Il 'per sempre' è composto da molti 'adesso'

di JulesBerry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita ***
Capitolo 2: *** Una nonna è una madre alla quale viene offerta una seconda possibilità ***
Capitolo 3: *** Si crede di inseguire la felicità; non si inseguono che le emozioni ***
Capitolo 4: *** L'intuizione di una donna è molto più vicina alla verità della certezza di un uomo ***
Capitolo 5: *** La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita ***
Capitolo 6: *** Le donne, la vera grande attività che svolgono perfino quando dormono, è amare ***
Capitolo 7: *** Tutto è relativo in questo mondo. Chiedi un po’ alle oche e ai tacchini la loro opinione sul Natale ***
Capitolo 8: *** La vita è un male, ma l’amore e l’amicizia sono dei potenti anestetici ***
Capitolo 9: *** Non vi è nulla al mondo dolce come l'amore; e dopo l'amore, la cosa più dolce è l'odio ***
Capitolo 10: *** Le antipatie violente sono sempre sospette, e tradiscono una segreta affinità ***
Capitolo 11: *** Non avere paura di uno scontro: anche quando i pianeti collidono, dal caos nasce una stella ***
Capitolo 12: *** Amorevolezza e maternità quasi si escludono a vicenda: la vera maternità è coraggio virile ***
Capitolo 13: *** Un bambino rende completamente idioti dei bravi genitori che forse senza di lui sarebbero stati dei semplici imbecilli – Parte 1 ***
Capitolo 14: *** Un bambino rende completamente idioti dei bravi genitori che forse senza di lui sarebbero stati dei semplici imbecilli – Parte 2 ***
Capitolo 15: *** Il fatto di trovarci al buio non significa che la stanza sia vuota, ma solo che bisogna aspettare che si accenda la luce ***
Capitolo 16: *** La vita è ciò che ti succede mentre sei impegnato in altri progetti ***
Capitolo 17: *** Something old, something new, something borrowed, something blue ***
Capitolo 18: *** Il 'per sempre' è composto da molti 'adesso' ***
Capitolo 19: *** Ci sono abbracci che sentirai addosso per una vita intera, e di cui avrai nostalgia per sempre ***
Capitolo 20: *** Niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata ***
Capitolo 21: *** Non esiste circostanza, né destino, né fato che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato ***
Capitolo 22: *** Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi ***
Capitolo 23: *** Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte ***
Capitolo 24: *** L’unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere (I) ***
Capitolo 25: *** L’unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere (II) ***
Capitolo 26: *** Anche la quiete può dare inquietudine, per timore che passi ***
Capitolo 27: *** Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti; amare profondamente ci rende coraggiosi (I) ***
Capitolo 28: *** Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti; amare profondamente ci rende coraggiosi (II) ***
Capitolo 29: *** Forse ci piace il dolore, forse gli siamo legati, perché senza di esso non capiremmo ciò che è reale ***



Capitolo 1
*** Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita ***


 

- Dall'ultimo capitolo di "I have finally realised I need your love" -

Lui posò lo sguardo su di lei; poi, con la mano non impegnata, prese dalla tasca dei jeans un piccolo cofanetto di velluto rosso. Quando lo aprì, al suo interno si trovava un bellissimo anello ricoperto di diamanti a scalare, con quello centrale poco più grande degli altri. Margaret, presa alla sprovvista, si portò le mani al viso, non riuscendo a credere ai propri occhi.
Fred le s’inginocchiò di fronte, i fiori in una mano, l’anello nell’altra.

«Margaret Sadie Eleanor Stevens. Ci conosciamo da quasi un ventennio, da prima che imparassimo a parlare. Sei stata, per tutti questi anni, una delle persone a me più vicine, una delle più significative, importanti. Tutto quello che abbiamo passato insieme ci ha resi più uniti, e credo che fosse destino che arrivassimo a questo. So che è una follia, so che sto per chiederti qualcosa di assurdo, qualcosa che non mi sarei mai sognato di fare a diciotto anni da poco compiuti. So che sopportarmi per tutta la vita sarà un’impresa continua, e quindi ti chiedo scusa in anticipo per le crisi di nervi che ti procurerò, per i calzini che lascerò sparsi per casa, per gli innumerevoli pranzi bruciati che cucinerò, e per tanto, tanto altro ancora. Ma, lasciando queste considerazioni per tempi futuri... vuoi sposarmi?» le chiese, speranzoso, e lei per poco non svenne.
Lo studiò per diversi istanti, pensando che sarebbe stato opportuno avere con sé una macchina fotografica per immortalarlo in quell’atto di riverenza. Ma gli occhi le si riempirono di lacrime di una gioia immensa, mentre un nuovo enorme sorriso le si allargava sul volto. Si gettò sul ragazzo che aveva davanti a sé, facendogli perdere l’equilibrio e cadere disteso sul pavimento.
«Sì, Fred! Sì, voglio sposarti! Voglio farlo, anche se è irrimediabilmente folle!» quasi urlò lei, dopodiché prese a riempirlo di baci su tutto il viso, mentre lui si godeva quel momento di totale ma piacevole impotenza.


Capitolo 1


 

 
 
Ecco a cosa serve il futuro:
a costruire il presente con veri progetti di vita

 

If it’s love
And we decide that it’s forever
No one else could do it better
And if I’m addicted to loving you
And you’re addicted to my love too
We can be them two birds of a feather
That flock together

 
Il sole era alto, la mattina di quel 7 luglio 1996, e i capelli castano rame di una giovane donna erano sparsi disordinatamente sul cuscino, mentre il lenzuolo lasciava scoperta gran parte della sua schiena nuda e illuminata dalla luce del mattino. Margaret Stevens era ancora profondamente addormentata, e non si accorse, dunque, che la figura maschile che fino a pochi momenti prima era accanto a lei si dirigeva in cucina per preparare la colazione.
Fred Weasley era ancora molto assonnato, i suoi capelli rossi erano più scompigliati del solito e gli occhi azzurri non erano perfettamente vigili. Aprì la finestra della cucina e fece entrare un po’ della calda temperatura di quella prima domenica di luglio, poi gettò un’occhiata compiaciuta a un vaso contenente un mazzo di orchidee, che fino a pochi giorni prima doveva essere stato bellissimo e rigoglioso. Mise la caffettiera sul fuoco e preparò del pane tostato, delle uova e un po’ di bacon, mise il tutto su un vassoio e si diresse nuovamente in camera da letto, dove Meg russava beatamente. Poggiò la colazione sul comodino e si sedette sul bordo del materasso, prendendo ad accarezzare i morbidi capelli della sua ragazza. Questa si mosse leggermente, ma non aprì gli occhi. Fred, allora, le avvicinò la bocca all’orecchio per poterle sussurrare qualcosa.
«Dormigliona, ti ho preparato la colazione!» fece lui, ma ciò che ottenne furono solo dei mugolii infastiditi. Nonostante ciò, non si arrese. «È tardi, dai» continuò, ma ricevette in risposta un brusco cenno con la mano. A quel punto, dunque, prese lentamente il lenzuolo e con uno strattone lo tirò via: a mali estremi, estremi rimedi.
«Ma cosa fai?! Sono nuda!» sfoggiò la sua innata gentilezza Margaret, che intanto si era ridestata e cercava disperatamente la sua coperta. Fred iniziò a ridere.
«Come se non ti avessi mai vista!»
«C’è tuo fratello nell’altra stanza, e la porta è aperta!» esclamò, esasperata, mentre s’infilava rapidamente la vestaglia e affondava i denti nel pane tostato.
«È uscito, ci vediamo direttamente a casa dei tuoi genitori per l’ora di pranzo» disse Fred con noncuranza. Meg, al contrario, sembrò affogarsi con il bacon.
«Ricordi che giorno è oggi, vero? E anche cosa dobbiamo fare, no?» domandò, affatto entusiasta, al suo ragazzo. Questi la guardò sorridendo e annuì, anche se era possibile scorgere, nei suoi occhi, un velo di nervosismo. Uscì dalla stanza e s’infilò in bagno, e presto in camera si poté sentire in lontananza il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia.

Margaret finì velocemente la colazione e con un colpo di bacchetta lasciò che i piatti si pulissero da soli e che la stanza si riordinasse. Mentre si avviava all’armadio, la sua mente macchinava, frenetica: come l’avrebbero detto ai loro genitori? Come l’avrebbero presa? Era al settimo cielo da quando aveva detto di sì a Fred, e ciò non le aveva permesso di pensare al momento in cui avrebbero dovuto comunicare la notizia a tutti quanti. Avevano deciso di farlo proprio quel giorno, per il compleanno di sua madre, ma l’euforia era stata tanta che si era tolta dalla testa che quel 7 luglio era già arrivato, e che di lì a poche ore sarebbero stati spettatori dello shock delle famiglie Weasley e Stevens quasi al completo. Erano molto giovani, avevano compiuto da pochi mesi diciotto anni, ed era sicura che questo fatto, i loro genitori, gliel’avrebbero fatto notare quasi continuamente.
«Dentro quell’armadio deve esserci qualcosa di notevolmente interessante, dato che ti sei immobilizzata lì di fronte» questa considerazione la fece ridestare dai suoi pensieri, al che prese il primo abito che le si parò davanti agli occhi e si precipitò in bagno, lasciando uno spiazzato Fred sulla soglia della loro stanza da letto.
Dopo quasi due ore, entrambi erano pronti e fermi davanti al camino della cucina. Margaret, splendida nel suo abito estivo color rosa pesca, prese un po’ di Polvere Volante e si avviò.
Dopo pochi istanti, la Metropolvere la catapultò dritta nel salotto di Casa Stevens, dove poche persone erano comodamente sedute sui divani e aspettavano il loro arrivo.
«Auguri, mamma!» esclamò Meg, abbracciando la madre, prima di andare a salutare tutti gli altri.
«Gloria, tanti auguri! Sempre più vecchia, ma ancora più bella!» commentò Fred, arrivato dopo la sua ragazza. La madre di quest’ultima lo guardò torva.
«Compio solo quarant’anni, sono più giovane di quanto tu possa immaginare!» disse lei, tirandogli un affettuoso pugno sul braccio.
Quando anche George si fu presentato all’appello, l’ora di pranzo era già arrivata e Desmond, con l’aiuto di Molly, si affrettò a servire le pietanze a tavola, accogliendo il consenso degli invitati.
 

***
 
Ormai il pomeriggio era più che inoltrato, e il sole si apprestava a tramontare al di là della collina. Erano tutti riuniti in salotto, intenti a chiacchierare allegramente, e Margaret rigirava nervosamente l’anello di fidanzamento tra le dita, sorridendo poi al pensiero che nessuno, in quella stanza – tranne pochissimi eletti –, sapesse realmente cosa esso simboleggiava.
Percepì la mano di Fred accarezzarle dolcemente i capelli, così alzò lo sguardo e lo posò su di lui, che la fissava amorevolmente. Questi le fece l’occhiolino, nell’intento di tranquillizzarla, e le passò un braccio dietro le spalle, stringendola a sé: era nervoso, ma riusciva a nascondere questo suo stato d’animo dietro l’immancabile sorriso che lo caratterizzava.
«Andrà tutto alla perfezione» le sussurrò all’orecchio, al che lei sollevò il sopracciglio sinistro e tornò a guardarlo, scettica.
«L’importante è uscirne vivi» commentò, allora, per niente sicura che i loro genitori la prendessero bene.
Cercò di focalizzare la sua attenzione su qualcos’altro, e inevitabilmente rise nel momento in cui i suoi occhi si furono posati su Ginny e Ron, che stavano litigando – come sempre –, per venire rimproverati da Molly, che li trucidò con una sola occhiataccia.
Poi, guardò le sue nonne – più allegre che mai a causa di quella bottiglia di Whisky Incendiario con la quale si riempivano i bicchieri, a vicenda, da quasi due ore – e George, che si divertiva, sotto gli sguardi furiosi della madre, a cambiare continuamente il colore delle tende a suon di colpi di bacchetta.
E infine, sul sofà di fronte a quello dov’erano seduti lei e Fred, c’erano Bill e Fleur, nervosi anche loro e indecisi se prendere parola o meno.
“Bill, di che diamine ti preoccupi? Uccideranno noi, non te... Fa’ quel che devi fare e basta!”
Come se le avesse letto nel pensiero, Bill si alzò dal divano, chiedendo un attimo di attenzione.
Fred e Margaret si guardarono rapidamente, consapevoli che il momento tanto temuto andava approssimandosi un istante dopo l’altro.
«Famiglia, amici: io e Fleur abbiamo una notizia da darvi. Volevamo dirvi che... be’, che ci sposiamo» annunciò il maggiore dei fratelli Weasley, emozionato, rivolgendo uno sguardo particolare alla madre, affatto entusiasta – come Ginny – della notizia ricevuta. Il resto dei presenti, però, si lasciò andare in vari complimenti e felicitazioni, che non fecero che incentivare l’ansia che tormentava Margaret da quella mattina.
Fred, dopo essersi congratulato con Bill, si alzò e attirò su di sé gli sguardi della sua famiglia e di quella della sua ragazza. Quest’ultima lo scrutò, trattenendo il fiato e sperando che tutta quella storia finisse il prima possibile.
«Bill, ma che bella notizia! Devo dire che me l’aspettavo, sai?» commentò ironicamente Fred, che era stato il primo che il fratello aveva informato del lieto evento. Quest’ultimo sorrise, scuotendo la testa. «Comunque, non sei l’unico che ha qualcosa da dire, perché... be’, perché anche Margaret ed io dobbiamo fare un annuncio» riprese il primo, entusiasta, lasciando perplessi tutti i presenti – ad eccezione di George e delle nonne di Meg che, naturalmente, erano a conoscenza dei loro piani.
La giovane si alzò e passò in rassegna ogni volto; poi, nervosa ma sicura, parlò.
«Volevamo dirvi che, tra qualche mese, al... al mio cognome se ne aggiungerà un altro» fece lei, convinta che nessuno l’avrebbe capita: infatti, voleva scaricare quel compito al suo fidanzato, che non tardò a lanciarle un’occhiataccia.
Ovviamente, il suo presentimento si rivelò più che giusto.
«In che senso? Non ho capito, davvero.»
«Potreste spiegarvi meglio, per favore? Evitando tutti questi giri di parole, possibilmente.»
«Perché mai vorresti cambiare il tuo cognome?» si aggiunse Ron, che sembrava il più stranito dei presenti. La giovane coppia iniziò a ridere, così fu il turno di Fred di provare a chiarire la situazione – o di confonder loro le idee. Quale sia la verità, non ci è dato saperlo –.
«Cercherò di spiegarvelo io!»
«Siamo rovinati
«Grazie della fiducia, Paul: davvero commovente. Volevamo solo dirvi che, tra un po’ di tempo, potremo contare un’altra famiglia Weasley in circolazione» spiegò lui, ma solo Ginny parve capire qualcosa, dal momento che si lasciò scappare un gridolino isterico di felicità, che però fu subito stroncato da George, che non perse tempo a pestarle il piede per farla tacere.
Margaret fece un passo avanti, stavolta sorridendo, e mostrò la mano sinistra, dove si poteva ben notare uno splendido anello di diamanti scintillare sull’anulare. Stavolta anche Fleur capì, e difatti prese ad applaudire come una bambina di fronte a una tavoletta gigante di cioccolato. Ginny, intanto, stava per scoppiare a piangere dalla felicità. Nessun altro, però, parve illuminarsi, e allora i due crederono di aver a che fare con degli emeriti idioti – o, in alternativa, con un gruppo di soggetti cui era stato inferto un Incantesimo Confundus.
«Ma che bello, Maggie cara! Fred, tesoro, per quale occasione le hai comprato quell’anello?» domandò un’ignara Molly Weasley al figlio, che stava iniziando a esasperarsi. Così, decise che quello era il momento giusto.
«Sono contento che ti piaccia, mamma. Quale occasione, dici? Quella in cui le ho chiesto di sposarmi, ovviamente. E, rullo di tamburi, lei ha felicemente accettato» esordì il ragazzo, esibendo un tono che lasciava intendere che quella fosse la cosa più ovvia del mondo.

I presenti, come i due giovani si aspettavano, ebbero reazioni differenti: Ginny, finalmente, fu libera di saltellare per la stanza e di gettarsi addosso al fratello e alla futura cognata; Julia e Vittoria si batterono il cinque, contente di aver collaborato nella scelta dell’anello di fidanzamento; George, ghignante, si godeva la scena, convinto che quei piccioncini non l’avrebbero passata liscia; Ron, Bill e Fleur si andarono a congratulare con i futuri sposi; Dawson e Paul si guardarono con perplessità, indecisi sul da farsi; Gloria e Molly non sapevano se mostrarsi contente per la lieta notizia oppure se lanciarsi in urla di disapprovazione per una scelta che reputavano terribilmente affrettata e incosciente; infine, in un angolo della stanza, Arthur assisteva Desmond, svenuto con dignità.
“Papà! Non cambierai mai.”
Una volta ripresosi, tentò di fare un quadro della situazione che potesse quantomeno convincerlo. Constatando che non fosse possibile, si scagliò contro i due ragazzi.
«State scherzando, spero! Vi rendete conto di quanto siete giovani? Avete solamente diciotto anni
«E quando ci sposeremo ne avremo diciannove, papà. Solo due anni in meno di quanti ne avevi tu il giorno del tuo matrimonio.»
«Era il 1977, Margaret! Eravamo in Guerra, e Voldemort era nel pieno dei suoi poteri. La gente aveva paura, per questo cercava di affrettare ogni decisione! Ma adesso...»
«Ma adesso è esattamente come diciannove anni fa, Desmond. Siamo nuovamente in Guerra, il Signore Oscuro è tornato e siamo ancora più in pericolo di prima, se proprio vuoi saperla tutta!»
«Vittoria, non ti ci metterai anche tu! Mamma, dammi una mano
«Tesoro, sono d’accordo con tua suocera. Personalmente, sono felice che Meg si sposi, dato poi che il figlio di tua sorella Annabel – Dorian – sembra ben lungi dal farlo!» commentò l’anziana signora, brilla dopo tutto quell’alcool.
«Gloria, amore!» stavolta Desmond fece appello alla moglie, esasperato di fronte a così poca collaborazione. Ma anche lei, come le due donne precedenti – e, soprattutto, con grande sorpresa della figlia –, scosse la testa.
«Si amano, sono abbastanza grandi da prendere autonomamente delle decisioni. Sono già andati a vivere insieme, quindi credo che avremmo dovuto aspettarci una cosa simile da un momento all’altro. E, anche se credo sia una decisione un po’ affrettata, non posso negare che una parte di me sia più che felice di questa splendida notizia» concluse Gloria che, così come Molly, si precipitò ad abbracciare i due ragazzi. Desmond si voltò dapprima verso Arthur – che scrollò le spalle, sorridendo, e raggiunse Meg e suo figlio –, poi verso suo padre e suo suocero.
«Caro Des, è l’amore! Che cosa pensavi, che la tua adorata e unica figlia sarebbe tornata a vivere a casa con mamma e papà fino a quando non avresti deciso che fosse ora che convolasse a nozze? Ha intrapreso la sua strada, è una strega adulta ormai.»
«Tuo suocero ha ragione, figliolo. Il tuo problema è che hai paura di sentirti vecchio vedendo tua figlia fare quello che hai fatto tu diciannove anni fa, solo questo! Prendi esempio da Arthur, non mi sembra tanto dispiaciuto!» commentò Dawson con semplicità, strappando il bicchiere di Whisky dalla mano della moglie e ignorando bellamente gli sguardi minacciosi che questa aveva iniziato a rivolgergli.
«Ovvio che non è dispiaciuto! È il padre dello spo-, voglio dire, di Fred! Dannazione! Volete recuperare il lume della ragione per qualche momento, per piacere?» sbottò Desmond, attirando l’attenzione su di sé. Margaret si sciolse dall’abbraccio di Molly e fissò gli occhi in quelli identici del padre, senza alcuna traccia di timore o imbarazzo.
«Papà, mi dispiace, ma il prossimo anno Fred ed io ci sposiamo, che ti piaccia o no. Hai abbastanza tempo a disposizione per accettare la cosa. Se vorrai accompagnarmi all’altare, sarò la persona più felice sulla Terra. In caso contrario... be’, me ne farò una ragione» disse lei, pacata, senza batter ciglio. Suo padre restò impassibile per una manciata di secondi, lasciando che il gelo calasse sulla stanza nonostante la calda temperatura estiva. Dopodiché, si diresse a grandi passi nel suo studio, per poi sbattere la porta di gran carriera e fare scattare la chiave della serratura.
Margaret percepì gli occhi inumidirsi, ma sapeva perfettamente che non doveva piangere: era forte, e non poteva permettere che una debolezza così sciocca prendesse possesso di lei. Tuttavia, non poteva neanche negare che quest’atteggiamento l’avesse dispiaciuta profondamente. Con amarezza, si rese conto che era proprio in quei momenti in cui notava maggiormente la somiglianza con suo padre, e che capiva di aver ereditato alcuni dei suoi peggiori difetti, quali la testardaggine, l’impazienza, ma in particolar modo l’orgoglio.
«Vado a prendere una boccata d’aria» comunicò, rapida e decisa, precipitandosi quasi immediatamente in giardino. Fred fece per seguirla, ma fu trattenuto per la manica dal gemello, che lo costrinse a voltarsi e a guardarlo.
«Questi sono i momenti in cui entrano in gioco i migliori amici, non il fidanzato. Quando lo imparerai?» fece George, ironico, strappandogli un sorriso e avviandosi in direzione della porta d’ingresso.
Una volta fuori, la vide poco lontano, seduta su quel dondolo di legno che era lì da una dozzina di anni, sempre nello stesso identico posto. Si avvicinò, lentamente, e Meg si accorse della sua presenza solo quando le si fu seduto accanto.

