intervallo di tempo. Vi era un legame particolare tra quelle pietre, le stelle dell’Orsa e i giovani destinati a rappresentarle per mezzo delle armature del Nord; così era allora, così era sempre stato, e non sarebbe stato facile spiegare la natura o l’origine di tale vincolo ai profani. Gli zaffiri stessi, si riteneva, erano stati forgiati da intelligenza ed opera divina, e come tali erano avvolti nel mistero fin dall’epoca, remotissima, della loro comparsa. Hilda ne era consapevole, così non si stupì affatto nel vedere i giovani lasciare la sala particolarmente euforici dopo la restituzione degli zaffiri; solo, intravide un’ombra passare fugacemente sul viso di Bud.
Bud non faceva parte della casta dei Guerrieri Divini; non lo era mai stato, e, nonostante i suoi decennali allenamenti, nel momento dell’investitura era stato preferito suo fratello e lui era stato relegato al ruolo di cavaliere/ombra: non l’armatura sacra, non la gloria presso i posteri, non lo zaffiro di Odino. Ancora una volta, Syd era stato il prescelto. Questo era stato l’ennesimo motivo del suo rancore verso il gemello e verso la sorte. Tempo dopo, durante lo scontro contro il guerriero di Atena Ikki della Fenice, che l’aveva costretto a riflettere sull’opportunità e la giustezza del suo odio, Bud sembrava aver capito ed interiorizzato il fatto che Syd non era certo colpevole delle scelte cadute su di lui, ma quel vecchio astio, dovuto forse anche a sensi di inferiorità ingiustificati, tornava a farsi sentire di tanto in tanto.
Probabilmente, aveva pensato Hilda, abbastanza tranquilla, il tempo avrebbe fugato ogni dubbio e medicato ogni ferita nell’animo del ragazzo.

“E magari farà lo stesso anche con me.”

Pensò, girandosi su se stessa ad occhi bassi. Quando rialzò lo sguardo si trovò davanti Siegfried con lo zaffiro in mano. Alla regina mancò il respiro per un secondo che già ritenne troppo lungo e pericoloso.
Ma Siegfried non fece nessuna domanda, limitandosi ad un sorriso, parole di congedo e ad un inchino appena accennato. Poi le voltò le spalle e si diresse verso l’uscita della sala del Trono ormai vuota. Mentre si accingeva ad attraversare la porta, Hilda gli corse dietro.

- Siegfried, aspetta!

Questi si voltò con aria interrogativa.
Hilda gli giunse abbastanza vicina da avvertire un senso di fin troppo noto disagio percorrerle le membra ma, come al solito, si spaventò delle proprie sensazioni e si guardò bene dal mostrare anche un microscopico sintomo del suo turbamento.

- C’è qualcosa che vorrei tu sappia, cavaliere - Disse, con un tremito nella voce che si affrettò a dissimulare schiarendosela - E che voglio sia un monito per il futuro, per te come capitano e per i tuoi compagni...

Siegfried, incuriosito, si appoggiò ad una colonna. Hilda proseguì:

- …Ho assistito alla tua battaglia contro Seiya, come ben sai, ed è stata una tortura difficilmente tollerabile. Ero presente, e non solo non sono intervenuta per salvarti, ma ti ho anche ferito. Ti ho visto soffrire in maniera inaudita e non sopporterei di nuovo una cosa del genere. Promettimi che non ci sarà una seconda volta, te ne prego: promettimi che, se mai dovesse accadere, tu non sacrificherai te stesso, ma ucciderai me e salverai Asgard.
L'uomo sospirò, poi scosse la testa e le lanciò un breve sguardo:

- Non chiedetemi cose che non posso promettervi.

- Perché?

- Se lasciassi condizionare il mio giuramento di fedeltà da cose del genere mi sembrerebbe di vanificarlo. E ad ogni modo… Io non posso che esser lieto delle mie sofferenze, se queste sono servite per la vostra salvezza e per quella della mia patria. Come posso salvare Asgard togliendo la vita a voi? Voi siete Asgard, per me.

A quell’ultima frase Hilda non poté fare a meno di alzare lo sguardo – cosa che con Siegfried le riusciva a stento - perdendosi nella trasparenza di ghiaccio dei suoi occhi.
Deglutì a vuoto per cercare in qualche modo di calmarsi: - Se Asgard continuerà a potersi gloriare di anime grandi come la tua, non potrà che entrare nel mito ed essere per l’eternità favorita dagli Asi.

- Non si tratta di possedere una grande anima, si tratta di fede. Io credo in Asgard, mia regina, e credo in voi. - le disse, non staccando gli occhi dai suoi, - Se l'Anello del Nibelungo e un dio del mare straniero non hanno mutato in alcun modo le mie convinzioni, null’altro, umano o divino, potrà mai farlo.

In altre circostanze, e davanti ad altre persone, Hilda avrebbe facilmente sostenuto uno sguardo così deciso fisso nel proprio. Ma, con Siegfried davanti, la donna prendeva troppo spesso e troppo presto il posto della Regina. Almeno ai suoi occhi nascondere quell’ingombrante matassa confusa di sentimenti diventava sempre più difficile.
Fortunatamente lui le facilitò il compito, accennando ancora un piccolo inchino prima di congedarsi da lei.

Ai sovrani dovrebbe essere insegnato a gestire in modo ineccepibile i moti del cuore prima ancora che a sedersi su un diamine di trono; anzi, prima ancora che a leggere e scrivere, si trovò a pensare imbronciata, mentre osservava la porta dietro cui Siegfried era scomparso.”

  
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