Capitolo
3: Speranze del Futuro
(N.B.
Le frasi messe tra
««…»» sono quelle
che vengono dette
insieme in coro diciamo)
««Maaaaammaaaa!!!!»»
«…
ma che?»
««Maaaaammaaaa!!!!»»
«Bambini!
Ma perché gridate così? La mamma stava
dormendo!»
«La
mamma piangeva…»
«…
pensavamo che stasse male.»
«Si
dice stesse e comunque non è vero, non stavo
pian-» aveva
pianto invece, e tanto anche. A testimoniarlo c’era la
macchia sul cuscino e
gli occhi rossi e gonfi di lei. Si affrettò a cancellare
qualunque traccia di
quel pianto dal viso e con voce un po’ tremante
rassicurò i bambini. «Che
teneri che siete a preoccuparvi per la mamma, ma non dovete. Sto bene,
ho fatto
solo un sogno un po’ triste, tutto qui.»
«Hai
sognato papà?»
«Sì,
in effetti ho proprio sognato papà.»
««Cattiva
mamma!»» trillarono in coro i due piccoli.
«E
perché sarei cattiva?»
«Perché
papà non vuole che la mamma piange…»
«…
la mamma deve sempre sorridere!»
Nami
sorrise. È vero, di certo lui non avrebbe voluto vederla
così, ma che poteva farci? «Scusate piccoli! Per
farmi perdonare allora oggi vi
porto dove volete.»
«Non
vale! Avevi già detto che ci avresti portato dove volevamo,
quindi non vale!»
«Tanto
basta che ti scusi con papà! Se ti prepari possiamo andare
subito da lui! Veloce che ci aspetta!»
«Ok
ok, mi alzo! Più diventate grandi più gli
assomigliate, sempre
a fare di testa vostra! Dovrò riprenderlo quando arriviamo
da lui, vi sta
insegnando cose sbagliate! Però per oggi sarò
buona visto che è il vostro
compleanno.»
««Non
ci hai ancora fatto gli auguri e non ci hai dato i
regali!»»
«Che
impazienti che siete! Per i regali dovrete aspettare sta
sera, per gli auguri ci stavo arrivando: buon compleanno Ace! Buon
compleanno
Bellmer!» disse allegramente Nami scendendo finalmente dal
letto e abbracciando
le copie in miniatura di Rufy. Nell’ essere uguali tra loro
erano identici al
padre, o almeno per come la vedeva lei: belli come la mamma e
coraggiosi come
il papà avevano detto e così era stato. Pur
avendo solo cinque anni appena
compiuti quei due facevano di tutto, dal semplice arrampicarsi su un
albero
(per quanto potesse essere facile arrampicarsi su un albero per due
bambini
piccoli) all’affrontare a mani nude le bestie feroci che
spesso attaccavano
loro e gli altri abitanti dell’isola. E il coraggio fuori dal
comune non era
l’unica cosa che li rendeva così simili al padre:
sempre affamati mangiavano di
continuo senza ingrassare, avevano una riserva di energie senza fondo,
dormivano quando e dove capitava e sorridevano sempre, proprio come lui.
Però
era anche vero che somigliavano molto alla madre: molto
intelligenti e furbi, capaci di grande inventiva e intuizione,
soprattutto in
campo meteorologico.
In
quanto ad aspetto fisico erano appunto belli come la madre:
avevano gli stessi lineamenti delicati e gli occhi ambrati che
colpivano chiunque
li guardasse. Avevano i capelli corti e spettinati lui, lunghi e
ondulati lei,
come i genitori, ed erano nero pece con ciocche ambrate: erano davvero
due
bambini bellissimi, e Nami non era l’unica a dirlo. Tutti si
complimentavano di
loro, anche se a volte combinavano guai esattamente come il padre.
««Grazie
mamma! Ora però preparati, senno facciamo aspettare
troppo papà!»» Parlavano sempre insieme
i due gemellini, e se non parlavano
nello stesso momento l’uno completava la frase
dell’altra e viceversa. Alcuni
dicevano che era una cosa troppo strana, che sarebbero dovuti andare da
un
medico, ma Nami si rifiutava categoricamente per due motivi: uno non ci
vedeva
assolutamente niente di sbagliato, semplicemente erano molto affiatati.
Due per
qualunque cose avessero ci pensava Nami a curarli perché non
voleva portarli da
nessuno: l’unico medico a cui avrebbe permesso di vedere i
propri figli era
ormai scomparso da tempo. Forse era un’irresponsabile, ma
proprio non ce la
faceva, era più forte di lei.
