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Autore: Aliens    14/02/2012    3 recensioni
Quando due mondi diversi si scontrano, alle volte, c'è bisogno di un eroe, un eroe che si nasconde tra facce ostili che può colorare, finalmente, un'esistenza grigia.
Alla cima del grande palazzo vi era una gigantografia pubblicitaria. Il simbolo della banca del suo antenato capeggiava sopra l’immagine dei suoi ereditieri con in mano un salvadanaio a forma di porcellino. Sorridevano, i loro visini nivei guardavano il belvedere di Berlino, semplici e rassicuranti.
“Il vostro futuro nelle nostre mani” recitava la pubblicità.
«Se» borbottò Tom buttando il suo zaino a terra «La vostra anima nelle mani del diavolo».
Si piegò tirando , appena, in su i larghi pantaloni e aprì lo zaino. Al suo interno aveva stipato abbastanza bombolette per la sua opera di puro vandalismo.
Oh, come avrebbe goduto a far sapere a suo padre cosa pensava di lui. Come avrebbe sogghiniato quel mattino nel vedere i titoli in prima pagina. Per come erano distratti i suoi genitori non avrebbero mai sospettato di lui.
Afferrò una delle bombolette e la guardò sorridendo.
Genere: Commedia, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***


Solo il Karma può colpirti con un calcio nel sedere.
YKIN – Stabile numero 10 – Gropiusstadt.




***



L’Immanuel Kant Gymnasium sorgeva imponente tra le vie trafficate di Charlottenburg, poco distante dal Ku’damm.
L’imponente palazzo Rinascimentale riusciva ad incutere terrore anche al più temeraio degli studenti. Come ogni mattina il giardino, dall’erba all’inglese ben curata anche in novembre, era saturo di ragazzi vocianti e macchine di lusso.
I “Signorini” erano accompagnati da berline nere e da autisti vestiti come ad un matrimonio. Quelli che abitavano nelle vicinanaze arrivavano a piedi nei loro costosi vestiti. Niky, invece, dopo essere sbucata dalla stazione di Kurfürstendamm, aveva sviato qualche veditore ambulante e si era messa a correre verso quel cancello dall’aspetto enorme e ben tenuto.
Il nome della scuola era sventolato ai quattro venti, come l’estrazzione sociale di chi lo frequentasse. Si sbirgò a correre verso di esso perché era sicura di arrivare in ritardo. Così, incoscentemente, si buttò nel mezzo della strada.
Alcune delle brillanti berline fecero rimbombare i clackson e lei, alzando appena la testa, se ne infischiò altamente. Lei veniva da un quartiere molto lontano, aveva anche il diritto di precedenza no?
Si sistemò la borsa sulle spalle e, defilata, si finilò nel cancello della sua scuola. Nessuno la degnò di uno sguardo, lei era il Caso-Umano della della scuola, come amava definirla Brigitte Von Ribbentrop ogni due per tre. Come se lei fosse davvero la principessa che vorrebbe far credere: la sua famiglia rinnegava l’olocausto, perché, di fatto, ne aveva fatto parte. Il suo bisnonno Joachim Von Ribbentrop era stato il ministro degli esteri durante il nazismo, immischiato, in modo inequivocabile, nella questione della deportazione degli ebrei. Nonostante le carte, il Processo a Norinberga che lo aveva portato alla morte e tutte le testimonianze, i Von Ribbentrop rinnegavano qualsiasi cosa fosse successa durante il conflitto, le consideravano bugie. Suo nonno, Gustav Carter, era stato nella resistenza e deportato in un campo di concentramento, ritiratosi in un piccolo paesino a Monaco dopo la liberazione, ricordava ancora l’orrore di Dachau, a cui era sopravvisuto e l’aveva raccontato, senza censure, alla nipote. Niky aveva provato una tale antipatia per Brigitte Von Ribbentrop, dapprima per il suo cognome, che non si era sforzata di far amicizia con lei. Aveva iniziata a odiarla quando, in classe, disse al professore di storia che l’Olocausto era solo una grande bugia per infangare il buon nome del suo bisnonno.
Niky ricordava di essersi schiarita la voce e aver detto «Certo, perché sei milioni di innocenti, uccisi in camera a gas, forni creamatori ecc, sono statai tutti quanti inventati SOLO per infangare il nome del tuo bisnonno, vero?» era stata ferma nelle sue convinzioni «Svegliati, principessina, Joachim Von Ribbentrop firmò le carte e approvò la deportazione, ci sono fotografie, filmati, testimonianze… sarebbe pure ora che la tua famiglia si prendesse le sue responsabilità».
Era stato in quel momento che Brigitte aveva dato inizio alla loro guerra psicologica. La demoliva, la umilava, la faceva sentire… diversa.
E Niky l’aveva accettato con un sorriso sarcastico. Brigitte poteva essere bella e ricca quanto voleva ma lei veniva da Gropiusstadt, le sue parole calcolate la facevano quasi ridere. Lei veniva da un quartiere in cui potevi trovarti puntata in faccia una pistola e non aveva mai avuto paura, ne poteva avere di Brigitte Von Ribbetrop? No, questa era la risposta.
Varcò l’enorme portone d’ingresso e camminò, tranquilla, verso la sua classe. Frequentava il 12° H, la classe avanzata. Il perché vi si trovasse anche Brigitte era una mistero che non voleva svelare, avrebbe scoperto il torbido segreto di una puttanella titolata.
Prese la via delle imponenti scale di marmo coperte da un tappeto rosso. Tutto in quella scuola richiamava l’opulenza dei suoi alunni. Posò la mano sul pesante corrimano mentre il suo cellulare vibrava.
Lo afferrò facendolo slittare verso l’alto.