Rimasero per un paio di minuti in religioso silenzio, intenti a fissare il punto in cui il sole pian piano andava scomparendo. George non voleva forzarla: doveva essere lei, una volta che si fosse sentita pronta, a prendere la parola. E infatti, dopo un po’, così fu.
«Mi è sempre piaciuto il tramonto, sai?» disse lei, quindi, tenendo lo sguardo costantemente fisso davanti a sé.
«Come mai?» le chiese lui, curioso. Meg aspettò un po’ prima di rispondere.
«Perché è estremamente affascinante. Simboleggia la fine di qualcosa, il giorno, e l’inizio di un’altra, la notte. A pensarci, è ciò che spesso accade durante il corso della nostra vita, non credi? Quando una fase raggiunge il suo compimento, subito ne inizia una nuova, che può essere migliore o peggiore.»
«Wow» esclamò il ragazzo, impressionato da quella considerazione: lui, nel tramonto, ci aveva sempre e solo visto il sole che calava, niente di più.
«Mi sento male, George. Potrei piangere da un momento all’altro, e per questo mi odio» riprese lei, torturando con le dita la gonna del vestito. George le poggiò una mano sotto il mento e, delicatamente, fece in modo che si voltasse a guardarlo.
«Sei umana, Maggie, e come tale anche tu ne hai bisogno. Ti aiuta a liberarti, perché non lo vuoi capire? Tu tieni sempre tutto dentro e poi, quando non ce la fai più, butti fuori quello che provi, ma lo fai urlando e comportandoti come una pazza furiosa. Ora, così non è peggio?»
«Ma mi sento così ridicola, quando piango… dannatamente fragile, debole, inerme. Io... Io...» iniziò lei in risposta, ma a metà frase le parole le morirono in gola, soffocate da quello che subito dopo dimostrò essere un sano e liberatorio pianto. Margaret si fiondò di slancio tra le braccia di George, psicologicamente e fisicamente pronto a lasciare che un fiume di lacrime – molte delle quali represse da tempo – lo inondassero. La strinse forte a sé, come solo un fratello avrebbe potuto e saputo fare, e le accarezzò i capelli con pazienza, mentre lei continuava a singhiozzare contro il suo petto.
«Me-Merlino, George. Sono u-una... stupida
«Lo so, tesoro, lo so» sussurrò lui, non riuscendo a frenarsi dalla voglia di dirlo.
«Fottiti» rispose lei, elegantissima, una volta scioltasi dall’abbraccio dell’amico per asciugarsi il viso. Lui rise, per nulla meravigliato da quella raffinata esclamazione.
«Ed eccola qui, la nostra nobildonna! Come ti senti?» le domandò, sghignazzando – anche se, in fondo, conosceva già la risposta. Meg tirò un lungo respiro, prima di incurvare le labbra in uno dei suoi classici, grandi sorrisi. Di fronte ad uno di quelli, nessuno avrebbe detto mai che aveva appena pianto.
«Molto meglio, in effetti. Ti voglio bene, George.»
«Ti voglio bene anch’io, Zuccherino
«Grazie, davvero.»
«Questo e altro. Adesso, però, ci conviene tornare dentro: credo proprio che mio fratello ti stia reclamando» constatò George, prendendola per mano e conducendola rapidamente in casa, dove tutti gli altri stavano aspettando proprio loro.

Non appena lo vide, Fred sgranò gli occhi.
«Ma ti sei visto la camicia? C’è stampata una chiazza di mascara grande quanto il Platano Picchiatore!» esclamò, divertito, mentre faceva segno a Meg di raggiungerlo sul divano e, poi, la stringeva a sé.
«Oh, vieni qua che te la tolgo io!» disse Molly al figlio, più confuso che altro.
«Maggie, mia cara, stavamo giusto iniziando a parlare della data delle nozze» comunicò Arthur alla futura nuora, che assunse un’espressione fin troppo eloquente.
«Sì, Meg! Io e Fleur stavamo proprio per dire che avremmo intenzione di sposarci per il primo di agosto, dato che ci risulta impossibile organizzare per prima di quella data. Voi ci avete già pensato, invece?» chiese Bill ai due, la cui risposta era bell’e pronta da diversi giorni e non vedeva l’ora di essere data.
«Ovviamente! Ci sposeremo il 3 luglio. Bel mese, vero?» fece Fred, compiaciuto, godendosi lo sguardo sconvolto del fratello maggiore.
«Ma... Ma come? Insomma, perché non... settembre?! È un così bel mese, no?» cercò di convincerli quest’ultimo, ma con scarsi risultati.
«Ehi! Io e Ginny saremo a scuola, come faremmo? Sarebbe impossibile!» si lamentò, non a tutti i torti, Ron, che trovò appoggio nella sorella.
«Appunto. Io voglio esserci, al matrimonio! Non ci pensate nemmeno, se non volete che vi lanci addosso una Fattura Orcovolante!» li minacciò Ginny, autoritaria. Meg sorrise, soddisfatta di tutta quella solidarietà, e guardò il cognato con uno sguardo che non consentiva fraintendimenti. 
«Ma insomma! Voglio dire, non avreste potuto trovare un’altra data?»
«Bill! Non fare il ragazzino!» sbottò Molly, che già non ne poteva più di quel discorso.
«Ma mamma...» prese a lamentarsi Bill, ma sua madre lo zittì con un solo cenno della mano e un’occhiataccia.
Fred e Margaret, allora, si scambiarono nuovamente un’occhiata complice, e in entrambi una malcelata soddisfazione prese il sopravvento. Quando avevano deciso di sposarsi, infatti, i due erano stati d’accordo sul fatto che, per qualche ignota ragione, avrebbero assolutamente dovuto farlo prima di Bill e Fleur. Per giorni avevano architettato una strategia efficace che permettesse loro di avere la meglio, e alla fine erano riusciti a ottenere ciò che desideravano.
 


***

 
Qualche ora dopo, quando tutti gli invitati ebbero lasciato Casa Stevens, i futuri sposi e George si apprestarono a usare la Metropolvere per ritornare nel loro accogliente appartamentino a Diagon Alley.
«Siete sicuri di non voler restare per la notte, cari?» chiese Gloria, guardando con apprensione i tre.
«Sei molto gentile, Gloria, ma domani ci sarà tanto da lavorare al negozio» le rispose George, prima di salutarla e gettarsi tra le fiamme generate dalla Polvere Volante.
«Bellezza, sta’ tranquilla: tua figlia è al sicuro, con me» la rassicurò Fred, facendole l’occhiolino. La donna, inaspettatamente, arrossì.
«Oh, tesoro, questo lo so!» gli disse, abbracciandolo, per poi sospingerlo verso il camino. Quando il futuro genero fu sparito, si volto verso la figlia e la osservò, soppesando le parole giuste da dirle.
«Meg, amore... mi dispiace per tuo padre, a volte esagera. Cercherò di farlo ragionare, te lo prometto.»
«Gli passerà, lo so, ma deve essere lui a capire. Buonanotte, mamma.»

Dopo aver salutato la madre, Margaret entrò tra le fiamme verdi del camino e, dopo qualche istante, si ritrovò a faccia in giù nella cucina dell’appartamento che divideva con Fred e George. Questi la stavano aspettando, seduti al tavolo, mentre aprivano una bottiglia di Whisky Incendiario.
«Ce l’avete fatta, Zuccherino!» esultò George, levando in alto il suo bicchiere e offrendone uno alla cognata, prima di continuare. «Il 3 luglio è davvero una gran bella data! Sarò perfetto nel...»
«Nel tuo vestito da testimone della sposa. Sì, sarai splendido» commentò Meg, disinvolta, gustandosi l’espressione sorpresa di George. Quest’ultimo, difatti, era rimasto con le sopracciglia alzate, con la bocca semi-spalancata e con la bottiglia di Whisky a mezz’aria nell’atto di versarne un altro po’. A quella visione, Fred scoppiò a ridere come non mai.
«Io... wow, sono senza parole per la prima volta in vita mia! Non... Non me l’aspettavo, sul serio.»
«Non mi dirai che ti commuovi come una femminuccia, fratello!» esclamò Fred, che ormai piangeva dalle risate. In effetti, gli occhi del gemello davano l’impressione di essersi leggermente inumiditi. Quest’ultimo scosse rapidamente la testa e, con un sorriso a trentadue denti, si alzò e andò a stritolare affettuosamente Margaret, quasi fino a farla soffocare.
«Che privilegi ha il testimone della sposa?» le domandò non appena l’ebbe lasciata andare. Lei sbuffò, divertita.
«Il tuo unico privilegio rispetto agli altri sarà quello di accompagnarmi quando dovrò comprare il vestito, quindi vedi di diventare un ottimo consigliere. Be’, e poi... sarai in stretta collaborazione con la testimone della sposa.»
A quelle ultime parole, il sorrisino compiaciuto di George si fece più pronunciato. Tra lui e Hermione, infatti, non sembrava che le cose stessero andando tanto bene: dopo che i gemelli avevano fatto la loro uscita trionfale da Hogwarts, i contatti erano diventati più radi e distaccati, e quando si erano rincontrati alla stazione di King’s Cross, lei aveva dato l’impressione di sentirsi stranamente a disagio e aveva fatto di tutto per convincere i genitori ad andarsene il prima possibile di lì. Non si vedevano da quasi due settimane, e si erano scritti una sola volta. Il ragazzo non riusciva a capire cosa fosse successo.
«Ragazzi, è quasi mezzanotte, e domani dovremo aprire il negozio molto presto. Avanti, a letto!»
«Sì, mamma» fecero i gemelli all’unisono, al che la ragazza sollevò gli occhi al soffitto.
George s’infilò nella sua stanza dicendo le solite cose, come “mi avete lasciato solo”, “se vi stringete ci entro anch’io”, e “questo è maltrattamento”.
Fred e Meg, invece, entrarono nella loro stanza e si gettarono quasi contemporaneamente sul letto, sfiniti. Lui le si avvicinò e la strinse a sé, posandole dei dolci baci su fronte e labbra.
Lei sorrise, rilassata, pensando che il peggio dovesse essere passato. Finalmente, si erano liberati di quella comunicazione imminente, e chissà quanto tempo sarebbe passato prima di doverne fare un’altra di qualsiasi genere, ma potenzialmente pericolosa.
Si addormentarono così, come ogni notte, stretti l’uno all’altra, mentre una lieve brezza entrava dalla finestra socchiusa e un anello di diamanti brillava nell’oscurità.


- Angolo di un’autrice degenere che vi implora perdono

Ebbene sì, eccomi tornata! Ora, vi scongiuro, non linciatemi per l’enorme ritardo. Credo basteranno i pomodori che mi lancerete per l’orridezza di questo capitolo.
Sono in ritardo di ben due mesi, e me ne vergogno tanto. ç_ç
Ma purtroppo ho avuto davvero troppi impegni con la scuola e quindi ho deciso di posticipare la data di pubblicazione per permettermi di portarmi avanti un altro po’ con la stesura dei capitoli (anche se, in verità, non è che ci siano stati poi tutti questi progressi...).
Per questo motivo, fino a metà giugno l’aggiornamento avverrà ogni due settimane, precisamente di sabato, quindi vi dico fin da ora che il prossimo capitolo verrà pubblicato giorno 23 febbraio.
Ora, questo è, per chi non lo sapesse, il sequel di un’altra mia FF, “I have finally realised I need your love”. Chi l’ha letta, bene; chi non la conosce, invece, se magari vuole continuare a leggere questa FF e quindi vuole chiarirsi un po’ le idee, la trova tra qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1225922
Infine, il titolo di oggi lo devo alla scrittrice francese Muriel Barbery, la canzone è If It’s Love, dei Train, mentre la frase che ho scelto come titolo dell'intera FF è di Emily Dickinson.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino, e spero anche di trovare qualche recensione! :)
Un bacione,
Jules

Ps. Ah, quasi dimenticavo! Ho deciso di inserire delle piccole curiosità in ogni capitolo. Devo quest’idea alla cara EmmaDiggory15 (che ringrazio), che l’ha utilizzata in una sua storia.
Inoltre, un ringraziamento particolare va anche ad Alice, alias JeckyCobain, amica ed affezionata lettrice!

- Curiosità:

Margaret avrebbe dovuto chiamarsi “Eileen Grace Stevens”. Un giorno, però, notai che sul manico della mia spazzola per capelli c’era scritto “Maggie”, così decisi per il nome definitivo. Il secondo - Sadie - e il terzo nome - Eleanor -, invece, mi sono stati gentilmente suggeriti da due canzoni dei Beatles, “Sexy Sadie” ed “Eleanor Rigby”.



 
- Personaggi e prestavolto -

Margaret Stevens: Phoebe Tonkin
Abigail Thompson: Ashley Benson
Desmond Stevens: Simon Baker
Gloria Wilson in Stevens: Rachel Shelley 
Vittoria Mills in Wilson: Charlotte Rampling
Julia Palmer in Stevens: Meryl Streep
Regina Wilson in Thompson: Laura Leighton 
Matthew Thompson: Garrett Hedlund
Andrew e John Thompson: Brant Daugherty 
Anastasia De Luca: Holland Roden
Nicholas Wilson: Matt Bomer
Alexis Williams in Wilson: Amanda Schull
Blanche Wilson: Raffey Cassidy
Annabel Stevens in Russell: Debra Messing 
Landon Russell: Michael Fassbender
Dorian Russell: Tyler Blackburn
Giselle Edwards: Lily Collins
Lancelot Russell: Chace Crawford
Elsa Pedersen: Andrea Parker
Savannah Pedersen: Doutzen Kroes
Erik Pedersen: Paul Wesley
Cassandra Jones: Troian Bellisario
Frank Walker: Julian Morris
Flor Gimenez: Claire Holt
Inés Velasco: Ellen Page
Isabel Ortiz: Danielle Campbell
Leonor Ortega: Leah Pipes
Mercedes Guerrero: Elizabeth Gillies
Filippo Rinaldi: Steven R. McQueen
Virginia Anderson: Dianna Agron 

Ultima revisione: 25.04.2015

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Capitolo 2
*** Una nonna è una madre alla quale viene offerta una seconda possibilità ***




Capitolo 2

 


 
 
Una nonna è una madre
alla quale viene offerta una seconda possibilità


 
Little darling, I feel that ice is slowly melting
Little darling, it seems like years since it's been clear
Here comes the sun
Here comes the sun, and I say
It's all right

 
Anche quel giorno, così come tutti gli altri, ai Tiri Vispi Weasley c’era un immenso lavoro da fare: i clienti entravano e uscivano continuamente, creando un’atmosfera notevolmente caotica, mentre l’ultimo venerdì di luglio, con il suo caldo sempre più insistente, sembrava annunciare l’arrivo di un mese di agosto decisamente torrido.
Margaret aveva ricevuto da pochi giorni i risultati dei suoi esami, che avevano avuto esiti più che soddisfacenti, e così aveva spedito domanda di lavoro all’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia, al Ministero. In attesa di una risposta, però, aveva accettato la proposta di Fred e George di dar loro una mano con il locale.
In quel momento, la ragazza era da sola in negozio, poiché i gemelli erano ormai sul retro da qualche minuto, ed era sottoposta alle richieste insistenti dei numerosi clienti. Proprio mentre stava prendendo un prodotto dalla cima di uno scaffale, qualcuno suonò il campanello del bancone per reclamare la sua attenzione.
«Buonasera, sono Margaret e sono subito da voi, in cosa posso esservi utile?» domandò lei ai nuovi arrivati, non voltandosi, in quanto intenta a sistemare degli scatoloni fuori posto. Una voce familiare risuonò alle sue spalle.
«Semplicemente concedendo un po’ di attenzione alle tue adorate nonne, tesoro caro» disse dolcemente Vittoria Wilson alla nipote, al che quest’ultima, sorpresa, si voltò di scatto e per poco non cadde giù dalla scala.
«Ehi, non vi si vede spesso da queste parti! A cosa dobbiamo quest’onore?» chiese loro, mentre rimetteva saldamente i piedi sul pavimento e porgeva a un cliente il prodotto che questi aveva detto di voler acquistare.
«Un po’ di shopping fa bene, ogni tanto, anche se devo ammettere che i nostri portafogli non sono molto d’accordo! A parte tutto, vorremmo cogliere l’occasione per scambiare due parole con te e Fred, Maggie» fece nonna Julia, sorridendo in modo così radioso che parve illuminare chiunque le fosse vicino in quel momento. Margaret, che poteva percepire distintamente la curiosità crescere dentro di sé, rivolse un’occhiata interessata alle due signore e annuì, prima di controllare le lancette dell’orologio.
«Chiudiamo tra mezz’ora, spero non abbiate troppa fretta! Se volete…» iniziò la ragazza, ma Vittoria la interruppe con un cenno sbrigativo della mano, dal momento che la sua attenzione era appena stata catturata da una serie di No-Pupù-No-Pipì esposti su uno scaffale vicino – come dimostrava, in effetti, la sua espressione ai limiti umanamente possibili dello stupore.
«Quei due piccoli teppisti sono proprio…»
«Vittoria, non ora!» la riprese Julia, non disposta a sorbirsi un altro sermone su come “quei due” non sarebbero mai cambiati di una virgola; dopodiché, tornò a occuparsi della nipote. «Maggie, honey pie, non preoccuparti per noi. Aspetteremo quanto sarà necessario, sarà un’ottima occasione per dare un’occhiata al negozio: è davvero delizioso!» la rassicurò, per poi invitare la consuocera a seguirla senza alcuna lamentela e sparire con lei tra la folla.
Meg, d’altra parte, nonostante la curiosità di sapere cosa le sue nonne avessero intenzione di dirle, non riuscì a trattenersi ancora dal ridere: poteva perfettamente immaginare quale sarebbe stata l’espressione di Vittoria una volta vista la caricatura della propria faccia sulle confezioni di Frisbee Zannuti.

Una quindicina di minuti più tardi, Fred e George tornarono dal retro del negozio, e sui loro volti era possibile scorgere delle espressioni notevolmente perplesse – suscitate, con ogni probabilità, dalla visione delle due donne sopracitate. Mentre il secondo, fulmineo, si precipitava a minacciare un ragazzino che in quel preciso istante stava tentando di rubare una bella scorta di Crostatine Canarine, il primo si diresse al bancone e, interessato, prese a osservare la sua ragazza che, con estrema disinvoltura, gestiva le continue richieste dei clienti appena arrivati.
Una volta che quest’ultima fu riuscita a liberarsi degli ennesimi genitori apprensivi che s’interrogavano con perplessità sull’innocenza delle Puffole Pigmee, si voltò a guardare il suo ragazzo e gli rivolse uno sguardo esasperato. Questi rise, invitandola ad avvicinarsi.
«Sei una commessa deliziosa, lo sai? Perché ti ostini a riservare solo a me la tua parte peggiore? Credo che, ogni tanto, sarebbe molto divertente vederti dare in escandescenze con qualche povera anima che ti ha solo chiesto un’informazione» scherzò, allacciandole un bottone della camicetta che doveva essere scappato dalla propria asola. Lei sollevò entrambe le sopracciglia, fingendo superiorità.
«Si chiama professionalità, dolcezza. Ne hai mai sentito parlare?» lo stuzzicò, al che lui non tardò a ostentare un’aria di sfida.
«Quello è il mio secondo nome, Pasticcino. Per dimostrartelo, adesso mi comporterò da persona professionale con quella ragazza molto carina che è appena entrata!» disse, ghignante, ma venne subito trattenuto per il braccio dalla fidanzata, diventata viola dalla gelosia.
«Fermo dove sei, Weasley. A meno che tu non voglia che ti scagli scontro la mia personalissima combinazione di Fatture, sarà meglio che tu non ti muova da qui» gli sussurrò lei a denti stretti, minacciosa, ma tutto ciò che riuscì a suscitare nel ragazzo fu una reazione di ilarità.
«Come siamo permalosi! Potrei mai farlo sul serio, secondo te?»
«Eccome se potresti farlo! Sai, ti conosco da più di diciotto anni, è un periodo di tempo abbastanza lun-…» iniziò lei, ma prima ancora che potesse finire di lamentarsi Fred le aveva preso dolcemente il viso tra le mani e le aveva stampato un bacio sulle labbra. Nonostante tutto, questo gesto la fece sorridere teneramente.
«Non puoi risolvere sempre tutto così, sai?»
«Io credo di sì, invece» commentò Fred, baciandola nuovamente. Dopodiché, le scostò i capelli dal volto e assunse un’aria pensierosa. «Mi è parso di aver intravisto le tue nonne aggirarsi per il negozio, diversi minuti fa. Avevano un atteggiamento abbastanza sospetto, soprattutto Vittoria. Cos’hanno in mente?»
«Non ne ho idea, ma mi hanno detto di voler parlare con noi due, quindi deve essere una cosa importante. Andiamo dopo la chiusura, sei d’accordo?»
«Potremmo anche raggiungerle adesso, se vuoi! George, ci pensi tu a chiudere?» gridò Fred al gemello, che cercò di ergersi al di sopra di tutte quelle teste che affollavano il negozio.
«Sicuro! Spero solo di uscirne vivo
 
***
 
«Sappilo, Stevens: questa storia non mi piace» commentò Fred, che subito dopo cadde rovinosamente a terra.
I due ragazzi, insieme alle due anziane signore, camminavano già da qualche minuto, ma – come ebbero modo di capire fin dall’istante in cui si furono Materializzati sul posto – la situazione non era certamente una delle più propizie: il sentiero che stavano percorrendo era abbastanza ostico e scivoloso, e Fred sembrava non perdere occasione di lamentarsi.
«Per gli slip di Merlino, vuoi stare un po’ zitto?!» esclamò Margaret, alzando gli occhi al cielo e porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Oh, scusatemi tanto, ragazzi! Ci siamo Materializzati sulla parte opposta, è tutta colpa mia!» si scusò Vittoria, che guidava la fila con determinazione.
«Non preoccuparti, nonna, va tutto bene! Potremmo almeno sapere dove stiamo andando, per favore?»
«Vedrai, cara! Non vogliamo rovinarvi la sorpresa!» disse Julia, sempre con il suo tono allegro e rilassato – fintissimo, in quel caso, dal momento che aveva più volte pregato la consuocera di memorizzare con precisione le coordinate di destinazione, sprecando solo del fiato prezioso.
«Spero vivamente sia qualcosa che valga tutta questa fatica» sussurrò Fred alla fidanzata, che dovette raccogliere la più grande e inimmaginabile forza di volontà per frenarsi dalla voglia di dargli un calcio nel sedere.
«Di’ un’altra parola e giuro che mi vedrai chiedere il divorzio ancor prima di averti sposato. Non sto scherzando!» lo minacciò Margaret, facendolo ammutolire.