«Ho
detto che ora mi preparo, calmatevi! Altrimenti vi metto in
punizione e niente papà oggi!»
«Nooooooooo!
Facciamo i bravi, facciamo i bravi!»
«Facciamo
i bravi ma mamma ci porta da papà!»
Ace
e Bellmer erano in crisi: volevano un bene dell’anima al
padre
e per quelle poche volte che potevano vederlo avrebbero fatto di tutto
per
andare da lui. Erano decisamente molto teneri, tanto che stavano per
mettersi a
piangere alle minacce della madre.
«Dai
piccoli, non esagerate! La mamma stava scherzando! Certo che
vi porto da papà, anch’io voglio vederlo, e non vi
lascerei mai indietro,
quindi non piangete, ok?»
««Ok
mamma, facciamo i bravi…»»
«È
così che si fa, bravi cuccioli. Ora ci prepariamo tutti
insieme
perché con quei vestiti lerci non vi porto da nessuna parte,
quindi prima
facciamo un bel bagno e poi tutti da papà!»
««Sìììììììììì!!!»»
e così gridando corsero verso il bagno
sparpagliando i vestiti per tutta casa. Nami li guardò
sorridendo ma dopo un
po’ calde lacrime cominciarono a scivolare sulle sue guance.
Stava ancora
pensando al sogno appena fatto ed era sconvolta da quanto fosse rimasta
colpita: pensava di essere più forte, di poter superare e
sopportare, ma era
troppo. Ogni giorno vedeva i piccoli e non poteva fare a meno di
pensarci
cadendo sempre in una tristezza profonda. Stava ancora piangendo quando
sentì
qualcuno abbracciale forte le gambe. Abbassò lo sguardo e
vide i suoi
figlioletti teneramente appiccicati a lei.
«Ti
abbiamo detto di non piangere mamma!»
«La
mamma è forte, se piange però non lo è
più!»
«E
se la mamma non è più forte anche noi diventiamo
meno forti!»
«E
se diventiamo meno forti papà è triste,
l’hai detto tu!»
««Quindi
non piangere mamma!»»
Le
si levarono gli occhi di lacrime ancora di più. Quelle due
testoline erano in gado di tirarla su di morale in ogni istante, pur
essendo
ancora due bambini.
««Mammaaaaaaa!
Non piangere!»»
«Scusate
scusate! È che la mamma si commuove facilmente, sapete?
Sentirvi dire queste cose mi rende molto fiera ed orgogliosa di voi. Se
il papà
vi vedesse sarebbe anche lui molto felice.»
«Veloce,
così andiamo da papà!»
«Papà
ci aspetta, non facciamo tardi, altrimenti si arrabbia!»
«Ok,
ok! Andiamo puzzolenti, dobbiamo farci belli per
papà!»
««Non
siamo puzzolenti!»»
«Ah
no eh? Fatemi sentire… Bleah, che puzza, così il
papà non vi
vorrà vedere!»
««Nono,
dobbiamo vedere il papà! Non dobbiamo puzzare! Bagnetto
bagnetto!»» e così tornarono correndo in
bagno. Nami sorrise ancora un po’
prima di seguire i figli, indugiando davanti all’unica foto
che aveva di Rufy:
il primo manifesto da ricercato che aveva conservato con tanta cura,
esattamente come Rufy prima di lei.
***
«Ora
sì che siete belli!» Nami era davvero orgogliosa
dei suoi
piccoli: Bellmer indossava un vestitino nero con pizzo e maniche a
sbuffo, con
un nastro bianco a fasciarle la vita e delle ballerine nere con un
fiocchetto
bianco a lato. Ace invece per chissà quale strano miracolo
aveva deciso di
indossare giacca e cravatta, ma con delle modifiche personali: al posto
delle
scarpe eleganti indossava le infradito del padre e in testa portava il
cappello
di paglia.
«Potresti
almeno abbottonarti un po’ di più la camicia
Ace?»
«No!»
«E
perché no?»
«Perché
così somiglio di più al
papà!»
«Ihih,
è vero. Dai allora, andiamo, prima di sporcarvi
tutti.»