Luxus la pazza ;)

Sorrise.
La foto dell’amica campeggiava sotto la bustina del messaggio. A Alexandra Lidia Thomas, detta Lexus, piaceva farsi fotografare, il più delle volte in pose del tutto inquietanti.
Aprì il messaggio già ridendo. Sapeva che l’amica le avrebbe allietato la giornata con i suoi cinici messaggini da pettegola o con scleri degni di una diva pazza.
Conosceva Lexus dal quando era nata perché abiatava nello Stabile accanto al suo. Si era trovate ad evadere insieme i divieti degli spazi giochi di Gropiusstadt, a far finta di fumare insieme, a truccarsi, a vivere ogni minuto della loro infanzia insieme.
Niente era cambiato da quando l’avevano trasferita alla Immenuel Kant. Si vedevano fin troppo per due che dovevano studiare.


Giorno secchiona, oggi vieni?
Ho bisogno del tuo aiuto per l’interrogazione di biologia, sono nella merda… come sempre xD!
Apparte il mio rendimendo scolastico disastroso, devo raccontarti delle news (INCREDIBILIIII) su Tailine Berger e Kail!
Ti voglio bene secchia stronzetta! ;) Lexus!

Lexus, come si poteva ben capire, non era una cima a scuola e non lo nascondeva.
Sapeva che sarebbe finita a lavorare in qualche bar e che alla sua scuola sarebbe uscita buttata a calci nel sedere dai suoi professori.
Non voleva, però, essere bocciata e ammetteva che ci era riuscita solo perché Niky la bacchettava e la colpiva con un giornale quando si distraeva.
Niky aprì la pagina vuota e rispose:

Buongiorno asina :D
Certo che vengo ad illuminare la tua mente bacata xD!
Non vedo l’ora di sapere tutto!
Un bacio ciuccia darkettona e… ti voglio troppo bene! :-*

Secchia Stronzetta e Ciuccia Darkettona erano sempre stati i loro soprannomi. Entrambe ammettevano i loro difetti e li valorizzavano. Differentemente dalla Immanuel Kant, nella sua precedente scuola Niky era popolare e benvoluta. Non ci sono distinzioni in un posto dove tutti sono destinati alla delinquenza e alla mediocrità. Niky amava l’affollato liceo Johann Gutenberg, perché si sentiva a casa e amata. All’ Immanuel Kant, il più delle volte, parlava con se stessa o con i professori, durante le interrogazioni.
Il cellulare vibrò.

Stonza <3 buona giornata tra i riccastri xD non vedo l’ora di vederti!

Sorrise e rispose con un trasporto che spero Lexus percepisse:

Anche io lexus! :D a dopo!

