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Autore: cloe cullen    17/02/2012    40 recensioni
CONTINUO DI "QUI DOVE BATTE IL CUORE"-
“Kristen, perché Joy sta dicendo a tutti che ti sei fatta la pipì add..”
Si bloccò quando vide la grossa pozza ai miei piedi e il suo sguardo si alternò da quella a me. Mi bastò che i nostri occhi si incrociassero per sapere che aveva capito benissimo che non era pipì.
Impallidì così velocemente e così in fretta che mi sentii in dovere di fare una battuta per risollevare la situazione.
“Lo sapevo che il super sperma non avrebbe fallito”
Deglutì quasi visibilmente. “Stiamo per avere un bambino?”
E, nonostante la paura, gli sorrisi. “Stiamo per avere un bambino”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You are my BF Buon sera girls!!!! 
Eccoci qui con un nuovo bel capitolo hihihihihi. Joy alle prese con una tappa temuta ed odiata da tutti i bambini del mondo: l'asilo O___O. Io personalmente piangevo ed imploravo mia madre di non lasciarmi ueueueueu ma poi mi sono dovuta mettere il cuore in pace. E lei che farà?? Mumhauhahumaumha vedremo u__U
Ok, detto questo vi vogliamo ringraziare ancora una volta per tutto l'affetto, le recensioni e l'amore con cui ci seguite qui e con cui sclerate con noi su fb. Grazie ancora, siete tutte magnifiche  *----* anche se come sapete già la ff verrà postata senza un giorno fisso di postaggio. Con le altre ff e la vita reale che rompe purtroppo non possiamo fare altrimenti :(
Un consiglio? Sposatevi un miliardario così da poter scrivere e leggere ff tutto il santo giorno *___*.
Vi lasciamo alla lettura e
...enjoy ;D


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CAPITOLO 9 (Fio)


YOU ARE MY BOYFRIEND





KRISTEN POV



“Joy!”
Chissà per quale motivo speravo davvero che mi figlia mi ascoltasse nonostante non avesse minimamente preso in considerazione i miei precedenti richiami.
“Joy, amore, ti prego. Apri.”
“NO!” urlò lei, cocciuta, dall’altra parte della porta.
“Andiamo, tesoro. Vedrai che ti piacerà!”
“No, no, no e no!”
“Ma ieri ti piaceva così tanto…”
“E oggi non mi pace più!”
Sicuramente mi avrebbe fatto una linguaccia se l’avessi avuta di faccia ma immaginai che non avrebbe rischiato di aprire la porta solo per una smorfia.
Sbuffai iniziando a considerare la possibilità di scavalcare il balcone della nostra camera da letto e arrivare al bagno camminando sul cornicione, sempre sperando di avere la grazia di trovare la finestra aperta; ma probabilmente quella piccola peste che, nonostante i suoi quattro anni e tre mesi scarsi, sapeva chiudersi in bagno, aveva pensato anche a bloccare ogni altra entrata. O forse no…
“Che succede?” disse Rob, salendo l’ultimo gradino delle scale.
Indicai semplicemente la porta e sicuramente Rob notò la mia espressione avvilita.
“L’hai chiusa dentro!?” esclamò, isterico.
“Sì, perché infatti sono così intelligente da chiudere nostra figlia in bagno. Ci si è chiusa da solo, idiota.”
“Non è un po’ troppo presto per chiudersi in bagno?” cambiò subito argomento lui. “Come dobbiamo fare con queste donne, ometto?” continuò, scuotendo un po’ Alex per poi lanciarlo in aria un paio di volte.
“Rob, ha mangiato.”
Si fermò immediatamente, memore dell’ultima disastrosa volta.
“Perché si è chiusa dentro?”
“Perché non ti chiedi come fa a sapere come ci si chiude dentro?”
“Anche.”
“Quello non lo so. Comunque dice che non le piace la divisa e non vuole metterla.”
“Ma se ieri l’adorava.”
“Infatti! Ma si tratta di tua figlia…”
“E… quindi?” strabuzzò gli occhi.
“Quindi è lunatica come te.”
“Ma per favore! Qui la lunatica sei tu, semmai. E comunque è chiaro che si tratta di una scusa.”
Mi illuminai come se avesse appena detto l’ultima cosa a cui sarei mai andata a pensare. “No, ma dai! Davvero? Non ci avevo proprio pensato, sai?”
Mi riservò un’occhiataccia tra il divertito, il sarcastico e l’offeso.
“Tieni Alex, ci provo io” rispose passandomi il piccolo che si accucciò al mio petto.
“Joy? Tesoro?” tentò un approccio leggero accostandosi alla porta da cui provenne un sonoro “Che vuoooooi?”
“Voglio che apri subito la porta, okay? Non devi chiuderti dentro.”
“E io ho detto che non la vollio mettele quella cota!”
“Joy ti conviene aprire se non vuoi fare arrabbiare il papà, o entro da solo.”
“Tanto è chiuto a chiave e io lesto qui pel semple. Non mi metto quella cota e non vado a cuola!”
“Ah sì? E come pensi di mangiare? Guarda che il mangiare sotto la porta non ci passa e la mamma non cucina per le bimbe cattive.”
“Mi mangio l’acqua oppule muoio di fame!” risuonò la sua voce, attutita da quella dannata porta.
Rob mi guardò, divertito. Ricambiai il sorriso ma solo per poco, giusto il tempo che mi serviva a realizzare che restare chiusa in bagno non era del tutto sicuro per una bambina di quattro anni. C’erano lamette in giro, forbicine nei cassetti, acqua e corrente a poca distanza l’una dall’altra. Dovevamo farla uscire da lì prima che la cosa mi facesse impazzire.
Come se mi leggesse nel pensiero, Rob si allontanò dalla porta, entrò in camera nostra e ne uscì pochi secondi dopo con una forcina per capelli.
“Seriamente…?” commentai sarcastica.
“Conosco le serrature inglesi come le mie tasche. Non hai idea di quante volte l’abbia fatto.”
“Guardaci, dopo tanti anni  ci sono ancora cosa che non so di te. Che cosa carina.”
Sperai cogliesse l’ironia nella mia voce ma ciò che davvero mi importava al momento era che tirasse Joy fuori da quel bagno.
Armeggiò diversi minuti senza alcun risultato.
“Sembra che tu sia arrugginito, scassatore” lo presi in giro cullando Alex che iniziava ad essere irrequieto. Ormai dormiva con ritmi quasi regolari ma… superfluo dire che non amava particolarmente stare fermo, non amava nulla di statico in effetti.
“Devo chiamare un fabbro?”
“Sta’ zitta. Mi deconcentri!”
“Mi scusi, signor conosco-le-serrature-inglesi-come-le-mie-tasche.”
Passarono altri minuti, niente. Continuavo solo a tenere Joy impegnata con stupidi tentativi di convincimento, sperando che nel frattempo uscisse di sua spontanea volontà.
“Faremo tardi…” commentai tra me e me proprio nel momento in cui la serratura fece uno strano rumore, la porta scattò e si aprì davanti a noi, mostrando Joy che stava comodamente seduta sul water, nuda.
Assunse la faccia della paura quando ci vide, espressione alla ‘come diamine avete fatto?!’. Le fu subito chiaro che il suo piano di sfuggire al primo giorno d’asilo stando chiusa in bagno non aveva avuto grande successo.
