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Autore: Dolcemaia    20/09/2006    4 recensioni
Sono passati alcuni anni. Bella ed Edward sono ancora insieme, ma la reticenza di lui a non voler condividere con lei la sua natura 'diversa' li porterà inevitabilmente a scelte difficili, forse sbagliate, forse irrazionali, ma dettate dall'amore...
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Rubacchio appena due righe per ringraziarvi dei commenti, sono molto contenta che qusta storia vi piaccia e spero di non deludere le aspettative! Grazie ancora! ^^

 

Capitolo 2

 

Faceva freddo.

Non appena Edward aprì la porta dell’auto aiutandomi gentilmente a scendere, un brivido gelido mi percorse lungo la schiena. Di certo non si trattava della mano di lui. Era.. era una sorta di presentimento, non avrei saputo spiegarlo meglio. Non mi ci soffermai nemmeno più di tanto, non era il caso e non era momento. Sorrisi appena al mio splendido cavaliere e salimmo la scalinata che conduceva fino alla sala.

Poteva sembrare il matrimonio reale della regina Elisabetta, invece, era solo un noiosissimo party organizzato dal mio capo, o meglio da sua moglie, per festeggiare il buon esito della fusione di cui ci eravamo occupati. Cominciavo a domandarmi se non fosse stata un’assurdità cercare lavoro in quello studio. Facevano le cose terribilmente in grande, e a me certe sfarzosità non piacevano affatto. Aldilà che in lungo non ci sapevo proprio stare, ma i tacchi…e il trucco… ed i capelli.

Sul posto di lavoro, potevo sopportare dei piccoli compromessi, in fondo purtroppo, mi ci ero dovuta abituare, un avvocato deve avere sempre un’immagine che sia rassicurante e ‘convincente’, ma che ricostringessero a mantenere certi standard anche nel tempo libero era a dir poco insopportabile.

Ero già pronta a darmi malata, pur di evitare quella noia mortale, ma Edward aveva insistito. Credo che in qualche modo volesse sentirsi più partecipe della mia vita lavorativa e poi, se era riuscito a portarmi al ballo di fine anno, figuriamoci ad uno stupido party societario.

Ed infatti eccoci lì, seduti al tavolo, con Martin e la sua ragazza, - per la gioia della mia sanità mentale, -  ed un paio di assistenti che guardavano il MIO fidanzato quasi con un rivoletto di bava alla bocca e non si curavano nemmeno di nasconderlo.

“Ti guardano..” sussurrai a voce bassa ad Edward, tirandomi un po’ indietro con la sedia e sporgendomi verso di lui. Era stupido, ma ero terribilmente gelosa. Eppure allo stesso tempo il mio ego era dolcemente accarezzato da quella sensazione di ammirazione mista ad invida, che le altre donne provavano, quando lui, bello come il sole, faceva mostra di se stesso, accompagnato da me. Il piccolo anatroccolo goffo che, però, aveva requisito il cuore del bel principe.

Lui in tutta risposta prese la mia mano e vi posò un bacio sul dorso. Era a dir poco splendido, in quel completo grigio antracite e la camicia bianca. Aveva un gusto impeccabile nel vestire, era capace di valorizzare ancora di più, la sua bellezza che già di per sé era incredibile.

Il suo abbigliamento, il suo fisico perfetto passavano, però, in secondo piano se messi a paragone con quegli occhi di topazio così magnetici e così intensi da potercisi perdere. Per me era davvero difficile riuscire a staccare il mio sguardo da quelle pietre dorate così perfette e  lucenti. Paradossalmente lui che, per via della sua natura, era freddo come il ghiaccio, aveva il potere di scaldarmi il cuore con una sola occhiata.

“Sei bellissima, te l’ho già detto vero?” domandò lui sussurrandomi all’orecchio provocandomi brividi di tutt’altro genere rispetto a quelli di prima.

“Credo di sì, ma è bello sentirtelo ripetere.. soprattutto prima che faccia un’altra delle mie!” e sospirai quasi rassegnata.

