Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ElPsyCongroo    18/03/2012    2 recensioni
Sono ormai passati 5 anni dalla sua morte e molte cose sono cambiate. Finalmente un sentimento rimasto assopito per troppo tempo è sbocciato dando frutto ad una delle poche cose belle della vita, portando gioia e speranza in tutta la ciurma. Chi avrebbe mai immaginato tutto quello che sarebbe successo?
[Semi-seguito di Perdonami... e grazie per tutto, quindi in quanto tale occhio agli spoiler, ma se non l'avete letta non ci sono problemi, capirete tutto comunque.]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Un po' tutti | Coppie: Rufy/Nami
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 3: Speranze del Futuro

(N.B. Le frasi messe tra ««…»» sono quelle che vengono dette insieme in coro diciamo)

 

««Maaaaammaaaa!!!!»»

«… ma che?»

««Maaaaammaaaa!!!!»»

«Bambini! Ma perché gridate così? La mamma stava dormendo!»

«La mamma piangeva…»

«… pensavamo che stasse male.»

«Si dice stesse e comunque non è vero, non stavo pian-» aveva pianto invece, e tanto anche. A testimoniarlo c’era la macchia sul cuscino e gli occhi rossi e gonfi di lei. Si affrettò a cancellare qualunque traccia di quel pianto dal viso e con voce un po’ tremante rassicurò i bambini. «Che teneri che siete a preoccuparvi per la mamma, ma non dovete. Sto bene, ho fatto solo un sogno un po’ triste, tutto qui.»

«Hai sognato papà?»

«Sì, in effetti ho proprio sognato papà.»

««Cattiva mamma!»» trillarono in coro i due piccoli.

«E perché sarei cattiva?»

«Perché papà non vuole che la mamma piange…»

«… la mamma deve sempre sorridere!»

Nami sorrise. È vero, di certo lui non avrebbe voluto vederla così, ma che poteva farci? «Scusate piccoli! Per farmi perdonare allora oggi vi porto dove volete.»

«Non vale! Avevi già detto che ci avresti portato dove volevamo, quindi non vale!»

«Tanto basta che ti scusi con papà! Se ti prepari possiamo andare subito da lui! Veloce che ci aspetta!»

«Ok ok, mi alzo! Più diventate grandi più gli assomigliate, sempre a fare di testa vostra! Dovrò riprenderlo quando arriviamo da lui, vi sta insegnando cose sbagliate! Però per oggi sarò buona visto che è il vostro compleanno.»

««Non ci hai ancora fatto gli auguri e non ci hai dato i regali!»»

«Che impazienti che siete! Per i regali dovrete aspettare sta sera, per gli auguri ci stavo arrivando: buon compleanno Ace! Buon compleanno Bellmer!» disse allegramente Nami scendendo finalmente dal letto e abbracciando le copie in miniatura di Rufy. Nell’ essere uguali tra loro erano identici al padre, o almeno per come la vedeva lei: belli come la mamma e coraggiosi come il papà avevano detto e così era stato. Pur avendo solo cinque anni appena compiuti quei due facevano di tutto, dal semplice arrampicarsi su un albero (per quanto potesse essere facile arrampicarsi su un albero per due bambini piccoli) all’affrontare a mani nude le bestie feroci che spesso attaccavano loro e gli altri abitanti dell’isola. E il coraggio fuori dal comune non era l’unica cosa che li rendeva così simili al padre: sempre affamati mangiavano di continuo senza ingrassare, avevano una riserva di energie senza fondo, dormivano quando e dove capitava e sorridevano sempre, proprio come lui.

Però era anche vero che somigliavano molto alla madre: molto intelligenti e furbi, capaci di grande inventiva e intuizione, soprattutto in campo meteorologico.

In quanto ad aspetto fisico erano appunto belli come la madre: avevano gli stessi lineamenti delicati e gli occhi ambrati che colpivano chiunque li guardasse. Avevano i capelli corti e spettinati lui, lunghi e ondulati lei, come i genitori, ed erano nero pece con ciocche ambrate: erano davvero due bambini bellissimi, e Nami non era l’unica a dirlo. Tutti si complimentavano di loro, anche se a volte combinavano guai esattamente come il padre.

