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Autore: Chia_aihC    06/03/2012    3 recensioni
«Mi ucciderai?» sibilò di nuovo, dopo un lungo silenzio da parte del suo carceriere.
Ancora silenzio.
«Sì, credo di sì.»
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14. Terra e fuoco

 
«Mademoiselle Weeder, come procede la vostra permanenza?» la voce del signor Lacroix le arrivò flebile, lontana.
Si era addormentata nella poltrona del salotto al primo piano, con un libro aperto tra le mani, di cui ormai aveva perso il segno, e Alex acciambellato tra i piedi.
Era passata un’intera settimana dal loro arrivo alla sede parigina del concilio dei tamer e non era successo nulla di eclatante. Non aveva effettivamente visto nessuno, a eccezion fatta di Alam e di due o tre persone che portavano cibo per lei e per lui. Per fortuna questo voleva anche dire che non si era più imbattuta nemmeno in Bruno. Forse il ragazzo era tornato a Venezia e non l’avrebbe più rivisto!
«Procede, signor Lacroix. Alam non è tranquillo, in ogni caso. Non sopporta l’immobilità.» sussurrò.
Dire che il vampiro non fosse tranquillo era veramente un eufemismo. Aveva avuto il permesso di rimanere nella stessa stanza con lui, ma Alam non ne usciva mai: non poteva andare a cacciare e questo lo rendeva irrequieto, irritabile... pericoloso. Lei doveva sempre esser presente, ogni volta che portavano loro da mangiare. Chiunque entrasse veniva percepito da Alam come una minaccia o, peggio, una preda. Era da due giorni che non veniva più nessun umano, ma apparivano solo vampiri. Non era certamente stata una soluzione felice.
I vampiri, vedendola, impallidivano improvvisamente e i loro occhi subito si dilatavano e diventavano neri, come quelli di Alam. Alam aveva sempre gli occhi neri, sempre, anche dopo cinque bicchieri di sangue. Non gli bastava mai, non era che un palliativo quel sangue, ed era sempre più aggressivo. Così, ogni vampiro che entrava per lui rappresentava una minaccia e Anghel faceva fatica a trattenerlo dal reagire, dallo scagliarsi contro l’intruso. Aveva come l’impressione che i vampiri che incontrava, così come i rari esseri umani che aveva incocciato, non aspettassero altro che una reazione violenta da parte loro, un pretesto per aggredirli a loro volta e finirli. In un certo senso sapeva che la soluzione ideale a tutto quel problema stava nell’eliminazione di Alam. Se il vampiro fosse morto, nessuno più le avrebbe dato la caccia, non vi sarebbe stato più un motivo di pericolo. Sarebbe potuta tornare a casa e cercare di ricostruire qualcosa, anche solo una parvenza di vita.
Ma questo era un pensiero per lei inammissibile! Non avrebbe mai osato far del male ad Alam, non poteva; sarebbe stato come ferire se stessa, uccidersi a sua volta.
Quel che non capiva ancora era perché nessuno gliel’avesse proposto! Alam era un “esemplare raro”, così le era stato detto, raro e pericoloso per la sopravvivenza del concilio, allora perché nessuno mai le aveva prospettato l’ipotesi di eliminare il problema base? Si aspettavano certo un suo rifiuto... ma perché non tentare effettivamente di ucciderlo? Attendevano veramente l’occasione in cui la morte di Alam sarebbe risultata necessaria per legittima difesa? E perché mai poi? Nessuno sarebbe andato a denunciare la scomparsa di un vampiro. A tutto questo aveva pensato in quei giorni, mentre era intenta a portare avanti alcuni lavori che si era prefissata per mantenersi occupata.
Il secondo giorno aveva saputo, dal signor Lacroix, che in Italia lei era stata data per scomparsa. Il giorno dopo il suo arrivo a casa, i suoi vicini erano andati dalla polizia per chiedere sue notizie, dal momento che non l’avevano vista rientrare. Una volta saputo che non si era nemmeno recata alla stazione e che nessuno l’aveva più vista, erano partite le ricerche e ancora adesso si stavano svolgendo.
«Povera polizia italiana, l’hai lasciata con un pesante problema da affrontare! Chissà quante e quali congetture sono state proposte, tutte ovviamente collegate all’assassinio dei tuoi genitori.»
Il tono con cui il capo dei tamer le aveva comunicato la notizia l’indispettì immensamente. In realtà, pensandoci bene, a darle fastidio fu la consapevolezza di non aver minimamente pensato a cosa sarebbe accaduto dopo la sua fuga: sì certo, i genitori non c'erano più ma non per questo non esistevano altre persone a lei legate. Eppure non aveva dato il minimo peso a queste nella scelta delle sue azioni, non aveva preso seriamente in considerazione le conseguenze della sua sparizione. Si diede della stupida per aver ingenuamente creduto che decider di sparire avrebbe automaticamente comportato l'annullamento della sua identità e del suo passaggio.
«Ci siamo presi la libertà, già quando Bruno e Jahèl sono stati inviati in Toscana per recuperarti, di prelevare tutti i soldi del conto corrente tuo e dei tuoi genitori e di riversarli su questo conto, così potrai muoverti indisturbata senza dover rientrare in Italia e fornire spiegazioni inutili.» disse poi, passandole un foglio intestato di una banca di cui Anghel ignorava l’esistenza.