Mise il blocco al suo vecchio cellulare e fece appena in tempo a infilarselo in tasca prima di essere investita da qualcuno.
Cadde atterra e il suo zaino si aprì faendo cadere tutti i suoi libri.
Mandò un’ imprecazione inelegante mentre un coro di risate la cincondava.
«Strisci a terra, Carter, è quello il posto per quelli come te».
Niky chiuse gli occhi tirandosi a sedere. Eccoci, una nuova battaglia della guerra psicologica era aperta. Guardò la sua aguzzina con infinito disprezzo.
Brigitte Von Ribbentrop era l’ereditiera per eccellenza. Bionda, occhi azzurri, fisico mozzafiato e cervello di un oca giuliva. Sostava davanti a lei con addosso quel pezzo di stoffa da seicento euro Dior che lei chiamava gonna, un maglioncino di pregiato chachimire rosso e stivali prada bassi. Il suo viso d’angioletto aveva tutta l’aria di essere… diabolico.
La guardò colma di derisione mentre Lauren Shopenhuer e Emilee Hasse appoggiavano l’ape regina. Niky diceva sempre che se Arthur Shopenhuer e Hermann Hasse avessero conosciuto le loro diretti discendenti si sarebbero rivoltati nella tomba, entrambi.
Da grandi letterati e filosofi quali erano si sarebbero vergognati di quelle due galline bionde come Brigitte. Aveva forti dubbi su Joachim –visto che era stato un nazista- ma i due illustri intellettuali le avrebbero decisamente soppresse.
Il fatto che sia Hasse e Shopenhuer fossero conosciuti a livello mondiale come uomini di grande cultura e levatura, aumentava la voglia di Niky di strozzare le nuove generazioni. Lauren ed Emilee non avevano una personalità, era solo vittime del piaga Von Ribbentrop.
La mora non apparteneva a nessuna illustre famiglia, non conosceva nessun famoso politico ecc, ma aveva di certo una personalità abbastanza forte ed indipendente da poter annientare quelle tre oche ricche.
Non rivolse loro una parola e fece per rialzarsi. Brigitte, di parere opposto, la spinse di nuovo atterra.
«Devi stare giù, plebea, questo non è posto per gente come te» rinforzò il concetto.
«Brigitte, smettila» lo avrebbe voluto dire lei –dopo averle tirato un pugno- ma la voce che pronunciò quella frase era quella irritata di un ragazzo. Niky, un dolore al sedere assurdo, guardò un paio di nike da rapper nere avvicinarsi al gruppetto.
Non ci voleva un genio a capire chi fosse: Tom Kaulitz.
Non era un nobile ma era comunque di origini di grossa levatura. Wilihem Angus Kaulitz, nel 1870, fondò la Deutsche Bank, dando prestigio e ricchezza alla famiglia, ma, ancor prima della Deutsche Bank, la famiglia Kaulitz lavorara per le finanze del regno di Prussia e per l’Impero Austiaco. Una lunga dinastia di economisti che, in un certo senso, reggeva l’economia teutonica da secoli. Jӧrg Kaulitz, il padre di Tom, aveva a carico più di un milione di sportelli sparsi per il mondo e un capitale plurimiliardario. I Kaulitz, di fatti, erano dieci volte più ricchi dei Von Ribbentrop ed era quello il motivo per cui la famiglia aveva spinto la sua piccola Brigitte nelle braccia di un futuro ereditiere multimiliardario. Allo stesso tempo, però, i gemelli Kaulitz non ostentavano la loro ricchezza. I Kaulitz erano la famiglia più ricca di Berlino –forse dell’intera Germania- eppure i due rampolli andavano in giro a piedi, vestivano secondo una moda tutta loro, si comportavano normalmente. Niky aveva avuto modo di conoscere Bill Kaulitz quando questi gli aveva dato il benvenuto alla Immanuel Kant e ne era rimasta affascinata. Quel ragazzo aveva i soldi necessari per comprarsi un’isola eppure girava con un maglioncino sfilacciato e un jeans slavato e macchiato.