««Grazie mamma! Ora però preparati, senno facciamo aspettare troppo papà!»» Parlavano sempre insieme i due gemellini, e se non parlavano nello stesso momento l’uno completava la frase dell’altra e viceversa. Alcuni dicevano che era una cosa troppo strana, che sarebbero dovuti andare da un medico, ma Nami si rifiutava categoricamente per due motivi: uno non ci vedeva assolutamente niente di sbagliato, semplicemente erano molto affiatati. Due per qualunque cose avessero ci pensava Nami a curarli perché non voleva portarli da nessuno: l’unico medico a cui avrebbe permesso di vedere i propri figli era ormai scomparso da tempo. Forse era un’irresponsabile, ma proprio non ce la faceva, era più forte di lei.

«Ho detto che ora mi preparo, calmatevi! Altrimenti vi metto in punizione e niente papà oggi!»

«Nooooooooo! Facciamo i bravi, facciamo i bravi!»

«Facciamo i bravi ma mamma ci porta da papà!»

Ace e Bellmer erano in crisi: volevano un bene dell’anima al padre e per quelle poche volte che potevano vederlo avrebbero fatto di tutto per andare da lui. Erano decisamente molto teneri, tanto che stavano per mettersi a piangere alle minacce della madre.

«Dai piccoli, non esagerate! La mamma stava scherzando! Certo che vi porto da papà, anch’io voglio vederlo, e non vi lascerei mai indietro, quindi non piangete, ok?»

««Ok mamma, facciamo i bravi…»»

«È così che si fa, bravi cuccioli. Ora ci prepariamo tutti insieme perché con quei vestiti lerci non vi porto da nessuna parte, quindi prima facciamo un bel bagno e poi tutti da papà!»

««Sìììììììììì!!!»» e così gridando corsero verso il bagno sparpagliando i vestiti per tutta casa. Nami li guardò sorridendo ma dopo un po’ calde lacrime cominciarono a scivolare sulle sue guance. Stava ancora pensando al sogno appena fatto ed era sconvolta da quanto fosse rimasta colpita: pensava di essere più forte, di poter superare e sopportare, ma era troppo. Ogni giorno vedeva i piccoli e non poteva fare a meno di pensarci cadendo sempre in una tristezza profonda. Stava ancora piangendo quando sentì qualcuno abbracciale forte le gambe. Abbassò lo sguardo e vide i suoi figlioletti teneramente appiccicati a lei.

«Ti abbiamo detto di non piangere mamma!»

«La mamma è forte, se piange però non lo è più!»

«E se la mamma non è più forte anche noi diventiamo meno forti!»

«E se diventiamo meno forti papà è triste, l’hai detto tu!»

««Quindi non piangere mamma!»»

Le si levarono gli occhi di lacrime ancora di più. Quelle due testoline erano in gado di tirarla su di morale in ogni istante, pur essendo ancora due bambini.

««Mammaaaaaaa! Non piangere!»»

«Scusate scusate! È che la mamma si commuove facilmente, sapete? Sentirvi dire queste cose mi rende molto fiera ed orgogliosa di voi. Se il papà vi vedesse sarebbe anche lui molto felice.»

«Veloce, così andiamo da papà!»

«Papà ci aspetta, non facciamo tardi, altrimenti si arrabbia!»

«Ok, ok! Andiamo puzzolenti, dobbiamo farci belli per papà!»

««Non siamo puzzolenti!»»

«Ah no eh? Fatemi sentire… Bleah, che puzza, così il papà non vi vorrà vedere!»

««Nono, dobbiamo vedere il papà! Non dobbiamo puzzare! Bagnetto bagnetto!»» e così tornarono correndo in bagno. Nami sorrise ancora un po’ prima di seguire i figli, indugiando davanti all’unica foto che aveva di Rufy: il primo manifesto da ricercato che aveva conservato con tanta cura, esattamente come Rufy prima di lei.

***

«Ora sì che siete belli!» Nami era davvero orgogliosa dei suoi piccoli: Bellmer indossava un vestitino nero con pizzo e maniche a sbuffo, con un nastro bianco a fasciarle la vita e delle ballerine nere con un fiocchetto bianco a lato. Ace invece per chissà quale strano miracolo aveva deciso di indossare giacca e cravatta, ma con delle modifiche personali: al posto delle scarpe eleganti indossava le infradito del padre e in testa portava il cappello di paglia.