Erano tutti i dati necessari del suo nuovo conto, compreso un calcolo veloce del totale a cui ammontava il patrimonio lasciatole in eredità dai genitori. Anghel strinse quel pezzo di carta pieno di lettere e cifre, pensando a quanto fosse stupida tutta quella situazione, a quanto poco contavano ora quei soldi in confronto a tutto quel che era accaduto... a quanto sembra vano quel che prima aveva avuto valore...
«Certo, se ritieni necessario modificare, o spostare il denaro in una banca a tua scelta, sei libera di farlo. Abbiamo preferito agire noi, avendo i mezzi per eludere i controlli delle forze dell’ordine. Anche volendo, ora, non sei rintracciabile se vorrai prelevare qualche cosa.» disse sorridendo il signora Lacroix.
Sarò rintracciabile da voi, però.” pensò irritata. Iniziò ad andarsene, ringraziando e cercando di mantenere un tono freddo e distaccato. Con risultati molto scarsi tra l’altro.
Fu l’unica volta che lo vide in quella settimana. Era riuscita a evitarlo nei giorni a venire, ma ora che se lo trovava davanti si accorse di non avere nessuna voglia di parlare con lui.
«Se vorrete scusarmi, ora devo salire da Alam, tra poco è il tramonto.» disse, guardando stancamente il capo del concilio.
«Certo! Se permette un consiglio riguardo Alam...» iniziò.
Anghel si era già avviata verso l’uscita del salotto, con Alex che le trottava accanto placido e silenzioso. Si voltò di scatto. Non le piaceva il tono di Lacroix, per niente. Specialmente quando parlava di Alam: la sua voce sembrava diventar velenosa e al contempo titubante, come se sentimenti contrastanti girassero nell'animo di quell'uomo ogni volta che pensava al vampiro.
«Dovrebbe legarlo al letto, durante il giorno almeno. E la sera portarlo nel giardino della casa. Ci sono molti animali che girano liberi e il vampiro avrebbe la possibilità di cacciarli, così da soddisfare il suo istinto. A renderlo inquieto, come ha detto lei, è l’immobilità e l’assenza di quell’azione che più gli è congeniale.»
«Il sangue di animali non basterà. È solo un palliativo e sarà utile per una notte, forse due.» sussurrò lei, trattenendo la rabbia.
Le parole di lui sembravano sollevarsi tutte verso la fine, come se Lacroix stesse ridendo, immaginandosi Alam steso sul letto, legato, a strattonare le catene e poi accucciato la notte, tra gli alberi, col corpo di qualche piccolo animale tra i denti. E ancora, come sempre, una punta di malinconia, in contrasto con le parole, si leggeva nello sguardo del vecchio: sembrava sempre combattuto, ma anche deciso a mostrare apertamente l'odio verso Alam e non la tristezza che questo comportamento sembrava comportare. Anghel decise che era stanca di cercar di cogliere le motivazioni e le intenzioni di quell'uomo: aveva altro da pensare e di lui poco le importava.
«Potrebbe sempre offrirgli il suo, di sangue... son certo che lui lo brama moltissimo.»
Anghel uscì, trattenendo a fatica l’impulso di sbattere la porta.
Ancora poco, ancora poco...”
 
***
 
«Alam? Alam...»
La mano di Anghel si posò tremante sulla sua spalla. Alam alzò la testa, lentamente. Doveva muoversi con calma, prestate estrema attenzione. Non poteva rischiare di colpirla, non lei. Lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto se non fosso stata il suo tamer.
La guardò. Aveva le pupille dilatate e le iridi che gli riempivano tutto l’occhio, lo sapeva, era così da giorni. Qualsiasi essere vivente gli appariva come preda, le vene ancora più visibili, sotto la pelle sottile. Sentiva il lento fluire del sangue nella stanza, il suo, quello di lei, quello di tutti coloro che erano nella casa... solo il sangue nel calice non fluiva. Era morto. Lo manteneva in vita, in forze, ma non lo saziava. Peggio che il sangue di animali!
«Devi resistere ancora pochissimo, Alam. E’ quasi tutto pronto, te lo giuro! Ci ho messo più del previsto, ma dovevo stare attenta!» sussurrava lei, la preda...
Alam si passò la lingua tra i denti, perennemente allungati.
«Ho fame...» rantolò.
Ormai non parlava quasi più, ringhiava, lo sapeva bene. Ma non gl’importava. Non voleva parlare, voleva cacciare... allungò una mano verso di lei, verso il suo collo bianco nell’oscurità della stanza. Quel che diceva non aveva senso, non aveva importanza... solo il sangue... aprì la bocca di poco e si avvicinò a lei. E un senso di nausea lo pervase, colpendolo allo stomaco talmente forte da rigettarlo indietro, contro la parete, abbattuto. La guardò desiderando fortemente che lei non fosse lei e che quel sangue non profumasse invitante.
«Alam...» sussurrò.
Era accucciata ancora davanti a lui, non si era mossa nemmeno di un passo. Eppure non gli aveva dato il permesso! Lo aveva respinto! Aveva avuto paura e non lo aveva invitato!
Il sangue del tamer deve avere un sapore buono... troppo buono... così buono da dover essere protetto da me...” pensò.
Riusciva ancora a pensare con lucidità per buona parte del tempo. Era diverso, non era come anni prima o anche solo un mese addietro, in cui non c’era altro che la caccia e la ricerca di lei a occupargli la mente e solo l’istinto a guidarlo. Solo di questo si era trattato. Anche ora c’era la caccia, la caccia che gli veniva proibita e che lo chiamava con urgenza. E c’era Anghel, da proteggere... e c’era l’istinto che gli diceva di non bere dalla coppa di sangue. Ma lui beveva, beveva ogni sera, andava contro l’istinto! Perché Anghel gli aveva detto di farlo Anghel e istinto. E lui, in mezzo, aveva scelto. Ringhiò sommessamente contro nessuno.