Nami,
Ace e Bellmer uscirono dalla loro casetta e si avviarono
verso la loro meta. Nami aveva deciso di fermarsi a vivere nel piccolo
villaggio vicino all’isola dove era sepolto Ace, il villaggio
dove erano nati i
suoi figli e dove aveva visto per l’ultima volta Rufy che
spariva tra le
esplosioni. All’inizio non erano proprio ben accetti: per
colpa della ciurma di
cui faceva parte il villaggio cinque anni prima aveva rischiato di
essere
totalmente distrutto, ma grazie al sostegno di alcuni di loro che la
pensavano
diversamente era finalmente riuscita a stabilirsi in quel luogo. Ora
era
diventata amica di tutti e tutti si fidavano di lei: le chiedevano
consigli sul
mare, sul tempo, sulle arti mediche, qualunque cosa. Era diventata
famosa per
la sua intelligenza perciò poteva vivere serenamente insieme
ai suoi figli in
quel piccolo angolo di mondo.
A
causa della fama di Rufy altre volte il villaggio era stato
attaccato, ma per fortuna si trattava per lo più di
sprovveduti che non
sapevano restare al proprio posto e che dopo qualche semplice fulmine
scappavano via a gambe levate. Questo più che altro era
perché temevano
fortemente l’ira della Regina dei Pirati, in quanto consorte
del Re dei Pirati,
Monkey D. Rufy.
Sì,
Rufy era riuscito a guadagnarsi il titolo di Re dei Pirati
dopo aver sconfitto Teach sull’isola di One Piece. Ovviamente
non si era
degnato minimamente di rivelare la “vera
identità” di One Piece, semplicemente
si era preso il titolo di Re dei Pirati e chi si è visto si
è visto. Nemmeno
Nami sapeva di cosa si trattasse, ma i pirati sopra citati credevano
che lei
sapesse tutto, per questo motivo attaccavano il villaggio.
Visto
che per raggiungere la loro meta ci voleva parecchio tempo
prima di proseguire si fermarono in una locanda per mangiare qualcosa
di buono
e fare qualche scorta per il breve viaggio. Era la stessa locanda dove
aveva
alloggiato per l’ultima volta con il resto della ciurma e per
questo era uno
dei pochi luoghi dove si sentiva veramente a casa.
«Buongiorno
Nami! Come stai? Mi sembri un po’ sciupata.»
«Non
è niente, è solo che sta notte non ho dormito
molto bene.»
disse Nami per rassicurare la locandiera, Mama, una donna che sin da
quando
erano nati i gemelli era stata dalla sua parte.
«È
per Rufy? Se non sbaglio oggi è l’anniversario
della sua-»
«No,
per favore, non dirlo, altrimenti scoppio di nuovo a piangere
e rischio di non smettere più.»
«E
perché mai? Stavo per dire “della sua ascesa al
trono”, ma se
non mi lascia terminare la frase come può pretendere di
capire, sua altezza?»
disse facendo un piccolo inchino e abbozzando un sorriso complice. Nami
la
adorava proprio per questo: era in grado di capire immediatamente
quando stava
male e perché ed era in grado di agire di conseguenza. Senza
di lei,
soprattutto durante i primi mesi di vita di Ace e Bellmer, Nami non ce
l’avrebbe mai fatta. Era stata lei ad aiutarla quando i
bambini stavano
nascendo, era stata lei a curarla subito dopo, era stata lei ad
allattare i
piccoli grazie al fatto che aveva avuto da poco un figlio, e sempre lei
li
aveva ospitati per un breve periodo in casa sua, prima che Nami fosse
guarita
del tutto ed in grado di provvedere da sola ai figli. Non che adesso si
fosse
ripresa del tutto: spesso veniva colta da lancinanti dolori al ventre e
anche
per una semplice influenza ogni volta restava a letto per giorni e
giorni in
preda ai dolori. Durante quei periodi per fortuna c’era Mama
ad assisterla,
altrimenti i piccoli non avrebbero potuto crescere così sani
e forti.
Il
tutto era dovuto alla precoce nascita dei gemelli: la loro
nascita l’aveva indebolita, il medico dell’isola le
aveva detto che non sarebbe
più stata in grado di compiere grandi sforzi e, e questa era
la cosa che la
rendeva più triste, non avrebbe più potuto avere
figli. Aveva sempre sperato in
una famiglia numerosa con il suo Rufy, ma per vari motivi non sarebbe
più stato
possibile.
Non
che questo la portasse a voler meno bene o ad odiare Ace e
Bellmer: per loro sarebbe anche morta, non le interessava niente della
sua
salute, l’importante era che fossero loro a stare bene.
«Grazie.»