«Potresti almeno abbottonarti un po’ di più la camicia Ace?»

«No!»

«E perché no?»

«Perché così somiglio di più al papà!»

«Ihih, è vero. Dai allora, andiamo, prima di sporcarvi tutti.»

Nami, Ace e Bellmer uscirono dalla loro casetta e si avviarono verso la loro meta. Nami aveva deciso di fermarsi a vivere nel piccolo villaggio vicino all’isola dove era sepolto Ace, il villaggio dove erano nati i suoi figli e dove aveva visto per l’ultima volta Rufy che spariva tra le esplosioni. All’inizio non erano proprio ben accetti: per colpa della ciurma di cui faceva parte il villaggio cinque anni prima aveva rischiato di essere totalmente distrutto, ma grazie al sostegno di alcuni di loro che la pensavano diversamente era finalmente riuscita a stabilirsi in quel luogo. Ora era diventata amica di tutti e tutti si fidavano di lei: le chiedevano consigli sul mare, sul tempo, sulle arti mediche, qualunque cosa. Era diventata famosa per la sua intelligenza perciò poteva vivere serenamente insieme ai suoi figli in quel piccolo angolo di mondo.

A causa della fama di Rufy altre volte il villaggio era stato attaccato, ma per fortuna si trattava per lo più di sprovveduti che non sapevano restare al proprio posto e che dopo qualche semplice fulmine scappavano via a gambe levate. Questo più che altro era perché temevano fortemente l’ira della Regina dei Pirati, in quanto consorte del Re dei Pirati, Monkey D. Rufy.

Sì, Rufy era riuscito a guadagnarsi il titolo di Re dei Pirati dopo aver sconfitto Teach sull’isola di One Piece. Ovviamente non si era degnato minimamente di rivelare la “vera identità” di One Piece, semplicemente si era preso il titolo di Re dei Pirati e chi si è visto si è visto. Nemmeno Nami sapeva di cosa si trattasse, ma i pirati sopra citati credevano che lei sapesse tutto, per questo motivo attaccavano il villaggio.

Visto che per raggiungere la loro meta ci voleva parecchio tempo prima di proseguire si fermarono in una locanda per mangiare qualcosa di buono e fare qualche scorta per il breve viaggio. Era la stessa locanda dove aveva alloggiato per l’ultima volta con il resto della ciurma e per questo era uno dei pochi luoghi dove si sentiva veramente a casa.

«Buongiorno Nami! Come stai? Mi sembri un po’ sciupata.»

«Non è niente, è solo che sta notte non ho dormito molto bene.» disse Nami per rassicurare la locandiera, Mama, una donna che sin da quando erano nati i gemelli era stata dalla sua parte.

«È per Rufy? Se non sbaglio oggi è l’anniversario della sua-»

«No, per favore, non dirlo, altrimenti scoppio di nuovo a piangere e rischio di non smettere più.»

«E perché mai? Stavo per dire “della sua ascesa al trono”, ma se non mi lascia terminare la frase come può pretendere di capire, sua altezza?» disse facendo un piccolo inchino e abbozzando un sorriso complice. Nami la adorava proprio per questo: era in grado di capire immediatamente quando stava male e perché ed era in grado di agire di conseguenza. Senza di lei, soprattutto durante i primi mesi di vita di Ace e Bellmer, Nami non ce l’avrebbe mai fatta. Era stata lei ad aiutarla quando i bambini stavano nascendo, era stata lei a curarla subito dopo, era stata lei ad allattare i piccoli grazie al fatto che aveva avuto da poco un figlio, e sempre lei li aveva ospitati per un breve periodo in casa sua, prima che Nami fosse guarita del tutto ed in grado di provvedere da sola ai figli. Non che adesso si fosse ripresa del tutto: spesso veniva colta da lancinanti dolori al ventre e anche per una semplice influenza ogni volta restava a letto per giorni e giorni in preda ai dolori. Durante quei periodi per fortuna c’era Mama ad assisterla, altrimenti i piccoli non avrebbero potuto crescere così sani e forti.

Il tutto era dovuto alla precoce nascita dei gemelli: la loro nascita l’aveva indebolita, il medico dell’isola le aveva detto che non sarebbe più stata in grado di compiere grandi sforzi e, e questa era la cosa che la rendeva più triste, non avrebbe più potuto avere figli. Aveva sempre sperato in una famiglia numerosa con il suo Rufy, ma per vari motivi non sarebbe più stato possibile.