«Alam mi dispiace! Ti prometto che tutto finirà prestissimo!» Anghel gli si fece più vicina, osando addirittura mettergli una mano sulla guancia, sollevandogli il viso.
Lo guardava.
Preda!” ringhiò vorace una parte di lui. “Tamer...” sussurrò dolcemente un’altra ancora. Chiuse gli occhi, permettendole di sedersi accanto a lui, di prenderlo tra le braccia e cullarlo. Il suo profumo di umana lo travolse, un profumo così buono, il più buono che mai avesse sentito dacché ricordava... chiuse gli occhi.
Lo cullava, dolcemente, carezzandogli i capelli in tutta la loro lunghezza. Nessuna differenza pareva sussistere tra di loro, semplicemente due creature di questa terra, abbracciate, come tante altre. Ma lui sapeva, era ben cosciente che tra loro vi era più che una diversità. E questo rendeva quell’abbraccio qualcosa di nuovo, di mai visto... di proibito... scacciò subito quei pensieri, era da tanto che voleva rimanere così, con lei. Non avrebbe rovinato tutto! Non quella notte, non adesso che l’aveva stretta a sé. Il suo odore di sangue, buono, così umano, lo inebriava; la sensazione di poterne bere anche solo una goccia lo mandava in estasi. Ma lei doveva sapere bene che, in realtà, ad eccitarlo di più era la consapevolezza di averla lì, a portata di mano, e di non poterla toccare. E quindi non gli dava il consenso a berlo, mai... e a lui, ovviamente, la situazione andava più che bene! Doveva rimanere così... sempre... per sempre...
«Alam... Alam svegliati! Devi mangiare...»
Alam aprì gli occhi. Anghel lo stava scuotendo. Era steso sul pavimento e lei era accucciata accanto a lui. Tra le mani stringeva una coppa di sangue. Si alzò, tranquillo, senza fretta. Aveva fatto un sogno, ne era certo seppur non lo ricordasse con attenzione. Ma era stato un bel sogno e ancora ne godeva gli effetti: il corpo rilassato, la mente più serena. Prese la coppa dalle mani di Anghel e la guardò, mentre bevve tutto il contenuto in un sol sorso. Avevo uno sguardo strano, Anghel, sembrava preoccupata.
«Alam... domani, quando verrò a chiamarti, tu verrai a prendermi.»
Alam lasciò cadere il calice, svuotato, la bocca ancora sporca di rosso si aprì automaticamente:
«Sì...» rantolò.
 
***
 
«A cosa devo la vostra presenza qui, monsieur Leonardi?» la voce annoiata di Lacroix arrivò flebile alle orecchie di Bruno, distratto dai numerosi libri alle pareti e dalla luce accecante che invadeva la stanza.
Era appena arrivato da Venezia e non si era ancora riposato. Suo zio non gli aveva dato tregua.
«Sono qui su richiesta di mio zio, monsieur Lacroix. È... preoccupato per la sorte di Anghel Weeder.» rispose.
Era venuto solo, Jahèl questa volta era rimasta con suo zio. Fuori era una bella giornata, il parco della villa del concilio sembrava chiamarlo da dietro le vetrate oscurate, promettendogli fresco e ombra, promettendogli un mondo reale, di luce.
«Capisco...» fu la laconica risposta che ottenne dal capo del concilio.
Quell’uomo lo innervosiva, l’aveva sempre fatto sin da quando, da ragazzino, era stato portato al suo cospetto, presentato come futuro tamer di Jahèl. Si era dimostrato necessario: in quanto vampira millenaria aveva un notevole valore per il concilio e, di conseguenza, i suoi tamer dovevano esser resi noti e sufficientemente educati.
In realtà suo zio non aveva dovuto insistere molto per inviarlo nuovamente a Parigi. Lui stesso voleva vedere Anghel. Il loro ultimo incontro... bè... non era stato diverso rispetto a quelli precedenti! La trattava male, la trattava sempre male da quando era scappata da Venezia.
E la colpa non era sua, doveva dirglielo. Lui stava bene solo a Venezia, era tranquillo solo quando poteva sentire dalla sua finestra l’odore del mare, l’odore acre e pungente di quel luogo. Era il suo rifugio. Averla avuta come compagnia nel suo piccolo tempio sul mare, quei pochi giorni, chiacchierare con lei era stato strano, piacevolmente strano. Ed era attratto da lei, Jahèl aveva ragione, troppo attratto: il vederla così vicina ad Alam gli faceva montare dentro una tale rabbia che nemmeno lui riusciva a spiegarsi completamente. Sapeva, razionalmente, che Alam e lei erano legati indissolubilmente da qualcosa che trascendeva la comprensione umana e che ben poco aveva a che fare con i sentimenti. Nonostante questo era geloso, immensamente geloso! Lui poteva averla accanto tutto il giorno, lei gli si stringeva ogni istante...
«La preoccupazione di tuo zio, per quanto comprensibile, è altamente fuori luogo. Non esiste angolo più impenetrabile di questo, i nostri due ospiti sono al sicuro da qualsiasi attacco e la casa viene sorvegliata notte e giorno!» Lacroix lo distrasse dal proprio torrente di pensieri.
«Capisco...» questa volta toccò a lui dirlo.