«E
di cosa? Non credo di aver fatto niente di speciale! Ma ora
basta, se non sbaglio qui ci sono due principini che sono appena
diventati
grandi!»
««Sììììììììììì!
Ormai siamo grandi, abbiamo 5 anni! Che cosa ci
regali? Vogliamo i regali!»» trillarono i piccoli
sorridendo come Rufy.
«Ehi,
ma che modi sono? Non dovete comportarvi così!»
«Oh
tranquilla Nami, sono bambini, non è un problema. Venite con
me cuccioli.» I piccoli si avvicinarono ad un enorme oggetto
coperto da un telo
colorato che si trovava nel prato di fronte alla locanda e con
l’aiuto di Nami
e Mama lo scoprirono, rivelando qualcosa che lasciò a bocca
aperta tutti e tre:
si trattava di una riproduzione della Going
Merry, solo più piccola e con alcune modifiche.
Ace e Bellmer salirono
sulla nave in tutta fretta, strillando di gioia ed esplorando ogni
angolo della
nave. Dopo la loro rapida esplorazione, come spinti da qualche strano
istinto,
Ace andò a sedersi sulla polena e Bellmer sotto gli alberi
di mandarini ad
assaporare il loro profumo. Vedendo quella scena Nami
scoppiò di nuovo a
piangere, ripensando ai tempi in cui erano su quella nave tutti
insieme, a
quando il loro viaggio era appena cominciato.
«Se
ti vedono piangere di nuovo li spaventi.»
«Mama…»
«Spero
di non essere stata troppo invadente con questo regalo.
Spero mi perdonerai. Non sono riuscita nemmeno a riprodurla fedelmente
ed è
molto più piccola, ma ho pensato che va bene comunque, in
fondo sono ancora
piccoli, non andranno da nessuna parte e non metteranno in piedi una
ciurma
ancora per molto tempo, quindi questa piccolina dovrebbe bastare per la
loro
voglia di esplorare il mare circostante.»
«Mama…
Mama Mama Mama!!!» Nami le saltò al collo.
Sprofondò il
viso nei suoi capelli e cominciò a ridere e piangere nello
stesso tempo,
stringendosi il più possibile a lei.
«Na-Nami,
mi soffochi così! Su su, rilassati, calma
calma…» le
disse dolcemente, accarezzandole la schiena per calmarla. Faceva sempre
così
quando Nami era in crisi, la cullava come se fosse una bambina piccola,
come se
fosse sua figlia. Nami pian piano si calmò e si stacco da
lei, strofinandosi
velocemente il viso per far sparire ogni segno del pianto.
«Brava,
è così che si fa. Vedrai che con il tempo
riuscirai a
resistere a tutto questo, a guardarli e sorridere piena di gioia, senza
essere
assalita da tristi pensieri.»
«Grazie
Mama, per tutto. Non potrei fare davvero niente senza di
te, sei come una madre per me, e non lo dimenticherò mai.
Non potrò mai
sdebitarmi.»
«Non
dirlo nemmeno per scherzo, ok? Non ti chiederò mai di
sdebitarti, mi basta vedervi tutti e tre insieme per rendermi felice,
ok? E ora
su, non dovevate andare da qualche parte? Dentro ci sono i cesti per il
pranzo,
ho fatto tutti i vostri cibi preferiti!»
«Hai
ragione, grazie, è meglio che vada altrimenti non arriveremo
più.» E dopo aver sorriso davvero per la prima
volta in quel giorno andò a
chiamare i piccoli, che scesero immediatamente appena sentirono la
minaccia di
Nami secondo la quale se non si muovevano la nave avrebbe messo le ali
e
sarebbe volata via, raggiungendo il cielo con a bordo il loro
papà.
***
«Ace,
Bellmer, datemi una mano, non correte così! Aiutatemi a
portare questi piuttosto visto che la maggior parte del cibo
è per voi! A me
non serve, potrei anche far rotolare questi cesti in mare!
Chissà poi perché
Mama ha preparato tutto questo poi… È troppo pure
per Ace e Bellmer, e dovrebbe
sapere che io non mangio molto…» mentre Nami
ragionava sul perché di tanto cibo
i bambini la raggiunsero e presero alcuni cesti così da
lasciare un po’ di
riposo alla madre. Era ormai da parecchio che camminavano
perché l’isola dove
erano diretti era raggiungibile solo a piedi sfruttando la bassa marea
e gli
scogli o con una nave, e lei non sarebbe mai salita su una nave che non
fosse
la Sunny. A causa della sua ostinazione ora era parecchio affaticata:
spesso si
fermava a riprendere fiato per evitare di svenire in mezzo alla strada
e
preoccupare i bambini. Erano abituati a vederla star male, ma non
voleva che la
vedessero totalmente priva di difese, incapace di proteggerli.