Non che questo la portasse a voler meno bene o ad odiare Ace e Bellmer: per loro sarebbe anche morta, non le interessava niente della sua salute, l’importante era che fossero loro a stare bene.

«Grazie.»

«E di cosa? Non credo di aver fatto niente di speciale! Ma ora basta, se non sbaglio qui ci sono due principini che sono appena diventati grandi!»

««Sììììììììììì! Ormai siamo grandi, abbiamo 5 anni! Che cosa ci regali? Vogliamo i regali!»» trillarono i piccoli sorridendo come Rufy.

«Ehi, ma che modi sono? Non dovete comportarvi così!»

«Oh tranquilla Nami, sono bambini, non è un problema. Venite con me cuccioli.» I piccoli si avvicinarono ad un enorme oggetto coperto da un telo colorato che si trovava nel prato di fronte alla locanda e con l’aiuto di Nami e Mama lo scoprirono, rivelando qualcosa che lasciò a bocca aperta tutti e tre: si trattava di una riproduzione della Going  Merry, solo più piccola e con alcune modifiche. Ace e Bellmer salirono sulla nave in tutta fretta, strillando di gioia ed esplorando ogni angolo della nave. Dopo la loro rapida esplorazione, come spinti da qualche strano istinto, Ace andò a sedersi sulla polena e Bellmer sotto gli alberi di mandarini ad assaporare il loro profumo. Vedendo quella scena Nami scoppiò di nuovo a piangere, ripensando ai tempi in cui erano su quella nave tutti insieme, a quando il loro viaggio era appena cominciato.

«Se ti vedono piangere di nuovo li spaventi.»

«Mama…»

«Spero di non essere stata troppo invadente con questo regalo. Spero mi perdonerai. Non sono riuscita nemmeno a riprodurla fedelmente ed è molto più piccola, ma ho pensato che va bene comunque, in fondo sono ancora piccoli, non andranno da nessuna parte e non metteranno in piedi una ciurma ancora per molto tempo, quindi questa piccolina dovrebbe bastare per la loro voglia di esplorare il mare circostante.»

«Mama… Mama Mama Mama!!!» Nami le saltò al collo. Sprofondò il viso nei suoi capelli e cominciò a ridere e piangere nello stesso tempo, stringendosi il più possibile a lei.

«Na-Nami, mi soffochi così! Su su, rilassati, calma calma…» le disse dolcemente, accarezzandole la schiena per calmarla. Faceva sempre così quando Nami era in crisi, la cullava come se fosse una bambina piccola, come se fosse sua figlia. Nami pian piano si calmò e si stacco da lei, strofinandosi velocemente il viso per far sparire ogni segno del pianto.

«Brava, è così che si fa. Vedrai che con il tempo riuscirai a resistere a tutto questo, a guardarli e sorridere piena di gioia, senza essere assalita da tristi pensieri.»

«Grazie Mama, per tutto. Non potrei fare davvero niente senza di te, sei come una madre per me, e non lo dimenticherò mai. Non potrò mai sdebitarmi.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo, ok? Non ti chiederò mai di sdebitarti, mi basta vedervi tutti e tre insieme per rendermi felice, ok? E ora su, non dovevate andare da qualche parte? Dentro ci sono i cesti per il pranzo, ho fatto tutti i vostri cibi preferiti!»

«Hai ragione, grazie, è meglio che vada altrimenti non arriveremo più.» E dopo aver sorriso davvero per la prima volta in quel giorno andò a chiamare i piccoli, che scesero immediatamente appena sentirono la minaccia di Nami secondo la quale se non si muovevano la nave avrebbe messo le ali e sarebbe volata via, raggiungendo il cielo con a bordo il loro papà.