Camminarono per parecchi altri minuti, tanto che, a un certo punto, entrambi i due giovani iniziarono a credere che non sarebbero mai arrivati, fino a quando il sentiero non terminò e davanti a loro si aprì l’incantevole visuale di una spiaggia isolata, sulla quale si ergeva quella che un tempo doveva essere stata una splendida villa: un vasto porticato con delle colonne corinzie precedeva una grande porta d’ingresso ormai scomparsa, e all’esterno dei due piani superiori della casa erano stati costruiti dei grandi balconi che dominavano lo spazio circostante. L’edera aveva ricoperto buona parte delle mura esterne e il tetto era stato danneggiato dalle intemperie, ma questi elementi di decadenza non riuscivano a celare i residui di quella nobile bellezza che doveva esser stata emblema dei giorni di gloria di quel posto. 
«Per Salazar, ecco dov’era l’altro! Quello è di gran lunga più breve e facile da percorrere!» esclamò Vittoria, riferendosi all’altro sentiero collocato proprio in prossimità del retro della villa.
«Ehm, perdonate la mia inappropriata curiosità, ma… cosa dovrebbe significare tutto ciò?» domandò Fred, stranito. Meg, ancora incantata da quella visuale, intrecciò le sue dita con quelle del fidanzato.
«La casa, Fred» sussurrò la ragazza, stringendo ancor di più la mano di lui, i cui occhi parvero illuminarsi di una netta consapevolezza.
«Per i tanga leopardati di Merlino» commentò a mezza voce, sconvolto, piegando la testa di lato per ammirare meglio quel capolavoro architettonico.
«Ai mobili ci penseremo il nonno ed io, non dovrete occuparvi neanche di quello» aggiunse Julia, sorridente, contemplando anch’ella la casa.
Margaret socchiuse gli occhi per parecchi secondi, incapace di rendersi effettivamente conto di ciò che stava accadendo. Da circa un mese lei e Fred continuavano a ripetersi che avrebbero dovuto trovare una casa più grande per quando sarebbero diventati marito e moglie, ed entrambi sapevano perfettamente che il tempo stringeva e che undici mesi non erano tanti, e forse neanche sufficienti – considerando, poi, che di lì a poco avrebbero dovuto iniziare a occuparsi dei preparativi per le nozze, scegliere i testimoni, organizzare il catering, decidere il luogo dove si sarebbe tenuta la cerimonia, designare le damigelle, comprare gli abiti, e tanto altro ancora –, e il pensiero della casa, e dei soldi necessari per comprarne una, tormentava entrambi quasi ogni singolo giorno. Avevano girato Londra, dintorni e – per la felicità di Molly – persino Ottery St. Catchpole, e avevano anche consultato gli annunci sulla Gazzetta del Profeta e su alcune riviste Babbane, ma nulla aveva soddisfatto le loro aspettative. 
«Dinanzi a voi avete Villa Diana, prende il nome dalla buon’anima di mia madre. Devi sapere, tesoro, che questa casa apparteneva ad Athena, mia sorella: una bellezza straordinaria, devi credermi! D’altronde, eravamo gemelle.»
«Vittoria, sei una vecchia civetta vanitosa!» commentò la consuocera, facendo ridere la nipote.
«Taci! Allora, Meg, dicevamo? Prima che quella falsissima ruffiana della tua nonna paterna m’interrom-…» cercò di continuare Vittoria, che, però, fu nuovamente zittita da Julia.
«Come osi? Io non sono falsa!»
«Ruffiana però sì! Ti conosco da venticinque anni, non puoi negarlo!»
«Vecchia megera di una Wilson
«Mills in Wilson, prego! E devo forse ricordarti che ho solo otto anni in più di te?»
«Ferme un attimo! Questo è forse uno dei vostri modi esasperanti di dirmi che, tra circa quarantacinque anni, sarò proprio come voi due?» intervenne Meg nel tentativo di riportare la situazione a uno stato di quiete. Le due litiganti, allora, si rivolsero sguardi di fuoco; poi, Vittoria continuò.
«Athena, come tutti noi, faceva parte dell’Ordine, e... be’, era il 1979, e mia sorella rimase uccisa durante una missione. Aveva quarantanove anni. La casa rimase inabitata: suo marito, pover’uomo, ci era rimasto secco l’anno prima, e suo figlio aveva avuto l’ottima idea di rifugiarsi negli Stati Uniti; tornò solo per il funerale e poi sparì di nuovo» la donna si bloccò un attimo, e un velo di lacrime di tristezza fu visibile nei suoi occhi. La nipote le rivolse uno sguardo comprensivo, e ciò la portò a continuare il suo discorso. «Questo posto è rimasto inabitato per troppo tempo, e sono necessari diversi lavori di ristrutturazione per consentirgli di ritornare a uno stato ancor migliore di quello originario, ma neanche questo dovrebbe essere un problema: il signor Perkins è estremamente affidabile, se ne occuperà lui. Insomma, credo che abbiate capito che il nonno ed io vogliamo offrirvela come regalo di nozze, no?» terminò Vittoria, guardando con dolcezza Meg, che – così come Fred – si ritrovò spiazzata e commossa.
Sua nonna – quella più dura, altezzosa, irremovibile – le aveva fatto il regalo probabilmente più utile: aveva deciso di donarle quella casa, quel luogo ricco di significato dal punto di vista affettivo; le stava procurando un posto in cui vivere con la sua famiglia, il posto dove avrebbe visto crescere i suoi figli e dove – Guerra permettendo – lei e Fred sarebbero invecchiati.
La ragazza la abbracciò, riconoscente, mentre una lacrima solitaria scendeva giù per la sua guancia.
«Non so cosa dire, e soprattutto non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza. È... accidenti, sarà assolutamente perfetta. E anche tu, nonna, con l’arredamento! Non ho parole, dovete credermi» disse Meg, rivolgendosi non unicamente a Vittoria, ma anche a Julia, che si unì all’abbraccio.
«Non devi ringraziarci, amore mio: faremmo di tutto per renderti felice. D’altronde, tu e le tue cugine siete la mia ultima possibilità» le confidò Vittoria, ricambiando l’abbraccio, al che la nipote sgranò gli occhi, colpita.
In fondo, però, le parole di sua nonna non erano mai state più vere: lei, Abigail, Blanche e Jamie erano l’ultima chance rimasta a Vittoria, l’ultimo modo per dimostrare che dietro quella maschera impenetrabile e perfetta si trovava una donna capace di amare e di provare emozioni, e pareva stesse impiegando anima e corpo al fine di raggiungere quest’obiettivo, di riscattarsi, di provare ai suoi figli che non si era mai troppo in ritardo per provare a cambiare gli aspetti più spigolosi di sé.

Una volta che le tre ebbero sciolto l’abbraccio, Fred le raggiunse e rivolse loro un gran sorriso, soffermandosi infine su Vittoria.
«Anche se una volta mi hai appeso a testa in giù, anche se non approvi la metà delle cose che faccio, e anche se hai traumatizzato un buon numero di domeniche della mia infanzia, voglio che tu sappia che ti voglio bene» ammise, grattandosi la testa e non avendo idea di quale reazione avrebbe fatto bene ad aspettarsi; l’anziana signora, però, avvolse anche lui in un abbraccio, lasciandolo di stucco.
«Ragazzo mio, tu sì che hai una bella faccia tosta! Sarai anche una piccola canaglia, ma non esiste altra persona al mondo che possa meritare l’amore della mia cara nipote quanto lo meriti tu.»
 
***
 
Quella sera, nella cucina del loro piccolo appartamento, Fred, George e Meg cenavano con spensieratezza, e l’euforia di cui erano portatori poteva essere percepita anche a chilometri di distanza. Degli enormi sorrisi erano stampati sui loro volti, e il cibo cucinato splendidamente da Margaret andava giù che era un piacere.
«Non ci credo! Ancora non riesco a rendermene conto!» esclamò la giovane donna mentre serviva un delizioso tiramisù.
«È sensazionale!» assentì Fred addentando una fetta di dolce che lo mandò in estasi; stessa reazione ebbe il fratello.
«Zuccherino, cos’è questa meraviglia?» domandò George a Meg, che sorrise ancora di più.
«Ricetta di nonna Julia, l’ha trovata in una rivista Babbana. Ti piace?»
«Per le sottane più indecenti di Morgana! Se mi piace? È una delle cose più buone che abbia mai mangiato! Devo ammettere che la tua cucina mi mancherà da morire una volta che sarete andati a vivere per conto vostro» commentò George che, subito dopo, dovette assistere con espressione perplessa agli sguardi eloquenti del gemello e della cognata.
«Sei scemo o cosa?» gli chiese Fred, ironico. Meg mosse vivacemente il capo in segno di assenso.
«Perché? Che ho detto?» fece George, enormemente stranito e confuso. Fred, con aria sconvolta, si voltò a guardare la fidanzata, che lasciò cadere la forchetta e inarcò il sopracciglio.
«Meg, amore, ricoveriamolo al San Mungo! Forse siamo ancora in tempo!»
«Fammi capire, George: credi davvero che ti lasceremmo qui?» domandò Margaret sfoggiando un cipiglio contrariato. George fissò inebetito i due.
«State dicendo che...»
«Che sei un idiota. C’è una guerra, lì fuori: dobbiamo restare uniti» terminò per lui Fred, riempiendo il proprio piatto con una seconda porzione di dolce.
«Ma non c’entra nulla, voi avete diritto alla vostra intimità, di certo non devo essere io a guastarla.»
«La stai già guastando, copia imperfetta, non è che cambi poi così tanto!»
«Fred!» sbottò Meg, gli occhi schizzati fuori dalle orbite. Il fidanzato si rannicchiò e portò braccia e mani e protezione del viso.
«Stavo scherzando, avanti! Non farmi del male, ti prego!» fece lui con un’inquietante voce stridula, al che la ragazza non seppe se ridere o piangere al pensiero di dover passare il resto della sua vita al fianco di quell’uomo. Alzò gli occhi al soffitto, esasperata, e scosse la testa.
«George, quella villa è enorme. Ci potrebbero abitare due famiglie, credimi. Tu verrai con noi, almeno fino a quando non sarà tutto finito» disse con quel tono autoritario che indisponeva chiunque volesse contraddirla. Il suo migliore amico, però, provò a lanciarsi temerariamente in quell’impresa senza alcuna possibilità di successo.
«Potrebbero volerci anni!»
«E allora vorrà dire che ci abitueremo a sopportarti» concluse Meg, e George capì che non c’era nient’altro da aggiungere.
Si alzò, sorridente, e andò ad abbracciare la sua futura cognata, per poi iniziare a sparecchiare; non appena ebbe finito, si diresse in camera sua, avvolto da un alone di contentezza.

Fred lanciò uno sguardo complice alla sua ragazza e la strinse a sé, prima di baciarla intensamente: aveva bisogno del suo sapore e del suo profumo allo stesso modo in cui un ubriaco sente l’irrefrenabile necessità di continuare a bere. Non ne era mai sazio, e mai avrebbe potuto esserlo, perché stancarsi di lei sarebbe stato come stancarsi dell’aria fresca e pulita di una mattina di primavera.
Chiuse la porta della camera da letto alle loro spalle, e la luce si spense in quella che si prospettava una lunga notte.


- Angolo dell’autrice

Come promesso, eccomi qui, puntuale come un orologio svizzero! *Ricorda carinamente ai lettori che il prossimo aggiornamento sarà sabato 9 marzo*
Allora, questo capitolo è stato un parto.
L’ho scritto i primi di settembre, l’ho revisionato a novembre, durante le vacanze di Natale ed infine venerdì scorso ignorando bellamente il libro di filosofia che mi chiamava con la sua adorabile vocina e mi chiedeva di aprirlo per evitare di ridurmi all’ultimo giorno.
Ma, nonostante tutte queste modifiche, fa totalmente orrido. Chiedo perdono.
Non ho molto da aggiungere riguardo questo capitolo, a parte che mi fa schifo. Che lo odio. Che dopo averlo scritto mi sarei molto volentieri data all’ippica. Okay, ho rotto le palle. :D
Il titolo è di Richard Exley (in realtà la fonte non è certa, ma pazienza), mentre la canzone in apertura è Here Comes The Sun, come tutti sappiamo dei Beatles *occhi a cuoricino*.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite: EmmaDiggory15JeckyCobainMaryWeasleyMy smile is Niall e NosferatuAbby

Tra le ricordate: Zakurio e _Lucrezia97_
Tra le seguite: bridilepoChiaraColfer95Daniela_97DeaderFranChanJeckyCobainMadHatterJoePolloGirl_98valepassion95Waindo18 e _LenadAvena_
E chi ha recensito lo scorso capitolo: JeckyCobainMaryWeasleyMy smile is Niall ed EmmaDiggory15
Se volete, magari lasciate una recensione... Sapete, non vi mangio! :D
Anzi, solitamente accolgo le recensioni con spargimento immenso di amore, di cioccolatini (vi lascio scegliere persino quali! Quanto sono dolce! *-*) e di fiori di campo. :D
Un bacione,
Jules


- Curiosità:
 
Per i componenti della famiglia della madre di Meg, ho pensato fin da subito di utilizzare dei nomi “importanti”. Essendo stati tutti (tranne Gloria), in passato, Serpeverde, li ho immaginati come aventi continue manie di grandezza. Da qui i nomi Diana, Vittoria, Athena, Regina e Gloria. Per quanto riguarda i nomi maschili, è stato un po’ più difficile, ma la scelta finale è ricaduta su Paul e Nicholas (fratello minore di Gloria). La mania di grandezza, conseguentemente, si riflette anche sui loro beni personali, come la Villa.



Ultima revisione: 26.04.2015

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Capitolo 3
*** Si crede di inseguire la felicità; non si inseguono che le emozioni ***




Capitolo 3

 


 
 
Si crede di inseguire la felicità;
non si inseguono che le emozioni


 
I want her everywhere and if she's beside me
I know I need never care
But to love her is to need her everywhere
Knowing that love is to share

 
Le deboli onde del mare si infrangevano contro la riva in quella calda mattina dei primi di agosto, e una giovane donna era intenta a osservare con sguardo entusiasta l’avviarsi dei lavori di ristrutturazione di quella splendida Villa che si affacciava sulla spiaggia. Quella casa era capace di trasmetterle un senso di grandezza e di sicurezza, nonostante le sue condizioni non fossero propriamente delle migliori: agli occhi di Margaret, essa aveva già preso forma, tanto da poter essere immaginata in ogni piccolo particolare, in ogni singolo dettaglio che l’avrebbe caratterizzata e resa unica e speciale.
Lei e Fred avevano assunto una ditta edile magica che era stata consigliata loro da Vittoria, con la garanzia che avrebbe reso la casa pronta a rispondere alle loro esigenze entro gli inizi di giugno, un mese prima del loro matrimonio. I due ragazzi si erano accordati affinché, ogni mattina, si alternassero per recarsi sul posto e per monitorare i progressi, e così Margaret – quel primo giorno – si era offerta di andare nel Devonshire per dare le giuste indicazioni necessarie e soprattutto per applicare degli incantesimi di protezione, cosicché nessuno potesse correre alcun rischio.
«Le porgo i miei omaggi, signorina Stevens!» la salutò cordialmente il capo della ditta – un signore in età avanzata, alto e panciuto – mentre lei toglieva le scarpe per affondare i piedi nella tiepida sabbia riscaldata dai raggi del sole.
«Felice di vederla, signor Perkins! Come stanno i nipotini?» domandò Meg, gentile, sfoggiando un gran sorriso.
«Crescono velocemente, ahimè! Sarà meglio che vada in pensione prima che diventino troppo grandi!» rispose l’uomo, allegro, prima di togliersi il cappello e congedarsi con un mezzo inchino.

Margaret tornò a fissare la casa con occhi felici ed emozionati, percependo un leggero moto di gioia dentro di sé, e lasciò che la sua sempre attiva fantasia andasse al galoppo: cercò di immaginare quale sensazione avrebbe provato non appena i lavori fossero stati ultimati, o una volta che avesse messo piede in quella dimora, il giorno delle sue nozze; pensò come avrebbe potuto essere fantastico passare il Natale in quel salone, davanti al camino, abbracciata al suo futuro marito, o a quanto splendidi sarebbero stati i compleanni dei suoi ipotetici figli festeggiati lì, in riva al mare, mentre lei faceva svolazzare un’enorme torta verso un tavolo addobbato e Fred insegnava ai bambini come soffiare le candeline.
E poi, improvvisamente, immaginò la sua stessa figura avvolta in un abito bianco camminare lentamente su un tappeto rosso – nettamente in contrasto con la sabbia fina e quasi bianca – e dirigersi, stringendo il braccio di suo padre, verso uno splendido arco completamente ornato da orchidee e rose rosse e bianche; arco sotto il quale si sarebbe trovato lui, Fred, l’uomo della sua vita, che la aspettava ansioso e con il piede tremante. Immaginò gli invitati tutti attorno a loro e la festa che cominciava, i tavoli adornati, la pista da ballo, la torta nuziale, i discorsi dei testimoni.
Visto così, era tutto dannatamente splendido, quasi surreale e impossibile da realizzarsi.

Presto, Margaret percepì due mani posarsi sui suoi fianchi e delle soffici labbra indugiare sul suo collo, provocandole dei piacevoli brividi lungo la schiena, mentre un profumo che conosceva tremendamente bene le invadeva i polmoni.
Girò lentamente il viso e fece incrociare i suoi occhi con quelli di Fred, permettendo al verde di fondersi con l’azzurro e annegando in tanta limpidezza. Gli rivolse uno dei suoi migliori sorrisi, quello che dedicava solo ed esclusivamente a lui, e lo baciò con dolcezza e trasporto.
«A cosa pensavi?» le sussurrò lui sulle labbra, curioso, senza mai perdere il contatto visivo.
«A quanto potrebbe essere bello questo posto, per il matrimonio» confessò lei, non rinunciando a sfoggiare quel suo sorriso contagioso. Fred, d’altra parte, mise su un’espressione decisamente sorpresa.
«Non ci avevo riflettuto, sai? Potrebbe essere un’ottima idea, in effetti!»
«La sabbia, il profumo del mare, l’atmosfera così leggera» commentò nuovamente Meg, sognante, al che il ragazzo iniziò a fissarla con fare divertito.
«Non accetterai un rifiuto, non è così?» le domandò, quindi, sfiorandole il viso per riportarla alla realtà. Lei gli rivolse uno sguardo complice e gli si avvicinò di nuovo, accarezzandogli i capelli.
«Il mio piccolo Zuccotto di Zucca perspicace» gli sussurrò con una dolcezza tutta particolare, prima di baciare avidamente le sue labbra. Si separarono solo quando la richiesta di ossigeno da parte dei loro polmoni sembrò esigere una risposta, ma non riuscirono a dirigere altrove i loro occhi, che si cercavano gli uni con gli altri e si attiravano come avrebbero fatto due calamite.
«Sai che giorno è oggi, giusto?» le domandò Fred, dandole un pizzicotto affettuoso sulla guancia.
«Il 7 agosto, no?» fece di rimando Margaret, al che il suo ragazzo inarcò le sopracciglia.
«Sì, ma cos’è successo in questo stesso giorno, l’anno scorso?» disse lui con tono inquisitorio, portando la giovane a una dettagliata riflessione silenziosa. Dopo qualche istante, finalmente, questa parve illuminarsi.
«Il giorno del mio ritorno in Gran Bretagna! Come ho fatto a non pensarci?» esclamò lei, d’altra parte incredula che lui si fosse realmente ricordato di un particolare simile.
«Cinquanta punti a Grifondoro, Stevens» bisbigliò Fred, riavvicinandosi alle labbra di Margaret per perdervisi nuovamente.
«Cento punti per il modo divino in cui baci, Weasley
«Centocinquanta punti se stasera mi concedi un appuntamento!»
«Duecento punti: accetto
«Allora passerò a prenderla alle sette, signorina.»
 