In
più ci si metteva anche l’abito a creare problemi:
aveva deciso
di mettere per quell’occasione, dopo tanti anni,
l’abito nero con scialle rosa
e scarpe con tacco che indossava il giorno della nascita di Ace e
Bellmer. Si
era rovinato parecchio quel giorno e Nami non era più
riuscita ad indossarlo,
la faceva stare troppo male. Però aveva deciso che doveva
superare le sue
angosce, perciò l’aveva portato a sistemare con
parecchio anticipo rispetto a
quella data e, quando l’abito fu finalmente pronto, se lo
provò di nascosto,
per vedere l’effetto che le faceva. All’inizio fu
difficile, ma dopo un po’ si
abituò a non aveva più avuto problemi. Fino ad
ora. Era troppo lungo e
continuava ad impigliarsi in tutto ciò che poteva e le
scarpe erano una
tortura. Non aveva pensato che ci sarebbero state tutte quelle
difficoltà.
Quando si impigliò l’ennesima volta
strappò il fondo dell’abito così da
renderlo più corto ed essere più comoda,
esattamente come tanti anni prima.
«Dai
mamma, fai veloce!»
«Fai
veloce che papà aspetta!»
«Arrivo
arrivo. Tanto ci siamo quasi, è inutile agitarsi tanto.
Vedete laggiù, in cima alla scogliera? Vedete che
c’è papà?» I piccoli si
girarono e nel vedere la cima della scogliera gridarono in coro
«Papà!» e si
rimisero a correre.
«Non
correte ho detto! Tanto papà non se ne va mica! Ahhh,
è
inutile parlare con loro, sono troppo cocciuti. Hanno preso troppo dal
padre.»
si lamentò sorridendo dolcemente. Dopo un po’
raggiunse i piccoli che erano già
saltati addosso al padre, lanciando i cestini del pranzo in giro.
«Su
piccoli, scendete, così schiacciate papà. Bravi
così,
sistemate la coperta e il cibo che nel frattempo saluto vostro padre,
ok?» I piccoli
obbedirono subito alla mamma senza protestare: anche se spesso
ignoravano
quello che diceva e disobbedivano sapevano che quel momento era solo
per i loro
genitori e che non dovevano disturbare.
«Ciao
Rufy, come stai? Ho portato i piccoli visto? Non trovi che
siano diventati grandi?» mormorò fissando per un
attimo Rufy. «Stanno crescendo
davvero bene. Al villaggio tutti gli vogliono bene, sono diventati
delle specie
di mascotte. Dovresti vedere però quanti guai combinano quei
due! Hanno preso
proprio da te! Ma almeno sono più intelligenti di te, belli
ed intelligenti
come me! Proprio come avevamo detto… Sai, credo che sentano
la tua mancanza
ogni tanto, come me del resto… Perché
l’hai fatto, eh? Perché te ne sei andato?
Perché sei morto?» sussurrò al vento,
sfiorando i fiori che ricoprivano la
tomba di Rufy. Era identica a quella del fratello e vicina ad essa.
Accanto
a quella di Rufy c’era un’altra tomba: quella di
tutto il
resto della ciurma di Cappello di Paglia. Sopra di essa Nami aveva
lasciato qualcosa
che rappresentasse tutti: la bandana che Zoro portava sempre al
braccio, una
della fionde di Usopp, uno dei libri di archeologia di Robin, un
pacchetto
delle sigarette che fumava sempre Sanji, uno degli strumenti medici di
Chopper,
una delle bottiglie di Cola di Franky, il bastone/spada di Brook e uno
dei
mandarini che tanto le piacevano.
Perché
in un certo senso lei era morta. Era morta la Nami
navigatrice della ciurma di Cappello di Paglia.
Sulla
tomba di Rufy aveva lasciato anche il suo cappello, ma non
ce l’aveva fatta a lasciarlo lì per molto tempo,
era l’unica cosa che gli
restava del suo amato. In più il piccolo Ace sin dal primo
giorno che l’aveva
visto aveva afferrato il cappello con tutte le sue forze e non
l’aveva più
lasciato. Esattamente come Bellmer non lasciava mai la sua preziosa
collana con
la perla rossa che Nami aveva trovato tempo prima nella stanza dei
ricordi: la
perla della collana di Ace che Rufy aveva inconsciamente conservato.