***

«Ace, Bellmer, datemi una mano, non correte così! Aiutatemi a portare questi piuttosto visto che la maggior parte del cibo è per voi! A me non serve, potrei anche far rotolare questi cesti in mare! Chissà poi perché Mama ha preparato tutto questo poi… È troppo pure per Ace e Bellmer, e dovrebbe sapere che io non mangio molto…» mentre Nami ragionava sul perché di tanto cibo i bambini la raggiunsero e presero alcuni cesti così da lasciare un po’ di riposo alla madre. Era ormai da parecchio che camminavano perché l’isola dove erano diretti era raggiungibile solo a piedi sfruttando la bassa marea e gli scogli o con una nave, e lei non sarebbe mai salita su una nave che non fosse la Sunny. A causa della sua ostinazione ora era parecchio affaticata: spesso si fermava a riprendere fiato per evitare di svenire in mezzo alla strada e preoccupare i bambini. Erano abituati a vederla star male, ma non voleva che la vedessero totalmente priva di difese, incapace di proteggerli.

In più ci si metteva anche l’abito a creare problemi: aveva deciso di mettere per quell’occasione, dopo tanti anni, l’abito nero con scialle rosa e scarpe con tacco che indossava il giorno della nascita di Ace e Bellmer. Si era rovinato parecchio quel giorno e Nami non era più riuscita ad indossarlo, la faceva stare troppo male. Però aveva deciso che doveva superare le sue angosce, perciò l’aveva portato a sistemare con parecchio anticipo rispetto a quella data e, quando l’abito fu finalmente pronto, se lo provò di nascosto, per vedere l’effetto che le faceva. All’inizio fu difficile, ma dopo un po’ si abituò a non aveva più avuto problemi. Fino ad ora. Era troppo lungo e continuava ad impigliarsi in tutto ciò che poteva e le scarpe erano una tortura. Non aveva pensato che ci sarebbero state tutte quelle difficoltà. Quando si impigliò l’ennesima volta strappò il fondo dell’abito così da renderlo più corto ed essere più comoda, esattamente come tanti anni prima.

«Dai mamma, fai veloce!»

«Fai veloce che papà aspetta!»

«Arrivo arrivo. Tanto ci siamo quasi, è inutile agitarsi tanto. Vedete laggiù, in cima alla scogliera? Vedete che c’è papà?» I piccoli si girarono e nel vedere la cima della scogliera gridarono in coro «Papà!» e si rimisero a correre.

«Non correte ho detto! Tanto papà non se ne va mica! Ahhh, è inutile parlare con loro, sono troppo cocciuti. Hanno preso troppo dal padre.» si lamentò sorridendo dolcemente. Dopo un po’ raggiunse i piccoli che erano già saltati addosso al padre, lanciando i cestini del pranzo in giro.

«Su piccoli, scendete, così schiacciate papà. Bravi così, sistemate la coperta e il cibo che nel frattempo saluto vostro padre, ok?» I piccoli obbedirono subito alla mamma senza protestare: anche se spesso ignoravano quello che diceva e disobbedivano sapevano che quel momento era solo per i loro genitori e che non dovevano disturbare.

«Ciao Rufy, come stai? Ho portato i piccoli visto? Non trovi che siano diventati grandi?» mormorò fissando per un attimo Rufy. «Stanno crescendo davvero bene. Al villaggio tutti gli vogliono bene, sono diventati delle specie di mascotte. Dovresti vedere però quanti guai combinano quei due! Hanno preso proprio da te! Ma almeno sono più intelligenti di te, belli ed intelligenti come me! Proprio come avevamo detto… Sai, credo che sentano la tua mancanza ogni tanto, come me del resto… Perché l’hai fatto, eh? Perché te ne sei andato? Perché sei morto?» sussurrò al vento, sfiorando i fiori che ricoprivano la tomba di Rufy. Era identica a quella del fratello e vicina ad essa.

Accanto a quella di Rufy c’era un’altra tomba: quella di tutto il resto della ciurma di Cappello di Paglia. Sopra di essa Nami aveva lasciato qualcosa che rappresentasse tutti: la bandana che Zoro portava sempre al braccio, una della fionde di Usopp, uno dei libri di archeologia di Robin, un pacchetto delle sigarette che fumava sempre Sanji, uno degli strumenti medici di Chopper, una delle bottiglie di Cola di Franky, il bastone/spada di Brook e uno dei mandarini che tanto le piacevano.

Perché in un certo senso lei era morta. Era morta la Nami navigatrice della ciurma di Cappello di Paglia.