***
 
Margaret stava salendo su per le scale che conducevano all’ingresso del loro piccolo appartamento, e poche volte come allora aveva sentito il bisogno di distendersi sul divano e non far niente per un’ora o due, se non leggere un libro o seguire il flusso incessante dei suoi pensieri.
Di per sé, la giornata non era stata delle più dure, ma il caldo di quella mattina e i rumori incessanti degli incantesimi di ristrutturazione non avevano fatto altro che contribuire a spossarla, mentre la sua testa implorava un po’ di sano e salvifico silenzio.
Convinta di poter godere di qualche momento di solitudine, si affrettò a raggiungere la porta e a girare la maniglia, impaziente di crogiolarsi nella splendida arte dell’ozio. Proprio per questa ragione, una volta varcata la soglia, non poté non dirsi sorpresa di constatare che ad attenderla vi fosse già una persona, e che quest’ultima altri non fosse che sua madre, apparentemente parecchio interessata al colore del tendaggio. Non appena Gloria la vide, d’altro canto, le andrò incontro e la avvolse in un abbraccio, fingendo di non aver fatto caso alla sua espressione confusa.
«Mamma, non me l’aspettavo! Come mai qui?» chiese la ragazza, una volta liberatasi dalla stretta, palesemente stranita a causa di quella situazione notevolmente anomala: non era mai successo che sua madre non avvisasse prima di fare visita a casa di qualcuno.  
«Non posso venire a trovare la mia bellissima figlia? Amore, come stai?» fece quest’ultima di rimando, prendendo una bottiglia di Idromele dalla credenza. Dopo che ebbe riempito due bicchieri, ne porse uno alla figlia, che si sedette.
«Piuttosto bene, ce la caviamo. Tu, invece?»
«Non mi lamento, tesoro! La nonna mi ha detto dei lavori di ristrutturazione, sai? È un posto bellissimo, mi porta alla mente ricordi di quando ero piccola... sembra passato un secolo! Pensare che finalmente qualcuno tornerà ad abitarla, che voi vivrete lì, non può che rendermi felice» commentò la donna, non facendo nulla per nascondere quel pizzico di emozione che vibrava nella sua voce.
«Celebreremo il matrimonio proprio sulla spiaggia di fronte la villa, non esiste luogo migliore di quello» comunicò Meg, cogliendo la palla al balzo, al che dovette gustarsi l’espressione colpita e sorpresa della madre, che non esitò a mostrare tutta la sua approvazione.
«Merlino, Maggie! È una notizia bellissima, non avreste potuto fare scelta più azzeccata!» esclamò lei, rivolgendo alla figlia un dolce sorriso luminoso. Questa lo ricambiò, ma qualche istante dopo si fece seria e pensierosa.
«Mamma, mi fa piacere che tu sia qui, ma questa storia non mi convince. Sei venuta senza preavviso, un motivo deve pur esserci stato» buttò lì la ragazza, che capì dagli occhi della madre di aver colpito nel segno. Gloria, difatti, non riuscì a reprimere una smorfia contrariata – identica a quella che solitamente faceva la figlia – e sbuffò, scrollando le spalle.
«Credo tu possa immaginare le ragioni della mia visita.»
«Assolutamente no.»
«Farò finta di crederti. La frase “tu e tuo padre non vi rivolgete la parola da un mese” ti dice nulla?» fece la donna, ironica, ma a quel punto i lineamenti del volto di Margaret diventarono improvvisamente più duri.
«Va’ avanti.»
«Quando la smetterete? Non è una bella situazione, anzi è alquanto snervante, e sono certa ne siate entrambi perfettamente consapevoli. Il dramma è che siete troppo simili: troppo testardi, troppo orgogliosi, troppo dannatamente stronzi. Gli faccio lo stesso discorso ogni santo giorno, provo ad ammorbidirlo in ogni modo, ma lui fa finta di non sentire! Penso abbia bisogno di un altro po’ di tempo per metabolizzare tutta questa faccenda, ma io non ce la faccio più a vedervi così… Se solo tu tentassi un riavvicinamento, magari potrebbe sciogliersi un poco» spiegò Gloria, evidentemente esausta nel suo impeccabile autocontrollo.
Margaret, invece, parve punta sul vivo: si immaginò nuovamente mentre avanzava verso l’arco nuziale, il giorno del suo matrimonio, attaccata però a un braccio che non era quello del padre, incapace di accettare che sua figlia fosse ormai cresciuta e che stesse per metter su una famiglia tutta sua.
«Mamma, io non ho fatto niente di male per meritare questo. Tu sai meglio di chiunque altro quanto io gli voglia bene, e mi addolora constatare in tal modo come lui non riesca a capirlo e gli attribuisca così poca importanza. Merlino, mi sto per sposare! Dovrebbe condividere questi momenti di felicità con me, darmi dei consigli, aiutarmi nei preparativi, essere presente come te, come Molly e Arthur, come i nonni, come i fratelli di Fred! Si comporta in modo assurdo, sembra un bambino capriccioso!» esclamò Meg, furiosa, mentre il desiderio di lanciare un vaso contro una di quelle dannate finestre cresceva a dismisura.
Sua madre scosse la testa.
«Sei la persona che più ama al mondo, lo sai. Sono sicura che si sia pentito di aver fatto quella scenata, ma non credo ammetterà mai di essere nel torto, o quantomeno non adesso. Devi capirlo, è stata una notizia del tutto inaspettata, io stessa ne sono rimasta sorpresa… Siete ancora molto giovani, chi mai avrebbe potuto pensare che avreste preso una decisione del genere proprio adesso? Se solo tu…»
«Non ci provare, mamma!» la ragazza la interruppe, alzando il tono della voce. «Non provare a giustificarlo, non pensare neanche per sogno di poterci riuscire. È mio padre, ma questo non gli dà il diritto di trattarmi in quel modo, per di più per una cosa così normale come un matrimonio! Non mi pare di aver ucciso nessuno, sai? So che mi vuole bene, ma non è così che si dimostra l’affetto ai propri figli, così come non si ottiene il loro perdono mandando una terza persona a placare i dissapori. Se ha qualcosa da dirmi, sa perfettamente dove trovarmi. Spero di essere stata chiara» concluse, ma, sebbene avesse pensato di potersi liberare di quel peso enorme che le opprimeva lo stomaco, quello sfogo non aveva restituito i risultati sperati. Gloria, invece, aveva appena perso ogni forma di motivazione che, quella stessa mattina, le aveva consigliato di tentare un approccio con la sua unigenita.   
«Trasparente come l’acqua, Margaret» commentò, quindi, alzandosi e afferrando la borsa lasciata sul tavolo. «Devo tornare al Ministero, la mia pausa pranzo sta per finire. Salutami i ragazzi.»
«Senz’altro» mormorò Margaret, affatto entusiasta, mentre la madre si avviava verso la porta che conduceva alle scale. Non appena questa ebbe lasciato l’appartamento, la prima abbandonò la sua sedia e si diresse alla finestra, apprestandosi a osservare con svogliatezza la gente che passeggiava per le strade di Diagon Alley.
Nessuno avrebbe potuto comprendere quanto tutta quella faccenda la stesse snervando, ma soprattutto quanto volesse essere capace di mettere da parte l’orgoglio e andare da suo padre, dirgli che nulla sarebbe cambiato e che lei avrebbe continuato a essere la stessa Margaret che da bambina lo guardava con quegli occhi innamorati tanto simili ai suoi. E invece, sebbene la tentazione di andare contro se stessa si fosse fatta sentire già diverse volte, non riuscì a non dare ascolto alla sua testardaggine e a non assecondare le sue ferme convinzioni.
“Non sono io quella che sguazza nel torto”.
Scosse la testa, infastidita, e chiuse le tende rosse a pois della finestra della cucina: per quel giorno, aveva di meglio da fare che perdersi nei suoi pensieri.
 

***
 
Erano le sette e mezza di sera, e ovviamente Fred era in ritardo. Tanto per cambiare.
Meg, con indosso un tubino bianco e azzurro, era impazientemente seduta sul divano, e fissando insistentemente l’orologio pensava al modo in cui l’avrebbe fatta pagare al suo fidanzato: prima le chiedeva di essere puntuale, e poi il ritardatario era lui; bella coerenza, si disse lei.
Mentre, sbuffando, tamburellava con le dita sulla coscia, la serratura scattò e George fece la sua entrata più o meno trionfale; fu subito seguito da Fred, che sfoggiava un’espressione profondamente colpevole.
«Oh, eccolo: Mister Puntualità! Era ora!» esclamò lei, sarcastica, mentre le sue sopracciglia erano tanto sollevate da rischiare di attaccarsi ai capelli. Lui le sorrise amorevolmente – senza riuscire, però, a corromperla –, quindi filò via il più velocemente possibile per cambiarsi nell’altra stanza, mentre lei scuoteva la testa con rassegnazione.

Quasi cinque minuti dopo, i due fidanzati lasciarono l’appartamento e si Smaterializzarono, riapparendo in una trafficata via londinese. Fred prese per mano Margaret, ancora scocciata.
«Avanti, Maggie, non fare l’offesa» la pregò, rivolgendole il classico sguardo da cucciolo di cane bastonato, al che lei sospirò e rise tra sé.
«Ricordami di regalarti un orologio, eh?» scherzò, allora, scoccandogli un bacio sulla guancia e poggiando la testa sulla sua spalla. Lui sorrise e le passò un braccio attorno alla vita. «Allora, Messere, dove mi porta?»
«Lo vedrà, Madamigelle

Ancora abbracciati, passeggiarono per una mezz’ora fino a un locale dall’aspetto accogliente e familiare, dove decisero di entrare.
Una volta che ebbero preso posto al tavolo e ordinato la cena, i due si guardarono negli occhi e si sorrisero per un lungo istante. Fred le strinse dolcemente la mano e ne baciò il polso, provocandole un lieve tremore lungo il corpo.
«È già passato un anno: il tempo vola, non trovi?» considerò lui, mentre venivano servite loro le prime portate.
«Forse perché stiamo bene insieme» commentò Meg, i cui occhi brillavano allo stesso modo del sorriso. Fred le fece l’occhiolino, poi si sporse sul tavolo fino ad arrivare alle sue labbra e baciarle.
«Che ne dici di una bella serenata?» le disse quando fu tornato seduto in maniera composta. Lei, confusa, strabuzzò gli occhi, ma quando capì ciò che Fred aveva intenzione di fare era ormai troppo tardi.
Difatti, prima che riuscisse a fermarlo, questi si alzò e fece il giro del tavolo per inginocchiarsi accanto alla sua sedia; tra una risata e l’altra, prese a cantare a squarciagola, attirando inevitabilmente l’attenzione dell’intero ristorante, che iniziò a chiedersi cosa stesse succedendo.  
«Fred, alzati! Fred... santo cielo... sta’ zitto. Oh, Fred!» lo implorò Margaret, che tuttavia – seppure rossa come un peperone – non poteva fare a meno di ridere. Il ragazzo si mise in piedi, estremamente divertito, e avvicinò il volto al suo.
«Ti è piaciuta?» le domandò, ridendo ancora. Lei gli strizzò una guancia e gli stampò un bacio sul naso.
«Questa entra immediatamente a far parte della lista di cose che, prima o poi, dovrò farti pagare» gli sussurrò sulle labbra, ancora sorridente. Lui le passò una mano tra i capelli: aveva sentito quella frase così tante volte da non poterla neanche più considerare come una vera minaccia.

Circa un’ora dopo, i due lasciarono il ristorante e decisero di fare una passeggiata in un parco nelle vicinanze. Si sedettero su una panchina e Meg appoggiò il capo sulla spalla di Fred, prima di alzare gli occhi sul suo viso e incontrare quei due fari azzurri che sarebbero stati capaci di illuminare tutto il suo Universo.
«Riesci a pensare alla nostra futura vita da sposati? A cosa cambierà, a cosa rimarrà uguale? Puoi immaginarla?» gli domandò, e nella sua voce era possibile percepire un pizzico di divertimento.
«Assolutamente no, Pasticcino, ed è questo il bello: sarà un’enorme sorpresa» le rispose, sospirando con una vivissima nota di felicità.
Margaret, pensierosa, si strinse ancor di più a lui, poi sollevò lo sguardo per osservare le stelle; sentì un peso formarsi sul suo stomaco e trasmetterle un’incomprensibile angoscia, mentre gli occhi avevano iniziato a inumidirsi e la vista ad annebbiarsi.
«Fred... Ce la faremo?» esordì, dunque, cercando di impedire alla sua stessa voce di incrinarsi. Lui strabuzzò gli occhi e la fissò, perplesso.
«A cosa ti riferisci?»
«Alla guerra, Fred. Cerco di non pensarci, ma a volte è inevitabile, e quando succede... mi assale la paura di perderti, temo che possa accadere qualcosa che ti strappi via da me. Guarda adesso, ad esempio: siamo qui, in un parco della Londra Babbana, e la probabilità che qualcuno ci attacchi da un momento all’altro è tanto elevata che solo al pensiero mi vengono i brividi. Fred, promettimi... promettimi che... Dannazione, non ce la faccio…» confessò la ragazza, la cui voce si ruppe sulle ultime parole, le quali precedettero delle poche lacrime che le rigarono il viso. Lui, sbalordito, la abbracciò all’istante, affondando il viso tra i suoi capelli e respirandone a pieni polmoni il profumo di orchidea.
«Non devi pensarlo, intesi? Non permetterò mai a niente e nessuno di separarci, né tantomeno che ti succeda qualcosa quando ci sono io nei paraggi, chiaro? Noi ci sposeremo, avremo i nostri bei bambini dai capelli rossi e invecchieremo insieme, sommersi da una valanga di nipotini; poi, una mattina di Natale ci ritroveremo davanti al camino del nostro salone e ricorderemo tutto quello che abbiamo combattuto e superato insieme, e a quel punto sorrideremo, perché sapremo che nulla è stato mai tanto forte da riuscire a dividerci, neanche questa stupida guerra. Ce la faremo, Meg. Combatteremo con le unghie e con i denti» le sussurrò Fred all’orecchio, cercando di rassicurarla più che poteva. Immediatamente dopo, le prese il viso tra le mani e le asciugò le guance con i pollici, contemplando per pochi istanti i suoi occhi e il suo sorriso riconoscente; infine, la baciò intensamente, come a voler apporre simbolicamente la propria firma al discorso fatto in precedenza.
«Siamo già due pazzi – come mi hai fatto ben notare tu – a stare qui, da soli, come se nulla fosse... Che ne dici di fare un’altra cosa abbastanza incosciente?»
«Vale a dire?» chiese quindi Margaret, sempre in allarme ogni volta che Fred proponeva qualcosa – fosse questa pericolosa o meno. Lui, allora, si alzò, porgendole la mano; lei la prese, incerta, e lo guardò con fare perplesso, al che egli scoppiò a ridere e scosse la testa.
«Facciamo un salto nel Devon? A casa nostra, avanti! Deve essere bello stare sulla spiaggia di notte, che ne pensi?» propose lui, stavolta euforico. La fidanzata esitò un attimo, titubante, poi chiuse gli occhi e diede in una più che mai solare risata, al che egli capì che aveva accettato.

Si Smaterializzarono, ritrovandosi poi sul sentiero che conduceva a quella che un tempo si chiamava Villa Diana.
Quando furono giunti sulla spiaggia, si buttarono a peso morto sulla sabbia, noncuranti dello stato in cui si sarebbero ritrovati i vestiti una volta che si fossero rialzati.
Entrambi avevano il viso rivolto verso le stelle, quella sera più luminose che mai.
«Come la chiamiamo?» domandò improvvisamente Meg, facendo sobbalzare il fidanzato.
«Cosa? Sei incinta quanto basta per sapere che è femmina e ancora non me l’hai detto?» domandò Fred, sconvolto e un tantino indignato quando sentì che Margaret aveva iniziato a ridere di nuovo. «Ridi? Sì, avanti, continua pure! Immagino deve essere proprio divertente prendere in giro il povero Fred!»
«Stupido, non sono incinta! Parlavo della casa! Ogni villa ha un suo nome, ed è giusto che l’abbia anche la nostra, no?»
«Villa Diana non ti piace?»
«No, dobbiamo sceglierlo noi. Pensa a un nome, Marshmallow
«Be’, solitamente si usano nomi da donna, no? Villa Margaret
«Non pensarci nemmeno, è orribile!»
«Scusa, scusa! Be’... Margaret significa Perla, quindi perché non Villa Perla
«È anche peggio di Villa Margaret, Fred» commentò lei, sconcertata, al che Fred sfoggiò un’espressione fortemente scettica.
«Proponi qualcosa tu, allora, visto che le mie idee fanno così schifo!»
«Ho capito, mi consulterò con qualcuno di molto più creativo di te. Sarà meglio parlarne con Abigail» buttò lì, noncurante, nell’evidente tentativo di pungerlo nell’orgoglio. Fred, invece, fu totalmente distratto da quel nome e non fece caso al resto.
«Abigail? Non mi è nuovo… Rinfrescami la memoria!»
«Mia cugina, Fred. È la figlia più piccola della sorella di mia madre, Regina. Non te la ricordi? Non ci vediamo da un anno e mezzo, adesso stanno in Italia.»
«Certo è però che siete tutti degli emigrati, eh? Voi eravate in Spagna, loro in Italia, tuo zio Nicholas in Germania!» commentò il ragazzo, divertito.
Meg rise nuovamente, poi tornò seria. «Spero riescano a tornare tutti per il matrimonio» disse, pensierosa, accennando dell’amarezza nella voce. Fred le strinse la mano nell’intento di rassicurarla.
«Verranno tutti, stanne certa. È un evento cui non possono mancare.»
«Cercherò di rimanere fiduciosa, promesso. È che Abbie mi manca da morire, non vedo l’ora di rincontrarla! Sei proprio sicuro di non ricordarti di una bambina biondina, con gli occhi grigi? Indossava sempre dei vestitini rosa o lilla e si divertiva a fare tutto il contrario di ciò che le dicevano i miei zii. L’avrai vista migliaia di volte, non puoi averla dimenticata» fece lei, esortando l’altro a sforzare le meningi e a mettere in moto i neuroni. Egli parve rifletterci per un po’ di tempo, fino a quando sul suo volto non si dipinse una luce di netta consapevolezza.
«Abigail Thompson? Quella che ha due fratelli gemelli più grandi?» le chiese, mettendosi seduto.
«Andrew e John, esattamente! Avranno circa ventidue o ventitré anni, mentre Abbie ne ha compiuti diciassette a gennaio. Mi dispiace non essere andata... Fred, ma mi stai ascoltando?! Che stai facendo?» esclamò la ragazza, contrariata, notando che Fred si stava spogliando e guardava le acque calme del mare con discreto interesse.
«Vado a farmi un bagno, c’è troppo caldo per i miei gusti!»
«Ti sei bevuto il cervello, non è così? L’acqua sarà fredda, e per di più non sono passate nemmeno tre ore da quando abbiamo mangiato! Vuoi lasciarmi vedova, per caso?»
«Avanti, Pasticcino, sei quasi peggio di mia madre!» le disse, ammiccando nella sua direzione e lanciandole addosso la biancheria, gesto che la fece diventare viola dalla rabbia.

Lo osservò tuffarsi in mare con una bella espressione corrucciata stampata sul volto, ma non riuscì a trattenere un sorriso di fronte agli infiniti tentativi del ragazzo di corromperla.
«Cosa vedono i miei occhi! Una dolce donzella seduta tutta sola sulla spiaggia! Chi sta aspettando, splendida fanciulla? Che fine ha fatto il suo cavaliere?» provò lui, difatti, agitando le braccia con fare teatrale. Lei tirò la testa all’indietro e osservò il cielo con rassegnazione.
«Sta per morire annegato, probabilmente!»
«Che ne dice, allora, di raggiungere questo pover’uomo?»
«Non ci penso proprio
«Suvvia, Miss Stevens dalla Contea della Collina! Non mi abbandoni!»
«È lei che ha abbandonato me, compagno degenere! Potrebbero rapirmi da un momento all’altro, ma a quanto pare questa è un’eventualità che non la interessa affatto!»
«Non sarebbe colpa mia, Madamigelle: io le ho gentilmente chiesto di raggiungermi e di dilettarsi con il sottoscritto, ma lei ha sgarbatamente rifiutato!»
«Lei non ha mai parlato di diletto, Sir, altrimenti avrei accettato all’istante, mi sembra abbastanza ovvio» ribatté infine Margaret, che ormai non si sorprendeva neanche più delle sue stesse parole. Fred la fissò con meraviglia, aspettando una qualche sua reazione, che d’altra parte non tardò ad arrivare.

Meg, ormai pienamente convinta, si alzò e lasciò scivolare a terra il vestito, poi tolse anche le scarpe e la biancheria intima e – con i fischi e i commenti di approvazione del suo ragazzo di sottofondo – corse più velocemente che poté in acqua, tentando di resistere al freddo.
Fred la raggiunse fino alla riva e, ancora immerso, le avvolse le gambe con le braccia.
«Forza e coraggio! È questione di abitudine, sentirai meno freddo.»
Lei, prendendo per buone le parole del ragazzo, continuò ad avanzare, fino a quando l’acqua fu abbastanza profonda da permetterle di immergere tutto il corpo; così, dopo aver preso un profondo respiro, andò giù di colpo.
Quando, qualche secondo più tardi, la sua testa riemerse, il volto di Fred era a pochi centimetri dal suo e le sorrideva con fare soddisfatto.
«Non è poi così terribile, vedi?» le disse abbracciandola e lasciando che le gambe di lei si avvolgessero attorno alle sue e che le sue braccia si stringessero dietro il suo collo.
«In due non si sta male, proprio no» commentò lei, maliziosa, posandogli un bacio sulla spalla. A quel contatto, il corpo di Fred fu scosso da brividi di piacere.
«Merlino, quanto ti amo» fece lui, iniziando a baciarla.
«Ti amo anch’io» rispose lei, adesso completamente a suo agio tra le sue braccia. Poggiò la fronte contro quella di lui e lasciò che i loro occhi si fondessero: sembravano fatti gli uni per gli altri.
«Non l’abbiamo mai fatto in acqua, vero?» sussurrò Fred sulle sue labbra, tra un morso e un altro.
«Non tenendo conto delle vasche da bagno, giusto?» rispose Meg con allegria. Lui sbuffò e riprese a baciarla con molto più trasporto di prima.
«Giusto» mormorò, non riuscendo a nascondere un largo sorriso.
Entrambi si lasciarono andare alla passione, quella notte più presente e intensa che mai, mentre ogni parte del corpo di uno urlava quasi con disperazione di potersi legare indissolubilmente a ogni singolo centimetro dell’altra, e viceversa.
Quella notte fecero l’amore come mai lo avevano fatto prima, ma coinvolgendo come sempre corpo e anima. Lo fecero anche sulla spiaggia, in compagnia del fruscio del vento che scompigliava dolcemente i loro capelli e faceva rabbrividire la loro pelle, scatenando così in essi il desiderio di restare uniti l’uno all’altra per il maggior tempo possibile, lasciando riposare le loro mani intrecciate sulla sabbia.
Infine, sfiniti, si addormentarono così, facendosi scudo a vicenda, con la consapevolezza di appartenersi che si faceva più forte ogni singolo giorno passato tra le rispettive braccia.