Ed erano belli. I Kaulitz erano tremendamente belli ed intriganti.
Tom, quel giorno, poi, risplendeva. Il viso dai tratti delicati era colpito da una lama debole di luce dando alla sua pelle pallida un colorito più bronzeo, la fronte spaziosa era coperta da una fascia di pelle nera che si intonava ai suoi cornrowrs mori (che, si diceva, avesse fatto insieme al suo amico Samy Deluxe). Il suo piercing al labbro, quel mattino, era di pesante metallo lucente. Era alto, Tom Kaulitz, alto e allenato. Indossava una t-shirt nera che si intravedeva sotto un pregiato cappottone di Chachemire che aveva lasciato aperto, i suoi jeans beggy scuri, ricadevano su delle Reebok grigie intonate al cappottone del ragazzo.
Aveva le mani nelle tasche e un viso non del tutto pacifico.
Tom l’aveva visto solo da lontano, Brigitte lo marcava stretto a scuola. Bill era qualche passo indietro che reggeva tra le mani un libro. Dei due era quello eccentrico. Pantaloni dal cavallo basso fin troppo larghi per lui retti da un pezzo di stoffa viola a dare l’aria di uno che non conosceva l’uso di una cinta, la canotta con un pesante scollo era infata nei parantoli e, a coprirlo dal freddo, vi era un lungo trench gessato che ricadeva fino alle ginocchia aperto. Bill adorava portare catene e crocefissi, almeno quanto lo amava Lexus, e questo a Niky non era sfuggito.
Come lo smalto nero sulle sue unghie, lucido come i suoi anfibi.
Due figure identiche ed aliene.
Cominciò a raccatare la sua roba mentre Brigitte trillava un «Amoreee» così acuto da rompere qualche vetro. Come avrebbe voluto spaccare la faccia a quell’oca.
Tom la guardò appena prima di fissare la ragazza ancora a terra.
Nicole Carter, in un certo senso, era molto popolare alla Immanuel Kant, la conoscevano tutti perché era l’unica povera tra quelle mura secolari. La conoscevano tutti perché era come di un altro mondo. Tom la invidiava in un certo senso, non era incatenata in un vincolo creato da un cognome importante.
Lei poteva scegliere, lui no. Lei era povera ma tremendamente libera, lui era fin troppo ricco e rinchiuso in una gabbia d’oro massiccio.
La conoscevano tutti perché era bella e diversa. Quel mattino i suoi capelli erano legati in una coda disordinata, alcuni di essi erano sfuggiti e le ricadevano, scomposti, sul viso dai tratti gentili. La pelle era pallida e levigata, sensa un filo di trucco. Ed era quello il bello di Nicole, era vera. I suoi occhi turchesi, intensi e profondi, non avevano bisogno di mezzucci per essere affascinanti. Indossava un felpone che le arrivava quasi alle ginocchia, bianco e grigio, un jeans consumato scuro, strappato in più punti, e delle rovinate etnis nere. Le mani smaltate di violetto lavorano per cercare tutto ciò che le era caduto.
Tom si piegò sotto lo sguardo di tutti seguito da Bill.
«Hai bisogno d’aiuto?» disse il minore dei gemelli afferrando un quaderno.
«Grazie» mormorò lei, diventando rossa.
Che razza di figura. Era rimasta a fissare le scarpe del più grande aspettando una derisione gratuita. In fondo, erano i gemelli Kaulitz no?
«Tutto bene?» chiese, però, la voce sensuale di Tom facendole sgranare gli occhie  fissarli sui suoi ambrati.
Belli, fin troppo belli.
Lo vide porgerle il libro di Astronimia e lei lo afferrò mormorando un “grazie”. «Sì, sto bene» balbettò mentre afferrava il libro e lo riponeva nella cartella dove Bill aveva già risposto il suo quaderno di Etica e di Storia tedesca.