Sulla tomba di Rufy aveva lasciato anche il suo cappello, ma non ce l’aveva fatta a lasciarlo lì per molto tempo, era l’unica cosa che gli restava del suo amato. In più il piccolo Ace sin dal primo giorno che l’aveva visto aveva afferrato il cappello con tutte le sue forze e non l’aveva più lasciato. Esattamente come Bellmer non lasciava mai la sua preziosa collana con la perla rossa che Nami aveva trovato tempo prima nella stanza dei ricordi: la perla della collana di Ace che Rufy aveva inconsciamente conservato. Nami l’aveva sempre tenuta con sé sin da quel giorno, come un porta fortuna, poi l’aveva lasciata alla figlia che ne era rimasta completamente affascinata.

«Mi aveva promesso che saresti tornato, che non mi avresti lasciata mai… Bugiardo…» Rufy e il resto della ciurma erano morti il giorno in cui Teach aveva li aveva attaccati, dopo un lunghissimo scontro che aveva avuto luogo sull’isola di One Piece. Per questo Rufy era diventato Re dei Pirati: aveva ucciso Teach in quella battaglia atroce dopo che tutte e due le ciurme si erano annientata a vicenda, lasciando solo i capitani a fronteggiarsi. Subito dopo aveva lasciate dette queste parole nello stesso Tone Diale che aveva usato anni e anni prima Nami:

«Mi dispiace Nami… Non sono riuscito a mantenere la promessa… Però sono riuscito a realizzare il mio desiderio: l’ho trovato Nami, ho trovato One Piece, e questo mi rende di diritto Re dei Pirati! Tu ora sei la regina, perciò ti supplico di proteggere i piccoli principi… Digli che gli voglio un mondo di bene… Raccontagli del suo papà…. e della nostra ciurma… Non ho potuto proteggerli… Scusa… Li ho visti morire tutti, un ad uno, ed ogni loro morte è stata come un enorme macigno sul mio cuore… Ma Teach l’ha pagata… Quel pezzo di merda mi ha addirittura supplicato di lasciarlo in vita dopo tutto… dopo tutto quello che ha fatto… Sono felice che sia finalmente morto… A sofferto come abbiamo sofferto tutti noi… Scusa se ti sembro crudele e spietato… Ehi, Nami, amore mio, saudiresti un mio ultimo desiderio?.... Chiama il piccolo Ace….. E se vuoi la piccola Bellmer…… Mi piacerebbe davvero tanto…. Sappi che vi amo……. Un’ultima cosa, Nami… Io t-……………»

E così finiva il massaggio. Era stata proprio Nami a trovare il Tone Diale in una pozza di sangue sull’isola dove erano tutti morti. Non c’era nient’altro, nessun cadavere, solo sangue ovunque, avvoltoi che si cibavano di non voleva sapere cosa, quel messaggio e tutto il contenuto della stanza dei ricordi. Era quasi morta di dolore quel giorno, sperava che il messaggio terminasse con un “tornerò”, invece niente. Erano passati 8 anni ormai e niente. Ormai ci aveva rinunciato.

««Mamma, mamma!»»

«Ace, Bellmer, che vi prende? Perché urlate tanto?»

««Signore!»»

«Signore? Quale signor- Oh scusi, mi perdoni, non l’avevo vista.» Silenzio. L’uomo era coperto da capo a piedi da un lungo mantello con il cappuccio calato sulla testa, in modo da oscurare il suo volto.

«Scusi, potrei sapere chi è lei?»

«Mi perdoni lei signorina. Forse ho interrotto qualcosa di importante. Mi sembrava così assorta nei suoi pensieri che non ho osato disturbarla.»

«No no, lei non ha fatto niente! Sono stati i miei figli a disturbarmi, lei non disturba affatto.»

«Allora sono figli suoi?»

«Sì, lui è Ace mentre lei è Bellmer. Forza piccoli, salutate il signore.»

««Ciao signore!»»

«Non ciao, si dice salve.»

«Eheh, non si preoccupi.» disse l’uomo chinandosi all’altezza dei piccoli come ad osservarli meglio. Stette un po’ li in silenzio prima di parlare di nuovo.

«Ciao piccolo Ace. Che bel cappello che hai, me lo regaleresti?»

«No! La mamma ha detto che è del papà e che devo proteggerlo!» trillò il piccolo stringendo forte il cappello sulla testa.

«Oh, che peccato! È davvero un bel cappello! Il tuo papà è fortunato ad avere un tesoro così! E tu, piccola Bellmer? Che ne dici di regalarmi quella bella collanina?»