E si trattenne dall’aggiungere i propri timori per una possibile fuga di quelli che lui chiamava “ospiti”.
«Allora, se non le dispiace, vorrei passare a salutarli, prima di tornare a Venezia e riferire a mio zio che non vi sono pericoli di alcun genere.»
«Tuo zio si è preso molto a cuore le sorti di questa ragazza e del suo vampiro, Bruno. O sbaglio?»
Perché si sentiva sempre sotto inchiesta quando parlava con quest’uomo?
«La giovane è minacciata da due o più vampiri, i quali potrebbero facilmente raggiungerla e ucciderla. Anche volendo tralasciare le conseguenze che la sua morte potrebbe avere per tutti noi, credo che sia più che naturale il suo coinvolgimento emotivo.»
«Il suo e anche il tuo, se non intendo male il tuo comportamento.» insinuò Lacroix e, prima di lasciargli il tempo di dire alcunché, proseguì:
«Certamente, l’ombra che ricade sulla morte dei tuoi genitori, sulla morte del fratello di Samuele, deve pesare molto sulle vostre anime. Nemmeno con l’aiuto di tutti i membri del concilio si è mai riusciti a far chiarezza su quell’increscioso episodio.»
Bruno tacque, non aveva la minima intenzione di dar corda a quell’uomo su nessun argomento, men che meno sulla morte dei suoi genitori.
«La ragazza sarà da qualche parte nella casa, a quest’ora del giorno. Esce sempre quando è certa che il suo vampiro sia addormentato. Puoi andare ora.» lo liquidò.
Bruno uscì dallo studio e finalmente trasse un profondo respiro. Gli sembrava di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo del colloquio. Cosa voleva ottenere il capo del concilio, menzionando la morte dei suoi? E cosa avranno mai veramente significato le parole riguardo a suo zio? Ma, soprattutto, e quello era un dubbio che lo tormentava da quando aveva lasciato Parigi qualche giorno prima, il concilio stava facendo sul serio delle ricerche per scoprire chi si celasse dietro gli attacchi ad Anghel? Da quando l’aveva consegnata direttamente nelle mani del concilio si era sentito costantemente un senso di colpa gravargli sulle spalle. L’aveva ingannata. Era certo che, se si fossero impegnati tutti assieme, loro quattro sarebbero potuti entrare nell’Hôtel des Invalides senza problemi e avrebbero svolto ricerche. Non era stato sincero con lei, aveva eseguito gli ordini che gli erano stati imposti: trovarli e portarli in una sede del concilio, a Venezia preferibilmente, ma alla fine una valeva l'altra.
Lavorava per loro da anni ormai, gli erano state affidate molte mansioni, nonostante lui non fosse ancora effettivamente un tamer. Era così, gli avevano detto, che si svolgeva nei tempi passati: i tamer presiedevano alle riunioni e i membri delle famiglie svolgevano le pratiche burocratiche e organizzative. Un’associazione molto privata e altamente selettiva, una società segreta. I primi anni era stato quasi emozionante lavorare lì. Si sentiva come un agente scelto, un eletto, aveva accesso a dati governativi di molti paesi, svolgere lavoro sul campo gli faceva dimenticare la sua vita passata, quella perduta. Era un po’ come una droga, un’ubriacatura ogni giorno. Una vita nuova dove nulla della vecchia era riuscito a infiltrarsi e l'unica cosa importante rimasta era trovare chi aveva ucciso i suoi. Ma era solo una facciata, un fragile pannello di carta da zucchero. Ben presto tutto era diventato routine, risultati sulle indagini sull’omicidio dei suoi genitori non arrivavano, i vampiri divennero una presenza normale nella sua vita.
Si accorse di odiare tutto quello e rimpiangere il passato. Si convinse che non si sarebbe più salvato da quella condizione, che non ne sarebbe uscito. Mai.
Era prigioniero del concilio... proprio come lo era ora Anghel.
Per questo doveva vederla, per spiegarle tutto quello che la rabbia gli aveva impedito di dirle prima. Per farle comprendere e per chiederle scusa. Lei non centrava nulla, in quella storia, non avrebbe dovuto trattarla in quel modo e lui doveva imparare a contenersi, a distinguere il ruolo che Alam avrebbe sempre avuto nella sua vita. Jahèl aveva ragione... niente e nessuno avrebbero mai potuto ambire a quel che legava quella ragazza al vampiro...
Si stava dicendo questo mentre, con passo lento, si dirigeva verso un punto non ben precisato della casa alla ricerca di lei.
«Bruno?»
Si voltò di scatto. Anghel era lì, alle sue spalle, proprio ai piedi della scala che conduceva ai dormitori riservati ai vampiri. I lunghi capelli le ricadevano sulle spalle, leggeri, le carezzavano la pelle nuda delle braccia senza che lei se ne accorgesse. Lo guardava come se avesse visto un fantasma... doveva essere spaventata da lui e di certo non poteva biasimarla.
«Sei tornato.» disse, stringendo ancora più forte il libro che teneva tra le braccia.
Era un grosso tomo, dall’aspetto antico. Per un istante si chiese cosa stesse leggendo.
«Ho saputo che tu e il tuo vampiro state bene. Mio zio era preoccupato per la vostra situazione.» disse, freddo.
Ma che gli prendeva? Non si era forse detto che doveva scusarsi con lei? Che razza di tono gli era mai uscito fuori? “Calmo, devi stare calmo!”. Che cosa possedeva Anghel in grado di alterarlo in quel modo?
«Stiamo bene, sì... certo, Alam preferirebbe di gran lunga non restare qui. Non sopporta quest’immobilità forzata... lo distrugge.» disse lei.