- Angolo dell’autrice

Perfetto, ci mancava solo la febbre... La sfiga mi perseguita in questi giorni! Ma non potevo lasciarvi senza l’aggiornamento! *Informazione gratuita, si comunica che il prossimo capitolo verrà postato sabato 23 marzo. Ma tanto lo sapevate!*
Allora, visto che ieri era l’8 marzo: auguri a tutte noi Donne! Sì, sono femminista, quindi lo scrivo maiuscolo.
Invece “uomini” va minuscolo, perché in quanto tali non meritano considerazione. AHAHAH non sono riuscita a trattenermi, sono cattiva.
Ma dovete capirmi, sono abbastanza abbattuta... non è una cosa normale prendersi una pesantissima cotta per uno dei ragazzi tedeschi (che, dato il colore scuro di occhi e capelli, di tedesco non aveva proprio nulla) arrivati a scuola per lo scambio culturale e dopo una settimana riuscire a dirgli soltanto un misero, banalissimo e schifosissimo “Hello!” (non parlo tedesco, sigh! ç_ç) quando invece avrei voluto dirgli, con tanto di occhi a cuoricino, “I’D LIKE TO BE YOUR DAMNED GUITAR, BABY!” (non solo bello, ma anche chitarrista! L’uomo dei miei sogni è arrivato!), e via dicendo... Assolutamente incantevole... ç___ç
Okay, ma non mi sembra il caso di annoiarvi ancora. :D
Ora: che ne pensate di questo capitolo? Siete liberissimi di dirmi che fa orrido, vi capirei ahahah!
Il titolo è di Jean Josipovici, mentre la canzone è un altro capolavoro dei Beatles, Here, There and Everywhere.
Adesso, ringrazio 
EmmaDiggory15, JeckyCobainLoveLaw93MaryWeasleyMy smile is NiallNosferatuAbbyZakurio_Lucrezia97_ Allie_MalfoybridilepoChiaraColfer95Daniela_97DeaderFranChanMadHatterJoePolloGirl_98valepassion95Waindo18 _LenadAvena_, che hanno inserito la storia tra le preferite, ricordate o seguite, e di nuovo _LenadAvena_JeckyCobainEmmaDiggory15 e MaryWeasley 
che hanno recensito il capitolo precedente!
Se state leggendo quello che sto scrivendo, vuol dire che, nonostante tutto, questa povera esaltata un po’ la sopportate, quindi vi ringrazio ancora una volta! ;)
Vi ricordo nuovamente che le recensioni sono sempre accolte con grande spargimento di amore e dolciumi a vostra scelta.
Love you all,
Jules


- Curiosità:

Da bambina, Meg aveva una cotta per George. Lui non le disse mai che Fred gliel’aveva spifferato.


Ultima revisione: 02.05.2015

 

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Capitolo 4
*** L'intuizione di una donna è molto più vicina alla verità della certezza di un uomo ***




Capitolo 4

 

 
 
L'intuizione di una donna è molto più vicina alla verità
della certezza di un uomo


 
Now that she's back in the atmosphere 
With drops of Jupiter in her hair, hey 
She acts like summer and walks like rain 
Reminds me that there's a time to change, hey 
Since the return from her stay on the moon 
She listens like spring and she talks like June, hey

 
Fred Weasley, quella mattina di metà settembre, non aveva assolutamente voglia di alzarsi: era domenica, e il negozio sarebbe rimasto chiuso, quindi perché scomodarsi?
Ancora non propriamente sveglio, pensò che sarebbe stato certamente meglio restare al calduccio nel suo letto, accanto alla sua ragazza, e lasciarsi coccolare una volta che questa si fosse svegliata. Sorrise contro il cuscino: amava quando lei lo ricopriva di attenzioni, era la cosa più rilassante che potesse esserci nell’Universo.
Decise che era arrivato il momento che la sua Margaret facesse il suo dovere da fidanzata premurosa, ma, quando allungò il braccio fino al punto in cui avrebbero dovuto esserci i fianchi di lei, non toccò altro che il morbido materasso. Insospettito, iniziò a far finta di russare, ma non ricevette il solito calcio in risposta. Quindi sollevò la testa, leggermente offeso, e si voltò a guardare la parte restante del letto, con sua sorpresa completamente vuota.
Si mise a sedere, grattandosi la testa, nel tentativo di ritrovare la concentrazione e cercando di percepire anche il più insignificante suono provenire dalla cucina.
Silenzio assoluto.
«Meg? Maggie?» chiamò Fred, ancora con la voce impastata dal sonno. Dal momento che non ricevette alcuna risposta, riprovò, stavolta con più convinzione. «Meg
«Dannazione, fratello, smettila! Sto provando a dormire!» urlò George dalla sua stanza, nettamente infastidito.
«George, Meg è sparita!» esclamò il primo, adesso un po’ preoccupato.
L’altro Weasley, dal canto suo, si alzò e si diresse – mezzo addormentato – nella camera della futura cognata e del fratello, tenendo in mano un bigliettino; dopo averlo lanciato malamente sul letto, tornò strascicando i piedi nella sua stanza e chiuse la porta con forza, provocando un rumore che riecheggiò per tutta la casa.
Fred, accigliato, aprì lentamente il pezzo di pergamena e ne lesse attentamente il contenuto.
 
 
Fred, sta’ tranquillo, non ti ho abbandonato al tuo destino crudele, puoi tornare a dormire.
Intorno alle sette è arrivato un gufo del Ministero, vogliono vedermi alle nove per un colloquio.
Sarò a casa non appena avrò finito, però ricordati che è domenica e che quindi a pranzo siamo dai tuoi genitori!
Incrocia le dita per me, dolcezza.
A dopo,

 
Il tuo Pasticcino
 

Notevolmente sollevato, poggiò il biglietto sul comodino e si fiondò in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Solitamente era Margaret quella che cucinava: lui era una completa schiappa, e quasi non sapeva neanche dove fossero messe le stoviglie o cosa ci fosse in dispensa. Dunque, iniziò a frugare all’interno di ogni sorta di mobile e a sbattere gli sportelli, facendo persino cadere la teiera sul pavimento.
Subito dopo quel fragoroso rumore, allora, sulla soglia della cucina apparve un irritato George, pronto a dirgliene di tutti i colori.
«Quale parte di “voglio dormire” non ti è chiara?»
«Ore piccole, noto! Hai per caso fatto colpo, ieri sera?» gli chiese Fred mentre riponeva tutto al proprio posto. Il gemello sorrise maliziosamente.
«Sai bene che è difficile resisterci! E poi, devo pur curare il mio cuore infranto in qualche modo, o sbaglio?» commentò George, ironico, alludendo alla sua recente separazione da Hermione. Difatti, tra i due non era andata come entrambi avrebbero sperato e così, nel mese di agosto, dopo alcune incomprensioni e lo spegnimento dell’entusiasmo iniziale, avevano deciso di dare un taglio a quella faccenda.
 
«George, basta. Questa situazione sta diventando insostenibile, litighiamo ininterrottamente da giorni» aveva considerato Hermione, evidentemente esausta, discutendo animatamente col ragazzo nel giardino della Tana. Questi aveva annuito e aveva guardato altrove, apparentemente indeciso su cosa rispondere; la verità era che pensava la stessa identica cosa da fin troppo tempo.
«Hai ragione, non possiamo continuare così» aveva assentito, allora, tentando di rimanere impassibile, sebbene fosse un’impresa tutt’altro che semplice.
«Dobbiamo parlare.»
«Adesso.»
«Peccato che io non sia sicura che tu mi ascolti.»
«Pensi che sia stupido, forse? Trovo sia snervante continuare a urlarci contro, o credi che per me sia tutto normale? Non lo è affatto!» aveva commentato, a tratti indignato, per poi allontanare un nano da giardino con un calcio. Lei lo aveva guardato con tristezza e gli si era avvicinata di qualche passo.
«Non intendevo questo, lo sai. Dobbiamo trovare una soluzione, altrimenti…» aveva tentato di spiegare, ma lui l’aveva subito interrotta.
«Una soluzione, Hermione? Non prendiamoci in giro, non potremo mai trovarla. Siamo troppo diversi, sarebbe impossibile rimediare a questo.»
«George, non è vero. I compromessi esistono proprio per delle ragioni.»
«Herm, che compromessi pensi di poter raggiungere? Non ti sta bene niente di ciò che faccio, mi sento continuamente sotto processo!»
«Se tu la smettessi di stuzzicarmi ogni tre secondi, forse io non mi arrabbierei più con te!» aveva ribattuto Hermione, offesa, sfoggiando un’espressione evidentemente contrariata.
«Ma lo sai che scherzo!» aveva affermato lui con ovvietà, suscitando la reazione prevista.
«E tu lo sai che mi dà fastidio questo modo di fare! Vorrei che imparassi a prendere le cose con più serietà, ma non posso costringerti, né tantomeno è mia intenzione farlo. È il tuo carattere ed è ciò che ti rende una persona meravigliosa, e giuro che spesso vorrei essere un po’ più come te, ma non ci riesco.»
«Siamo...»
«Agli antipodi» aveva completato lei per lui, che a sua volta aveva sorriso con amarezza. Dopodiché, le si era avvicinato e l’aveva stretta a sé un’ultima volta, accarezzandole la schiena.
«Sono stato bene, Herm.»
«Anch’io, George.»
 

George ripensò al momento in cui avevano deciso di lasciarsi e a quell’abbraccio finale, in cui credeva di aver lasciato una piccola e infinitesimale parte di sé. Ripercorse con la mente i momenti che avevano passato insieme, ognuno dei quali possedeva qualcosa di speciale e di particolarmente significativo; in poche parole, qualcosa che valeva la pena di essere tenuta salda nella mente.
Poi, però, ricordò anche tutti quei più che frequenti litigi, come la situazione fosse diventata tanto paradossale da non poter essere più sopportata, e alla fine – si disse lui – la decisione finale non poteva che essere stata la migliore e la più appropriata.

Proprio mentre i due ragazzi stavano decidendo cosa preparare per colazione, la serratura della porta scattò e un’euforica Margaret, vestita di tutto punto, fece il suo ingresso, fissando entrambi per pochi istanti con un’espressione radiosa sul viso.
«Assunta!» annunciò quasi immediatamente, prima di posare il vassoio che aveva portato con sé per abbracciare meglio i due.
«Grandioso!» esclamarono loro all’unisono, più felici di quanto si riuscisse a intuire: d’altronde, si erano appena svegliati.
«Ancora in pigiama? Senza di me non avreste chance, non è così?» commentò Meg, briosa, stampando un bacio sulle labbra del suo fidanzato. Questi la guardò con tenerezza e la aiutò a togliersi la giacca del tailleur e a sciogliere i capelli.
«Maggie, cosa c’è lì dentro?» domandò George, che era proprio lì per lì per aprire il vassoio che l’amica aveva abbandonato sul tavolo appena arrivata.
«Sono passata davanti alla vetrina di una di quelle caffetterie Babbane – prima di arrivare al Ministero – e ho intravisto dei croissant alla crema: dovete credermi, erano meravigliosi! Quella visione mi ha tormentata per tutto il colloquio – è stata un vero tormento – e così, prima di andare a casa, sono tornata lì e li ho comprati. Credo proprio di aver fatto bene, dato che sembrate decisamente digiuni.»  
«Ci hai preso, Zuccherino! Posso farti una domanda, però? Che bisogno c’era di comprarne... un, due, tre... nove
«Sai, questa mattina ho una fame da lupi!» rispose con noncuranza Margaret, fiondandosi su un croissant alla crema al cacao. Fred e George fecero lo stesso, ma quest’ultimo non esitò a lanciarle un’occhiata interrogativa, alla quale lei rispose con un semplice sorriso e un’alzata di spalle.
Così, dopo un totale di tre cornetti e mezzo divorati senza pietà alcuna, la futura signora Weasley spedì i due ragazzi nelle rispettive stanze, intimandoli di lavarsi e sistemarsi velocemente per non far tardi.

Un’ora dopo, i tre presero la Metropolvere e si ritrovarono dritti nella cucina della Tana, dove ad accoglierli c’erano i coniugi Weasley e Stevens.
«Famiglie, siamo onorati di presentarvi la nuova dipendente dell’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia!» esclamò Fred mentre aiutava Margaret a rialzarsi, facendola arrossire. Gloria e Molly, d’altra parte, le si precipitarono addosso.
«Tesoro caro, ne ero così sicura! Non ci deludi mai!»
«Sono così fiera di te, amore! Il tuo primo incarico al Ministero, che emozione
«Accidenti, siete quasi più felici di me!» scherzò la ragazza, mentre anche Arthur andava a congratularsi con lei. Dopodiché, volse lo sguardo a suo padre, che aveva osservato la scena in disparte. «Ciao, papà.»
«Ciao, Margaret. Fred» li salutò con freddezza, fingendo indifferenza. A tradirlo ci pensarono gli occhi, che erano in grado di esprimere alla perfezione i sentimenti contrastanti che lottavano dietro di essi, nonché l’angoscia di non riuscire a dire di no al proprio orgoglio neanche di fronte allo sguardo ferito e deluso di una figlia.
«Desmond» ricambiò Fred, a tratti basito, dal momento che si sarebbe aspettato quantomeno un accenno di soddisfazione paterna di fronte a quella bella notizia.
George, d’altra parte, tentò un approccio più amicale e spinse il fratello da parte. «Ehi, Des! Quanto tempo!»
«Ciao, George» ricambiò l’uomo, non propriamente loquace quella mattina. Per un istante, si ebbe l’impressione che fosse sul punto di aggiungere qualcos’altro, tradendo però le aspettative – nonché le speranze.
«Mamma, ti conviene accendere il camino: si sta gelando» commentò il ragazzo, allora, mentre il sorriso gli si spegneva sulle labbra e lasciava il posto a un’espressione di netto rimprovero.
Gloria, com’era prevedibile, prese il marito per un braccio e lo trascinò in giardino, dove iniziò a strigliarlo a dovere – un po’ com’era solita fare con gli aspiranti Auror che, durante gli addestramenti sul posto, tendevano a combinarne così tante da farle venir voglia di strapparsi i capelli.
Margaret, sentendo l’allegria di poche ore prima scemare sempre più velocemente, scosse la testa e raggiunse la madrina in cucina, intenzionata a darle una mano. Mentre pelava le patate, un moto di rabbia e nervosismo s’impadronì di lei: suo padre, difatti, aveva confermato per l’ennesima volta la sua sconsiderata testardaggine, per non parlare della sua spiccata capacità di influenzare i suoi stati d’animo come fossero pensieri senza valore. Non si rivolgevano la parola da ormai due mesi, e solamente perché lei aveva deciso di sposarsi e lui si era reso conto di non avere alcun diritto di impedirglielo.
Improvvisamente, però, percepì una strana pesantezza alla testa e si sentì stranamente debole. Tuttavia, decise di non farci caso, convincendosi che fossero disturbi unicamente legati allo stress.

In quegli stessi istanti, un Fred Weasley notevolmente arrabbiato si dirigeva a grandi falcate in giardino. Qui si trovava Desmond, che in quel momento gli dava le spalle.
«Sei ridicolo!» esclamò il primo una volta chiusa la porta di ingresso. Il futuro suocero si voltò di scatto, inizialmente stupito, prima di riacquisire lucidità e mostrarsi profondamente offeso.
«E perché mai dovrei esserlo, secondo la tua modesta opinione?»
«Stai facendo diventare l’idea del matrimonio di tua figlia – della tua unica figlia! – una tragedia! Si può sapere cos’hai che non va? Dovrebbe essere un motivo di gioia, dovresti starle vicino, e invece neanche ci rivolgi la parola! È stata una decisione improvvisa e forse poco ragionata, lo ammetto, ma non credi di star esagerando? E George, poi! Santo Godric, per quale assurda ragione ti sei comportato così anche con lui?» sbottò Fred, alzando gradualmente il tono della voce, al che Desmond divenne viola dalla rabbia e dall’indignazione. Questi gli si avvicinò pericolosamente, puntandogli un dito contro con fare intimidatorio.
«Non osare rivolgerti a me in questo modo, Fred» soffiò, ma ciò non bastò di certo a far desistere il ragazzo, che non si perse d’animo.
«Non è evitando l’argomento che riuscirai a sentirti in pace con te stesso, Desmond. Non me ne andrò da qui fino a quando non riuscirai a darmi una risposta.»
«È complicato, va bene? Quando anche tu avrai una figlia lo capirai, ma adesso sarebbe impossibile.»
«No, Desmond: non è complicato. Non vedrò il matrimonio di mia figlia come un crimine nei miei confronti, stanne certo. È proprio quello che stai facendo, non lo vedi? Sono io che non vado bene, forse? Credi che sia troppo immaturo, troppo incosciente per la tua bambina?» fece Fred, dando in una breve risata sarcastica. L’uomo, d’altra parte, scosse la testa e si passò una mano tra i capelli, combattuto.
«Non penserei mai una cosa del genere, lo sai. Non sto dicendo che non voglio che vi sposiate, ma solo che mi sembra eccessivamente presto; se il modo migliore per farvelo capire è quello di non parlarvi, allora ben venga: sarà dura, ma almeno servirà a farvi recuperare un po’ di buon senso» confessò questi, allora, rimanendo impassibile. Fred, invece, non riusciva a credere alle proprie orecchie, non capacitandosi di come fosse possibile che una delle persone che più stimava al mondo potesse deluderlo in tal modo.
«Dannazione, mi rifiuto di crederci! Stai giocando con i sentimenti di Margaret, come puoi non provare neanche un briciolo di senso di colpa? Vuoi utilizzare l’affetto infinito che prova per te come arma a tuo vantaggio contro di lei, ed è una cosa a dir poco vile! Sono senza parole!» esplose, facendo saettare dai suoi occhi azzurri tutta la rabbia e l’inquantificabile indignazione che stava provando in quegli istanti. Desmond, come previsto, gli rivolse uno sguardo ancor più duro.
«Sono suo padre, tutto quello che faccio è per il suo bene. Potrebbe pentirsi di tante cose, ed io voglio solo proteggerla.»
«Margaret non è una povera ingenua, né tantomeno una sprovveduta. Non è più una bambina, l’hai forse dimenticato?»
«Non travisare le mie parole, non ho detto questo! Dico solo che i tempi sono difficili, Fred!»
«Sa difendersi da sola, e lo fa dannatamente bene!»
«Non possiamo contare solo su noi stessi, nemmeno lei» aggiunse l’uomo, evidentemente stanco di quella discussione. Fred, d’altra parte, spalancò le braccia con fare teatrale e strabuzzò gli occhi.
«Ed io sarei l’idiota di turno, non è così? Pensi forse che non farei di tutto per proteggerla? Tu devi essere impazzito! Darei la vita per assicurarmi che Meg stia bene, e non accetto che tu possa ancora dubitare di una cosa del genere!» protestò, quasi ferito da quelle parole. Così, quando il futuro suocero fece per ribattere, il ragazzo sollevò una mano e prese a indietreggiare lentamente, scuotendo la testa. «Basta, non credo di poter ascoltare altro ancora.»
«Fred, avanti…» tentò l’altro, avanzando di qualche passo, ma il primo non sembrava più disponibile al dialogo.
«No, Desmond. Io sposerò Margaret, e stai certo che i tuoi trucchetti non riusciranno a impedirmelo» disse, risoluto, aprendo la porta di casa e mettendovi un piede dentro. Prima di congedarsi, però, si voltò ancora una volta e lanciò il suo ultimo sguardo di rimprovero, dietro il quale non poteva che celarsi una velata ma sentita supplica al buon senso del suo interlocutore. «Hai una sola figlia, Desmond. Ti prego di non dimenticarlo.»  

Fred entrò in casa, alterato ma comunque deciso a far finta di nulla per il bene di Margaret: sapeva che se la sua ragazza fosse venuta a conoscenza di quella discussione e delle parole che erano state dette ne avrebbe sofferto a dismisura, e non era sua intenzione che ciò accadesse.
Occupò posto a tavola accanto a lei e le prese la mano, accarezzandone delicatamente il dorso nella speranza di riuscire a trasmetterle quella calma di cui era certo avesse bisogno.
Il pranzo, nel frattempo, procedeva lentamente in un clima a dir poco gelido; diverse volte Molly e Arthur avevano cercato di alleggerire l’atmosfera, ma ogni loro tentativo di conversazione amichevole si era rivelato del tutto vano, giacché le uniche cose realmente percepibili a tavola erano le occhiate truci di Gloria nei confronti di suo marito e l’umore ormai nero di Margaret, pericolosamente vicina a una delle sue rarissime crisi di pianto – le quali, neanche a dirlo, facevano protrarre il malumore della ragazza per almeno altri due giorni.
Una volta compreso di non riuscire a sopportare oltre, questa si alzò e, senza dire nulla, lasciò la sala da pranzo: aveva bisogno di stare da sola e di prendere una boccata d’aria in giardino, dato poi che quello strano malore di poco prima era ricomparso.
Il resto dei presenti ebbe giusto il tempo di vederla allontanarsi e di assaggiare un’altra forchettata di pasticcio di carne prima di sentire un rumore sordo provenire dall’ingresso.
«Maggie?» chiamò George, allarmato, ma come aveva sospettato non ricevette risposta.
Fred, allora, si diresse rapidamente nell’altra stanza, trovandovi la sua fidanzata malamente distesa per terra, evidentemente svenuta.
Mentre gli altri lo raggiungevano, la prese in braccio e la distese sul divano, tentando di non farsi prendere dal panico e di rimanere lucido. Molly gli si accostò di fretta e furia e riservò la sua attenzione alla ragazza, pallida come un lenzuolo.
«Cos’è successo?» chiese al figlio, evidentemente preoccupata.
«Deve aver perso i sensi, non so perché! La porto al San Mungo?»
«Lascia perdere il San Mungo, mando un Patronus a mia suocera» fece Gloria, sparendo repentinamente oltre la porta: Julia Stevens, difatti, lavorava presso la Clinica Morgana1, dove svolgeva l’incarico di Capo Reparto da parecchi anni addietro.