“Allora, signorina” iniziò Rob battendo il piede sul pavimento in segno di minaccia. “Che facciamo?”
Joy esitò diversi secondi prima di ingoiare un nodo di saliva che aveva in gola e saltare giù dal gabinetto per tentare una fuga. Rob fu più veloce di lei, ovviamente, e la prese proprio nel suo tentativo di passargli sotto le gambe.
“Lattamiiiii. Lattamiiii papaaaaà!”
Senza rispondere, Rob la strinse più forte impedendole i movimenti e la portò nella nostra camera da letto. Li seguii e mi limitai a guardare la scena di come lui la lasciava andare sul letto e si divertiva a baciarle il pancino con la bocca, causando urla e rise svariate e a decibel allucinabili. Niente di più sereno alle nove meno dieci del mattino.
Oh cazzo, le nove meno dieci. Cioè dieci minuti alle nove, ovvero venti minuti prima dell’inizio delle lezioni. Non ce l’avremmo mai fatta.
“Cazzo!”
“Papà! Mamma ha detto catto! Ola la devi picchiale!”
“Tranquilla, amore. Papà punirà per bene la mamma più tardi…” E mi beccai un’occhiata di rimprovero misto a un carico di sottintesi non indifferente.
Come poteva pensare a queste cose ora?
“E la mamma punirà tutti e due se non siete pronti tra dieci minuti!”
Tesi Alex a Rob, approfittando del fatto che richiedesse la sua attenzione, ma nel mentre Joy si era nuovamente incupita e, appena mi avvicinai, strinse gambe e braccia così da rendere impossibile infilarle anche solo l’intimo.
“Joy, ora basta, dai!”
“Ma mamma… non mi piate quella divita. Pule tu hai detto che è tupida, ti ho tentita!”
Evitai di guardare Rob per non ricevere un altro dei suoi sguardi accusatori ma non si fece mancare il rimprovero.
“Poi ti meravigli che non voglia metterla.”
“Non ho detto che è stupida.”
Alzò un sopracciglio, segno che non l’avrebbe mai creduto.
“Okay, forse l’ho detto ma non… Cioè… è carina, dai… Però… Non so... Nemmeno a me farebbe piacere che mi dicessero cosa mettere. Soprattutto se è qualcosa a scacchi.”
“Kristen, le divise a scuola sono essenziali per l’uguaglianza e la disciplina…”
“…disse quello che è stato espulso da scuola…” e stavolta fui io a metterlo al tappeto.
“Che vuol dire che papà è tato epulto da cuola?”
“Che andava tanto bene a scuola ed è stato premiato!” improvvisò lui e lo fulminai con lo sguardo, ma lui rispose con un occhiolino. “Sai, papà la metteva sempre la divisa a scuola.”
“E io non tono come te allola.”
Mi costrinsi a reprimere un sorriso. “Bel tentativo, amore” bisbigliai a Rob.
“Joy, ieri ti piace la divisa ed eri tutta emozionata di andare a scuola. Perché oggi non è così?”
Tentativi di convincimento pre-primo giorno di scuola in dieci minuti o meno.
Se ci fossi riuscita, avrei scritto un manuale per quelle povere disgraziate che si trovavano nella mia situazione al momento.
“Allora…?” chiesi ancora quando lei chinò il viso, triste.
“Pecchè non… non conocco nettuno…e io vollio tale a cata co voi…”
“Tesoro, sai che la mamma e il papà devono lavorare…”
“Pelò Alex all’atilo non ci va…”
“Perché è ancora troppo piccolo. Quando avrà la tua età, ci andrà anche lui.”
“Vi plego, potto tale qui? Oppule dai nonni? Non gli do fatidio, lo giulo!”
Oh Dio, non poteva guardarmi con quegli occhi così chiari, sinceri, supplicanti e… in lacrime.
Guardai Rob in cerca di aiuto perché, accidenti, stavo crollando. Sarei crollata se fossi stata da sola.
Rob si sedette sul letto accanto a lei, sistemò Alex tra le sue braccia al meglio, e carezzò le guance di Joy.
“Cucciola, ma qui o con la nonna non hai mai niente da fare. Vedrai che lì ci sono maestre bravissime che vi faranno fare tanti giochi e conoscerai tanti bambini, farai tanti nuovi amichetti…”
“Non li vollio li amichetti…” sussurrò triste. “Se poi non li piaccio?”
E bastò quella piccola frase a spezzarmi il cuore.
Fanculo l’asilo, stavo per dire. Fanculo i nostri propositi di aprirla un po’ al mondo esterno e farla socializzare con qualcuno che avesse meno di venti anni.
Fanculo anche il lavoro, pensai nella foga del momento.
Per qualche secondo mi pentii anche di aver accettato il ruolo, cosa mi era saltato in mente?
Trasferirsi a Londra, stare fuori casa per ore. Lontana dai bambini, lontana da Rob.
Alex aveva appena cinque mesi e Joy aveva chiaramente ancora bisogno di me.
Grazie a Dio, Rob prese la parola interrompendo quel flusso di pensieri disconnesso nonché inutile visto che non avrei comunque avuto possibilità di tirarmi indietro e… non volevo farlo. Avevo voluto quella parte, volevo farlo.
“Ascoltami…” disse Rob a Joy alzandole il mento e facendo scendere una lacrima sulla guancia. “Tu sei la bimba più bella e intelligente di questo mondo, ed è impossibile che tu non piaccia a qualcuno, okay? E se qualcuno dice il contrario dovranno vedersela con me! Muhauha”
Inutile dire che, nonostante il tono minaccioso di Rob e l’impostazione da eroe, la piccola non sembrò per nulla convinta.
“Non attaaaacca…” sussurrai quando la vidi sospirare afflitta. Non solo facevamo sempre più tardi e i miei dubbi mi stavano mangiando da dentro; Joy iniziava anche a prendere freddo. Lo vedevo chiaramente dai brividi che iniziavano a coprirle il corpicino, eppure tentare di infilarle la maglia intima a tradimento fu del tutto inutile. Si ritirò sulla difensiva e tornò a stringere le braccia.
“Okay, piccola, facciamo così. Se ti metti la divisa e vai all’asilo, prometto che vengo a prenderti un pò prima oggi, okay?”
Vidi il viso di Joy illuminarsi come il sole mentre il mio invece doveva assumere un’espressione contrariata. Avrei voluto far notare a Rob che fare promesse non avrebbe risolto nulla e che probabilmente avrebbe richiesto sempre di più, ma quando lo vidi scrollare le spalle, in difficoltà, capii che doveva andare così. Almeno per oggi.
“Awww okay okay okay. Pelò plometti papà??”
“Mano sul cuore!” recitò lui solenne, facendoci una piccola croce al petto. “Però solo a patto che ti vesti subito, eh!”
“Tì tì tì, okay!”
E, finalmente, non se lo fece ripetere due volte e collaborò all’opera.
Dovevo ammettere che, nonostante il mio astio per ogni imposizione (soprattutto se a righe o a scacchi), quella uniforme le stava troppo bene e la rendeva ancora più bella ai miei occhi. In fondo, non era nemmeno tanto male. Il tema era a righe rosse e blu, la camicetta bianca con il colletto che richiamava la gonna e la giacchina blu sopra. Era adorabile, bellissima con gli occhi blu che si intonavano perfettamente alla giacca e i capelli biondi, ormai sul cenere, che creavano uno stacco decisamente dolce.
