Fanfic su attori > Cast Vampire Diaries
Ricorda la storia  |       
Autore: FairLady    20/03/2012    6 recensioni
Roxie e la sua vita. Tanto soddisfacente nel lato professionale, quanto incasinata e sconnessa in quello privato. Chissà se certi muri, eretti con tanta volontà e determinazione, riusciranno un giorno ad essere abbattuti?!
Revisione in corso.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 
La mia giornata iniziò, come tante altre prima di allora, alle quattro di mattina, quando la sveglia mi tuonò nelle orecchie: era ora di alzarsi.
Ero felice del mio lavoro, soddisfatta di aiutare il prossimo e, più di tutto, di vedere il sorriso dei bambini del reparto pediatria dell’ospedale; era la cosa che più mi faceva amare la mia professione.
Una volta giunta al Riverside Hospital, Macy mi comunicò che in sala operatoria era già tutto pronto, aspettavano solo me per l’intervento della piccola Ariel, che era stato anticipato a causa di un suo alquanto repentino peggioramento. 
In men che non si dica ero pronta. 
Quando entrai nella sala e mi vide il suo sorriso si aprì, illuminandole il volto pallido, ma sempre bellissimo. Ogni volta che vedevo il viso di un bambino sorridere alla mia vista il cuore mi si allargava nel petto di una gioia indescrivibile. Era davvero una sensazione impagabile.
Ci sapevo fare coi cuccioli d’uomo, più che con gli adulti, come avevo potuto constatare negli ultimi mesi, e ogni bimbo del reparto mi vedeva un po’ come la sorella maggiore da cui farsi coccolare.  
«Ciao tesoro mio» le sussurrai accarezzandole i capelli.
«Avevo detto al dottor Bunton che se non fossi arrivata, non mi sarei fatta operare.»
«Piccola, sono tutti bravissimi qui. Non c’è nulla di cui aver paura» la rassicurai con un sorriso.
«Sì, lo so, ma le tue carezze mi fanno stare bene.»
Presi con la mano a massaggiarle piano i capelli corvini, poi glieli raccolsi in una crocchia e li coprii con la cuffia sanitaria. Mi lavai le mani e indossai i guanti. 
«Tranquilla, adesso sono qui. Tu respira bene in questa conchiglietta colorata e chiudi gli occhietti. Non ti accorgerai di nulla, per quanto saremo veloci.»
«Dottoressa Findle, siamo pronti.» Mi comunicò l’anestesista. 
La piccola principessa era caduta nel sonno farmacologico. I valori erano stabili ed iniziammo ad operare.  
Avevo sempre avuto l’abitudine di unire alla mia professionalità e conoscenza una buona dose di fede. Ero molto legata a Dio, seppur in un modo che solo io in famiglia capivo: mia madre non aveva mai concepito il fatto di professarsi credente pur non andando mai a messa, ma questo non mi aveva mai portato a cambiare l’idea che mi ero fatta riguardo la chiesa. In particolare, avevo sviluppato una certa idiosincrasia per i parroci, i pastori. Non sopportavo la chiesa in quanto istituzione, e tantomeno i bigotti e perbenisti che si recavano ogni domenica alla funzione per farsi vedere dalla comunità e nella vita di tutti i giorni erano le persone della peggior specie. Se credevo e praticavo, potevo farlo a modo mio, e Dio sapeva bene chi ero. 
Pregavo tanto, specie per tutti i miei angioletti, e anche Ariel avrebbe avuto bisogno delle mie preghiere. Quando tutto fu finito, sospirai di sollievo. L’operazione era andata meglio di quanto ci si saremmo aspettati e Ariel, con buone probabilità, avrebbe avuto una vita piena e felice.
 
L’indomani, mentre facevo il giro dei pargoli in reparto, mi sentii chiamare a gran voce.
«Roxie, Roxie!» mi voltai e Ariel, dal suo lettino, mi fece segno di raggiungerla.
Le sorrisi benevola. Per quanti brutti pensieri o preoccupazioni potessi avere in testa, bastava uno di quei piccoletti a rendermi la giornata meravigliosa.
Fermai il gruppo di tirocinanti che mi stavo portando appresso dalle sei di quella mattina, in mezzo al corridoio, e raggiunsi lo scricciolo dai capelli color dell’ebano. 
«Tesoro mio…»
«Roxie, ho una notizia fantastica, sai?»