Bruno la guardò, sentì una scossa attraversargli la spina dorsale, un brivido. Lo aveva provato altre volte in sua presenza. Abbassò lo sguardo per poi risollevarlo su di lei, senza nemmeno accorgersi del lieve tremore nelle sue mani.
 
***
 
Aveva sceso la scalinata distrattamente, concentrata unicamente sull’immagine di se stessa che riportava il pesante volume nello studio da cui l’aveva preso il giorno precedente. Era un libro che parlava del nord della Francia, mostrava le località più interessanti della regione dell’Ile de France e le strade più veloci da percorrere. Lo aveva sfogliato con cura durante tutta la notte assieme ad Alam.
In realtà, prelevarlo così spudoratamente da quella stanza non le era parsa un’idea molto intelligente, all’inizio, ma nessuno era andato da lei a reclamarlo o a chiederle spiegazioni; il che le fece pensare che la sorveglianza a cui erano costretti non era poi così stretta. Forse non ritenevano possibile una loro fuga; forse le misure di sicurezza all’esterno erano più efficaci di quanto lei sperasse, così efficaci da non richiederne altre; forse ancora non avevano considerato quello tra le loro possibili armi...
Non le restavano molte cose da fare, al momento. Durante gli ultimi giorni era riuscita in tutto ciò che si era prefissata. Non era stato facile: aveva dovuto fingere di lavorare ad altro, di distrarsi con altro per non attirare troppo l’attenzione. A quanto pareva nessuno si era accorto di nulla.
Doveva solo riportare il libro al suo posto e poi tutto sarebbe stato pronto... anche Alam...
Per cui non si aspettava certo di veder Bruno in fondo alle scale. Aveva dato per scontato che lui e Jahèl non si sarebbero trovati nelle vicinanze. Claude poteva anche non risultare un problema, ma la presenza di due vampiri millenari era un’altra cosa, complicava un po’ la situazione e Alam non era certo in una forma smagliante! Inoltre, non aveva scordato la paura che il giovane veneziano le aveva messo durante il loro ultimo scontro.
Immancabilmente, le prime parole che il ragazzo le rivolse le fecero gelare il sangue nelle vene e lo vide scomporsi davanti a lei, irrigidirsi durante la sua risposta: le labbra tremarono impercettibilmente e strinse i pugni fino a farsi diventare le nocche pallide. Non avrebbe dovuto nominare Alam, ma lui aveva chiesto di entrambi e le era venuto spontaneo parlargli anche del vampiro.
«Dovrebbe imparare a controllare meglio i suoi impulsi. Per una settimana d’immobilità non dovrebbe agitarsi tanto!» sibilò il giovane, stringendo gli occhi.
Anghel scese gli ultimi gradini, spostandosi subito verso lo studio a cui era diretta, ben decisa a non intrattenersi più del necessario.
«Non vedo perché dovrebbe. La caccia è nella sua natura e, dal momento che è più che in grado di controllarsi durante i suoi pasti, non è assolutamente necessario che lui vi rinunci!» sbottò mentre si allontanava.
«Lo difendi sempre, non è così?»
Bruno l’aveva seguita, era a pochi passi da lei, alle sue spalle.
«Sono il suo tamer, mi preoccupo per lui.» replicò lei.
Quel discorso non avrebbe portato a nulla, ne era consapevole. Sapeva perfettamente l’opinione che Bruno aveva dei vampiri, era a conoscenza del suo odio per loro. Anghel si era chiesta quale sarebbe stata la sua reazione se le cose per lei si fossero svolte in modo differente... come si erano svolte per lui. Anche lei avrebbe disprezzato Alam? In fondo, era bastato un tassello di legno intagliato a farle credere che lui avesse ucciso suo fratello e quello era stato più che sufficiente per pensare di ucciderlo. Anzi, non aveva nemmeno sprecato un attimo: era andata a casa, aveva preso un coltello e lo aveva pugnalato due volte. Senza pensare alle conseguenze, aveva agito e basta. Avrebbe odiato anche lei i vampiri se non fosse stata il tamer di uno di loro? In fondo, erano due vampiri che le avevano tolto i genitori e forse un altro le aveva ucciso Alex. Eppure non li odiava... perché c’era Alam?
Bruno non aveva Jahèl, non era il suo tamer, era differente.
«Questo discorso non ci porterà da nessuna parte! La vedremo sempre in modo diverso, tu e io... tu difendi un mostro e io difendo la razza umana.»
«Alam non è un mostro! E io non sto proclamando lo sterminio degli uomini solo perché mi preoccupo per lui!» sbottò, girandosi di scatto, improvvisamente dimentica di quel che doveva fare.
Se lo trovò a meno di un passo da lei, il volto arcigno che la fissava, gli occhi stretti che la inchiodavano sul posto tanto era il disprezzo che emanavano.
«Sai quante persone deve aver ucciso nel corso dei secoli il tuo caro vampiro? Puoi solo immaginare quante ne ucciderà? Quante famiglie resteranno private dei loro cari solo per placare la sua fame? Quanti Alex e quante madri e padri sono stati e verranno sterminati? E quante Anghel piangeranno per loro? Alam è un mostro!» sibilò, marcando l’ultima frase con particolare enfasi. «Oh, scusa, mi sbagliavo... tu non piangi per loro. A te basta che il tuo Alam sia vivo, del resto non importa.» sussurrò infine, sogghignando.
Anghel impallidì, inorridita.