«No! La mamma ha detto che è dello zio e che devo proteggerla!» trillò la piccola stringendo forte la perla tra le mani.

«Allora a me niente?»

««No! Il compleanno è nostro, non tuo, i regali li vogliamo noi!»» gridarono in coro. L’uomo scoppiò a ridere e si rimise in piedi. «Eheh, che buffi che siete! Comunque avete ragione, penso di aver già trovato il regalo adatto, aspettate solo un po’, va bene?» poi si girò a guardare la tomba di Rufy, impedendo ancora una volta a Nami di vedere il suo volto.

«Come mai si trova davanti a queste tombe il giorno del loro compleanno?»

«Perché oggi ricorrono altri due anniversari: quello della morte di loro padre, Monkey D. Rufy e del resto della sua ciurma, e di loro zio nonché fratello di Rufy, Portugas D. Ace. Sono morti esattamente 5 anni fa mio marito e i suoi compagni e 10 mio cognato, in questo stesso giorno. Immagino che lei sappia chi sono, non sono certo tipi che passano inosservati.»

«Certo che li conosco. Mi dispiace averle portato alla memoria tristi ricordi, Regina dei Pirati Nami.»

«No no, non mi chiami così. E comunque si figuri, non è un problema. Quel che è successo è successo, è inutile pensarci troppo, non li riporterà di certo indietro.»

«Peccato però.»

«Peccato per cosa?»

«Speravo di avere una chance con una bella signorina come lei, ma da come ne parla si capisce che è ancora molto legata a suo marito. Sono arrivato tardi.»

«Grazie per il complimento, ma mi dispiace. Anche se sono passati 5 anni, e quindi molto probabilmente è morto, mi ha promesso che sarebbe tornato, perciò non posso tradirlo.»

«Lei è una ragazza davvero molto fedele. Suo marito è un uomo fortunato. Come ha potuto lasciarla? Non è arrabbiata con lui?»

«No, perché ora ho capito che l’ha fatto per il mio bene. Se non mi ha portata con loro quel giorno era solo per salvarci. Allora l’avevo preso come un tradimento, ma ora lo ringrazio per quello che ha fatto. Sarei stata inutile con loro, e molto probabilmente sarei morta anch’io insieme hai piccoli. Devo ringraziarlo per avermi lasciata, anche se devo ammettere che mi manca terribilmente.» Restò un po’ in silenzio ad osservare la tomba di Rufy.

«Lei invece perché è qui?»

«In realtà sono qui con alcuni amici per salutare un mio conoscente e per riabbracciare la mia famiglia che ho abbandonato troppo tempo fa.»

«Posso sapere di chi si tratta? Magari li conosco, il villaggio è molto piccolo.»

«Beh, in realtà è lui.» disse indicando la tomba di Ace.

«Lei conosceva Ace?»

«Sì, eravamo… grandi amici. È da tempo che non venivo a trovarlo, perciò eccomi qui.» La mente di Nami cominciò a correre veloce. Se conosceva Ace probabilmente conosceva anche Rufy. Sapere che qualcuno poteva condividere quel dolore con lei la faceva sentire meno sola.

«Conosceva anche Rufy?»

«Eheh, in effetti sì, lo conosco molto bene. Non pensavo di trovare la sua famiglia qui e a dirla tutta non credevo nemmeno di trovare queste» disse indicando le due tombe, quella della ciurma e quella di Rufy «anche se un po’ dovevo immaginarlo. Ma visto che non servono e vederle mi fa un po’ impressione…» alzò il braccio, fece un lieve movimento con la mano e parandosi davanti a loro disse «Attenzione, potreste farvi male.» un attimo prima che quello che sembrava un uccello di fuoco si schiantasse contro la tomba di Rufy e quella degli altri, riducendole in cenere.

«Ma che diavolo hai fatto alle loro tombe!?!?» gridò Nami contro l’uomo buttandolo a terra.

«Calma calma, non è colpa mia, si arrabbi con il cecchino laggiù!»