“Hai un abito nero, non dovresti riuscire a macchiarlo, e poi non hai intenzione di alzarti da quella sedia.. Le probabilità che tu possa combinare danni sono limitate, ma ad ogni modo ci sono io a salvare la situazione…come sempre..” e quelle ultime due parole le sussurrò a voce bassissima nel mio orecchio facendo aumentare terribilmente i battiti del mio cuore, e probabilmente anche arrossire.

“Che hai Bella” chiese Martin incuriosito dal mio colorito.

“Niente.. sento un po’ caldo. Sarà lo champagne. Non sono abituata.” Mentì cercando di risultare il più convincente possibile, mentre Edward ghignava soddisfatto alle mie spalle. “Sì, sì. E’ lo champagne .”confermò, prendendosi ancora più gioco di me.

“Che carino che sei..” commentai sarcastica verso di lui, non appena gli altri commensali spostarono la loro attenzione altrove. Si divertiva molto a mettermi in situazioni imbarazzanti, sapeva di farmi un certo effetto, e in pubblico farmi arrossire era il minimo per lui. Per non parlare, poi, di quanto mi punzecchiava in privato, lì dava il meglio di sé. Era pungente e sarcastico, però non mi infastidiva. Tutt’altro. Mi divertiva battibeccare con lui e anche molto, era l’unico che avrebbe potuto darmi della foca monaca senza riuscire a ferirmi sul serio.

La serata tutto sommato trascorse abbastanza piacevolmente, non ballammo, Edward fu molto comprensivo almeno in questo, non ero in animo di chiacchiere, tuttavia, Martin e soprattutto la sua ragazza tenevano banco per tutti e giurerei di aver visto sorridere anche il mio bel vampiro tanto reticente. Avrei voluto essere un pochino più brillante, ma ero preda di una strana malinconia. Ad un certo punto della serata, il signor Richmond aveva preso sua moglie, una donnina arzilla, dai capelli argentei e gli occhi blu splendenti, ed avevano ballato un lento sotto gli occhi di tutti. Erano bellissimi. Sembravano, nonostante l’avanzata età, innamoratissimi come il primo giorno. Martin si era lasciato  scappare che da poco avevano festeggiato le nozze d’oro. Cinquant’anni di matrimonio. Mi sembrava una quantità di tempo enorme!

Cosa assurda se si pensa che Edward era vampiro da quasi il doppio di quegli anni.

Inevitabilmente mi venne naturale ripensare ad un vecchio sogno che avevo fatto tantissimo tempo prima.. Un sogno orrendo… un sogno in cui io ero anziana e Edward era ancora giovane e bello come adesso.

Lui è eterno, come la sua giovinezza, io no!

Se già adesso, molto spesso mi sentivo a disagio mentre mi facevano notare che il mio ragazzo sembrava molto più giovane dei ventiquattro anni che asserivamo avesse, figuriamoci andando avanti con gli anni. Era un bravo attore, era capace di riuscire ad assumere persino un’aria più vissuta, magari cambiando appena pettinatura, magari vestendosi in una certa maniera, probabilmente frutto dell’esperienza dei suoi precedenti 90 anni da immortale, ma quanto sarebbe durata?

Quella domanda mi affliggeva, come mi affliggeva il terrore di invecchiare continuando a vedere lui sempre uguale. Inoltre, sarà vanità femminile, ma come avrei potuto competere con le giovani che l’avrebbero attorniato una volta che avessi raggiunto la mezza età?

Rischiavo davvero di perderci la testa.

Vedendo quei due ‘vecchietti’ così uniti, così innamorati, ripensai anche al matrimonio di Mike e Jessica. Dopo tanti tira e molla, alla fine mentre ero ad Harvard mi ritrovai davanti ad un sms in cui c’era scritto < CI SPOSIAMO > con una serie infinita di punti esclamativi. Era Jess ed io sapevo chi era il fortunato. Era stato un sollievo. Decisamente un sollievo. Sapevo che erano fatti in maniera quasi complementare, sebbene litigassero di continuo, ed il giorno del matrimonio erano veramente dolcissimi. Mike Newton, il mio primo ‘vero’ spasimante, sposato con una delle mie migliori amiche. Ne ero contentissima.