«Tu non sai niente... non hai il diritto...» balbettò.
«Diritto di dir cosa? La verità? Ti è bastato meno di un mese in contatto con lui e sei stata tu quella contagiata dal mostro.»
Anghel girò la testa, ben decisa ad andarsene. Lui aveva torto, aveva pianto, lo aveva fatto, con Alam al suo fianco che le carezzava i capelli. E ancora piangeva di notte, nella stanza sola con lui, quando non trovava più niente con cui riempirsi la testa. E lui stava sempre accanto a lei, smetteva persino di ringhiare e si calmava per poter cullare lei.
Alam non era un mostro e lei nemmeno, di questo era certa! Per cui, quel misero essere umano che non aveva trovato niente di meglio che sfogar la propria frustrazione su di lei poteva anche andarsene a passeggio col diavolo, stringendo tra le mani un mazzo di ortiche e camminando scalzo su un sentiero di cocci di vetro infetti! Non c’era altro da fare che girarsi e andarsene. Era venuto lì per conto dello zio, aveva visto che era ancora viva e il suo compito poteva dirsi concluso! Quindi non avevano più niente da dirsi.
Bruno non era d’accordo...
 
***
 
Era appena uscita, gli aveva detto di tenersi pronto. Guardò lo zaino che c’era sul letto, contenente poche cose, un misto tra quelle che si portava dietro lui solitamente e quelle di lei.
Alex zampettava irrequieto per la stanza, tenendolo a distanza.
Non si fidava di lui.
Sinceramente, al momento, nemmeno lui si fidava molto di se stesso. Guardava l’animale esattamente come aveva guardato Anghel. Affamato. Una cosa positiva di quel dannato calice era che riusciva a dargli un briciolo di lucidità, sufficiente per comprendere che il gatto era assolutamente vietato! La bestiola, da parte sua, non era molto fiduciosa.
Lo teneva sotto controllo, mantenendosi in costante movimento e mostrandogli le piccole zanne ogni volta che i loro sguardi s’incrociavano. Alam non rispondeva alle provocazioni, non era il caso. Anghel gli aveva assicurato che presto sarebbero andati via da lì e che lui avrebbe potuto cacciare quanto gli pareva, per sfogarsi. Si fidava di lei, dello sguardo angosciato che gli rivolgeva. Lo rassicurava. Era come se in quegli occhi ci fosse un’oscurità avvolgente, pronta a proteggerlo, a cullarlo, ad addormentarlo senza doversi preoccupare di nulla.
Fu il gatto il primo ad accorgersi che qualcosa non andava. Si mise a grattare verso la porta, miagolando agitato. Alam alzò gli occhi. Aveva deciso che, per il quieto vivere, non lo avrebbe degnato della benché minima attenzione fino al segnale di Anghel. E il segnale non c’era ancora stato. Raschiava furioso contro la porta, miagolando e guardando verso di lui, come se cercasse di dire qualcosa.
Deve esserti costato parecchio...” si trovò a pensare il vampiro, osservando il piccolo corpo scuro che si dimenava come un pazzo, scattando da lui alla porta senza sapere bene dove andare.
E poi lo sentì anche lui.
Il cuore di Anghel era più forte, più veloce, impazzito. Lontano...
Sta succedendo qualcosa.” pensò, mentre persino il suo, di cuore, si metteva a correre più velocemente del normale. Sentì le mani che iniziavano a prudergli e i muscoli del corpo che si tendevano, automaticamente, come richiamati da una forza primordiale che lo spingeva, lo preparava, verso lo scontro. Di scatto si girò verso il letto, agguantando lo zaino con una mano. Nella bocca sentiva crescergli la salivazione.
Era come se da anni non fosse riuscito a cacciare niente e ora le catene che gli avevano imposto si stessero sgretolando.
Il cuore di Anghel ebbe un sussulto e così il suo. Il gatto iniziò a strillare sempre più forte, sempre più insistente. Piccole unghie feline gli arpionarono il polpaccio. Abbassò lo sguardo verso gli occhi brillanti dell’animale. Sembrava rimproverarlo. Non aveva tempo di rimaner lì a crogiolarsi in quella splendida sensazione di libertà! Sogghignò.
Questo non ti piacerà...” e, preso per la collottola, ficcò di forza Alex nello zaino aperto, permettendogli solo di uscire con la testa. Fu così rapido che l’animale non si accorse di nulla, fino a quando non fu immobilizzato completamente. Alam si stupì nell’ammirare la calma con cui la bestia rimaneva all’interno della borsa... determinata, come se avesse sempre saputo che quello era il posto riservato a lui.
ALAM!”
Sangue!
 
***
 
«Lasciami andare!» la sentì strillare, sotto di sé.
L’aveva spinta contro la parete, con tale forza da farle cadere il pesante libro dalle braccia. La testa le aveva ciondolato avanti un attimo e poi era sbattuta indietro, andando a colpire una porzione di muro. Vide una goccia di sangue colarle da una tempia. Alla sua sinistra c’era una colonna riccamente decorata e lei vi aveva picchiato contro. La vista di quella piccola ferita, normalmente, lo avrebbe fatto sentire immensamente in colpa, si sarebbe profuso in scuse, si sarebbe allontanato, l’avrebbe calmata.
Ma quella non era una situazione normale.
Lui non era normale, non con lei: la vedeva e sentiva una forza che gli montava dentro, la rabbia cresceva a dismisura ogni volta che lei nominava Alam, il desiderio di toccarla diventava qualcosa d’irrefrenabile.