Qualche secondo dopo, il fragoroso rumore di una Materializzazione ruppe il silenzio, e due signore in età avanzata fecero la loro comparsa all’ingresso.
«Dov’è Margaret?» chiese Julia una volta che si fu tolta velocemente il mantello.
«Sul divano, va’ pure! Mamma, tu che ci fai qui?»
«Tua suocera ed io stavamo prendendo un tè insieme quando è arrivato il Patronus, non potevo rimanere lì senza far nulla!» spiegò Vittoria, gettando il cappotto addosso alla figlia e seguendo la consuocera a grandi passi.
Quest’ultima osservò la nipote con fare concentrato prima di prendere la bacchetta e di puntargliela contro il petto.
«Reinnerva» mormorò, allora, e dopo pochi istanti Meg riaprì lentamente gli occhi, per poi guardarsi intorno con fare stupito.
«Ma cosa…» iniziò, confusa, ma fu subito interrotta dalla nonna paterna, che voleva vederci chiaro abbastanza da poter elaborare le sue supposizioni.
«Rispondi alle mie domande, Maggie. Come ti sentivi prima di svenire?»
«Be’... Mi girava la testa e la sentivo pesante... Avevo anche le gambe deboli e la nausea, mentre la vista si andava sbiadendo pian piano, fino a quando non ho perso i sensi» provò a ricordare la ragazza, fissandosi con concentrazione le nocche delle mani. Julia corrugò la fronte e si fece pensierosa.
«Ti è capitato spesso, in questi giorni?»
«Nell’ultimo mese, in effetti! Capogiri, debolezza… ma c’è da dire che non sono mai svenuta» spiegò ancora Meg, che stava iniziando ad agitarsi. La nonna, allora, le sorrise e le fece cenno di tranquillizzarsi.
«Non preoccuparti, tesoro, non ce n’è bisogno! Sarà unicamente una questione di nervosismo e stress accumulato: tutti quanti noi abbiamo dovuto organizzare un matrimonio, sappiamo cosa significa! Devi solo dormire un po’ di più e non affaticarti eccessivamente, con le giuste tisane andrà via presto» la rassicurò, dunque, passandole una mano tra i capelli e aiutandola a rimettersi seduta.
Dopodiché, lasciò che gli altri si avvicinassero alla nipote e approfittò del momento di trambusto per trascinare Vittoria nella stanza accanto. Ciò non sfuggì a George, che – curioso e insospettito come una vecchia comare – si avvalse della scusa di andare in bagno per appostarsi dietro lo stipite della porta, tentando di origliare una parte della conversazione che le due donne stavano intrattenendo.

La voce di Vittoria Wilson suonò non troppo forte ma certamente chiara. «Julia, cosa cerchi di dirmi?»
«Non ti agitare, suvvia! Ho solo detto che potrebbe essere un’ipotesi decisamente plausibile.»
«Ho i miei forti dubbi a riguardo.»
«Vittoria, lavoro in quel posto da trentacinque lunghi anni, non hai idea di quante donne con gli stessi sintomi di Margaret io abbia visto durante tutto questo tempo!» disse Julia, sempre più convinta delle sue congetture. La consuocera la fissò per qualche secondo, evidentemente interdetta.
«Ma se lavori nel reparto delle lesioni da incantesimo!»
«Mia figlia Annabel e suo marito lavorano in Ginecologia, smemorata che non sei altro!»
«Come ti permetti, brutta…» iniziò a protestare Vittoria, ma l’altra la interruppe senza consentirle repliche.
«Non è il momento giusto per gli insulti! Nel nome glorioso di Merlino, rifletti: nausea, capogiri, svenimenti! Scommetto anche che ha le voglie! Dubito seriamente che sia solo nervosa e stressata.»
«Mi stai dicendo che…»
«Oh, eccome se lo dico! Sono pronta a scommetterci il braccio!» affermò con convinzione Julia, lasciandosi sfuggire un sorriso soddisfatto. Vittoria scosse la testa, affatto disposta a dar retta a ciò che l’altra donna le diceva.
«Mi rifiuto di pensarlo, bella mia: sono troppo giovane perché diventi bisnonna!»
«Vittoria, per l’amor del cielo: hai sessantasei anni!»

George, incredulo, questa volta s’infilò realmente in bagno: aveva sentito abbastanza.
Sciacquò il viso con l’acqua ghiacciata nel tentativo di ritrovare il lume della ragione, ma ciò non poteva ovviamente bastare.
Pian piano andavano riecheggiando nella sua testa tutte le parole che aveva appena sentito, e ognuna di essa assumeva senso e significato un istante dopo l’altro, facendo riemergere prepotentemente dai meandri della memoria il ricordo di ciò che la sua migliore amica aveva detto proprio quella mattina: «Sono passata davanti alla vetrina di una di quelle caffetterie Babbane – prima di arrivare al Ministero – e ho intravisto dei croissant alla crema: dovete credermi, erano meravigliosi! Quella visione mi ha tormentata per tutto il colloquio – è stata un vero tormento – e così, prima di andare a casa, sono tornata lì e li ho comprati

Sperando con tutto il cuore di apparire disinvolto come sempre, tornò nel salone, dove suo padre stava versando dell’Idromele barricato a tutti i presenti.
Inevitabilmente, il ragazzo posò il suo sguardo su Margaret e, quando vide che questa era sul punto di bere, le si precipitò addosso, strappandole il bicchiere dalle mani.
«No! No, no, no
«George, che diamine vuoi?» chiese la giovane, profondamente sorpresa a causa di quel comportamento notevolmente insolito. George comprese che avrebbe fatto meglio a inventarsi una scusa con cui liquidare tutta la faccenda, ma il suo cervello non riuscì a suggerirgli nulla di tanto convincente da salvare la situazione.
«Meg, ti proibisco di berlo: potrebbe fare male al... a te, no? Insomma, dieci minuti fa eri ancora svenuta!»
«George, ma per piacere!» esclamò la ragazza, divertita, prima di mandare giù la bevanda in un solo sorso, ignorando bellamente i mugolii di sottofondo dell’amico.
Quest’ultimo, rassegnato, sprofondò nel divano, lasciandosi tormentare dai sensi di colpa: sarebbe stato meglio se Meg lo avesse scoperto da sola, oppure avrebbe dovuto parlare con Fred? Doveva intervenire, rivelare ciò che aveva origliato?
Desiderò ardentemente che qualcuno gli facesse un Incantesimo di Memoria, perché non riusciva a credere che avrebbe dovuto sopportare il peso immane di quel segreto fino a quando alla sua migliore amica non fossero venuti dei dubbi.
Però, pensò, era possibile che Julia si sbagliasse, che non fosse nulla di ciò che credeva, quindi perché allarmare inutilmente la coppia?
Dopo che ebbe stabilito con se stesso di tenere costantemente d’occhio la ragazza, bevve anche lui il suo Idromele, convincendosi che fosse meglio spegnere il cervello. Per quel giorno, aveva lavorato abbastanza.

1: Un’alternativa al San Mungo, no? Il nome non sarà molto originale, però mi piaceva l’idea, così ho optato per questo.


- Angolo dell’autrice

So già che mi starete odiando per la mia immensa perfidia: lasciarvi fino al 6 aprile su queste spine dolenti e con questa notiziona scottante non è una cosa che un’autrice buona e carina farebbe...
Ma io non sono né buona, né carina, quindi pazienza. No, che dico, mi dispiace (forse dovrei decidermi)! ç__ç
Ma dovrete comunque aspettare altre due settimane. Che cattiveria.
Allora, voglio le vostre reazioni immediate! Stupore, meraviglia, odio sconsiderato verso quest’insulsa “autrice”, qualcos’altro? Oppure solo un’immensa voglia di bersagliarmi di pomodori?
Qualunque essa sia, esprimetevi, miei cari lettori!
Ed ecco (finalmente) trattata la questione della separazione George/Hermione. So che a molti la coppia piaceva – Be', in effetti, anche a me piaceva – però… Basta, non parlo più, non voglio lanciare spoiler.
Ora, mi è venuta in mente una cosina che reputo abbastanza carina e che spero possa piacere anche a voi: i due piccioncini dovrebbero sposarsi, no? E allora, mi son detta io, perché non chiedervi come vi immaginate l’abito da sposa di Margaret? *-* Io a qualcosa ho pensato, però chissà che non possa prendere per buona qualcuna delle vostre proposte! Anche perché sono abbastanza indecisa. :D
Suvvia, è arrivato il vostro momento: scatenatevi! :D
Bene, il titolo del capitolo è dello scrittore britannico Rudyard Kipling, mentre la canzone in apertura è Drops of Jupiter (Tell Me), dei Train.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate (scusate se non vi elenco, ma vado di corsissima), e JeckyCobain ed EmmaDiggory15, che hanno recensito lo scorso capitolo. Vi ringrazio di cuore, bellezze. <3
Le recensioni adesso sono accolte con immenso amore anche da Luna, il mio piccolo cagnolino mangione e scodinzolante. *w*

Lots of love,
Jules

Ah, quasi dimenticavo! Dato che aggiornerò dopo Pasqua, gli auguri ve li faccio adesso.
Che la cioccolata sia con voi, e buon'abbuffata! <3


- Curiosità:

Inizialmente ho pensato di rendere Margaret costantemente in procinto di diventare una specie di ubriacona, ma poi ho deciso di lasciar perdere. Però le piace bere... e anche parecchio.


Ultima revisione: 24.05.2015 


 

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Capitolo 5
*** La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita ***



Capitolo 5

 


 
 
La vita è come una scatola di cioccolatini,
non sai mai quello che ti capita

 

I never meant to cause you any sorrow
I never meant to cause you any pain
I only wanted to one time see you laughing
I only wanted to see you laughing in the purple rain

 
L’acqua della doccia, quella mattina di ottobre, scorreva ormai da mezz’ora, ma Margaret non si decideva a uscire: il getto caldo percorreva il suo corpo dalla testa fino alla punta dei piedi, incapace di farle elaborare il senso della situazione in cui si era ritrovata; molte cose non quadravano, e dall’altro lato c’erano tante, fin troppe coincidenze.
Si sentiva così strana, diversa, da quasi tre mesi, e ciò aveva fatto in modo che degli inevitabili dubbi iniziassero a insinuarsi con snervante lentezza nella sua mente; era continuamente soggetta a incomprensibili sbalzi d’umore, si svegliava nel pieno della notte per ricercare i cibi più improbabili e – cosa ancora più inquietante – quasi ogni mattina, dopo aver fatto colazione, veniva colpita da improvvisi attacchi di nausea, che due o tre volte l’avevano persino portata a vomitare.
Meg aveva cercato in tutti i modi da lei conosciuti di non dare a vedere nulla, specialmente a Fred, perché sapeva benissimo che il suo fidanzato non l’avrebbe lasciata in pace nemmeno un secondo se avesse pensato che fosse afflitta da un qualsiasi problema di salute. Nell’ultimo mese, però, George aveva certamente iniziato a sospettare qualcosa, tanto che stava sempre sorprendentemente attento a ogni piccola avvisaglia di malore da parte dell’amica. Durante la giornata, poi, non la perdeva di vista neanche per un solo istante, e per ben due volte il suo occhio di falco gli aveva consentito di intervenire – con un tempismo a dir poco perfetto – per sorreggerla e scortarla fuori, permettendole di prendere un po’ d’aria e combattere i frequenti capogiri. Infine, come se il resto non fosse bastato, le aveva consigliato – per non dire imposto – di lasciare il lavoro qualche ora prima, con la scusa che non aveva una buona cera e che era necessario che riposasse. Peccato che il caro George non avesse alcun diritto sugli orari dei dipendenti del Ministero.
I giorni, però, passavano a una velocità impressionante, e Margaret aveva già capito che era diventato impossibile anche solo pensare di continuare a ignorare quel campanello d’allarme che le sussurrava continuamente alle orecchie la parola “pericolo”.
Il fatto che quella mattina non dovesse andare a lavoro fu per lei motivo di grande sollievo: avrebbe almeno avuto tutto il tempo possibile per decidere sul da farsi.

Uscì dalla doccia dopo quelli che parvero anni e s’infilò nel suo profumato accappatoio, poi si fermò di fronte al grande specchio del bagno e contemplò il suo riflesso.
Un po’ più pallida, ma pur sempre lei: mossi capelli color castano ramato, grandi occhi verdi e luminosi, labbra rosee, naso all’insù; nulla di diverso.
Perché, allora, si sentiva così poco se stessa? Avrebbe avuto voglia di prendere una spazzola e lanciarla contro lo specchio, mandandolo in frantumi: non ce la faceva più a guardarsi e a non riconoscersi in quell’immagine come aveva sempre fatto fino ad allora.
Mentre era colta da una nausea improvvisa, ormai compagna di ogni singola mattina, scostò l’accappatoio e si guardò di profilo, gli occhi fissi sulla pancia piatta; d’altronde, era ancora abbastanza presto per riuscire a vedere qualcosa.
Scosse la testa, come a voler scacciar via quei fastidiosi pensieri così come si fa solitamente con le mosche. Capì, però, che tenendo quei sospetti unicamente per se stessa avrebbe rischiato di spezzarsi sotto l’immane peso delle sue infinite angosce. Era diventato di vitale importanza che li condividesse con qualcuno a lei vicino, e chi poteva esserci di più disponibile e comprensivo del suo migliore amico?

Così, dopo essersi vestita e aver asciugato i capelli, uscì di casa e, lentamente, si avviò giù per le scale che conducevano al retro del negozio, in quel momento deserto.
Rimase nascosta dietro una montagna di scatoloni per una decina di minuti, lasso di tempo durante il quale le passò più di una volta per la testa l’idea di tornare su, nell’appartamento, e continuare a crogiolarsi nelle sue ansie. Quei pensieri ebbero fine una volta che una figura maschile alta e dai capelli rossi ebbe fatto il suo ingresso in quella sorta di magazzino, intenta a controllare una lista di ordinazioni.
«George!» sussurrò Meg nella sua direzione, ma lui non parve sentirla, come testimoniava la sua lettura indisturbata del fascicolo.
La giovane, allora, applicò un incantesimo Muffliato alla porta che conduceva al negozio vero e proprio; ciò le permise di riprovare, stavolta sfoggiando i suoi soliti modi gentili.
«George, santo Merlino! Sei sordo o cosa?» esclamò, e ciò fece sobbalzare il ragazzo, che si guardò attorno con fare sorpreso.
«Meg? Come mai qui?»
«Devo… Devo parlarti. È importante» gli disse lei, incerta, non trovando il coraggio di distogliere l’attenzione dei suoi occhi dal pavimento. Lui le si avvicinò e la scrutò con apprensione, prima di sollevarle il mento per guardarla meglio e rintracciare evidenti sintomi di un malore.
«Non ti senti bene, non è così? Vuoi che ti accompagni al San Mungo?»
«Ho solo bisogno di parlare con te, non sto male… non più degli altri giorni, comunque. Puoi lasciare il negozio senza che qualcuno se ne accorga?»
«Fammi indovinare, Zuccherino: con quel qualcuno intendi Fred, non è così?» fece George in tono ironico, riuscendo nel suo intento di far comparire un mezzo sorriso sul volto della ragazza che aveva di fronte.
«Siamo perspicaci, vedo! È un sì?» gli chiese questa, speranzosa, ma in cuor suo era certa che il suo migliore amico non le avrebbe detto di no per nulla al mondo. Il giovane, infatti, le scombinò i capelli e la prese per mano.
«Andiamo in qualche posto Babbano, Donna del Mistero: saremo più tranquilli.»

Poco dopo essersi Smaterializzati, i due riapparvero in una trafficata via di Londra – situata poco lontano dal Paiolo Magico –, vicino a un Caffè. Lanciarono una rapida occhiata a quest’ultimo e decisero di entrarvi, prendendo un tavolo nell’angolo più riservato, lontano da sguardi indiscreti.
«Desiderate?» chiese un giovane cameriere dall’aspetto gioviale, pronto a prendere le loro ordinazioni.
«Due tazze di cioccolata calda con panna, per favore» rispose George con fare amichevole, pregustando il dolce sapore di quella bevanda.
Passò qualche minuto prima che decidesse di rivolgersi a Margaret. Difatti, aveva prima sperato che fosse lei a prendere la parola, ma le sue attese erano state deluse: l’amica era troppo impegnata a penetrare con sguardo spento la superficie linda del tavolino da caffè, persa in chissà quali pensieri.
«Allora, Zuccherino? Finalmente ti sei decisa a confidarti con il tuo fratellone?» le domandò, riservandole un sorriso complice. Lei sollevò lentamente il viso e si morse il labbro inferiore, nervosa.
«Come… Come facevi a essere così sicuro che... che avrei preso la cioccolata?»
«Perché ero certo che ti sarebbe venuta voglia di qualsiasi cosa avessi ordinato» commentò George con leggerezza, e allora le guance della ragazza cominciarono a riacquisire il colore perduto. Questa intrecciò le proprie dita con quelle di lui e prese un profondo respiro.
«Come lo hai capito?»
«In che senso?»
«Cosa ti ha fatto intuire che forse sono... Insomma, lo sai, non me lo fare dire» sbuffò Meg, abbassando nuovamente lo sguardo, stavolta sulla cioccolata calda che le era appena stata servita.
«Dolcezza, dici sul serio? Viviamo nella stessa casa, per cui stiamo insieme quasi tutto il giorno, ogni giorno; sarebbe impossibile non notare certi cambiamenti, non trovi? Nausea mattutina, capogiri, voglie assurde nel bel mezzo della notte – i tuoi piedini a spasso per la cucina alle quattro del mattino non sono così silenziosi come credi, sappilo –, per non parlare della frequenza con cui fai pipì: da fare invidia a un novantenne incontinente con la cistite! Ci sono segnali che non possono passare inosservati, Meg. Solo un idiota non l’avrebbe capito… e Fred, infatti, non sospetta nulla, a quanto pare» spiegò George, e all’udire quelle ultime frasi la giovane strega prese a ridere come raramente aveva fatto in quei giorni, coinvolgendo il suo accompagnatore.

Una volta che furono riusciti a fermarsi, il sorriso di Margaret si spense nella tazza.
«George, io... io spero che ci stiamo sbagliando. Il prossimo anno mi sposo, e già questa è una follia bella e buona... Ma il pensiero di essere... di essere...»
«Incinta!» s’intromise George, pronunciando quella parola con tanta convinzione da far sobbalzare l’amica, che non esitò a boccheggiare. Lui non ci fece caso e andò avanti. «Maggie, non dirlo non cambierà certamente le cose! Se sei realmente incinta, non potrai nasconderlo: sarà un fatto mooolto evidente! In effetti, mi chiedo come mai non si veda ancora niente: di quanti mesi sei, Ciliegina Candita
«La vuoi smettere? Sei davvero uno stronzo!» sbottò Margaret, fulminandolo con lo sguardo e torcendosi le mani nel tentativo di trattenersi dal picchiarlo a sangue.
«Non hai risposto alla mia domanda, fanciulla probabilmente gravida!» infierì George, ormai sul punto di scoppiare a riderle in faccia. Il suo ghigno beffardo, però, si trasformò in una smorfia di dolore quando Meg gli assestò un bel calcio sotto il tavolo.
«Se è realmente come temo, per gli inizi di novembre dovrei finire il terzo mese ed entrare nel quarto» spiegò questa, sconfortata, mentre finiva la sua cioccolata calda e ignorava i piagnucolii del futuro cognato, che ancora si massaggiava la gamba dolorante.
Non appena si fu ripreso, iniziò a fissare con interesse il fondo della propria tazza.
«Perdonami, Meg, ma devo chiedertelo: dopo tutto questo tempo, non… non ti è sembrato strano che le tue… ehm…» si bloccò, stranamente imbarazzato, ma non ci sarebbe stato ulteriore bisogno di parole: l’espressione basita di Margaret toglieva ogni dubbio sulla sua comprensione del discorso.
«Mi è già successo altre volte, in un primo istante non ci ho pensato! E poi… Per le gloriose mutande di Merlino, non posso credere che tu mi abbia chiesto per davvero delle mie mestruazioni!»
«Ero solo curioso!» si giustificò George, sollevando le mani con innocenza. Dopodiché, si alzò in piedi e indossò il cappotto. «Penso proprio che sia arrivato il momento di verificare. Ti accompagno a fare una visita, avanti.»
«Spiacente, niente ospedali! Al San Mungo le voci girano troppo, e in Clinica ci lavorano mia zia Annabel e suo marito, mio cugino Dorian e mia nonna, saremmo letteralmente circondati. Forse... Forse sarà meglio comprare uno di quei test di gravidanza Babbani» disse Meg fissando con disperazione l’amico. Questi rimase spiazzato: in quasi diciannove anni, non gli era mai successo di vederla in uno stato simile; lei era quella che reagiva, che combatteva contro tutto ciò che cercasse di scalfire la fiera determinatezza del suo animo, non era certo il tipo di persona che si abbatteva di fronte alle difficoltà. Era comprensibile, però, che in una circostanza come quella le cose potessero andare diversamente.
Dunque, le si avvicinò e la abbracciò dolcemente, lasciando che quelle lacrime che avevano tanto atteso di essere versate gli bagnassero il maglione. Nel tentativo di confortarla, prese ad accarezzarle i capelli, sperando che ciò potesse essere di aiuto.
«Calmati, ci sono io con te. Adesso andiamo in una fermeria, fermacia, o come diavolo si chiama, e compriamo quell’aggeggio» le disse nel tono più rassicurante che fu riuscito a trovare mentre la scortava fuori dal Caffè. Lei si asciugò il viso e provò a trarre dei profondi respiri, dal momento che il suo corpo non ne voleva sapere di rilassarsi e necessitava di un aiuto supplementare.
Quando il ragazzo fu certo che Meg si fosse calmata abbastanza, le chiese di aspettarlo fuori dalla farmacia: se fosse entrata, infatti, molto probabilmente si sarebbe ridotta in lacrime al solo udire le parole “test di gravidanza”.

