Harry guida avvolto in una nebbia che sembra inghiottire il tempo e lo spazio. Cheryl è accanto a lui, ma tra loro si stende un silenzio più vasto della strada che attraversano, un vuoto sospeso come un respiro trattenuto. I suoi occhi seguono un orizzonte invisibile, lontano da quel finestrino, come se cercassero qualcuno nascosto tra le pieghe della nebbia, un’ombra che solo lei può vedere.
Harry vorrebbe parlare, ma le parole si perdono, fragili come foglie al vento, temendo di spezzare un equilibrio già così fragile da tremare al minimo suono.
Poi, il cartello di Silent Hill emerge dal grigiore, un antico sussurro inciso nella ruggine e nel tempo, un invito oscuro che si insinua nell’anima. All’improvviso, una figura sfugge alla nebbia, attraversa la strada come un lampo d’ombra. L’auto sbandata è un urlo nel silenzio, un frammento di realtà che si frantuma.
Quando Harry riapre gli occhi, Cheryl è svanita. Intorno a lui resta solo la nebbia, densa e immobile, un mare bianco che inghiotte ogni cosa. Il silenzio non è più assenza, ma un vuoto pulsante, un’eco dolorosa.