«Ah sì? E quale sarebbe?»
«Ho sentito mio zio questa mattina e ha detto che nel pomeriggio finalmente verrà a trovarmi!»
Aveva gli occhi celesti, così chiari da fare davvero impressione, spalancati e sorridenti. Era reduce da un’operazione che avrebbe buttato giù il più forte degli uomini, eppure lei, seppur sdraiata nel suo piccolo lettino, riusciva a gioire per ogni piccola cosa e a contagiare chiunque le fosse intorno. Avremmo dovuto tutti prendere esempio dai bambini!
Le accarezzai la folta chioma e le sorrisi, baciandole la fronte.
«Sono davvero felice per te, tesoro mio.»
«Ha detto che poi vuole parlare con il mio dottore – guardò i suoi genitori e sorrisero tutti e tre contemporaneamente – e il mio dottore sei tu, giusto?»
«Certo, piccola.» Guardai Robyn e Luke sorridendo, ma senza capire come mai lo zio di Ariel volesse parlarmi. Loro però fecero spallucce con noncuranza. «Starò qui intorno allora. Robyn, Luke…» li salutai con un cenno del capo e mi voltai verso la piccola.
«Fiorellino, ora devo tornare al mio lavoro», le schioccai un bacio sulla fronte. «Ci vediamo più tardi.»
Lei mi sorrise come faceva sempre e mi accarezzò con la manina. «Ciao, Roxie.»
 
Più tardi, durante la pausa, troppo stanca per raggiungere i colleghi in mensa e fingere una qualunque conversazione, mi rintanai nel mio studio con la mia insalata. 
Avevo ancora un sacco di cose da sbrigare, tra cui chiamare il locale dove stavo organizzando l’addio al nubilato della mia migliore amica Anne, e poca forza per farlo, ma presi un lungo respiro e alzai il ricevitore.
Dopo aver confermato un paio questioni per la festa, presi la mia insalata di pere e noci e, come capitava sempre più spesso, aprii il mio diario. Poteva sembrare davvero infantile, per un medico in carriera pieno di impegni e responsabilità, tenere un diario segreto, ma era una di quelle cose che mi faceva stare bene e, grazie ai quei pensieri messi nero su bianco, riuscivo ad avere un quadro, seppur a volte sconnesso, di ciò che era diventata la mia vita; e, miglior aspetto di tutta la faccenda, da quei fogli di carta non mi sarei mai sentita giudicata.
“Caro Diario,                                                                                     
Stamattina Ariel sembrava stare davvero meglio. È incredibile quanto i bambini riescano a riprendersi velocemente! Poter far star bene questi bambini mi rende davvero felice. In questo mio mondo è tutto diverso, tutto è migliore, e sono migliore anche io. Qui mi sento utile, le persone mi apprezzano per ciò che sono e per ciò che so fare. Questi bambini tornano a sorridere anche grazie a me, al mio aiuto. Hanno bisogno di me e non c’è altra cosa al mondo che mi faccia sentire così bene come questa.”
Ecco perché forse la mia vita, fuori di qua, non va granché bene: incontro sempre gente che non ha bisogno di me, gente che basta a se stessa e presto smette di volermi intorno. Servo solo a soddisfare dei bisogni superficiale, primordiali, dopodiché non vado più bene e vengo buttata nel cassone degli oggetti dimenticati. 
Ogni tanto, lo ammetto, ripenso a Nick e alle altre mie storie passate finite da schifo, specie in questo periodo che mi trovo a dover organizzare l’addio al nubilato di Anne: ci sarà mai qualcuno che si troverà a dover organizzare il mio? Ne dubito fortemente. Sto rinunciando all’idea di avere qualcuno che non sia peloso e a quattro zampe, nella mia vita; o che non sia costretto in un letto d’ospedale e misuri in altezza meno di un metro e trenta.
Ma in fondo, mi dico, va bene così… Anche se alla fine non ci credo nemmeno io.
Due colpi alla porta mi deviarono da quello che stavo facendo – e dai miei pensieri senza senso. Buttai un occhio al cercapersone silenzioso e alzai lo sguardo, contrariata: ero nella mia pausa pranzo e non doveva essere così urgente quell’apparecchietto quadrato non stava trillando impazzito!
Mi sforzai comunque di alzarmi e andare ad aprire. Un secondo dopo mi ritrovai di fronte un uomo. Un bell’uomo, dovetti constatare, mio malgrado.