Nami
l’aveva sempre tenuta con sé sin da quel giorno,
come un porta fortuna, poi
l’aveva lasciata alla figlia che ne era rimasta completamente
affascinata.
«Mi
aveva promesso che saresti tornato, che non mi avresti
lasciata mai… Bugiardo…» Rufy e il
resto della ciurma erano morti il giorno in
cui Teach aveva li aveva attaccati, dopo un lunghissimo scontro che
aveva avuto
luogo sull’isola di One Piece. Per questo Rufy era diventato
Re dei Pirati:
aveva ucciso Teach in quella battaglia atroce dopo che tutte e due le
ciurme si
erano annientata a vicenda, lasciando solo i capitani a fronteggiarsi.
Subito
dopo aveva lasciate dette queste parole nello stesso Tone Diale che
aveva usato
anni e anni prima Nami:
«Mi dispiace Nami… Non sono
riuscito a mantenere la promessa… Però sono
riuscito a realizzare il mio desiderio:
l’ho trovato Nami, ho trovato One Piece, e questo mi rende di
diritto Re dei
Pirati! Tu ora sei la regina, perciò ti supplico di
proteggere i piccoli
principi… Digli che gli voglio un mondo di bene…
Raccontagli del suo papà…. e
della nostra ciurma… Non ho potuto proteggerli…
Scusa… Li ho visti morire
tutti, un ad uno, ed ogni loro morte è stata come un enorme
macigno sul mio
cuore… Ma Teach l’ha pagata… Quel pezzo
di merda mi ha addirittura supplicato
di lasciarlo in vita dopo tutto… dopo tutto quello che ha
fatto… Sono felice
che sia finalmente morto… A sofferto come abbiamo sofferto
tutti noi… Scusa se
ti sembro crudele e spietato… Ehi, Nami, amore mio,
saudiresti un mio ultimo
desiderio?.... Chiama il piccolo Ace….. E se vuoi la piccola
Bellmer…… Mi
piacerebbe davvero tanto…. Sappi che vi
amo……. Un’ultima cosa, Nami…
Io t-……………»
E
così finiva il massaggio. Era stata proprio Nami a trovare
il
Tone Diale in una pozza di sangue sull’isola dove erano tutti
morti. Non c’era
nient’altro, nessun cadavere, solo sangue ovunque, avvoltoi
che si cibavano di
non voleva sapere cosa, quel messaggio e tutto il contenuto della
stanza dei
ricordi. Era quasi morta di dolore quel giorno, sperava che il
messaggio
terminasse con un “tornerò”, invece
niente. Erano passati 8 anni ormai e
niente. Ormai ci aveva rinunciato.
««Mamma,
mamma!»»
«Ace,
Bellmer, che vi prende? Perché urlate tanto?»
««Signore!»»
«Signore?
Quale signor- Oh scusi, mi perdoni, non l’avevo
vista.»
Silenzio. L’uomo era coperto da capo a piedi da un lungo
mantello con il
cappuccio calato sulla testa, in modo da oscurare il suo volto.
«Scusi,
potrei sapere chi è lei?»
«Mi
perdoni lei signorina. Forse ho interrotto qualcosa di
importante. Mi sembrava così assorta nei suoi pensieri che
non ho osato
disturbarla.»
«No
no, lei non ha fatto niente! Sono stati i miei figli a
disturbarmi, lei non disturba affatto.»
«Allora
sono figli suoi?»
«Sì,
lui è Ace mentre lei è Bellmer. Forza piccoli,
salutate il
signore.»
««Ciao
signore!»»
«Non
ciao, si dice salve.»
«Eheh,
non si preoccupi.» disse l’uomo chinandosi
all’altezza dei
piccoli come ad osservarli meglio. Stette un po’ li in
silenzio prima di
parlare di nuovo.
«Ciao
piccolo Ace. Che bel cappello che hai, me lo regaleresti?»
«No!
La mamma ha detto che è del papà e che devo
proteggerlo!»
trillò il piccolo stringendo forte il cappello sulla testa.
«Oh,
che peccato! È davvero un bel cappello! Il tuo
papà è
fortunato ad avere un tesoro così! E tu, piccola Bellmer?
Che ne dici di
regalarmi quella bella collanina?»
«No!
La mamma ha detto che è dello zio e che devo
proteggerla!»
trillò la piccola stringendo forte la perla tra le mani.