Ricordo chiaramente quel giorno, quanto erano carini, lei in quel vestito bianco vaporoso, tanto da sembrare più una grossa meringa, che una sposa, e lui impettito nel suo smoking cercando di darsi un tono. Credo che per un periodo della sua vita, abbia odiato Edward, poi ci fu una fase in cui cercava disperatamente di imitarlo, ignaro del fatto che Edward Cullen è unico e solo, indipendentemente dalla sua natura poco umana, ma paradossalmente, quel giorno, era una spanna davanti a lui. Mi fece sorridere il pensiero, e fece sorridere Edward stesso. Noi non ne avevamo bisogno di niente di così solenne, non c’era la necessità di riunire tutti in una grande festa per sentirci più uniti, o almeno questo era quello che diceva lui. Io lo assecondavo e basta. Era per questo che ritenevo l’anello che mi aveva regalato una pura formalità.

Tutti facevano scommesse su chi sarebbero stati i prossimi, scommettevano su di noi, ma la realtà non era quella, loro non la conoscevano, ma io sì. Non sempre tutto è così facile come sembra. Di certo c’era che, quel giorno, guardavo Angela correre dietro il suo bambino e il cuore mi si stringeva.

Io non sarei mai stata madre, non sarei mai stata una sposa, e non sarei mai stata una vecchietta impacciata, che nelle calde sere d’estate cerca refrigerio in veranda sul dondolo con il suo vecchio marito. Il pensiero mi atterriva.

Per tutto il tempo, mi torturai senza riuscire a trovare una soluzione diversa dalla ‘solita’. Ero diventata una brava attrice, e fortunatamente nessuno, o quasi, si accorse della mia assenza. Sorridevo quando dovevo, annuivo all’occorrenza e qualche volta persino prestavo attenzione ai discorsi. Ben presto potemmo prendere la via dell’uscita con il benestare del capo e fui grata alla buona sorte che tutto fosse filato liscio, senza intoppi. Solo che una volta in auto, di nuovo ebbi quella strana sensazione di fastidio che mi attanagliava. Mi sentivo a disagio al solo pensiero di restare sola con lui, temevo avrebbe cominciato lecitamente a farmi delle domande, ma non potevo evitarlo, e forse nemmeno volevo. Era come se una parte di me, gli stesse disperatamente gridando aiuto, ma l’altra, quella più forte, la reprimeva fino a far diventare quelle urla, dei lievi sussurri che solo io potevo udire. Come al solito, a casa, mi concessi qualche minuto di umanità, sfilando lo stretto abito nero, sostituendolo con un comodo paio di pantaloni di una tuta ed una maglietta a maniche corte. Gli anni passano, ma certe abitudini sono dure a morire.

Mi struccai, mi pettinai, e alla fine sgattaiolai a letto. Per rendere la nostra quotidianità più ‘normale’, anche Edward ormai si era abituato ad infilare qualcosa di più comodo e mettersi a letto con me. Lui non dormiva, non dormiva mai, per un periodo ai tempi del college, dopo aver visto The Ring lo prendevo in giro, sussurrando in maniera cavernosa ‘lui non dorme mai’ esattamente come fa il bambino protagonista, ma lui a quella battuta non rideva, perciò dopo un po’ anche io mi stancai e finì nel dimenticatoio.

Si stiracchiò, si stese sul letto e mi attirò a sé, in modo da far aderire la mia schiena contro il suo petto. Aderire per modo di dire, era molto attento e provvedeva sempre a mettere un plaid tra me e lui in modo che non avessi la sua pelle gelida a contatto con la mia. Era un gesto molto carino e attento, ma a me urtava.

Non eravamo normali, non c’era niente di normale in noi, lui era un vampiro ed io una patetica umana, non c’era alcuna normalità possibile ed il fatto che lui si ostinasse a far finta che non era così, mi irritava oltremodo.

“Bella…” fece lui con un tono a me ben noto. Voleva che gli parlassi, voleva che gli dicessi cosa c’era, adesso eravamo soli, non c’erano segretarie, non c’erano citofoni, nulla che potesse interromperci. Ciò però ebbe l’inevitabile conseguenza di irrigidirmi. Un brivido, ancora una volta, mi percorse la schiena ed incapace di dissimulare il turbamento, finì per rannicchiarmi contro la spalliera del letto tirando le gambe al petto.