Rob prese la macchina fotografica e passarono altri cinque minuti a fare foto prima che ci decidessimo ad uscire ed entrare nella macchina parcheggiata sulla strada fuori casa.
John ci aspettava da almeno tre quarti d’ora eppure non si scomodò a partire subito ma perse diverso tempo a complimentarsi con Joy. Insomma, mise in moto nel momento in cui… avremmo dovuto già essere lì.
Io sarei dovuto essere già sul set ma non mi sarei mai persa un momento del genere e, nonostante avessimo iniziato da appena una settimana, avevo dovuto chiedere un permesso di qualche ora. Fortunatamente si erano dimostrati abbastanza comprensivi ma capivo perfettamente il disagio che potesse creare non avere la protagonista, soprattutto nelle prime fasi di produzione. L’avevo sperimentato con Twilight e non era risultata una delle cose più comode di questo mondo ma non avrei mai rinunciato al primo giorno di scuola di mia figlia. Potevano fare a meno di me per un’ora. Insomma, gli inglesi erano così particolari. Conoscevo Rob, la sua famiglia, i suoi (e miei) amici… ma loro sembravano sempre così sbandati e simili a noi americani che non mi aspettavo tanta tolleranza sul set.
Decisamente strani questi inglesi. Pronti offrirti un tè alle otto di mattina, anche se ti aspettano da dieci minuti, ma con la faccia contrariata se chiedi un permesso di un’ora.
I vetri oscurati della macchina rendevano ancora più cupo il cielo di Londra, già arrabbiato di sé come suo solito ad Ottobre. Eppure, per quanto assurdo fosse, a me piaceva anche quell’aspetto della città. Sarà perché non ero mai stata un’amante delle abbronzature californiane o perché uscire alla luce del sole, senza impedimenti, non era una delle cose più semplici del mondo, non per noi almeno; restava il fatto che mi piaceva il tempo londinese. Era particolare, a cazzi suoi, pronto ad esplodere da un momento all’altro. Un po’ come me da quando ci eravamo trasferiti.
Sapevo che era stata una mia scelta e non me ne pentivo ma non avrei immaginato che fosse stato così pesante. Abbandonare quel ritmo che avevo preso durante quel tempo di pausa dal lavoro per veder crescere Joy ed essere una madre presente. Aveva davvero avuto senso se ora ero lontana da casa per quasi mezza giornata, con non uno ma due bambini ancora piccoli?
Certo, Rob sarebbe rimasto sempre con loro, avrebbe letteralmente fatto il casalingo finché ce ne sarebbe stato bisogno ma… era giusto anche questo?
Quello che stavo facendo nei suoi confronti. Ero rimasta così sorpresa ed emozionata dall’idea del lavoro che non avevo pensato che lui potesse volere fare altro che stare tutto il giorno a casa; non che non gli facesse piacere, come infatti non sarebbe stato un problema per me, ma erano anni che lavorava all’album. Anni che continuava a coltivare quel progetto in silenzio, entrare e uscire da sale di registrazione, comporre, scrivere, suonare… senza mai avere davvero il coraggio di farvi qualcosa, con quello che creava. Forse tutto ciò non avrebbe fatto che togliergli altro tempo, tempo che avrebbe dovuto dedicare alle sue passioni.
Potevi anche pensarci un po’ prima Kristen, mi dissi, consapevole del fatto che ormai ciò che era fatto era fatto e potevo solo ripromettermi di ripagargli il tempo che mi stava regalando.
“Kristen? A che pensi?”
“Eh? Oh, no. A niente. Siamo arrivati?” cambiai subito argomento, notando che la macchina era ormai ferma.
“Già” disse lui, sgranando un po’ gli occhi in attesa dell’apocalisse.
Riuscire a convincere Joy ad uscire dalla macchina fu praticamente impossibile così che dovetti prendere Alex dalle braccia di Rob, in modo che lui potesse stringersela e coccolarsela per bene mentre camminavamo verso l’entrata e la rassicurava sulla promessa fatta a casa.
L’asilo era privato, ovviamente, come quasi tutte le scuole di Londra ma ne avevamo scelto uno perfettamente normale, non uno di quelli prestigiosi dove  di solito i figli delle persone famose giravano con tacchi e cravattino. Non volevamo che Joy crescesse in un’ambiente dove la puzza si respirava sotto al naso, volevamo che fosse trattata per quello che era e non per i genitori che aveva. Parlammo con le maestre per qualche minuto, mentre John teneva d’occhio Joy, e ci raccomandammo su quelle che erano le nostre paure.
“Joy è… una bambina molto solare e aperta ma ha avuto pochi contatti con bambini della sua età…” ed infatti quello era stato uno dei motivi per cui non avevamo aspettato un altro anno per iscriverla all’asilo.
“Capiamo perfettamente, signora Pattinson. Non tutti i bambini sono uguali, ognuno ha modi di approccio diverso ma siamo sicure che si troverà benissimo qui.”
Annuii alla donna dai capelli biondi che aveva parlato per entrambe.
“Avete i nostri recapiti telefonici. Per qualsiasi cosa, chiamate me” intervenne Rob omettendo il fatto che Joy aveva anche un proprio cellulare. Una decisione del genere era stata forzata da circostanze praticamente ovvie. Certo, non lo aveva sempre con sé se non in situazioni particolari e noi le avevamo fatto capire che poteva usarlo solo se davvero ne avesse avuto bisogno, ma era decisamente un modo per stare più sicuri.
Sbofonchiai un po’, contorcendomi le mani, massacrandomi il labbro inferiore. Joy non voleva venirci all’asilo, ed era abbastanza comprensibile, ma la verità era che ero io quella ad avere una fottuta paura a lasciarla lì. Un conto era essere lontana da lei ma saperla con Rob, altra storia era immaginarla qui, lontana da entrambi, magari seduta da sola in un angolo e…
No, non dovevo pensarci. Sarebbe andato tutto bene.
Alex iniziò a piagnucolare, come sempre quando ero ferma con lui in braccio per troppo tempo, e mi ridestò dai miei pensieri.
“E’ un amore, posso?”
Ero così gelosa di lui, dei miei figli in generale, che ero sempre restia ad affidarli ad estranei… anche se non lo davo a vedere.
Da brava attrice, allargai le labbra in un sorriso e glielo porsi.
“Noi…” lasciai la frase a metà indicando Joy che aspettava, nervosa, qualche metro più in là. Anche da lontano potevo vedere quanto forte stringesse la mano di John.
“Sì, certo, fate pure.”
Io e Rob ci guardammo velocemente prima di andare da lei e accovacciarci alla sua altezza. Ed eccolo di nuovo, il faccino triste di quella mattina completo di occhi imploranti e bocca corrucciata su se stessa.
“Andrà tutto bene, vedrai. Sono solo poche ore…”
“E scommetto che quando verrò non vorrai nemmeno tornare!”
Joy lasciò la mano di John e si buttò tra le nostre braccia.
“Pelò… pelò tolnate velo? Io ci sto pule qui… pelò voi dovete tolnale. Non mi lassiate qui.”
“Amore, certo che torniamo” mi affrettai a dire, massaggiandole la schiena.
Rob le diede un bacio tra i capelli e la distanziò un po’ per poterla guardare bene.
“Hey, cucciola, cosa abbiamo detto prima?”
“Che… che vieni a plendelmi siculamentele…?”
Sorrisi.
“Esatto.”
“E che altro?”