«Cecchino? Quale cecchin-…!» si alzò dal corpo dell’uomo e si voltò lentamente verso il punto che lui aveva indicato. Le venne un groppo in gola e le lacrime le appannarono la vista. Dietro di loro, tutte in linea, c’erano sette persone, di cui sei uomini vestiti in giacca e cravatta e una donna vestita con un abito corto con una grande cintura e una lunga giacca. Tornò a guardare l’uomo che si era avvicinato ai bambini nascosti dietro la tomba di Ace e con la voce rotta dal pianto disse «Ace, piccolo della mamma, lascia il cappello al signore. E tu Bellmer, lasciagli la collana.»

««Perché?»» chiesero i piccoli stringendo i propri tesori.

«Perché lui è…» mormorò ormai in preda ad un enorme pianto di gioia.

L’uomo che ormai di misterioso non aveva più nulla cominciò a slacciarsi il mantello e cominciò a parlare «Visto Ace? Sono tornato! Ho mantenuto la mia parola! Ho realizzato il mio sogno, ti ho vendicato e sono tornato da  Nami! Sei orgoglioso di me, vero, fratellone?» esclamò con gioia. Fece cadere il mantello a terra, rivelandosi per quello che era: un ragazzo in visto, ma adulto nel corpo e nella mente, vestito in giacca e cravatta con un lungo cappotto nero bordato d’oro poggiato sulle spalle. Si voltò verso i bambini, che lo guardavano con occhi sgranati e prese il cappello di paglia dalla testolina del piccolo Ace per poggiarlo sulla sua scompigliata testa mora e sfilò la collana dal collo della piccola Bellmer legandosela al polso.

Tenne un attimo il cappello premuto sul capo per nascondere il proprio volto dal quale si poteva scorgere solo una piccola cicatrice sotto l’occhio sinistro, sulla quale scivolava una lacrima solitaria. Con un rapido gesto di mano la cancellò e sfoggiando un enorme sorriso, il suo enorme sorriso che sempre l’aveva resa felice disse in tono allegro «Visto Nami? Te l’avevo promesso no? Sono tornato! Perdonami, anzi perdonatemi per avervi fatto aspettare tanto!»

«Ca… pi… ta… no… Rufy!!!» urlò Nami riabbracciando dopo tanto tempo il suo amore.

 

 

«Mi dispiace Nami… Non sono riuscito a mantenere la promessa… Però sono riuscito a realizzare il mio desiderio: l’ho trovato Nami, ho trovato One Piece, e questo mi rende di diritto Re dei Pirati! Tu ora sei la regina, perciò ti supplico di proteggere i piccoli principi… Digli che gli voglio un mondo di bene… Raccontagli del suo papà…. e della nostra ciurma… Non ho potuto proteggerli… Scusa… Li ho visti morire tutti, un ad uno, ed ogni loro morte è stata come un enorme macigno sul mio cuore… Ma Teach l’ha pagata… Quel pezzo di merda mi ha addirittura supplicato di lasciarlo in vita dopo tutto… dopo tutto quello che ha fatto… Sono felice che sia finalmente morto… A sofferto come abbiamo sofferto tutti noi… Scusa se ti sembro crudele e spietato… Ehi, Nami, amore mio, saudiresti un mio ultimo desiderio?.... Chiama il piccolo Ace….. E se vuoi la piccola Bellmer…… Mi piacerebbe davvero tanto…. Sappi che vi amo……. Un’ultima cosa, Nami… Io t-……………»

«…io ti amo, ti ho sempre amata e sempre ti amerò. Scusa se sono morto.»

«Deficiente, tu non sei morto, sei qui con me, con noi. Non ti lascerò più andare, mai più, anche a costo di legarti al letto, capitano!»

«Hai suoi ordini, navigatrice!»

 

Nota d’Autrice: et voilà, finito! Sono molto felice e sollevata di essere arrivata alla fine senza intoppi, sperando ovviamente di non aver deluso nessuno. Scusate se non mi dilungherò tanto, ma sto scrivendo questa nota d’autrice dopo una notte passata in bianco quindi è già tanto se riesco a mettere insieme delle frasi di senso compiuto. Voglio però ringraziare immensamente chi ha seguito la storia fino a qui, in particolare Ellie chan e nami92 che mi sopportano e sostengono sin dalla prima storia di One Piece, dicendomi tante di quelle cose magnifiche che è difficile elencarle tutte. Grazie infinite. Bon, sperando che vi sia piaciuta ora vi saluto, alla prossima storia! (Lo so, sono penosa, ma tentate di capirmi, non riesco nemmeno a parlare a momenti!)

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