George uscì nemmeno cinque minuti dopo e le andò incontro con una piccola confezione in mano. Lei lo fulminò con lo sguardo.
«Vuoi sventolarlo un altro po’? Forse due o tre persone dall’altro lato della strada non l’hanno visto!» sibilò, minacciosa, non appena gli fu abbastanza vicina. Il ragazzo inarcò un sopracciglio.
«Non mi stressare, ho già dovuto Confondere la farmacista: non potevo pagarla con i galeoni!» fece lui, che – prima che Margaret potesse iniziare a urlare di disapprovazione – le afferrò la mano e la condusse in un vicolo isolato, dove si Smaterializzarono.
Riapparvero sul retro dei Tiri Vispi Weasley e, con estrema velocità, si diressero al piano superiore, nel piccolo appartamentino dove risiedevano.
Mentre Margaret si gettava su una sedia della cucina, stanca a causa di quel via-vai, George faceva su e giù per la stanza e studiava con attento interesse le istruzioni del test di gravidanza.
«Qui c’è scritto che...» iniziò a spiegare, ma si bloccò non appena ebbe sollevato lo sguardo. «Cosa diavolo hai intenzione di fare con quella
«Berla» rispose Meg con ovvietà, brandendo la bottiglia di Whisky Incendiario alla quale aveva appena tolto il tappo. Il ragazzo non esitò a strappargliela dalle mani e a riservarle uno sguardo di rimprovero che non gli si addiceva affatto.
«Potrebbe far male al bambino!»
«Ridammela subito!» protestò lei, allungando le braccia per provare a riprendersela. George, d’altra parte, continuò a tenerla a distanza di sicurezza, scuotendo la testa.
«Il massimo che potrò concederti è il succo di zucca, rassegnati» la avvertì, puntandole un dito contro. Lei continuò a mormorare sottovoce, infastidita, ma venne bellamente ignorata. «Qui c’è scritto che devi farci la pipì sopra.»
«Cosa? Ma è... disgustoso!» commentò Meg, sgranando gli occhi; tuttavia, di fronte allo sguardo insistente dell’amico, si decise a prendere la confezione e ad andare in bagno.
Tornò giusto qualche minuto dopo, con gli occhi chiusi e il test a distanza di sicurezza: se la situazione non fosse stata tanto problematica, George si sarebbe lasciato andare molto volentieri a una fragorosa risata.
«A te il grande onore» fece lei, sfoggiando un tono ironico che, però, non riusciva a celare del tutto quel non so che di supplichevole richiesta che fece in modo che il ragazzo potesse solo accondiscendere.
Le prese il test dalla mano un po’ tremante e lo guardò attentamente, mentre un profondo senso di disagio si andava pian piano infondendo in lui: come avrebbe dovuto dirglielo? Avrebbe dovuto essere deciso e diretto, oppure sarebbe stato meglio tentare di indorare la pillola?
Alzò lo sguardo su di lei – che aveva gli occhi arrossati, ridotti a fessure per via del bruciore, e un’espressione terrorizzata piazzata sul volto – e in quell’istante capì di essere qualcosa di estremamente piccolo in un Universo fin troppo grande.
«Maggie, ascolta: sono due... Insomma, le lineette sono due. Capisci cosa significa, vero? Be’... sono due. C’è la possibilità che tu sia... cioè, dovresti essere... Merlino, ma chi voglio prendere in giro? Meg, sei… sei incinta, credo» le comunicò, finalmente, dopo aver sudato sette camicie.
Per un istante s’illuse che il peggio fosse passato, ma si sbagliava: quello era solamente l’inizio.
Margaret chiuse gli occhi e respirò a fondo, cercando di mantenere la calma e la lucidità, ma il peso di tutte le sue preoccupazioni le crollò inevitabilmente addosso. Si portò le mani alla testa per scostare i capelli e liberare il viso, ma quell’insieme di emozioni l’aveva colpita in pieno petto e aveva contribuito a farla sentire più debole del solito; fu dunque costretta ad appoggiarsi alla sedia per paura di cadere, così George si precipitò a sorreggerla per accompagnarla in camera da letto, dove la aiutò a distendersi.
Aspettò al suo fianco in silenzio, fissandosi le scarpe, fino a quando la ragazza non fu riuscita a parlare di nuovo.
«E quindi sono incinta. Non dirlo a Fred, ti prego.»
«Quando la pancia inizierà a crescere gli dirai che stai solamente ingrassando?» commentò lui, sarcastico, meritandosi un’occhiataccia fulminante.
«Davvero spiritoso. Dovrò dirglielo, naturalmente, ma non voglio che lo sappia ora. Devo... Devo prima pensare a come affrontare l’argomento.»
«Non preoccuparti, intesi? Non proferirò parola, promesso. Posso... Posso tornare in negozio, oppure non te la senti di rimanere da sola?»
«Tranquillo, vai… Hai già fatto abbastanza, forse più del dovuto. Io resterò qui, buona e calma, a pensare ai modi migliori, più rapidi e meno dolorosi per uccidermi» lo congedò Margaret, fissando con sguardo spento e assente il soffitto: voleva solo sparire.
«Non dire così, okay? Voglio che tu non dimentichi mai che hai una spalla su cui contare, ed è la mia. Adesso riposati» le disse George, chinandosi per baciarle la fronte e posarle una carezza tra i capelli. Dopodiché, s’incamminò verso la porta e sparì dietro di essa, lasciando la futura mamma alle sue angosce.

Non era possibile, si diceva; non poteva essere successo per davvero.
Lei amava i bambini e credeva fermamente che questi sapessero portare gioia anche dove ogni forma di felicità fosse parsa morta, ma di certo non voleva averne a neanche diciannove anni: aveva appena iniziato a costruirsi una carriera, e questa gravidanza – in concomitanza con la Guerra e il matrimonio – costituiva un altro, nuovo ostacolo da aggiungere al percorso indirizzato alla realizzazione dei suoi obiettivi.
Doveva dirlo a Fred, ma non sapeva come fare, né tantomeno riusciva a immaginare quale sarebbe potuta essere la sua reazione. Sarebbe stato contento? Oppure avrebbe sentito il mondo crollargli addosso?
Un pensiero terribile si affacciò nella mente di Margaret: e se l’avesse lasciata? Se non si fosse sentito pronto ad avere un figlio? D’altro canto, non lo era nemmeno lei, quindi perché credere che per lui sarebbe stato diverso?

Passarono le ore, ma lei era ancora distesa su quel letto, immobile nella sua contemplazione del soffitto.
Il negozio stava per chiudere, ma non voleva vedere la faccia felice del suo ragazzo, convinto che non ci fosse alcun problema, così come non voleva rivedere George sorriderle incoraggiante, pronto a ricordarle che non avrebbe affrontato quel problema da sola. No, non ne aveva proprio voglia.
Con immensa forza di volontà, allora, si alzò dal letto e prese un pezzo di pergamena sul quale scrisse poche parole; lasciò il messaggio sul tavolo della cucina e uscì, decisa a non dare spiegazioni a nessuno.
 

***
 
«Meg, siamo a casa! Dove sei?» esordì Fred una volta chiusa la porta d’ingresso del suo appartamento. Non ricevendo alcuna risposta e, per di più, non sentendo alcun rumore in casa, si voltò, stranito, a guardare il gemello, che d’altra parte sembrava profondamente preoccupato.
«Maggie?» riprovò George, ma invano. Fred, a quel punto, iniziò ad allarmarsi: non rientrava nello stile della sua ragazza allontanarsi senza prima avvisare, a maggior ragione dopo che il Mondo Magico si era ritrovato immerso in una delle situazioni più critiche che avesse mai conosciuto e vissuto.
«Margaret? George, hai idea di dove sia finita?»
«Mi piacerebbe averne. Aspetta...» si bloccò il fratello, facendo caso a un piccolo particolare precedentemente ignorato. «C’è un biglietto sul tavolo!»
Fred mise a fuoco il pezzo di pergamena adagiato su quella superficie piana e si mosse velocemente per prenderlo; dopodiché, lo lesse più e più volte nel tentativo di attribuirgli un senso.
 
 
Fred, ti prego di perdonarmi: ti starai certamente preoccupando, e non era mia intenzione che ciò accadesse.
Ho bisogno di stare del tempo con me stessa e di riflettere su alcune cose, ho una grande confusione in testa ed è necessario che faccia un po’ di ordine tra i miei pensieri. 
Ti spiegherò tutto quanto prima, voglio solo che tu abbia pazienza: non è una situazione semplice.  
Torno presto, promesso.
Ti amo.
 
Tua Margaret
 

Sconvolto, guardò il gemello, intento a leggere anch’egli il messaggio lasciato da Meg. Così, una volta che questi ebbe finito, ricambiò lo sguardo del primo con la consapevolezza che, a malincuore, avrebbe dovuto infrangere la promessa fatta alla sua migliore amica proprio poche ore prima.
Fred sbuffò e iniziò a camminare per la stanza, incapace di darsi pace.
«Per le mutande di Merlino, su che cosa vorrebbe riflettere? Non ha… Non ha senso! Prima si comporta come se nulla fosse e poi se ne va, lasciando un misero bigliettino in cui dice di dover pensare! Ma pensare a cosa? È colpa mia, forse? Morgana maledetta, si può sapere perché quella donna deve sempre essere così schifosamente lunatica?» sbottò, facendo su e giù lungo la stessa linea immaginaria, prima di gettarsi sul divano e sprofondarci dentro. Prese a fissarsi le scarpe, innervosito e indeciso sul da farsi: avrebbe dovuto aspettare il suo ritorno, oppure sarebbe stato meglio cercarla e chiederle delle spiegazioni?
George, com’era prevedibile, sapeva di portare un peso enorme sulle spalle e, di conseguenza, che ciò che sarebbe stato detto di lì a poco avrebbe potuto dare origine a delle reazioni incredibilmente differenti le une dalle altre; tuttavia, nonostante un pizzico di esitazione iniziale, pronunciò quelle parole in maniera quasi automatica, tanto che immediatamente dopo si meravigliò di averle dette.
«Fred, Meg è incinta.»
«Che domande, ma certo che no» commentò Fred, tetro, avendo frainteso il tono utilizzato in precedenza dal fratello. Questi alzò gli occhi al soffitto e scosse la testa.
«No, Fred, non hai capito: Meg è incinta. Punto. Aspettate un bambino: ti è abbastanza chiaro adesso il motivo per cui ha bisogno di rimanere da sola e di riflettere?»
A quel punto, Fred sobbalzò e lo fissò con l’espressione di chi è appena stato schiaffeggiato in pieno viso ed è incapace di comprenderne il perché. Quelle parole gli parvero a tratti sconnesse, prive di senso e significato, ma sotto certi aspetti tremendamente reali come un pugno dritto allo stomaco.
Si portò la testa tra le mani, spiazzato, sperando di poter far chiarezza tra le migliaia di idee che albergavano nella sua mente e in lotta tra di loro; superfluo sottolineare i livelli di difficoltà del tentativo.
«Cosa… Io, insomma… Voglio dire…» farfugliò, sempre più confuso, mentre il piede che prima batteva sul pavimento fino quasi ad assumere vita propria si fermava gradualmente e con lentezza. «È impossibile.»
George, a quel punto, non riuscì più a frenarsi dal ridere. «In realtà, è piuttosto possibile! Non mi risulta che voi due trascorriate il vostro tempo esclusivamente guardandovi in faccia, o sbaglio?»
«Sta’ un po’ zitto, per favore: ho bisogno di assimilarlo.»
«Credo ci vorrà più di qualche minuto; facciamo sei mesi. Tranquillo, non ho fretta» commentò George, ironico, lanciando un’occhiata all’orologio. L’altro lo ignorò.
«Chi mai avrebbe potuto sospettarlo?»  
«In effetti, io.»
«Cosa?» chiese Fred, stridulo, ridestandosi dal suo stato di contemplazione del nulla.
«Non fare quella faccia scandalizzata, poco ci mancava che se ne accorgessero anche le tende di casa! Era talmente evidente, dai: come hai fatto a non rendertene conto? Sei davvero un terribile osservatore.»
«Aspetta un secondo: tu lo sapevi! Perché non me l’hai detto?»
«Perché non ne avevo la certezza: Meg ha fatto il test questo pomeriggio, dopo averne parlato con me. Anzi, non avrei dovuto dirti niente neanche adesso, ma sono stato costretto dalle circostanze: la tua ragazza mi staccherà la testa e la userà come Pluffa, quando lo saprà.»
«Non lo saprà» disse Fred, conciso, prima di alzarsi e indossare il cappotto. «Sarò sconvolto, confuso, e persino arrabbiato che non me l’abbia detto prima, ma sono anche e soprattutto preoccupato per lei. Ho bisogno di trovarla, di parlarle, e ho bisogno che lei stia bene e che mi spieghi cosa sta succedendo.»
«È la cosa migliore. Vai, ti avvertirò se dovesse tornare mentre sei via» gli assicurò George, annuendo e volgendo lo sguardo fuori dalla finestra, constatando che aveva iniziato a piovere. Il fratello gli indirizzò un cenno di ringraziamento e, senza perdere altro tempo, si avviò giù per le scale che conducevano al negozio, per poi immettersi nella pioggia battente di ottobre.

Ormai bagnato fradicio, con i capelli rossi e zuppi appiccicati alla fronte e gli occhi azzurri attenti a ogni singolo movimento nell’ambiente circostante, pensò che Margaret non doveva essersi allontanata poi così tanto. Rifletté che erano pochi i posti da lui conosciuti nei quali la ragazza avrebbe potuto trovarsi, e tra questi erano da escludere tassativamente le case dei rispettivi genitori, dal momento che da una parte c’era Desmond Stevens ancora in conflitto più con se stesso che con la figlia, e dall’altra un’apprensiva Molly Weasley che non avrebbe tardato un solo istante a riempire di domande la futura nuora, rendendole impossibile qualsiasi riflessione in solitudine.
Forse fu proprio a causa di questo numero ristretto di possibilità che Fred, improvvisamente, si sentì come travolto dal panico: non aveva idea di dove fosse finita, e nonostante un po’ di rabbia aveva anche e soprattutto paura che le fosse successo qualcosa e che si trovasse in pericolo; doveva rintracciarla al più presto, assicurarsi che stesse bene e convincerla a parlargli dei suoi turbamenti.
Non avrebbe tradito suo fratello: era necessario che fosse Meg a tirare in ballo la questione del bambino, a fargli questa confessione, ed era disposto a insistere in ogni modo affinché ciò avvenisse.   
A quel pensiero, una strana consapevolezza lo pervase per la prima volta: sarebbe diventato papà. Se, da un lato, questo lo lasciava confuso e decisamente intimorito, dall’altro lo fece sorridere quasi inconsapevolmente, nonostante non si sentisse affatto pronto per assumere un ruolo del genere. Avrebbe avuto nuove responsabilità, nuovi doveri e nuove preoccupazioni, ma al tempo stesso anche una persona in più da amare e di cui prendersi cura, con tutte le gioie e la felicità del caso. Nonostante la giovane età, la persistente e duratura incoscienza – dubitava che se ne sarebbe andata presto –, l’ansia che la certezza di diventare genitore poteva infondergli, quella era una delle più belle notizie che si potessero ricevere, e su questo non trovò nulla da ridire.
Continuò a camminare in lungo e in largo, a passo svelto, e a esplorare ogni antro di Diagon Alley, cercando di vincere quella maledetta preoccupazione che lo stava divorando dall’interno da quelli che erano ormai diventati venti minuti.
«Margaret!» urlò al vento, nella speranza di sentire quella voce tanto ben conosciuta rispondere al suo richiamo. Non ebbe risposta.
A quel punto, tutto gli sembrò vano: lei non c’era, era sparita, e non riusciva a immaginare dove si fosse nascosta. Si appoggiò contro un muro e premette le mani contro il viso, come se stropicciarsi gli occhi avesse potuto consentirgli di tirarsi via da quella situazione e di ritrovarsi sotto le calde coperte del suo letto, mentre avvolgeva tra le braccia una bella ragazza dai capelli ramati e dagli occhi verdi.
«Dove sei finita? Un giorno mi farai impazzire» sospirò, sempre tenendo gli occhi chiusi nella speranza di ricevere un’illuminazione improvvisa.  
«Sono qui» disse una voce, insolitamente incerta, ed essa suonava a Fred tanto familiare da farlo sobbalzare.

Di fronte a lui c’era Margaret, zuppa dalla testa ai piedi, che sfoggiava un paio d’occhi gonfi, arrossati e ancora colmi di lacrime nonostante le grandi quantità che doveva averne versato. Fred non sapeva se andare ad abbracciarla e sussurrarle di smettere di piangere oppure urlarle contro e riversarle addosso tutta l’angoscia che gli aveva fatto provare in quell’ora di assenza, facendola sentire maggiormente in colpa per quella stronzata senza precedenti.
«Margaret» tentò lui, cercando di mantenere il tono più calmo e pacato che poté – impresa abbastanza ardua a causa dell’indignazione che bruciava dentro il suo petto. Lei parve mortificata.
«Perché sei qui?» gli chiese, infine. Lui strabuzzò gli occhi, basito.
«Potrei farti la stessa domanda! Sei... Sei impazzita, forse?»
«Avevo bisogno di rimanere da sola, te l’ho lasciato scritto.»
«So che cos’hai scritto su quell’inutile bigliettino, ma non mi basta: voglio delle spiegazioni, e non me ne andrò fino a quando non le avrò avute!» sbottò lui mentre le si avvicinava pericolosamente, ma lei non si allontanò di un solo millimetro.
«Non posso dartele adesso, Fred. Devo pensare, riflettere, prendermi del tempo…» iniziò Meg, ma fu interrotta dal ragazzo, che era a pochi centimetri dal suo viso e che, preventivamente, le aveva afferrato un braccio per impedirle di andare via.
«Voglio sapere su cosa devi riflettere, chiaro? Merlino, non puoi respingermi in questo modo quando ti pare, scappare via e pretendere che io non ti venga a cercare! Non siamo più due ragazzini, Margaret!»
«La vuoi smettere di chiamarmi con il mio fottutissimo nome di battesimo?» si lamentò lei, alzando di un po’ il volume della voce.
«E tu, cazzo, vuoi degnarti di rispondermi?» urlò Fred, che se ne pentì non appena ebbe visto gli occhi della sua ragazza gonfiarsi nuovamente di lacrime, ma cercò di non darlo a vedere: doveva rimanere impassibile e mantenere il controllo della situazione. Meg, a quel punto, si abbandonò a un pianto silenzioso che, come minimo, gli scheggiò il cuore.
«Sono incinta, Fred» confessò in un sussurro, serrando le proprie dita attorno alla stoffa del cappotto del ragazzo, un po’ come se stesse cercando di aggrapparsi a un filo per evitare di precipitare in una voragine oscura e profonda.
Fred, sebbene già fosse a conoscenza del problema, trattenne il respiro: sentirlo dire da lei rendeva tutto molto più reale. Improvvisamente sembrò essersi calmato, come se fosse stato accarezzato da una tiepida brezza estiva, e non travolto dal freddo clima autunnale.
«E che ci aspettavi a dirmelo?» le chiese, tranquillo, lasciandola interdetta. 
«Sono terrorizzata» ammise, ma non riuscì a impedire alla sua voce di tremare. «Abbiamo diciotto anni, stiamo ristrutturando la nostra futura casa e organizzando il nostro matrimonio... e adesso che aspettiamo un bambino arriveranno altre miliardi di cose cui pensare, come la roba da comprare e le visite. Dovremo... Dovremo dirlo ai nostri parenti, e devo ricordarti che non parlo con mio padre da quando sa che ci sposiamo? Pensa a come la prenderà quando gli parleremo della gravidanza! E poi, come farò con il lavoro? Insomma, sono appena stata assunta... Gli inizi di una carriera non sono mai semplici, e saranno in concomitanza con i primi anni di vita del bambino! E la guerra, Fred: potremmo non uscirne vivi, e in quel caso chi... chi si occuperà di lui, o di lei? Dovrebbe crescere con i miei genitori o con i tuoi? Ricorderebbe la forma dei tuoi occhi, o il colore dei miei capelli, oppure... oppure dimenticherebbe persino i nostri nomi? E se tutto dovesse andare per il meglio, sarò davvero in grado? Tu sarai perfetto, ma io? Ho paura di non riuscire a dedicargli il tempo che meriterebbe, di non essere una buona madre... E sono sicura che quando sarà grande mi odierà, si vergognerà di essere mio figlio... o mia figlia.»