“E che… se tuccede quaccosa batta che ti chiamo e tu vieni qui…”
“Perfetto. E io vengo a prenderti anche un po’ prima e mi troverai esattamente qui e poi ci andiamo a prendere una bella crepes insieme ad Alex, okay?”
Joy annuì debolmente.
“Eh, però non la voglio vedere questa faccina triste, se no poi il cielo diventa nero nero e si mette a piangere e non possiamo andare da nessuna parte, e non sarebbe tanto bello, no?”
“No…” rispose, scuotendo il capo e tirando un po’ su con il naso.
“E allora lo fai un sorriso al tuo papà che se no piange?”
Joy esitò diversi secondi prima di annuire, alzare il viso, e accennare un sorriso.
“Ah, e cos’era questo? Ti sembrava un sorriso? No, no! Voglio un bel sorriso!” e prese a farle pernacchie nel piccolo incavo del collo, facendola ridere e tirandola un po’ su di morale.
Restammo qualche altro minuto per le ultime raccomandazioni e infine, salutandola con un bacio sulla guancia da entrambi, la lasciammo alle insegnanti e ripresi Alex in braccio. Dio, iniziava anche a farsi pesante, soprattutto imbottito com’era.
“Pensi che starà bene? Abbiamo fatto la cosa giusta, vero?”
Esposi i miei dubbi a Rob mentre la macchina mi accompagnava sul set.
“Starà bene, è giusto così, Kristen. Deve avere altri spazi oltre a noi…”
“Detto da chi passerà la giornata appostato fuori l’asilo nel caso succedesse qualcosa, non fa una piega, vero?”
Rob scosse il capo, fingendo che quella idea non gli fosse nemmeno passata per la testa.
“Non è assolutamente nelle mie intenzioni” disse, serio e impegnato a far fare il cavalluccio ad Alex.
“Quindi quali sono i tuoi programmi per la giornata?”
“Mi vedo con i ragazzi più tardi, o pensavo di andare dai miei e restere lì finché non si sarà fatta l’ora esatta per scendere e andare a prendere Joy, torturandomi il fegato con l’eccesso di bile, incapace di abituarmi all’idea di non averla più per casa o accanto.”
“Non fare il melodrammatico” fu il mio solo commento mentre facevo di tutto per allontanare spiacevoli ricordi che quella frase avrebbe potuto risvegliare.
“Starà bene, vedrai. Non le manca nulla, può fare tutto quello che vuole…”
Sorrisi a quelle parole e ai suoi tentativi di calmarmi. Non del tutto efficaci, ma niente che Alex non potesse risolvere; me lo coccolai ancora un po’ prima di arrivare sul set, sempre troppo presto.
“Ciao piccolino, ci vediamo più tardi”
Gli lasciai un’infinità di baci sulle guance paffute e soffici, uno dietro l’altro. Infiniti. Ero incapace di staccarmene.
Diedi un bacio a Rob e feci per scendere dalla macchina ma lui mi bloccò, afferrandomi la mano.
Mi voltai a guardarlo.
“Andrà tutto bene. Te lo prometto.”
E delle promesse di Rob… potevo fidarmi.


POV Rob


“…tu che ne pensi, Rob?”
Fu solo il sentire il mio nome a destarmi dai miei pensieri. Scossi il capo e mi voltai verso Tom.
“Sì, sì è una grande idea” improvvisai sperando che andasse bene una frase del genere.
“Ah, quindi posso mettere un po’ di birra nel biberon di Alex? Grande!”
“Sì, fa’ pure…” tornai a fissare il vetro che dava sulla strada prima di rendermi davvero conto di quello che aveva detto il mio amico.
“Eh, che? Cosa?” esclamai lanciando subito lo sguardo ad Alex che era tra le sue braccia. Tom rise insieme a Marcus mentre cercavo di riappropriarmi di mio figlio, con scarsi risultati visto che nessuno dei due sembrava intenzionato a cedermelo.
“Cos’è questa mania che hai di voler far ubriacare i miei figli? Fai ubriacare i tuoi!”
“Se ne avessi, lo farei!” rise. “E comunque non è una mania, è solo l’unico modo per attirare la tua attenzione quando continui a fissare la scuola di Joy dal vetro di un pub che hai scelto appositamente a due passi dall’asilo così che se mai dovesse succedere qualcosa o dovessi impazzire senza di lei, ci metteresti meno di due secondi ad irrompere stile Superman.”
Avevo capito sì e no tre parole di quello che aveva detto, ma il senso era chiaro e ben inquadrato.
Non avevo resistito dal gironzolare lì intorno per buona parte della mattinata. Ero andato a trovare i miei, lasciato che si coccolassero Alex per una buona ora, ero tornato in centro e avevo girato per un paio di negozi portando Alex nella piccola sacca davanti al mio petto, ma il tempo sembrava non passare mai senza Kristen e Joy. Certo avevo Alex ma il contatto più ravvicinato che avevamo avuto da quella mattina era stato il cambio di pannolino.
In definitiva, mi ero trovato a camminare sempre in quei dintorni così che alla fine avevo dato appuntamento ai ragazzi lì, tanto per stare più sicuri.
Pensavo che se fosse capitato qualcosa, se Joy avesse chiamato o ci fosse stato bisogno di me, sarebbe stato più semplice se fossi stato nei paraggi. Continuavo anche a controllare il cellulare, sperando quasi di trovare una chiamata persa… Ma, no. Non dovevo essere ridicolo. Una chiamata persa avrebbe significato problemi e non volevo che Joy ne avesse. Stava andando tutto per il meglio, mi ripetei per l’ennesima volta continuando, tuttavia, a fissare la scuola e l’orologio.
“Non sono ansioso. Sono solo un po’… apprensivo. Tutto qui.”
Tom e Marcus si scambiarono un’occhiata prima che quest’ultimo mi facesse notare che i due termini erano praticamente sinonimi.
“Siete venuti solo per rompermi le palle stamattina?” scherzai, mandando giù l’ultimo sorso di birra rimasto.
“Stai rilassato, Rob. Sta bene.”
“Lo so che sta bene, ma posso essere solo un pochino ansioso? È la prima volta che passa tanto tempo sola con qualcuno che non siamo noi dopo…”
Dopo quell’incubo che spesso continuavo a rivivere nel suo surrealismo. Da allora non avevamo mai più lasciato Joy in mano ad estranei, anche per questo avevamo da subito scartato l’idea di assumere una baby-sitter e non potevamo certo chiedere a Dean o JB di prendersi cura di lei tutto il tempo. Non sarebbe stato giusto e, in fondo, ero io a sentirmi più sicuro a stare con loro. Non sarebbe stato un problema  se non avessimo deciso da tempo di iscriverla ad  un asilo e cercare di andare avanti e separarci da quella storia. Joy aveva bisogno di socializzare con la sua generazione, non con la nostra. E per lasciarglielo fare, dovevamo starle lontana, volenti o nolenti. Dopotutto quattro ore al mattino non avrebbero ucciso nessuno. Bè, forse non avrebbero ucciso Kristen che era impegnata in altro, forse non avrebbero ucciso Joy che magari avrebbe imparato ad apprezzare quella nuova esperienza, ma sicuramente avrebbero ucciso me, proprio come stavano facendo in questo momento.
Infine guardai l’orologio che segnava le dodici e un quarto e decisi che tre quarti di d’ora di anticipo potessero rappresentare bene il mio concetto di prima.