“Quanto durerà Edward?” gli domandai in maniera diretta, non c’era bisogno di specificare, lui sapeva già di cosa parlavo.

“Ne abbiamo già parlato.”

“No!” lo aggredì io, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarmi. “Quando ne abbiamo parlato l’ultima volta, Edward? Tre, quattro anni fa?” gli domandai né sarcastica, né ironica, semplicemente disperata. “Fin ad ora ho finto, finto che andasse tutto bene, finto che questa relazione fosse perfetta, ma non è così, lo sai anche tu. Speravo che con il tempo avresti capito, ti saresti convinto, che magari il grande amore che dici di provare per me si sarebbe concretizzato in quello che davvero ci renderebbe uniti, ma così non è stato. Li hai visti stasera quei due signori? Mr Richmond e sua moglie? Io e te non saremo mai così, Edward, tra qualche anno, non potremo nemmeno più uscire insieme pubblicamente, senza che la gente mi prenda per una maniaca a cui piacciono i ragazzini!”

“Stai esagerando.” Disse con quel suo tono calmo, mantenendosi freddo e distaccato, tuttavia in quel momento era come se riuscissi a sentire che dentro stava, ringhiando. “E poi da quando ti interessa che dice la gente?” mi domandò come se fosse la cosa più stupida del mondo. Ma possibile che non capisse? Possibile che non si rendesse conto che era una situazione davvero insostenibile per me e sarebbe andata peggio?

“Non m’importa della gente..” gli risposi a mia volta, contenendo la rabbia al punto che non rimase più nulla. Ero avvilita senza colore nella voce. “A me importa di te, del fatto che ti amo e che inesorabilmente ci stiamo allontanando.” Non gli avevo detto niente di più di quanto non sapesse, eppure era come se gli avessi detto tutto, perché scattò in piedi alla sua velocità ipersonica e si avvicinò alla finestra cupo come il cielo prima del diluvio universale.

“Cosa vuoi che faccia, Bella?” mi domandò senza guardarmi, ma fissando fuori, mentre la pioggia picchiettava violenta sulle finestre della camera da letto. Era buio, ma non abbastanza da non permettermi di vederlo chiaramente.

“Lo sai…” gli sussurrai appena, ma sapevo che avrebbe sentito, sapevo che pur non riuscendo, con il suo particolare talento, a leggere la mia di mente, era lo stesso dotato di un udito ‘inumano’. “..sposami Edward!” gli dissi più decisa subito dopo, e lui di scatto si voltò a guardarmi e nei suoi occhi c’era sorpresa, c’era incredulità, c’era speranza. Speranza che avessi messo da parte i miei progetti.

“E’ solo questo, Bella? Credi davvero che ti avrei negato una cosa del genere? Che non lo volessi?”

“Edward, voglio essere tua moglie.. per sempre..” e a quel punto credo, capì che si era sbagliato, perché voltò il viso di nuovo evitandomi, ma fui io ad avvicinarmi a lui, a scendere dal letto a piedi nudi e ad arrivare da lui, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Edward ti prego, voglio solo poter stare con te, non avere limiti di alcun genere, e poterti amare e avere come se fossimo una cosa sola.. ti prego..” lo implorai.

“No!” rispose lui con tono che non ammetteva repliche. Era gelido e distante, ed inconsciamente nel sentirlo pronunciare quella parola, rabbrividì.

Feci un passo indietro continuando a tremare, ma stavolta di rabbia. Lo detestavo.. Sì, lo detestavo infinitamente, mi stava privando dell’unica cosa che volevo. Lui.

“Non accadrà mai, vero?” gli domandai. “Non succederà mai!” dissi affrontandolo. Lui ringhiò, ma niente di più. “Se non lo farai tu, troverò qualcun altro!!” gli urlai contro.

Basta. Ero stanca delle parole, ero stanca di sentirmi ripetere sempre le stesse, cose. Non voleva farlo lui? Pazienza, quello che volevo, avrei trovato il modo di prendermelo da sola.