Guardò la goccia di sangue che scendeva contornandole il viso, guardò i suoi occhi spalancati, sbarrati, la bocca aperta in un urlo che non le riusciva di emettere. Voleva chiamare Alam, non era così? Voleva averlo al suo fianco, correre da lui, lasciarsi abbracciare da lui?
Digrignò i denti, all’idea di loro due assieme.
«Cosa vuoi fare, Anghel? Scappare?» sibilò, avvicinandosi a lei.
La tenne ferma contro il muro, spingendola con le mani salde sulle sue spalle. Era paralizzata dal terrore, non si sarebbe mossa nemmeno se l’avesse lasciata ne era certo. Sorrise, sentendo un’ondata di piacere derivargli dalla consapevolezza del potere che esercitava su di lei. Poteva giocare con lei come meglio credeva, niente e nessuno si sarebbero frapposti! Fece scivolare la mano lungo la spalla, toccandole la pelle nuda del braccio, assaporando il panico negli occhi di lei mentre lenta la sua mano si faceva strada sotto la maglietta fino al seno.
«Ti... ti prego...» riuscì finalmente a balbettare.
Lui sogghignò e le chiuse la bocca con la sua, sentendo il sapore salato delle lacrime sulle labbra. Lei gemette, disperata, cercando di resistere al suo tocco per nulla gentile, affamato, desideroso di farla soffrire. E poi la sentì mugugnare, quando lui le morse il labbro fino a farlo sanguinare.
«E’ per questo che ti piace stare con Alam, non è vero? Per il sangue...» sibilò lui tra i denti, nella bocca il sapore dolciastro del sangue di lei.
«Come vedi, non ti occorre un vampiro per questo!» disse, premendo il suo corpo contro quello di lei, affinché potesse percepire la sua eccitazione, affinché potesse esserne spaventata.
E così fu. Quando vide che sulle sue labbra si stava per formare il nome del vampiro, le bloccò la voce baciandola ancora una volta, con rabbia, succhiandole avidamente la lingua.
Fino a quando non sentì una mano sulla spalla, stringersi con forza fino a ficcargli le unghie nella carne. Si girò, gridando.
 
***
 
Il volto di Alam si introdusse nel suo campo visivo, offuscato dalle lacrime. Quando sentì che il peso del corpo di Bruno si era tolto, si permise si accasciarsi alla parete, dando libero sfogo alle lacrime. Vide lo sguardo del vampiro squadrarla completamente. Gli occhi neri nel corridoio illuminato, due finestre sulla notte che lui rappresentava. Lo vide digrignare i denti, mentre si soffermava sulla tempia e sul labbro ferito, e stringere più forte la spalla di Bruno, da cui già usciva copioso il sangue. Non passò che un secondo e già Alam ruggiva furioso, sollevando il giovane da terra con una mano sola, la mano libera dallo zaino. Le zanne ben in vista, brillavano alla luce che proveniva dai grandi lampadari, il petto magro sembrava un intrico di muscoli e tendini che lei riusciva a scorgere sotto la maglietta. Un mostro, una macchina per uccidere e cacciare... Alam...
Bruno gridò, terrorizzato, di certo tutto si aspettava tranne che veder Alam così attivo in pieno giorno. E gridò ancora più forte, quando si trovò orizzontale rispetto al pavimento, a quasi due metri da esso, tenuto unicamente dalla mano insanguinata del vampiro. Anghel lo vide, chiaro, il volto della paura, la consapevolezza della propria fine delinearsi sui lineamenti del giovane. E vide Alam che abbassava il braccio, tenendo ben teso il corpo della sua vittima, e affondare i denti nella maglia verde scurita dal sangue, poco sotto la spalla. E vide la gola di Alam che si muoveva ogni volta che deglutiva il sangue, senti il risucchio vorace delle sue labbra assetate. La sua fame invase il silenzio della casa, inondandola di sangue.
Bruno smise di gridare, divenne pallido.
«BASTA ALAM!» gridò lei.
E Alam lasciò cadere il corpo svenuto con un tonfo. Ad Anghel bastò uno sguardo per constatare che respirava ancora e un altro per vedere gli occhi di Alam tornare finalmente verdi e di dimensioni normali, come non lo erano stati da giorni. Il sangue di Bruno gli imbrattava la mano fino al polso e tutta la bocca, colandogli un poco sul mento e sul collo pallido.
Nessuno per il momento era accorso alle grida di Bruno. Guardò l’ora.
«Presto! Arriveranno!» gridò, riprendendosi immediatamente.
Erano trascorsi due minuti, al massimo. Alam l’aveva liberata e si era nutrito in meno di due minuti! Sentì uno scalpiccio ben distinto, da ogni parte. Alam si avventò su di lei, senza nemmeno curarsi di togliersi il sangue di Bruno, l’afferrò saldamente per la vita e le permise di avvinghiarsi al suo collo. Non avevano tempo.
«Eccoli!» gridò qualcuno che lei non poteva vedere.
Alam spiccò un salto piccolo, superando la distanza che li separava dalla finestra, la spalancò in meno di un secondo e saltò sul davanzale. Anghel vide il giardino sotto di loro, il parco con alberi sempre verdi e un salto di nove metri circa. E la luce l’accecò. Si voltò, sbirciando dalla spalla di Alam, in tempo per scorgere un gruppo di due o tre uomini che li guardava, attoniti. Di certo non si aspettavano di vederli tutti e due alla luce del sole, per loro Alam doveva avere non più di trecento anni.