«Allora
a me niente?»
««No!
Il compleanno è nostro, non tuo, i regali li vogliamo
noi!»»
gridarono in coro. L’uomo scoppiò a ridere e si
rimise in piedi. «Eheh, che
buffi che siete! Comunque avete ragione, penso di aver già
trovato il regalo
adatto, aspettate solo un po’, va bene?» poi si
girò a guardare la tomba di
Rufy, impedendo ancora una volta a Nami di vedere il suo volto.
«Come
mai si trova davanti a queste tombe il giorno del loro
compleanno?»
«Perché
oggi ricorrono altri due anniversari: quello della morte
di loro padre, Monkey D. Rufy e del resto della sua ciurma, e di loro
zio
nonché fratello di Rufy, Portugas D. Ace. Sono morti
esattamente 5 anni fa mio
marito e i suoi compagni e 10 mio cognato, in questo stesso giorno.
Immagino
che lei sappia chi sono, non sono certo tipi che passano
inosservati.»
«Certo
che li conosco. Mi dispiace averle portato alla memoria
tristi ricordi, Regina dei Pirati Nami.»
«No
no, non mi chiami così. E comunque si figuri, non
è un
problema. Quel che è successo è successo,
è inutile pensarci troppo, non li
riporterà di certo indietro.»
«Peccato
però.»
«Peccato
per cosa?»
«Speravo
di avere una chance con una bella signorina come lei, ma
da come ne parla si capisce che è ancora molto legata a suo
marito. Sono
arrivato tardi.»
«Grazie
per il complimento, ma mi dispiace. Anche se sono passati
5 anni, e quindi molto probabilmente è morto, mi ha promesso
che sarebbe tornato,
perciò non posso tradirlo.»
«Lei
è una ragazza davvero molto fedele. Suo marito è
un uomo
fortunato. Come ha potuto lasciarla? Non è arrabbiata con
lui?»
«No,
perché ora ho capito che l’ha fatto per il mio
bene. Se non
mi ha portata con loro quel giorno era solo per salvarci. Allora
l’avevo preso
come un tradimento, ma ora lo ringrazio per quello che ha fatto. Sarei
stata
inutile con loro, e molto probabilmente sarei morta anch’io
insieme hai
piccoli. Devo ringraziarlo per avermi lasciata, anche se devo ammettere
che mi
manca terribilmente.» Restò un po’ in
silenzio ad osservare la tomba di Rufy.
«Lei
invece perché è qui?»
«In
realtà sono qui con alcuni amici per salutare un mio
conoscente e per riabbracciare la mia famiglia che ho abbandonato
troppo tempo
fa.»
«Posso
sapere di chi si tratta? Magari li conosco, il villaggio è
molto piccolo.»
«Beh,
in realtà è lui.» disse indicando la
tomba di Ace.
«Lei
conosceva Ace?»
«Sì,
eravamo… grandi amici. È da tempo che non venivo
a trovarlo,
perciò eccomi qui.» La mente di Nami
cominciò a correre veloce. Se conosceva
Ace probabilmente conosceva anche Rufy. Sapere che qualcuno poteva
condividere
quel dolore con lei la faceva sentire meno sola.
«Conosceva
anche Rufy?»
«Eheh,
in effetti sì, lo conosco molto bene. Non pensavo di
trovare la sua famiglia qui e a dirla tutta non credevo nemmeno di
trovare
queste» disse indicando le due tombe, quella della ciurma e
quella di Rufy
«anche se un po’ dovevo immaginarlo. Ma visto che
non servono e vederle mi fa
un po’ impressione…» alzò il
braccio, fece un lieve movimento con la mano e
parandosi davanti a loro disse «Attenzione, potreste farvi
male.» un attimo
prima che quello che sembrava un uccello di fuoco si schiantasse contro
la
tomba di Rufy e quella degli altri, riducendole in cenere.
«Ma
che diavolo hai fatto alle loro tombe!?!?» gridò
Nami contro
l’uomo buttandolo a terra.
«Calma
calma, non è colpa mia, si arrabbi con il cecchino
laggiù!»
«Cecchino?
Quale cecchin-…!» si alzò dal corpo
dell’uomo e si
voltò lentamente verso il punto che lui aveva indicato. Le
venne un groppo in
gola e le lacrime le appannarono la vista. Dietro di loro, tutte in
linea,
c’erano sette persone, di cui sei uomini vestiti in giacca e
cravatta e una
donna vestita con un abito corto con una grande cintura e una lunga
giacca.