Tom inclinò al testa e sorrise «Meno male, allora»
Cosa dicevi a una delle persone più ricche di Europa? Cosa dicevi al figlio di un banchiere che reggeva l’economia tedesca?
Si limitò a guardarlo in quei profondi occhioni ambrati, dal taglio leggermente orientale e si chiese se avesse mai visto un tipo del genere nel suo quartiere.
«Tom, che stai facendo» esclamò indignata Brigitte. Non era ammissibile che il suo ragazzo aiutasse una peblea. Guardò Bill che, con un candido sorriso, le rifilò un dito medio ben smaltato per poi gongolare felice.
«Quello che non ti hanno insegnato a fare» ribattè Tom senza guardarla «Si vede che i Von Ribbentrop, l’umanità, non ce l’hanno per DNA»
Niky alzò un sopracciglio: umanità? Lui si era fermato per pietà?
Guardò Tom alzarsi e puntare la sua ragazza che starnazzava «Non ti permetto di insultarmi»
«E io di farmi usare da te come bambolotto da esposizione» la guardò intensamente «E non sono geneticamente predisposto a farmi sottomettere»
«Cosa stai dicendo?»
I due iniziarono a litigare ma, sinceramente, a Niky poco importava. Infilò le ultime cose nello zaino e ringraziò Bill, l’unico che si era dimostrato veramente interessato a lei.
«Non c’è di che» le aveva sorriso mentre si issava lo zaino sulle spalle.
Il sorriso di Bill era da mozzare il fiato e, più di ogni altra cosa, era sincero. Si alzò e lo salutò andandosene, passando inosservata per di più.
«Avevo intenzione di dirtelo!» urlò Brigitte «Ma sapevo che avresti reagito così»
«E cosa volevi fare? Trascinarmi in quel posto senza avermi avvertito?» la rimbeccò il ragazzo «Mi sarei incazzato di più, sappilo»
«Ma amore…»
«Amore un cazzo!» alzò appena la voce «Prima di tutto voglio che tu smetta di tormentare Nicole Carter, apri gli occhi Brigitte, il tuo bisnonno era nazista, ha autorrizzato la deportazione, è stato condannato a morte. Stop. Non vedo perché tu debba perseverare su questa cosa quando qualcuno dice la verità…»
«Il mio bisnonno non…»
«Sveglia!» Tom avvicinò il viso a quello di lei «La storia è molto chiara e tu e la tua famiglia non potete farci niente» la guardò negli occhi «Sincermante preferirei essere un “nessuno” di Gropiusstadt che il pronipote di un mostro»
Brigitte iniziò ad urlare.
Odiava quando Tom rimarcava quel fatto –e lo faceva sempre-. A lei, poi, Tom non piaceva nemmeno tanto. Cioè, fisicamente era una bomba –per non parlare di come faceva sesso- ma non era il tipo di uomo che avrebbe voluto accanto. Erano stati i suoi genitori, ammirata dagli zeri nel conto in banca dei Kaulitz, a dirle, chiaramente, che se voleva continuare a fare la bella vita doveva accalappiare uno dei rampolli della Deutsche Bank. Bill l’aveva scartato a priori. Oltre ad essere terribilmente ambiguo, era calcolatore ed intelligente. Non sarebbe mai riuscita ad imbrogliarlo. Tom era quello con il debole per il gentil sesso, per incastrarlo gli era bastato “vendersi”.
Ma, come aveva scoperto ben presto, Tom non era un allocco e ci teneva a rimarcare tutti i suoi scheletri nell’armadio.
Era quasi una tortura tenerlo buono.
Bill dal suo canto, fece dietro front attirando l’attenzione del fratello «Dove vai?»
«In classe» rispose il più piccolo prendendo la via delle scale «L’oca sta decidendo di rompermi un timpano, ci tengo sai?» sorrise «E Nicole, fratellino, l’ha capito prima di me».
Brigitte urlò ancora di più accusandolo di essere un bruto e lui sospirò. Sì, Nicole aveva capito prima di lui che con Brigitte era meglio non averci mai niente a che fare.