«Spostatevi!» un ruggito alle spalle degli uomini del concilio, nello stesso istante in cui Alam si tuffava e saltava sull’albero più vicino, afferrandosi in fretta al ramo.
Claude si affacciò alla finestra, un punto rosso poco sopra di loro, che già stavano sfrecciando verso il perimetro del giardino. Anghel non aveva trovato una mappa della casa, dovevano muoversi fidandosi solo dell’istinto del vampiro. Lui avrebbe saputo dove andare, lui che aveva passata più di un decennio in fuga. Claude saltò veloce e si mise al loro inseguimento. Anghel non riusciva a vederlo, ma lo sentiva dietro di loro.
«Tieniti stretta.» la voce di Alam le giunse distante, portata dal vento che la loro stessa corsa stava creando.
E lei obbedì. Lui se la caricò meglio sulla schiena, stringendo lo zaino in una mano, e poi lasciò libera l’altra. Anghel s’avvinghiò a lui con braccia e gambe, per non cadere.
La terra sotto di loro tremò. Un muro di roccia si innalzò con un tuono davanti a loro e un altro alla loro sinistra.
Il controllo sull’elemento terra?” si domandò lei, chiedendosi se fosse opera di Claude o di un altro vampiro. Le pareti di roccia divennero tre e il fragore insopportabile. Dovette trattenersi dal non tapparsi le orecchie, mentre la corsa di Alam si era bloccata. Il vampiro girava frenetico la testa da ogni parte, cercando appigli o possibili vie di fuga che non li costringessero a tornare indietro. Anghel sentì che Claude si faceva sempre più vicino, anche se la sua corsa era rallentata: doveva esser ormai certo di averli in pugno! E poi lo vide, sbucò alle loro spalle e Alam si girò di scatto a fronteggiarlo.
«Non costringetemi oltre, ve ne prego...» disse, mentre, con le mani in tasca, bloccava loro la via d’uscita, la voce atona e senza inflessioni.
Una richiesta formale, nessuna preghiera effettiva.
Anghel lo guardò stranita. Non riusciva a decifrarne l’espressione. Non v’era astio, né esultanza per averli messi in trappola. Sembrava... triste... era possibile?
Alam ringhiò sommessamente, ma abbastanza forte da far vibrare la sua voce in quella cella di roccia granitica che avevano attorno.
«Ve ne prego. Non è mia intenzione recarvi alcun danno.» ripeté Claude.
Per un qualche motivo, Anghel era convinta che si stesse riferendo solo ad Alam, usando con lui un tono molto referenziale. Si chiese perché.
Il sole batteva forte sopra di loro, i poteri dei due vampiri dovevano esser molto indeboliti, eppure Claude era riuscito a erigere tre pareti di roccia molto alte, Alam non si arrischiava nemmeno a saltarle e lei non ne vedeva la fine. Il silenzio si diramò nel parco, attendendo una mossa, qualsiasi cosa.
Fu Alam ad agire.
«Nemmeno io!» rispose, la sua voce era ancora bestiale, non quella profonda e bassa che aveva di solito, ma roca e gutturale.
La mano sporca di sangue si alzò di scatto, prima ancora che Claude potesse comprendere quel che stava succedendo. Dalle sue dita scaturirono cinque lingue di fuoco che si diressero rasoterra contro Claude, scintillando sopra l’erba e bruciandola. L’altro vampiro non ebbe il tempo di reagire, si portò le mani al volto ed eresse tutto attorno a sé un blocco di roccia, per proteggersi dalle fiamme. Queste si misero a vorticare tutto attorno, cinque lingue arancioni e rosse che danzavano a spirali attorno alla protezione di Claude, lambendola, andando a bruciare i rami bassi degli alberi. Alam si girò di scatto, saltando e inerpicandosi veloce e rapido lungo la parete davanti a loro. Anghel si girò per vedere che ancora le lingue di fuoco non si fossero estinte. Nel frattempo, con un suono fragoroso, simile al precedente, le pareti iniziarono a sgretolarsi sotto di loro e Alam fu costretto a balzare al suolo nuovamente. Una pioggia di massi e piccole pietre piovve su di loro, ma contemporaneamente riuscirono a vedere il muro di cinta del palazzo. Alam fece un balzo, dicendole di abbassare la testa e di proteggersi gli occhi. Saltò in mezzo alla pioggia di roccia e molte furono le pietre che colpirono entrambi. Anghel sentì il miagolio sommesso di Alex vicino a lei, ma non osò alzare lo sguardo, per paura che una qualche pietra potesse ferirle il volto. Quando sentì il corpo di Alam posarsi nuovamente a terra, con un contraccolpo che le mandò indietro la testa, si voltò di nuovo.
Erano sul muro di cinta, sotto di loro non erano rimaste che macerie e detriti, il fuoco divampava poco più avanti. Aveva intaccato gli alberi più vicini e stava muovendosi veloce. Vide sagome scure, gli uomini del concilio, che s’affrettavano ad arrestarlo. E vide il turbine di fiamme che continuava a insediare la calotta di roccia in cui stava Claude. Anche Alam si era voltato, per un istante. Protese ancora la mano libera dallo zaino e disperse le cinque lingue di fuoco in giro, per il giardino, appiccando altrettanti incendi.
«Li terrà occupati, per un po’. Si esauriranno da sole quando saremo sufficientemente lontani. Non abbiamo molto tempo però, visto che è giorno.» spiegò.
Di scatto si voltò e saltò giù dal muro. In meno di un minuto già non si vedeva più il profilo della casa alle loro spalle.

  
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