Mi alzai lasciando venti sterline sul tavolo e mi sistemai la pettorina.
“Dove vai?”
“A prendere Joy” risposi, soddisfatto, mentre riprendevo Alex dalle braccia di Tom. Lo coprii per bene, assicurandomi che il cappellino e la tuta imbottita non lasciassero spiragli, e lo sistemai di nuovo davanti al mio petto.
“Ma credevo che finisse all’una.”
“Dovrebbe sì, ma oggi le ho promesso che andavo a prenderla prima.”
“Rob…”
“Era l’unico modo per convincerla! Gliel’ho promesso!”
“Ha quattro anni, amico! Non ha la concezione del tempo!”
In effetti era vero ma… ormai mi ero già abituato all’idea di andare a prenderla prima. Era più forte di me.
“E dovrei prenderla in giro solo perché non se ne renderebbe conto? Una promessa è una promessa” terminai, solenne, credendo in ogni mia parola.
“Sei più capriccioso di lei…”
“Mio Dio…”
Li sentii commentare ma stavo già per uscire dal pub, ormai.
“Venite o no?”
“Sì, veniamo!”
Attraversare la strada non mi sembrò mai un tragitto tanto lungo come in quel momento e mi sembrò di percorrere chilometri prima di trovarmi nuovamente nel cortile dell’edificio e poi all’interno.
I bambini erano tutti nella prima sala alla mia destra, riuscivo a vederli dal vetro che separava l’ingresso dal resto e mi ci vollero appena due secondi per scorgere la testolina bionda di Joy. Era china sul suo foglio, intenta a colorare qualcosa.
Inutile dire che la faccia della signorina di quella mattina, di cui non ricordavo nemmeno il nome, fu alquanto sorpresa quando mi vide e, quando mi venne incontro, fui costretto a spiegarle il motivo del mio anticipo.
Lei sorrise e annuì, mentre i miei amici scuotevano il capo, e si raccomandò di non farla diventare un’abitudine. Annuii con vigore prima di salutarla. Entrò dentro e si chinò su Joy che, due secondi dopo, alzò il viso e si illuminò in un sorriso appena mi vide. Abbandonò tutto quello che stava facendo e corse verso di me.
Mi chinai con attenzione, dal momento in cui avevo ancora Alex al petto, e la tirai su mentre gridava il mio nome emozionata.
“Papiiii! Tei venuto finammente! Tei venuto plima come avevi plometto! Io guaddavo semple l’olologgio ma tu non venivi mai!”
La strinsi a me e lanciai un’occhiata a Tom che aveva la bocca aperta, come a rimangiarsi tutto ciò che aveva insinuato su Joy e sulla sua concezione del tempo. Evitai di precisare che ovviamente non era capace di leggere l’orologio con le lancette.
“Certo che sono venuto! Te lo avevo promesso, no?”
Sorrise e mi strinse di nuovo.
“Tao Alex!!!” esclamò, lasciando un tenero bacio al fratellino.
“Vai a prendere lo zainetto e andiamo, okay?”
“Ti, ti! Okay!”
Scese velocemente e corse verso la maestra che l’aiutò a indossare il cappottino e lo zaino in spalle. La sentii ringraziarla molto sonoramente prima di tornare da me, saltellando, per poi prendermi la mano.
“Tio Toooom!” continuò, poi, quando uscimmo dalla sala e trovò Marcus e Tom ad aspettarla. Mi lasciò andare all’istante e piombò tra le braccia dello zio.
“Cucciola! Vieni qui! Allora, fammi sentire. Ti sei divertita?”
Joy scrollò le spalle.
“Bè? Che hai fatto? Hai conosciuto qualche amichetto?”
Scosse il capo e scrollò le spalle di nuovo. “Abbiamo tolo cololato un po’… Niente di ché…” disse come una perfetta adulta.
“Uuuh e che hai colorato di bello?”
La conversazione che Tom tentava di tenere, e a cui Joy rispondeva a monosillabi, proseguì diversi minuti finché il mio amico ebbe la brillante idea di cambiare argomento e chiederle se avesse fame.
“Tiiiii, tanta fameeee.”
“Non hai mangiato la merenda che ti ha dato la mamma?”
Scosse il capo con vigore. “Mmm naaah, non mi andava. Ela senza cioccolato e io ho più fame di una melendina senza cioccolato. Voglio l’happy meal! Pottiamo, papi? Ti plego!”
Non  feci in tempo a risponderle che Tom le aveva già promesso l’happy meal più grande del mondo e se l’era messa sulle spalle correndo verso l’insegna del McDonalds più vicino.
“Questo, però, non lo diciamo alla mamma” le dissi mentre ordinavamo.
“Okaaaay, non glielo ditiamo!”
Avanzò un mignolo e io il mio per stringere il nostro patto.
Il pomeriggio passò tra un’altra visita ai miei genitori, che mi avevano fatto promettere di passare ancora per sentire da Joy del suo primo giorno di scuola e anche in quel caso fu alquanto apatica e priva di entusiasmo, e il parco.
Rientrammo a casa verso le sei circa. Joy buttò il suo zaino all’ingresso e andò a piazzarsi sul divano per vedere i cartoni. Io entrai in cucina e scongelai delle salsicce come ricordava il post-it di Kristen attaccato al frigo.
Sorrisi anche solo vedendolo. Quel caos e il vuoto in casa che derivava dalla sua assenza era iniziato da appena una settimana e già mi sembrava di impazzire senza di lei. Non sapevo come avrei resistito per tre mesi o più, sapevo solo che avrei dovuto sforzarmi e non dare a vedere quanto avrei preferito averla a casa.
Proprio in quel momento, mentre poggiavo il pacco di carne sul lavello della cucina, chiamò Kristen.
“Ti manco troppo, vero?” azzardai visto che ci eravamo salutati ai suoi ultimi cinque minuti di pausa, poco fa.
“Rob, credo di aver fatto un guaio.”
“Che è successo?”
“Sei a casa?”
“Sì, Kristen, che è successo?”
“Hai visto il post-it? Hai scongelato la carne?”
“Sì…”
“Bene, scongelane ancora. Abbiamo ospiti a cena.”
“Cosa? Chi?”
“Beh, gli altri. Un paio di persone solo, forse tre. Non lo so.”
“Kristen, di chi parli? Mi spieghi?”
“Okay, senti. C’era questa specie di cena stasera, cioè hanno organizzato tutto all’ultimo minuto, non sono riusciti a trovare un tavolo, non lo so, cioè io non volevo nemmeno andarci perché volevo tornare a casa e rilassarmi. E poi non so cos’è successo. Qualcuno ha disdetto, c’è stato un imprevisto, insomma, non lo so che mi è passato per la testa e ho detto che potevamo fare benissimo a casa nostra.”
“Cosa!? Kristen, la casa è un disastro, sono appena tornato a casa… Perché l’hai fatto?”
“Oh, non lo so, Rob! Ti ho detto che ho fatto un guaio, okay? Ma ora non posso fare niente… e… uff…”
Presi un profondo respiro. Dio, che scazzo. Avevo solo voglia di aspettarla, cenare, stare con i bambini e andare a dormire. Passare un po’ di tempo insieme, soli. Ormai l’unico spazio di tempo rimastoci era la sera quando tornava e invece oggi si sarebbe portata dietro tutto il cast.
“Okay, okay. Ehm, quanti hai detto che sono?”
“Tre. Cinque compresi me e te. Mi dispiace, amore. Non l’ho fatto di proposito.”