Veloce come una furia, senza dare alcuna spiegazione, infilai le scarpe da tennis, presi la borsa ed incurante del diluvio che imperversava violento e irruente su San Francisco, scesi a prendere l’auto. Edward non provò nemmeno a fermarmi, e forse questo mi fece ancora più male del suo rifiuto, con gli occhi inondati di lacrime, misi in moto e scattai guidando ben più velocemente e pericolosamente rispetto i miei standard.

La strada era buia e scivolosa, avrei dovuto essere attenta, calma, e soprattutto avrei dovuto guidare piano con prudenza, ma feci esattamente l’opposto. Le lacrime mi scendevano dagli occhi incessantemente, non riuscivo a frenarle, era come se, all’improvviso, fossi esplosa come un grosso pallone aerostatico e adesso non c’era più modo di fermare la crisi in atto. Ci misi solo tre ore per arrivare a Forks. Ero andata ad una velocità folle, in barba a tutte le volte in cui ero stata petulante e pesante con Edward circa il suo modo di guidare.

Era ancora buio, ma presto sarebbe stato giorno, ma questo non m’importava. Dove stavo andando non c’erano orari e di certo la mia, non era una visita di cortesia. Feci sfrecciare la berlina nera attraverso le stradine della città ancora addormentate, poi imboccai una via a me molto familiare, costeggiata di felci e piante, fino ad arrivare a quella grande casa, che metteva soggezione solo a guardarla.

Non mi curai del fatto che avevo ancora i capelli bagnati, l’aria sbattuta e gli occhi neri per via delle lacrime e di qualche residuo di trucco rimasto. La vera vampira dovevo sembrare io, ma non me ne curai. Il cielo era nuvoloso, ma non pioveva, almeno non in quel momento, forse prima c’era stato qualche rovescio, me ne resi conto per via delle scarpe da tennis zuppe d’acqua e fango. Arrivata alla bussai, fino quasi a sbucciarmi le nocche delle mani.

C’era il campanello, ma ero fuori di me, nonostante avessi passato tutto quel tempo da sola in macchina e la testa non mi accompagnava più tanto e a quel piccolo particolare del campanello, stupidamente non avevo proprio pensato. Esme mi venne ad aprire poco dopo, era sempre la stessa, non era cambiata di una virgola, tutti loro sembravano sempre gli stessi, solo io ero una massa informe di materia umana, che si generava e rigenerava, cambiando, e per questo mi detestavo.

“Bella che succede?”  mi domandò terribilmente preoccupata. “Edward?” domandò subito pensando a suo figlio. Solo che il sentirla pronunciare quel nome, mi fece rabbrividire. “Sta bene.” Tagliai corto guardandomi attorno. Non volevo parlare con lei e non volevo parlare di lui.

“Carlisle?” le chiesi poi senza troppe cerimonie.

“E’ nello studio, ma.. Bella, tesoro, che succede? Sei sconvolta? Che è accaduto?” il suo tono non era inquisitorio, né cattivo, anzi. Se c’era una persona che ero certa mi volesse davvero bene assieme ad Alice e Carlisle era proprio Esme, mi trattava come una figlia, come forse nemmeno Renèe aveva fatto con me e di questo le ero grata, ma in quel momento non avevo bisogno di una madre, avevo bisogno di un vampiro in grado di darmi ciò che chiedevo.

“Va tutto bene.” Le dissi, rendendomi benissimo conto di non essere rassicurante “Ti spiegherò dopo.”  Detto ciò presi a salire i gradini due alla volta fino al piano di sopra, per poi raggiungere il famoso studio.

Il dottor Cullen era esattamente dove immaginavo che fosse, dietro l’enorme scrivania, piena di carte, intento nella lettura di alcuni tomi affiancati da quelle che dovevano essere cartelle cliniche.

“Bella!” disse sorpreso di vedermi. Accennò appena un sorriso. Uno di quei sorrisi dolci e caldi, che facevano sentire il benvenuto anche il peggior criminale del mondo. Non avevo mai conosciuto nessuno buono come lui, uomo o vampiro ed era arrivato il momento di capire quanta umanità c’era ancora in lui…

 

  
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