Tornò a guardare l’uomo che si era avvicinato ai
bambini nascosti dietro la
tomba di Ace e con la voce rotta dal pianto disse «Ace,
piccolo della mamma,
lascia il cappello al signore. E tu Bellmer, lasciagli la
collana.»
««Perché?»»
chiesero i piccoli stringendo i propri tesori.
«Perché
lui è…» mormorò ormai in
preda ad un enorme pianto di gioia.
L’uomo
che ormai di misterioso non aveva più nulla
cominciò a
slacciarsi il mantello e cominciò a parlare «Visto
Ace? Sono tornato! Ho
mantenuto la mia parola! Ho realizzato il mio sogno, ti ho vendicato e
sono
tornato da Nami!
Sei orgoglioso di me,
vero, fratellone?» esclamò con gioia. Fece cadere
il mantello a terra,
rivelandosi per quello che era: un ragazzo in visto, ma adulto nel
corpo e
nella mente, vestito in giacca e cravatta con un lungo cappotto nero
bordato
d’oro poggiato sulle spalle. Si voltò verso i
bambini, che lo guardavano con
occhi sgranati e prese il cappello di paglia dalla testolina del
piccolo Ace
per poggiarlo sulla sua scompigliata testa mora e sfilò la
collana dal collo
della piccola Bellmer legandosela al polso.
Tenne
un attimo il cappello premuto sul capo per nascondere il
proprio volto dal quale si poteva scorgere solo una piccola cicatrice
sotto
l’occhio sinistro, sulla quale scivolava una lacrima
solitaria. Con un rapido
gesto di mano la cancellò e sfoggiando un enorme sorriso, il
suo enorme sorriso
che sempre l’aveva resa felice disse in tono allegro
«Visto Nami? Te l’avevo
promesso no? Sono tornato! Perdonami, anzi perdonatemi per avervi fatto
aspettare tanto!»
«Ca… pi… ta… no… Rufy!!!» urlò Nami riabbracciando dopo tanto tempo il suo amore.
«Mi dispiace Nami… Non sono riuscito a
mantenere la promessa… Però sono
riuscito a realizzare il mio desiderio: l’ho trovato Nami, ho
trovato One
Piece, e questo mi rende di diritto Re dei Pirati! Tu ora sei la
regina, perciò
ti supplico di proteggere i piccoli principi… Digli che gli
voglio un mondo di
bene… Raccontagli del suo papà…. e
della nostra ciurma… Non ho potuto
proteggerli… Scusa… Li ho visti morire tutti, un
ad uno, ed ogni loro morte è
stata come un enorme macigno sul mio cuore… Ma Teach
l’ha pagata… Quel pezzo di
merda mi ha addirittura supplicato di lasciarlo in vita dopo
tutto… dopo tutto
quello che ha fatto… Sono felice che sia finalmente
morto… A sofferto come
abbiamo sofferto tutti noi… Scusa se ti sembro crudele e
spietato… Ehi, Nami,
amore mio, saudiresti un mio ultimo desiderio?.... Chiama il piccolo
Ace….. E
se vuoi la piccola Bellmer…… Mi piacerebbe
davvero tanto…. Sappi che vi amo…….
Un’ultima cosa, Nami… Io
t-……………»
«…io
ti amo, ti ho sempre amata e sempre ti amerò. Scusa se sono
morto.»
«Deficiente,
tu non sei morto, sei qui con me, con noi. Non ti
lascerò più andare, mai più, anche a
costo di legarti al letto, capitano!»
«Hai
suoi ordini, navigatrice!»
Nota
d’Autrice: et voilà, finito! Sono molto felice e
sollevata di
essere arrivata alla fine senza intoppi, sperando ovviamente di non
aver deluso
nessuno. Scusate se non mi dilungherò tanto, ma sto
scrivendo questa nota d’autrice
dopo una notte passata in bianco quindi è già
tanto se riesco a mettere insieme
delle frasi di senso compiuto. Voglio però ringraziare
immensamente chi ha
seguito la storia fino a qui, in particolare Ellie chan e nami92 che mi
sopportano e sostengono sin dalla prima storia di One Piece, dicendomi
tante di
quelle cose magnifiche che è difficile elencarle tutte.
Grazie infinite. Bon,
sperando che vi sia piaciuta ora vi saluto, alla prossima storia! (Lo
so, sono
penosa, ma tentate di capirmi, non riesco nemmeno a parlare a momenti!)
ElPsyCongroo