“Non importa…” sospirai. “Scongelo la carne e metto apposto casa. Verso che ora venite?”
“Le otto, credo.”
“Come fai a preparare una cena alle otto di sera? Vuoi che faccia un ordine al ristorante per quell’ora?”
“No, no. Mi arrangio con quello che c’è, non preoccuparti.”
“Sicura?”
“Sì, sicura.”
“D’accordo…”
“Grazie, amore. Giuro che mi dispiace ma non ho saputo come fare.”
“Tranquilla. Ho tutto sotto controllo!”
“Ti amo… davvero. Hey, devo scappare. Ci vediamo a casa.”
“Okay, a dopo. Ti amo anch…” mi bloccai quando sentii il telefono morto dall’altra parte. “Ti amo anch’io…” mormorai tra me e me prima di passarmi le mani tra i capelli.
Guardai Alex che saltava tutto felice nel suo jumper.
“Ah. Beato te” gli dissi e guardandolo ridere mi rallegrai e riuscii a chiarirmi le idee.
Prima di tutto scongelai l’altra carne, diedi una pulita veloce alla cucina, e presi Alex.
Gli feci il bagnetto, lo vestii con una tuta calda e lo sistemai nel box.
Passai a Joy e solo riuscire a convincerla a lasciare la televisione, e quindi il divano, per cambiarsi e lavarsi, fu un’impresa. A lei misi un completino di lana, gonna e maglioncino, con calze multicolore, di lana anche quelle, e i calzini antiscivolo che usava spesso al posto delle pantofole.
Mettendola sul gioco riuscii ad accattivarmela e a farmi aiutare a mettere in ordine la sua camera e il salone, dopo di ché preparammo la tavola con il servizio di vetro e tre posate ciascuno. Mi presi la briga di preparare l’insalata, una tagliata di frutta e ordinare un dolce alla pasticceria a pochi isolati da noi.
Alle otto in punto, tutto era pronto. La casa era in ordine, i bambini lavati e vestiti, la tavolo apparecchiata, Alex aveva mangiato e io…
Io puzzavo, cazzo. Come cazzo avevo potuto dimenticare di lavarmi?
Tra una cosa e l’altra avevo totalmente perso il centro della situazione e ora ero sudato e puzzavo da far schifo.
Cazzo.
E come potevo fare una doccia e lasciare Alex e Joy senza…
Doppiamente cazzo!
Non avevo molta scelta e se avessi aperto la porta in questo stato non avrei potuto guardarmi allo specchio per i prossimi sei mesi.
“Joy, papà può chiederti un favore grande grande?”
“Mmm quanto glande?”
“Guarda tuo fratello per cinque minuti, okay? Io salgo sopra ma tra tre minuti sono di nuovo giù.”
“Ma che cota devo fale?”
Guardai Alex nel suo box. In fondo non poteva succedergli davvero nulla, non in tre minuti almeno.
“Stai solo vicino lì a guardarlo e urla tanto forte se succede qualcosa, okay?”
“Okay, papi. Tlanquillo!”
“Brava la mia cucciola!” le diedi un bacio veloce sulla guancia.
“Papi, vatti a lavale che puzziiiii”
Ecco, appunto.
Ci misi quattro minuti esatti a fare la doccia, vestirmi con jeans e pullover e scendere con i capelli bagnati. Joy era ancora intenta a tenere d’occhio Alex, nella stessa identica posizione in cui l’avevo lasciata, e immaginai che non doveva essersi mossa per nulla.
Erano appena le otto e sette minuti quando iniziai a passare velocemente l’asciugamani tra i capelli e quando sentii la porta di casa aprirsi. Nascosi l’asciugamani tra i cuscini del divano, presi Alex dal box e seguii Joy che si era precipitata verso la porta, urlando.
“MAMMAAAA!”
Si buttò tra le braccia di Kristen senza nemmeno lasciarle il tempo di entrare in casa.
“Amore! Ciao! Com’è andata a scuola, allora?”
“Mmm cotì!” scrollò le spalle per l’ennesima volta quella giornata.
Kristen mi guardò velocemente per cercare una risposta più completa ma non ebbi il tempo di parlarle.
“Che hai fatto ai capelli?” mimò Kristen un secondo prima di aprire casa ai tre. Ebbi solo il tempo di scuotere il capo e scrollare le spalle.
“Rob. Charlize, Chris e Sam. Ragazzi, lui è Robert.”
Strinsi la mano a tutti facendo ben attenzione alla femmina che Kristen aveva descritto come una tosta che non faceva che renderle la vita difficile. In realtà sapeva che non era così e immaginavo fosse lei a sentirsi un po’ in soggezione lavorando con tali personalità. Continuavo a dirle che nel giro di una settimana avrebbe avuto le sue rivincite ma lei non poteva fare a meno di essere titubante al riguardo, e in effetti non potevo darle torto. Non avevo mai incontrato Charlize Theron di persona ma non ci voleva un genio per capire quanto fosse sicura di sé. Sam sembrava un tipo apposto. Di lui sapevo poco e continuavo ad identificarlo come il ‘prete che… non si sa che fine ha fatto’ in Pirati dei Caraibi. Magari avrei potuto approfittare e chiederglielo ma forse non sarebbe stata una grande idea rivelare di non aver visto il seguito. Il più enigmatico dei tre era Chris. Chris Hemsworth. Anche di lui non sapevo nulla, se non ciò che mi raccontava Kristen, che era comunque molto poco. Spesso, nell’ultima settimana, c’erano stati diversi scambi di telefonate riguardo copioni, battute e inquadramento dei personaggi, ma avevo cercato di non dar peso alla cosa e non lasciare che gelosia inutile prendesse il sopravvento.
“E’ un piacere conoscervi e avervi per cena. Scusate il casino, Kristen mi ha avvisato all’ultimo momento” sottolineai l’ultima frase con l’intento di mettere in imbarazzo mia moglie che, infatti, mi lanciò un’occhiataccia.
“Figurati, Robert. Anzi, siamo noi che abbiamo organizzato all’ultimo momento e Kristen si è offerta di cucinare per noi.”
“Meglio per voi, è un’ottima cuoca.”
“Sì, l’ho sentito dire” intervenne Chris.
Non potei nemmeno esaminare il tono della sua affermazione prima che Charlize fosse catturata da Alex e Joy.
“Oddio, questi devono essere loro, vero?”
“Sì…” sussurrò Kristen. “Lei è…”
“Joy! Piacele!” disse la piccola senza peli sulla lingua e allungando una manina verso Charlize.
“Oh, piacere mio!” rispose allungando le braccia.
Con grande sorpresa, Joy vi andò senza pensarci ma non esitò a chiedere me quando Kristen prese Alex dalle mie braccia. La nostra vita con i bambini era un continuo passamano, in effetti.
“Quindi voi tiete quelli che lavolano con la mamma?”
“Già, siamo noi.”
“Oh” sussurrò, scrutando Sam e Chris attentamente. “Allola tiete voi quelli che se fate quaccosa con la mamma, papà ha detto che vi spezza le gambine…”
Due colpi di tosse, forti e potenti, invasero la stanza mentre io davo un pizzicotto a Joy.
“Ahi! Papà! Pecchè mi hai dato un pittico?”
“No, tesoro, non è vero.”
“Tì, invece. L’ho tentito. Ah, di nuovo!”
“Non si inventano le cose, Joy. Quante volte dobbiamo dirtelo?”