I suoi lineamenti marcati e la mascella volitiva stridevano alquanto con la dolcezza e la trasparenza d’un paio d’occhi color del cielo, che mi ricordavano tanto qualcuno; i suoi capelli, scompigliati ad arte e neri come il carbone, completavano il quadro che le fece in mente solo una persona. 
«Lei deve essere lo zio di Ariel, giusto?»
L’espressione seria del suo volto si ammorbidì in un istante, aprendosi in un sorriso e confermando la mia ipotesi. Non so perché, immaginai che avesse più o meno la mia stessa età.
Mi porse elegantemente una mano lunga, affusolata:
«Dottoressa Findle, piacere di conoscerla, sono Ian.»
«Piacere mio, Ian. La prego, mi chiami pure Roxie. Qui tutti lo fanno.» Spalancai del tutto la porta con un sorriso e gli feci spazio. «Prego, si accomodi. Ariel mi ha detto che voleva parlarmi. L’ascolto.»
Sedette sulla poltrona di fronte a me e, mentre si muoveva, non potei fare a meno di notare la sua fisicità; da buon medico, presi atto di trovarmi di fronte ad un corpo pressoché perfetto. 
Roxie, piantala di divagare. Sei una professionista, accidenti! 
Di nuovo sorrise e accavallò le gambe con fare disinvolto e sexy. 
Da troppo tempo non incontri qualcuno dall’aspetto così, come dire, piacevole. Eh, Rox? 
Chiusi con troppa enfasi il monitor del portatile, come a voler cancellare con quel gesto, anche le mie elucubrazioni mentali. 
«Sì, - mi disse dopo una pausa che mi sembrò fin troppo lunga – in effetti è così.»
Gli sorrisi cordiale, cercando di evitare ai miei pensieri superficiali e infantili di prendere il sopravvento.
«Bene, mi dica!» lo invitai.
Mi guardò dritto negli occhi. Il suo sguardo pulito e privo di giochi mentali era uno shock per me, abituata ultimamente a ben altri generi di maschio adulto. Forse arrossii, ma non me ne curai.
«Volevo semplicemente ringraziarla tanto per tutto quello che ha fatto per mia nipote.»
Soffiai fuori l’aria che involontariamente avevo trattenuto e appoggiai la schiena.
«Ian, mi creda, non serve ringraziarmi. È il mio lavoro e lo faccio con grande passione e gioia.»
«Da quello che mi raccontano Robyn e Ariel, non sembra proprio che questo sia solo un lavoro per lei.»
Sorrisi genuinamente a quelle parole. «Ho scelto un lavoro che amo, che mi appassiona. – feci una pausa mentre appoggiavo i gomiti sulla scrivania, e abbassai il tono della voce, come a volergli svelare un segreto – e non è merito mio se i miei pazienti sono tutti tremendamente adorabili.» 
«Già…» disse, sospirando di beatitudine. «Lo sono, vero?» dalla curva dolce delle sue labbra pensai che amasse i bambini tanto quanto me.
«Comunque, ci tenevo davvero a ringraziarla – cavò fuori dalla giacca una busta da lettera piegata in due e la poggiò sul tavolo di fronte a me –, e questo è un piccolo gesto per farle capire quanto lei sia stata perfetta.» 
Non mi era dato ricevere regali o ricompense per il mio operato e mi sentii incredibilmente in imbarazzo perché, onestamente, non mi era mai capitato prima che qualcuno mi donasse qualcosa con gratitudine.
E soprattutto non mi era mai capitato un “qualcuno” come lui, ma abbandonai presto quel pensiero frivolo.
«Io…» ormai il disagio si era impadronito di me.
Ma quell’uomo si era alzato e aveva già aperto la porta.
«Le siamo tutti molto riconoscenti. Grazie, Roxie. Di cuore.»
Solo quando la porta si richiuse lasciandomi di nuovo sola, trovai il coraggio di aprire la busta: conteneva un assegno da venticinquemila dollari, intestati a me! Il respiro mi morì in gola.
Ero una dottoressa e quei bambini avevano semplicemente bisogno di me, la questione era solo questa. Ero una persona che poteva aiutarli e lo faceva senza riserve, senza risparmiarsi.
Non potevo accettare quei soldi. Oltre a non essere eticamente corretto, non era semplicemente una cosa da me. Non volevo farlo e non lo avrei fatto!
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: FairLady