***



L’ora di sociologia era, in un certo senso, la sua ora preferita dopo l’arte.
Il professor Mardock era un anticonformista e parlava dritto al cuore incantandoti.
Quel giorno, poi, non afceva che sorride.
«Tom» trillò entrando. Era uno dei pochi professori che non si riferisse a lui come “Signor Kaulitz”. Tom gli rivolse un sorriso mentre quello posava la sua enorme cartella sulla cattedra «Seduti ragazzi» rivolse l’ordine alla classe e si fiondò su di lui «Ho un progetto fantastico da proporti Tom, credo che ne sarai entusiasta»
Fece scivolare sul banco del ragazzo un foglio arrivato direttamente dal ministero. Lo guardò e lesse il titolo in grassetto.

ARTE URBANA: l’espressione della ribellione dei bassi fondi.

«Cos’è?» chiese incuriosito.
«Una ricerca sociologica mista all’arte urbana, i Graffitismo, Tom» spiegò eccitato il professore «Vogliono una ricerca su un quartiere in cui il graffitismo è parte integrante della cultura giovanile e, in allegato, vuole creato un murales che poi andrà collocato in una delle Case Famiglie del quartiere scelto»
«Wow» commentò Tom stupito ed eccitato.
Sì, il professore Mardock lo conosceva terribilmente e meglio di qualsiasi altro professore. E lui sentiva che quel concorso avrebbe scombussolato un po’ tutto. Poteva lavorare su ciò che gli piaceva e forse scovare Ykin.
Avrebbe preso un buon voto e avrebbe conosciuto il suo eroe.
«Dovrai scegliere un quartiere, di quelli abbastanza malfamati, e fare ricerche, magari visitarli e fotografare tutti i graffiti che trovi, poi monteremo una presentazione, oltre a questo dovrai descrivere la vita della gente che vi abita, il loro punto di vista, insomma, dovrai parlare con un sacco di gente»
Si sarebbe invintato un mare di stronzate, non avrebbe mai trovato il coraggio di parlare con quelli che, in un certo senso, odiavano il suo cognome. Come avrebbe scritto le cazzate che il Ministero voleva sentirsi dire e avrebbe cercato Ykin tranquillamente.
Lui, forse, lo avrebbe aiutato a rompere davvero le cantene.
«Quale quartiere vuoi scegliere? Hai già qualcosa in mente?» chiese il professore.
Tom sorrise «Pensavo a Gropiusstadt, lì c’è un famoso writers che vorrei incontrare, Ykin credo si chiami, è abbastanza malfamato per lei?»
«Troppo» annuì il professore «Ed è un’ottima idea perché al 12° H c’è un ragazza che abita lì» si illuminò «Ma sì, certo, lo farete insieme, da lei potrai davvero imparare lo stile di vita dei bassi fondi»
Tom spalacò gli occhi «Vuole che Nicole Carter mi aiuti?»
Il professore annuì «Sì, questo pomeriggio inizieremo».
Ed era stato in quel momento che Tom si era detto sorridendo: “è il Karma.