“Ma voi dite che devo semple dile la velità!”
Charlize rise e le sussurrò qualcosa sull’onestà, di quanto fosse una grande qualità, e lo pensavo anche io finché mia figlia non trovava sempre un modo per farmi fare le migliori figure di merda.
“E chi è questo ometto?” fu Sam a interrompere l’imbarazzante momento.
“Lui è Alex” lo presentò Kristen, scioccandogli un bacio sulla guancia. “Fai ciao, Alex. Fai ciao.”
Il piccolo si limitò a guardare gli estranei con sospetto prima di sbrodolare e nascondersi nel petto di Kristen.
“E’ un po’ timido…” lo giustificò lei prima di rendersi conto di stare intrattenendo un’intera conversazione all’ingresso.
Ci spostammo nel salone e mostrai casa mentre Kristen macchinava qualcosa in cucina. Grazie a Dio non ci mise molto e presto ci raggiunse in salone, dove venne presto a scoprire del pranzo di Joy. La piccola traditrice si coprì subito le labbra e mi guardò supplicandomi di perdonarla.
“Cusa papi, mi è cappato!”
Inevitabilmente ridemmo tutti. Ecco qual era il grande dono di quella bambina: riusciva a mettere tutti di buon umore con un sorriso, una frase, un gesto. Ogni cosa di lei trasmetteva gioia.
“Quindi, Robert, se ho capito bene… Tu sei il casalingo della situazione?”
In effetti c’era da dirlo, che Charlize non aveva peli sulla lingua o, se ne aveva, dovevano essere quanti quelli di Joy.
“Bè, detta così sa tanto di straccione, ma sì.”
“Ti occupi dei bambini tutto il giorno?”
“Esatto.”
“Wow. E il tuo lavoro? Cosa fai?”
“Niente di fisso, al momento” restai sul vago senza rivelare il proposito di pubblicare un album, prima o poi. Io stavo bene così, non avevo bisogno di lavorare. L’avevo fatto tempo prima, mentre Kristen era sola con Joy, ma stavamo perfettamente bene così, non avevamo davvero bisogno di altre entrate. Se accettavamo lavori era per il semplice amore per ciò che facevamo. Questo aveva spinto Kristen ad accettare la parte e me a restare a casa. Passavo il tempo con i miei figli e nel frattempo scrivevo, pensavo, suonavo. Cosa avrei potuto volere di più? Certo non dovevo preoccuparmi che qualcuno facesse i conti nelle nostre tasche.
“E’ ammirevole, comunque. Sei molto fortunata, Kristen.”
Vidi la mia ragazza chinare il viso e arrossire visibilmente. Spesso, nonostante gli anni, mi capitava di trovarmi a pensarla come mia ragazza piuttosto che come mia moglie, e mi piaceva. Forse perché una parte di me continuava a vederla come una ragazzina; quella fragile e, allo stesso tempo, forte e indecisa ragazzina che aveva rubato il mio cuore e mi aveva fatto penare mesi prima di aprirmi il suo.
Mesi, anni, decenni. Non avevano importanza. Lei sarebbe sempre stata la mia ragazzina, mia e solo mia.
Tra una cosa e l’altra la conversazione si spostò in cucina, dove Kristen aveva servito un semplicissimo ma ottimo piatto di spaghetti al sugo, quel sugo italiano che le veniva così bene e che di solito doveva stare a cuocere una giornata intera da portarmi a chiedere come avesse fatto a farlo venire così buono in un’ora. Pensai anche che probabilmente lo aveva già pronto e lo aveva solo riscaldato. Sarebbe stato tipico di lei e nessuno l’avrebbe mai capito difatti non mancarono complimenti vari.
Non potei fare a meno di tenere d’occhio Chris tutta la serata. Quell’uomo dallo sguardo incomprensibile mi creava qualche problema, anche se sapevo che non avrebbe dovuto. Probabilmente ero solo molto prevenuto nei suoi confronti ma, ogni volta che guardava Kristen, mi dava fastidio… il ché era assurdo considerando che anche Sam la guardava mentre parlava. Eppure, non riuscivo a spiegarlo, c’era qualcosa nel modo in cui lui guardava lei, così attento e preso, così mio, da farmi sentire quasi violato in ciò che avevo di più sacro. Solo io guardavo Kristen in quel modo, solo io potevo guardarla così.
Cercai di non pensarci offrendomi di mettere a letto i bambini.
Alex dormiva già e, fortunatamente, non si svegliò nel passaggio dal passeggino alla culla.
Joy, ovviamente, fu tutt’altra storia. Come accadeva sempre quando c’era gente in casa, cercò di trattenersi il più possibile finché non le demmo un ordine vero e proprio.
“Okay… andiamo… uffi… Pelò devi laccontalmi la favola papi, te no non mi addolmento pecchè ploplio non ho tonno…”
“Sì, te la racconto. Tranquilla.”
“Vado io se vuoi…” disse Kristen ma con un semplice gesto della mano rifiutai.
“Bacino.” Indicò la sua guancia e Joy si alzò sulle punte per baciarla.
La piccola peste, la stessa che non aveva sonno, crollò in meno di venti minuti.
Quando tornai a sedermi al tavolo e informai Kristen di aver provveduto alla frutta e al dolce, la conversazione tornò ai tasti che aveva già toccato prima.
“Oh mio Dio, Kristen, e lavori anche con un uomo così in casa? Se mio marito avesse avuto anche solo un quarto delle qualità del tuo… bè, forse lo avrei lasciato lo stesso ma con più rammarico, no?”
Kristen sorrise, annuì, le sussurrò qualcosa e nel giro di pochi secondi, complice il vino, la cena si trasformò in una specie di momento-confessioni.
“Questo mondo può distruggerti in due secondi se non riesci a reggerlo…”
E tante volte l’avevo pensato anche io, tante volte ero arrivato ad avere paura di quel mondo prima di capire che con Kristen non avrei dovuto temere nulla del genere.
Non c’era niente di Hollywood in noi.
Charlize continuava a ripetere quanto Kristen fosse fortunata e presto anche Chris si unì alla lagna raccontando del suo imminente divorzio.
Restai in ascolto quasi passivamente ma solo quando notai l’espressione più che sorpresa di Kristen e degli altri, capii che quella doveva essere una vera e proprio confessione, qualcosa che nessuno ancora sapeva e che il vino aveva contribuito a far uscire fuori.
“E lei vuole tenere il bambino. Sto lottando con gli avvocati per… Ah, non lo so. È un gran casino…”
Mi sentii subito in pena per lui. Se mi avessero tolto la possibilità di vedere i miei figli non sarei riuscito ad andare avanti. Nel vero senso della parola.
Stavo per dirgli qualcosa quando Kristen mi precedette. Gli prese una mano e sussurrò qualcosa come ‘coraggio’ e ‘andrà tutto bene’ e a me diede un fastidio enorme. Sapevo che non dovevo sentirmi così, sapevo che stava semplicemente consolando un amico ma, cazzo!, mi dava fastidio.
“Ah, tranquilli. E comunque nessun dolore può competere con un suo destro, signorina” disse rivolgendosi a Kristen.
Risero senza che io potessi capire a quale strana situazione facessero riferimento.
“Non era così forte, dai!”
“Kristen, mi hai steso a terra.”
“Non è colpa mia se sei un pappamolle!”
“Non sono un pappamolle, mi hai colto impreparato.”
“Piangevi!”