***


Niky non era stata molto contenta della scoperta.
Era corsa in bagno e aveva afferrato il cellulare componendo di fretta il numero dell’amica.
«Pronto?»
«Lexusssss» piagnucolò.
«Tesoro, cos’è successo?» chiese preoccupata la ragazza.
Niky si fece ricadere contro la parete cadendo, poi, in posizione fetale sul pavimento. Era in evidente shock post scoperta. Il prof era stato fin troppo chiaro: doveva passare un bel po’ di tempo insieme con Tom Kaulitz.
Questo avrebbe portato a due grandi catastrofi: la prima sarebbe stata portare Tom Kaulitz, ereditiere di una fortuna plurimiliardaria, a Gropiusstadt, e la seconda, ed era la catastrofe maggiore, Brigitte Von Ribbentrop l’avrebbe massacrata per quel motivo.
Si passò una mano tra i capelli mori sospirando pesantemente guardando le piastrelle bianche del bagno.
Nel suo vecchio liceo il muro era pieno di scritte e di disegnini di ovvio gusto che la facevano ridere. Alla Immanuel Kant tutto era candido, sterile, impersonale.
«Mi hanno assegnato un progetto» annunciò all’amica.
«Lo dici come se si stesse per abbattere una tempesta su Berlino» ridacchiò Lexus dall’altro capo del telefono. Niky poteva sentire le voci concitate che infestavano il corridoio del liceo dell’amica. «Cosa c’è che non va?»
«Mi hanno assegnato un progetto in coppia con una persona che a Gropiusstadt non DEVE mai mettere piede» esclamò esasperata «Perché il progetto mi impone di portarlo da noi, Lexus»
«Che cosa abbiamo di male? Gli facciamo schifo per caso?» la sua voce si era inacidita appena. Lexus odiava essere discriminata.
«Non lo so» commentò Niky disperata «Ma credo che molti a Gropiusstadt lo vorrebbero usare come arma»
«Ma chi cazzo è questo?»
«Tom Kaulitz»
Sospirò, l’aveva detto. Quanti a Gropiusstadt avevano debiti con la banca del padre del ragazzo? Quanti a Gropiusstadt avrebbero voluto usarlo per arrivare al direttore in persona.
Lexus boccheggiò e Niky se ne accorse. Era un nome importante quello.
«Quel… quel Tom Kaulitz?» balbettò Lexus incredula «Il figlio di Jӧrg Kaulitz, il presidente della Deutsche Bank? L’ereditiere?»
«Sì, chi altri sennò» sospirò Niky «Sarà una castratrofe, apparte il fatto che lo dovrò incappucciare quando verrà da me, non voglio immaginare cosa mi farà Brigitte Von Ribbentrop quando lo verà a sapere»
«Von Ribbentrop?» Lexus alzò appena la voce «La smorfiosetta a cui devo spaccare il culo?»
Niky mandò un verso d’assenso ridendo silenziosamente dell’amica. Era così iper protettiva nei suoi confronti che stava progettando insieme a Killen (il suo migliore amico ed ex ragazzo), un modo per farla pagara alla bionda.
Anche se dubitava che la riconoscessero, non l’avevano mai vista. Dubitava che Killen Werner e Lexus Thomas avrebbero mai visto la baronessa Von Ribbentrop.
«Cosa c’entra lei?» chiese l’amica.
«C’entra che stanno insieme, credo» spiegò Niky «Penso che i genitori di Brigitte l’abbiano costretta ad andare con Tom»
«Un mostro?»
«Al contrario» si lasciò sfuggire Niky «Non è per un mostro, è un figo della miseria» le disse sapendo che Lexus stava afferrando una rivista da una matricola che stava passando. La sentì sfogliare le pagine e poi mandare un versetto d’assenso.
«Ah però! Hai capito tu Tom Kaulitz» esclamò «All’ereditiere ci darei una ripassata volentieri, tutto quel ben di Dio in mano di una smorfiosa titolata... che spreco».
Eccola, Lexus la pervertita. Niky, suo malgrado, sorrise divertita. La immaginava con quella rivista in mano a guardare il visino del suo compagno di progetto, gli occhi castani assotigliati in un’espressione maliziosa.
«Lexus…»
«Che c’è?» chiese lei.
«Concentrati» la riprese Niky.
«Lo sai che la mia capacità di concentrazione va da uno a cinque secondi, poi mi perdo» piagnucolò l’amica mentre restituiva la rivista «Dicevamus?»
«Dicevamo che io, con Tom Kaulitz, non voglio lavorare se quella strega bionda cercherà di ostacolarmi in ogni modo» annunciò Niky alzandosi dalla sua posizione. Si sistemò i pantaloni che si erano ritirati fin sopra le caviglie e prese la via della porta.
«Ma se è solo lavoro perché dovrebbe rompere il cazzo, scusa? Finite la ricerca, consegnate il progetto ed è tutto finito no?»
«Sembra così facile» sospirò la mora mentre sostava davanti allo specchio.
«Hai paura che ti salti addosso?» chiese Lexus ridacchiando «è per questo che temi Brigitte?»
Niky spalancò gli occhi iniziando a ridere nervosamente. Ma cosa stava dicendo Lexus? Come poteva lei, Nicole Carter, ad attrarre Tom Kaulitz?
Non era certo da buttare ma… non era nessuno.
Guardò la sua immagine allo specchio. Gli occhi turchesi la guardavano con aria incerta, scorrevano sul suo viso dai tratti dolci ed infantile, sulle lunghe ciglia scure che incorniciavano i suoi occhi di un brillante turchese. Aveva una pelle pallida evidenziata da quei capelli di un nero corvino legati in una disordinata coda che lasciava svolazzare alcuni capelli, quasi elettrizzati.
Il suo naso era adornato da un anello sulla narice sinistra e un brillantino per il suo Monroe sul lato destro. Se lo erano fatte lei e Lexus per i sedici anni –accompagnate dai genitori ovviamente-. Apparte Bill e Tom, alla Immanuel Kant nessuno aveva un piercing. Era considerato da delinquenti, quello che però aveva notato era che a Tom e Bill non avevano mai detto assolutamente nulla.
Si toccò una guancia e si accorse che la sua pelle era liscia e levigata, una fortuna.
«Ma sei pazza!?» esclamò la mora «Come pretendi che Tom Kaulitz mi salti addosso, tu non hai visto Brigitte»
«Ma smettila Secchia» ridacchiò Lexus «Che sei bellissima»
«Lexus?»
«Sì?»
«Tom Kaulitz non vuole saltarmi addosso» precisò con un sospiro.
Lexus rise e la sua risata divertita fu investita dal suono della campanella della Immanuel Kant. Niky sospirò sapendo a cosa andava in contro e si affrettò a congedare l’amica «Lexus, io devo andare dal professor Mardock, vado ad incontrare l’ereditiere, ti chiamo appena sto in metro»
«Ok Secchia Strenzetta, ricordati di passare da me oggi?»
«Ok, ti voglio bene Ciuccia» le disse e prima di suscitare l’iralità di Lexus attaccò.
Con l’umore sotto i piedi si trascinò verso il secondo piano dove aveva appuntamento con il Professore e Tom Kaulitz. Sperava che non ci fosse Brigitte o sarebbe scappata a gambe levate.
Sotto lo sguardo di tutti –perché il Caso Umano della scuola non passava mai inosservato- Niky ciabattò verso la grande porta di pesante mogano e rifiutò ancora di guardare il Castello di Chalottenburg da quelle fastidiose finestre.
Non ce la faceva davvero più a vedere lo sfarzo di quel posto.
Con evidente irritamento e rassegnazione abbassò la maniglia ed entrò nella classe. Mardock ancora non c’era in compenso Tom era in perfetto orario. Sedeva ad un banco con in mano il suo costosissimo e super nuovo e ultra piatto I-Phone 5g nero. Niky guardò di sfuggita il suo usatissimo, scassatissimo Nokia 5300 e se lo nascose nella tasca. Aveva una certa vergogna a farsi vedere con il suo fido amico mattone con lo sportellino traballante. Niky osservò il ragazzo toccare pigramente lo schermo del cellulare e sbuffare.
Da quando stava aspettando?
Chiuse la porta abbastanza violentemente per attirare l’attenzione dell’ereditiere. Il ragazzo sobbalzò voltandosi, finalmente, in direzione della ragazza. Le sorrise solare, un sorriso che colpì allo stomaco la mora. Sorrise nervosa e si avviò verso il banco accanto al suo.
«Ciao» trillò  lui osservandola.
Era nervosa, lo vedeva dal modo in cui sbatteva contro ogni cose che le capitava a tiro imprecando sotto voce. Le ragazze che frequentava non imprecavano come scaricatori di porto e questo rendeva davvero unica quella ragazza.
«Ma porco cazzo» sibilò a denti stretti quando si impigliò con una manica ad una sedia. Si liberò facilmente e si lasciò ricadere sulla sedia.
«Tutto bene?» le chiese Tom.
Lei annuì infilandosi, sempre nervosamente, una ciocca di capelli dietro un’orecchio «Tutto bene, perché?»
«Perché sei andata contro ad ogni cosa dentro questa stanza» le disse dolcemente e divertito. La osservò arrossire e ne provò un’immensa tenerezza.
«Ehm…» balbettò grattandosi la testa «Oltre ad essere di un altro quartiere non sono minimamente aggraziata come le principessine della Immanuel Kant» spiegò sorridendo «Sono parecchia goffa»
«E imprechi come uno scaricatore di porto, sì» ridacchiò l’ereditiere sempre più divertito.
«Scusa»
Che figura di merda, pensò Niky.
Aveva incontrato due volte Tom Kaulitz e tutte e due le volte gli si era presentata come una gan sfigata. Si complimentò con se stessa e abbassò il viso.
Aveva fatto la figura della maldestra povera imprecatrice.
«Ehi, mi piace» si sbrigò a precisare Tom con un sorriso «Le ragazze che conosco sono tutte uguali»
Ed era vero, questo Niky lo saeva perfettamente. Si era sempre chiesta come una persona munta di una personalità, come i Kaulitz, riuscisse a vivere in un mondo tanto falso e omologato.
Lei stava soffocando e vi era solo sei ore al giorno weekend escluso. «Capisco» disse soltanto.
Cosa poteva dirgli?
Lei a Gropiusstadt aveva amici così diversi tra di loro che non erano mai d’accordo, ognuno scintillava di personalità e individualità. Ognuno dei suoi amici aveva un modo di vederla e di comportarsi diverso, erano variegati e per quel motivo si divertivano come i matti.
Ebbe un forte attacco di nostalgia e si strinse le braccia in una specie d’abbraccio.
«Comunque io sono Tom Kaulitz, piacere» le disse allungando una mano.
«Nicole Carter» sorrise stringendo la grande mano del ragazzo. Aveva il tocco ruvido, aveva sempre immaginato il contrario.
Era stata una semplice stretta di mano ma, per un attimo, Niky aveva sentito una scarica elettrica carica di presentimenti in tutto il corpo.
Ed era vero, il Karma ti colpisce con un bel calcio nel sedere.







   
 
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