Lei prese a ridere, forte.
“Non.Piangevo. Tu, piuttosto, impara cosa vuol dire finzione prima di tornare sul set. Stiamo recitando, hai presente?”
“Posso capire?” intervenni prima che strappassi la tovaglia con le mia stesse mani.
“Ah, oh… Scusa, ehm… Niente, dovevo dargli un pugno per finta oggi, ma mi è scappato davvero e l’ho messo KO.”
“Ah…” commentai apatico.
“Ecco, appunto. Finta. Cerca sul dizionario.”
“Dio, che pesanteee. Ti ho chiesto scusa mille volte. Quasi piangevo io per il dispiacere.”
“Certo, prima di andare in giro a vantarti soddisfatta.”
Risero tutti. Tutti tranne me e Alex che irruppe col suo pianto nel baby-phone.
Mi alzai, senza dire nulla.
“Rob, resta. Vado io.”
“No, resta tu.”
Kristen mi venne dietro e mi afferrò la mano per fermarmi.
“Dai, mangia il dolce, fai andare me.”
“Kristen, resta tu!” urlai, lasciando la sua mano.
Rimase immobile con il labbro inferiore stretto tra i denti e gli occhi che si stringevano sempre più.
“Scusa…” bisbigliai. “Vado… vado io, okay? Resta con i tuoi amici.”
E quel tuoi, per qualche motivo, mi uccise. Forse perché i nostri amici erano sempre stati nostri. I miei, suoi. I suoi, miei. E ora invece mi trovavo tre estranei a cena e non potevo fare a meno di sentirmi una barca alla deriva in quella nuova parte della sua vita.
Senza aggiungere altro, salii in camera e addormentai Alex in dieci minuti, eppure restai lì a guardarlo dormire tra le mie braccia e pensare. Per molto, molto tempo ancora, finché non sentii le voci all’ingresso e la porta di casa che si apriva. Con calma riposi Alex nella culla e lo coprii per poi scendere frettolosamente le scale e scusarmi per l’assenza usando la scusa del bambino.
“Tranquillo, Robert. È stato un vero piacere conoscerti…” biascicò Charlize, decisamente un po’ brilla. Sorrisi e annuii stringendo la sua mano e, di malavoglia, anche quella di Chris. Ci scambiammo un solo sguardo incomprensibile prima che lasciassero, finalmente, la casa.
“Sei sparito.”
Kristen si voltò verso di me con sguardo serio.
“Alex non riusciva ad addormentarsi…”
“Per un’ora e un quarto? Seriamente, Rob? Dio, almeno abbi la decenza di non prendermi in giro, non sono idiota!”
Non risposi.
“Avevo bisogno di te stasera. Sai quanto ci tengo a questa cosa, sai quant’è difficile per me tornare a lavorare dopo aver passato mesi e mesi ferma. Sai quanto facilmente mi senta fuori luogo o in difficoltà, lo sai e sei semplicemente sparito. Lo so che stai facendo grandi sacrifici per me in questo momento, so che non è il massimo per te non avere un vero minuto solo per te stesso. Lo so e ti ringrazio per quello che fai, lo sai anche tu. Ma cos’era quello… non so, quello che hai detto, quel tono di voce? Perché? Cos’era? Una scenata di gelosia concentrata in due parole? Anzi, non voglio nemmeno sapere questo. Non mi interessa la gelosia. Mi interessa sapere dov’eri stasera, Rob. Dov’eri? Puoi badare ai bambini tutto il giorno, puoi soccorrermi quando ti chiamo disperata, puoi tagliare la frutta e ordinare un dolce... Ma se devi fare questo sacrificio e poi urlarmi contro quando torno a casa, è meglio che finisco qui.”
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, incapace di reggerli. Erano troppo in quel momento e non facevano altro che farmi sentire una merda.
“Vado a farmi un bagno.”
E così restai solo. Solo in un salone vuoto. Con i miei pensieri e in cerca di un modo per chiederle scusa.
Quando Kristen scese e venne a sedersi sul divano accanto a me, non ne avevo trovato ancora uno valido. Finii per voltarmi verso di lei, la maglia del pigiama che aderiva al suo seno, il sublime profumo dei capelli, gli occhi più verdi del solito.
“Scusami…” dissi con tutta la semplicità del mondo.
E non ci fu bisogno di dire altro, come sempre. Erano piccole liti, ma erano nostre anche quelle e le adoravo proprio per la capacità che avevamo sempre avuto di comprenderci con poche parole.
Kristen sorrise e passò una mano tra i miei capelli.
“Sai cosa ho pensato quando sono entrata in casa e ti ho visto con i capelli bagnati?”
Scossi il capo lentamente mentre lei si avvicinava sempre più al mio viso e le sue labbra al mio orecchio.
“Ho pensato che avrei voluto sbatterti al muro e sentire le tue dita dentro di me.”
Inghiottii un groppo di saliva mentre lei mordicchiava il lobo del mio orecchio e si sistemava perfettamente a cavalcioni su di me. Le mie mani furono subito sulla sua vita, sulle natiche, sulla schiena. Ovunque.
La mia bocca sul suo collo per salire sulla mandibola e poi nella bocca.
“Perché proprio questo pensiero…?” biascicai facendo entrare una mano nei pantaloni della tuta che usava come pigiama.
“Mmm… ricordi quando… quando in albergo facevamo la doccia insieme… e tu uscivi gocciolante e… con quei capelli bagnati che… Ah…”
Carezzai il suo interno coscia spingendomi sempre più dentro, continuando a muovere la mia mano mentre lei si muoveva sopra di me, ma qualche secondo prima di portarla al piacere, tolsi la mano velocemente e l’alzai per togliermi il suo peso dal corpo.
“Cosa…?”
La lasciai ansimante, entrai in cucina, immersi la testa sotto l’acqua e, tornando di là, tolsi la maglia restando in canottiera.
“Oh mio Dio…”
Riuscii appena a percepire il suo sussurro prima di avventarmi di nuovo sulle sue labbra e riportarla sul mio corpo e le mie mani di nuovo su di lei e in lei.
Ansimò di piacere fino a posare dolcemente la sua fronte contro la mia.
“E comunque… sei carino quando fai il geloso…”
“Sapevo che ti piaceva…” ansimai nell’attesa di avere quella pace che avrei trovato solo in lei.
“Sì ma non serve a nulla… Il mio ragazzo sei tu. Sarai sempre e solo tu.




Awwwwwwwwwwwww sei anche il nostro ragazzo mio caro Rob awww ma come sono carini, anche se ehm...i nuvoloni grigi si avvicinano inesorabilmente o è una nostra impressione?? U____U ehm...
Ok, nella realtà Chris è felicemente sposato e in attesà di un bebè dalla moglie (awww auguri *_*) ma visto che la nostra ff è ambientata nel futuro ci siamo immaginate che lui e la moglie si siano lasciati e che purtroppo lei nn gli faccia vedere il figlio, tutto questo a fine narrativo. Non vorremmo mai mandare secce al povero Chris u___u sia mai.
Poi...una domanda che ci preme..
Ma voi avete capito che fine ha fatto il prete missionario (tutte le volte che scrivo sta parola mi vengono in mente cose porno u.u anyway) nell'ultimo film dei Pirati dei Caraibi? Noi propendiamo per la teoria che sia diventato un 'sireno' u__u
Ok ahahah vi lasciamo e alla prossima ;D
   
 
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