Quando ebbe terminato il suo lungo discorso, elencando tutti i tormenti che l’avevano afflitta da quando aveva iniziato a sospettare della gravidanza, affondò il viso contro il petto del suo ragazzo. Questi, al contempo, pareva aver lasciato andare via tutta la rabbia fin dalle prime parole di Margaret, e adesso non riusciva a provare altro che un infinito amore per quella donna.
Infischiandosene dell’aspetto duro che voleva mantenere per farla sentire in colpa, la strinse tra le sue braccia e le accarezzò la testa, pensando alle parole giuste che avrebbero potuto rassicurarla.
«Innanzitutto, non piangere: è una notizia meravigliosa, lo capisci? Sì, mi sento sicuramente colto alla sprovvista e non posso negare che tu mi abbia sconvolto, ma credimi se ti dico che sono dannatamente felice» le sussurrò all’orecchio, persistendo nel suo tentativo di trasmetterle tutto il calore che aveva dentro. «Voglio che questa fase della nostra vita sia stupenda, e impedirò con tutto me stesso che le tue paure e le tue inutili paranoie la rovinino. Insomma, guardati: sei meravigliosa, e aggiungerei anche fantastica! Nessun bambino potrebbe essere talmente stupido da vergognarsi di avere una madre come te, intesi? Sono sicuro che vorrà sempre tenerti la mano per strada per far vedere che è il figlio di una donna eccezionale che sarebbe persino disposta a uccidere per proteggere le persone a lei care – e sì, sei un po’ una pazza furiosa, ma ti amerà anche per questo, così come faccio io. Non devi preoccuparti di nulla, non sarai mai sola: ci sono io con te, sempre al tuo fianco, pronto a sostenerti quando non avrai più la forza di andare avanti. Non posso assicurarti che quando questa guerra sarà finita staremo entrambi bene, perché sai meglio di me che potrebbe succederci qualsiasi cosa in qualunque momento, ma non devi pensarci adesso. Quando arriverà il momento, affronteremo ogni problema, e lo faremo insieme.»
«Diventerò enorme come il Platano Picchiatore, e allora tu troverai una ragazza molto più bella di me e non mi amerai più... Ed io sarò costretta a vendicarmi e a uccidere entrambi, e così finirò ad Azkaban. Sei contento, adesso?» iniziò Meg a sproloquiare, al che Fred la strinse ancor di più a sé e iniziò a ridere e a scuotere il capo.
«Meg; mia piccola, impazzita Meg: io senza di te sarei perso! Sono tremendamente serio se ti dico che non vedo l’ora di poterti ammirare con quel bel pancione e di accarezzarlo ogni singolo istante. Diventerò parecchio assillante e appiccicoso, non ti lascerò in pace, per cui ti conviene iniziare a preparati!» le disse, e finalmente Meg alzò lo sguardo per far incontrare i loro occhi. Sorrise debolmente e gli mise le braccia attorno al collo, poi si sollevò in punta di piedi e lo baciò, ignorando la pioggia battente che continuava a investirli. Lui rispose al bacio con estremo entusiasmo, felice che il suo più grande desiderio si fosse avverato e che lei fosse di nuovo lì con lui, tra le sue braccia.
Una volta che si furono separati, Margaret lo guardò e gli sorrise ancora, stavolta con calore e dolcezza, e appoggiò la testa sul suo petto.
«Ti amo.»
«Ti amo anch’io, bambina. Adesso andiamo a casa, eh? Non mi pare il caso che nostro figlio prenda ancora freddo, sarebbe da sadici» fece lui di rimando, ascoltando finalmente la risata cristallina della sua ragazza.
Dopodiché, la prese per mano e la condusse velocemente a casa, dove un George in piena crisi di nervi li stava aspettando. Non appena questi ebbe visto la sua migliore amica, le si precipitò addosso e la abbracciò così forte da rischiare di stritolarla, prima di rimproverarla per aver commesso quella sciocchezza che li aveva mandati nel caos più totale.
Inevitabilmente, Margaret sorrise: in fondo, se non fosse riuscita a essere una buona madre lei, George avrebbe potuto vestire quei panni egregiamente.



- Angolo dell’autrice

Ben tornati dalle vacanze di Pasqua! Siete sazi? Gonfi? Ingrassati? Spero di no, almeno voi. ç_ç
Notiziona, eh?! Leggendo le recensioni allo scorso capitolo, si è notato perfettamente che siete rimasti “lievemente” sconvolti.
Ora dovrebbe essere ancora peggio, ciò vuol dire che sto svolgendo egregiamente il mio “lavoro”. Va bene, basta così!
Fatemi sapere cosa ne pensate, insultatemi pure se ne sentite l’esigenza, vi capirei. <3
Così come l’altra volta, anche adesso voglio rendervi partecipi! Si aprono le scommesse per il nome del bambino (o bambina, naturalmente)!
Proponete i nomi che più vi aggradano (?) e deliziatemi con i vostri suggerimenti! Alla proposta migliore andrà una fornitura annuale di cereali Cheerios e l’ammissione al club esclusivo “MangiamorteLand” che ho appena istituito. *taglia il nastro dell’inaugurazione*
Se volete, potete anche aggiungere la “lista” dei nomi che vi fanno schifo e che non vorreste assolutamente che venissero scelti per il piccolo/la piccola Weasley. Vi “ascolterò” con estremo piacere ed interesse, anche perché ho così tanti nomi in testa che ho bisogno di eliminarne o sostituirne un bel po’!
Ora, devo fare un ringraziamento a dir poco enorme alla Jecky, che deve proprio avere una grandissima pazienza per essere riuscita a sopportarmi in questi giorni di collaborazione nella “lavorazione” dell’abito di Margaret. Sei eccezionale, amica mia, non finirò mai di ringraziarti! Eh niente, jahvghvsgzv, ti voglio bene. <3
Il titolo di questo capitolo è tratto dal film Forrest Gump, mentre la canzone è Purple Rain, di Prince.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite o ricordate, ed EmmaDiggory15MaryWeasley e JeckyCobain, che hanno recensito il capitolo precedente.
Bene, miei piccoli fuorilegge, ho concluso. Invierò un uovo di Pasqua a chiunque lascerà una recensione.
No, non mi importa se Pasqua è passata. Non è mai troppo tardi per le uova. Mai.
Baci,

Jules

Ps. Ho pubblicato qualche giorno fa una One-Shot, è un (altro) missing moment della prima storia; se vi va di dare un’occhiata, la trovate qui --> Tutta colpa di quei maledettissimi Fondenti Febbricitanti

 
- Curiosità:

Fred è sempre stato a conoscenza dell’odio provato da parte di Margaret nei confronti del suo nome di battesimo. Per questa ragione, lui si diverte tantissimo a utilizzarlo, soprattutto quando vuole stuzzicarla o, più frequentemente, durante i litigi.


Ultima revisione: 03.06.2015

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Capitolo 6
*** Le donne, la vera grande attività che svolgono perfino quando dormono, è amare ***




Capitolo 6



Le donne, la vera grande attività che svolgono
perfino quando dormono, è amare

 

I’ll be your keeper for life as your guardian,
I’ll be your warrior of care, your first warden,
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand,
The greatest honor of all, as your guardian
 

Il negozio Tiri Vispi Weasley di Fred e George non era mai stato tanto pieno di gente come quella mattina di metà novembre: sin dall’orario di apertura, i clienti non avevano esitato a occupare ogni singolo spazio vitale, probabilmente intenzionati non unicamente a dire addio a buona parte dei loro galeoni, ma soprattutto a rifugiarsi dalle forti e fredde raffiche di vento che stavano ormai diventando caratteristiche di quel mese.
Fred, nonostante fosse sommerso dalle richieste di tutte quelle persone, non riusciva a fare a meno di lanciare delle frequenti occhiate preoccupate e ansiose alla porta d’ingresso del locale, sperando di vedere entrare una certa ragazza in particolare.
Sempre più teso, si girò in direzione del fratello, intento a dare alcune informazioni essenziali a Verity, la nuova, biondissima commessa che Margaret, con la sua flemma da comandante di esercito, aveva selezionato sulla base di alcuni irrinunciabili criteri – che non staremo qui ad elencare in quanto decisamente prevedibili.
Quando George alzò lo sguardo su di lui, sbuffò con fare divertito, mimandogli un leggibilissimo: “Stai diventando peggio di nostra madre!”.
Fred, però, non riusciva proprio a stare calmo, continuandosi a chiedere come potesse essere saltato in mente a Margaret, nelle sue condizioni, di recarsi al Ministero con quel tempaccio; non aveva nemmeno voluto che lui l’accompagnasse, e tra le altre cose si era persino rifiutata di Materializzarsi a casa dei signori Weasley per andare così al lavoro con Arthur. Pensava che sarebbe stato un gesto fin troppo sospetto.
«Posso cavarmela da sola, che ti pare? Credi davvero che basti un po’ di maltempo a fermarmi?» gli aveva detto – o, meglio, urlato – lei, giusto qualche istante prima di uscire di casa e sbattersi la porta dietro le spalle.

Quella donna, Fred l’aveva sempre pensato, sapeva raggiungere vette di acidità mai toccate da un normale essere umano; una volta scoperta la gravidanza, poi, il ragazzo aveva iniziato a temere gli sbalzi di umore della sua fidanzata più di qualsiasi altra cosa al mondo, e non aveva tutti i torti.
Una settimana prima, ad esempio, Margaret l’aveva costretto a dormire sul pianerottolo di fronte all’ingresso di casa solo perché, scherzando in maniera forse un po’ inopportuna, le aveva detto che, se avesse continuato a mangiare così tanto, prima della fine della gestazione sarebbe ingrassata di almeno venti chili. Verso le tre di notte, però, lei lo aveva raggiunto in lacrime e lo aveva svegliato, dicendogli che le dispiaceva, che era stata troppo dura e che non meritava quel trattamento.
Fred, ovviamente, una lezione l’aveva imparata: mai stuzzicare una donna incinta; potrebbe essere l’ultima cosa che fai.
Invece, il mattino precedente...

«Buongiorno, Pasticcino» le aveva sussurrato Fred all’orecchio, cercando di stringersi a lei sotto le coperte. Tuttavia, la ragazza lo aveva scansato malamente, lasciandolo interdetto.
«”Pasticcino” lo vai a dire alla tua amichetta, hai capito?» aveva soffiato Meg, inviperita, prima di rivolgergli le spalle. A quel punto, lui aveva assunto un’espressione confusa e aveva iniziato a grattarsi la testa, pensieroso.
«Ma... Di cosa stai parlando?»
«Bugiardo! Sei uno schifoso bugiardo! Vi ho visti, sai? Tu e quella finta bionda platinata dei miei santissimi stivali!» aveva detto Margaret, affogando le lacrime nel cuscino e lasciando il ragazzo, sconvolto, a bocca aperta.
«Ma non è possibile, mi avrai scambiato con George!» aveva protestato animatamente Fred, ma lei non voleva sentire ragioni.
«Ti conviene iniziare a pensare al modo in cui preferisci che io ti uccida, Fred: lei non avrà questo privilegio, stanne certo!»
«Merlino benedetto, si può sapere precisamente quando mi avresti visto in compagnia di questa tizia?»
«Non è rilevante quando, la cosa che conta è che vi ho visti, brutto traditore fedifrago!»
«Santo cielo, tu sei uscita fuori di testa! Stai impazzendo!»
«Non sto impazzendo, l’ho sognato!»
A quelle parole, Fred si era lasciato sprofondare a peso morto sul letto, non credendo a ciò che potesse elaborare il cervello di una donna in stato interessante.
Inutile specificare che, solo pochi minuti dopo, Margaret l’aveva abbracciato, come se nulla fosse successo, e che aveva iniziato a parlare di ciò che avrebbero potuto mangiare per pranzo.
“Donne! Non le capirò mai!”, aveva pensato lui in quell’occasione, mentre lei gli stampava un dolce bacio sul viso.


Improvvisamente, lo scampanellio della porta d’ingresso lo riscosse dai suoi pensieri, e una figura avvolta in un elegante mantello blu pervinca fece il suo ingresso, scostandosi il cappuccio e dando una veloce sistemata con le mani ai lunghi capelli mossi.
«C’è davvero freddo, lì fuori!» commentò Meg con leggerezza, sorridendo cordialmente a una coppia di anziani in compagnia di due adorabili nipotini, sicuramente entusiasti degli ennesimi regali comprati dai nonni. Dopodiché, si avvicinò al suo ragazzo e si sollevò in punta di piedi per dargli un bacio sulle labbra.
«Tutto bene? Come ti senti? Ti hanno creato problemi, al lavoro?» chiese premurosamente Fred con lo stesso tono che avrebbe assunto una neo-mamma ansiosa, suscitando le risate della sua fidanzata.
«Freddie, sta’ tranquillo! Nessun problema, procede tutto normalmente.»
«Meglio così, ma adesso va’ a riposarti. Ti fai un bel bagno caldo – magari stai attenta a non scivolare, eh – ti prepari una cioccolata calda, ti infili sotto le coperte e stai lì, buona e tranquilla, a guardare un coso in quella veletisione, telefusione, insomma, in quell’aggeggio infernale che ci ha procurato papà chissà dove.»
«Tesoro, respira! Ora vado a casa e mi rilasso, ma tu promettimi che la smetterai di fare il...» fece Meg, che quasi non riusciva a credere alle sue orecchie, ma fu interrotta da una voce molto familiare alle sue spalle.
«Piccioncini vomitevoli? La visita in Clinica non dovrebbe essere alle diciassette?» intervenne George, difatti, che non era disposto a lasciare andare avanti quel melodramma, ricordando quindi ai due l’impegno più importante di quella giornata: la prima ecografia.
Fred, se già era apprensivo, in quel momento divenne più paranoico che mai.
Se l’era dimenticato, gli era completamente passato dalla mente, e si diede dello stupido per questo. Tuttavia, una consapevolezza più grande di qualsiasi altra iniziò a farsi sentire, a crescere con sempre maggiore determinazione, tanto che sembrava potesse schiacciarlo da un momento all’altro: era la consapevolezza di stare per conoscere suo figlio – o sua figlia, ovviamente.
A Margaret non l’aveva detto, ma aveva paura: non era paura di non essere all’altezza, ma paura che qualcosa potesse andare storto. La parte di sé che cercava di mettere a tacere, infatti, temeva che il bambino non stesse bene, che ci fosse qualche problema, e forse era proprio per questo che quella visita lo rendeva particolarmente ansioso, sebbene dall’altro lato il desiderio di vedere per la prima volta il piccolo o la piccola Weasley fosse a tratti destabilizzante.
Per l’appunto, erano già passati diversi mesi, ma ancora non un solo accertamento era stato fatto. Si ripeteva costantemente che erano stati due irrimediabili incoscienti, forse giustificati dalla loro giovane età e dalla mancanza di esperienza, nonché penalizzati dalla momentanea assenza di qualcuno più maturo che sapesse della gravidanza e che potesse dar loro i giusti consigli sul da farsi.
Al tempo stesso, Meg camminava al suo fianco e a passo sostenuto per le vie di Londra, pensando a tutto e a niente. Sperava con tutto il cuore che la piccola e dolce creatura che cresceva dentro di lei stesse bene, che fosse in ottima salute, ma ogni singola volta in cui i suoi pensieri si rivolgevano allo stato di salute di suo figlio – o figlia – il suo subconscio li spingeva inevitabilmente in un’altra direzione. Aveva paura di venire a conoscenza di qualcosa di irrimediabile, ma al contempo desiderava ardentemente sapere qualsiasi cosa, in ogni suo distinto particolare.
«È maschio» affermò con convinzione Fred, che doveva essersi reso conto del tormento interiore della ragazza; pensò, quindi, di indirizzare la sua attenzione verso qualcos’altro di estremamente più piacevole.
Lei sgranò gli occhi, scandalizzata. «Non dirlo neanche per scherzo: è femmina!»
«E chi lo dice?» fece lui, divertito. Margaret si mise le mani sui fianchi.
«Io, naturalmente!» esclamò, facendo scoppiare a ridere il suo ragazzo.
«Non manca molto, dai. Ed è maschio, comunque!»
«Prova a dirlo di nuovo e te ne farò pentire» lo minacciò lei scherzosamente, riflettendo che, in fondo, poco le infischiava se alla fine si fosse rivelato maschio o femmina, ed era certa fosse lo stesso anche per lui: l’importante era che stesse bene.

Quando, in una traversa poco frequentata di Londra, vicino a Hyde Park, scorsero l’entrata nascosta della Clinica, quell’ansia precedentemente avvertita iniziò a imporsi con prepotenza in entrambi, che erano coscienti che il momento tanto atteso – ma allo stesso tempo tanto temuto – si stesse avvicinando sempre di più.
«Benvenuti alla Clinica Morgana. Come posso esservi d’aiuto?» chiese una giovane strega, che si occupava della Zona Accoglienza.
«La mia ragazza deve fare un’ecografia, abbiamo un appuntamento» spiegò Fred, mentre Meg era come paralizzata, improvvisamente interessata al movimento delle piume che prendevano appunti sulle cataste di fogli accumulati di fronte a lei.
«Come si chiama la signorina?»
«Stevens, Margaret Eleanor Sadie.»
«Sì, la visita è tra dieci minuti esatti. Terzo piano, Stanza 25, Dottor Russell. Buona giornata!»
Una volta congedati, i due si diressero verso le scale, ancor più pallidi di quando erano arrivati: Fred a causa dell’immancabile tensione, Meg perché il dottore che l’avrebbe assistita durante tutta la gravidanza altri non era che Landon Russell – marito di sua zia Annabel –, e lei non aveva ancora dato la lieta notizia a nessuno; sperò con tutto il cuore che suo zio fosse capace di mantenere un segreto.
Proprio mentre rimuginava su tutto ciò, una voce familiare e proveniente da una delle stanze del secondo piano la fece sussultare, al che involontariamente strinse la mano del suo fidanzato con tanta forza da rischiare di stritolarla.
«Dottoressa Palmer, quanto tempo crede che passerà?»
«Oh, non si preoccupi, non ci vorrà molto!» rispose cordialmente Julia Palmer in Stevens, sempre sfoggiando il suo solito sorriso radioso. Margaret trascinò Fred su per le scale a una velocità impressionante.
«Che cosa...» provò lui, confuso, ma Meg gli fece cenno di parlare a bassa voce.
«Mia nonna, Fred! Dannazione, siamo circondati!» bisbigliò, esasperata, una volta raggiunto il terzo piano. Percorse il corridoio con non molta convinzione, tirandosi dietro il suo ragazzo, fino a quando la stanza contrassegnata dal numero venticinque non fu davanti ai loro occhi.
Meg, tremante, allungò il braccio e bussò delicatamente alla porta, e una voce gentile li invitò a entrare.

Quando Landon Russell vide la giovane nipote varcare la soglia del suo studio, il suo viso, dapprima rilassato in un’espressione cordiale, si trasformò in una maschera di sorpresa. Si avvicinò a lei e l’abbracciò, evidentemente spiazzato.
«Maggie, tesoro caro! Qual buon vento ti porta qui? Oh, e tu sei...?» Landon esitò, scrutando il ragazzo per qualche secondo, prima che Margaret accorresse in suo aiuto.
«Zio, lui è Fred, il mio fidanzato; uno dei figli dei Weasley, non so se hai presente. Fred, tu ti ricordi di mio zio Landon?»
«Ehm... Vagamente» rispose Fred, ansioso, mentre stringeva la mano dell’allegro dottore.
«Fred Weasley, ma certo! Ti ricordavo più basso e con meno peli sulla faccia, in effetti, ma è passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta» commentò questi, difatti, sedendosi nuovamente dietro la scrivania in legno e invitandoli a prendere posto. «Allora? Come mai qui? Controllo di routine?»  
Meg si mordicchiò il labbro, come faceva ogni singola volta fosse molto nervosa. «Non dirai niente a nessuno, no? Neanche alla zia, immagino» si assicurò, allora, mentre rivolgeva all’uomo uno sguardo tutt’altro che sereno. Si sentiva a disagio, come se fosse seduta su un groviglio di spine.  
«C’è il segreto professionale, Meg: ciò che mi dirai all’interno di questa stanza, vi rimarrà» confermò Landon, che aveva iniziato a insospettirsi. Così, si sporse un po’ di più verso i due ragazzi e li guardò con preoccupazione. «Cos’è successo? Avete l’aspetto di due condannati al Bacio del Dissennatore.»
«Sono incinta» confessò Meg a bruciapelo, ma non si accorse subito di averlo fatto. Comprese quanto avesse detto soltanto quando vide rivolgersi lo sguardo sbalordito del suo ragazzo e quello spiazzato dello zio, e a quel punto arrossì violentemente.
L’uomo guardò Fred, quasi a chiedergli conferma di quanto aveva appena udito, e quando questi – notevolmente imbarazzato – annuì, il primo si raddrizzò sulla sedia e si schiarì la voce, un po’ a disagio nel constatare che fosse il primo della famiglia ad aver ricevuto la notizia.
«Be’, non posso negare che fosse l’ultima cosa che mai mi sarei aspettato al mondo» ammise, prima di rivolgere un caloroso sorriso alla nipote, che si tranquillizzò. «Mi sembra doveroso, però, farvi i miei migliori auguri.»
«Grazie» risposero i due ragazzi all’unisono, rilassando i muscoli facciali.
Landon iniziò ad appuntare qualche nota su di un piccolo libretto, per poi grattarsi il mento con la piuma.
«Sedici novembre, prima visita. Ricordami quanti anni hai, Maggie, per favore.»  
«Ne compio diciannove il prossimo maggio.»
«Immaginavo bene, allora» annuì lui, alzandosi per condurre i due nella vera e propria stanza delle visite. «Anche la zia Annabel aveva diciannove anni, quando è nato Dorian. I tuoi nonni, Julia e Dawson, sono diventati parecchio furiosi quando gliel’abbiamo detto» ricordò, divertito, invitando Margaret – così pallida che sembrava stesse per perdere i sensi – ad accomodarsi sulla sedia ostetrica.
«Sta’ tranquilla, andrà tutto bene» le disse Fred con un gran sorriso che la rincuorò, prendendole la mano.
Le sue parole furono seguite da un lungo silenzio, durante il quale il dottore sistemò le sue apparecchiature e picchiettò delicatamente con la bacchetta sul ventre di Margaret, prima di farla scorrere secondo movimenti circolari.

Senza alcun preavviso, poi, il monitor si accese, e Fred istintivamente trattenne il respiro: una piccola creaturina era appena apparsa su quello schermo, ignara di ciò che stava accadendo lì fuori, più reale di quanto lui avesse mai immaginato. Il mugolio sommesso alla sua destra si trasformò pian piano in un pianto di gioia, così bello e vero da costringerlo a distogliere gli occhi dall’immagine di suo figlio per puntarli in quelli della sua ragazza, che gli stringeva la mano con un’intensità splendida come poche altre esistenti al mondo. Prima ancora che Landon Russell proferisse parola, entrambi avevano capito che nulla sarebbe potuto andare meglio di così.
Margaret – che dal primissimo istante si era dimostrata la più scettica nei confronti di quella gravidanza – si rese conto solo in quel momento di quanto fosse bella quella sensazione, e di quanto la riempisse di amore la consapevolezza che un’altra vita dipendeva solo ed esclusivamente dalla sua, essendole legata in maniera indissolubile. 
«Sono lieto di annunciarvi che il nostro piccolo amico è in ottima salute» confermò Landon con allegria, continuando ad armeggiare con la bacchetta e a scrutare il monitor. «Entri oggi nella quindicesima settimana. Il periodo più difficile dovrebbe essere passato, puoi stare più tranquilla. Ma niente sforzi eccessivi, sia chiaro» aggiunse, minacciando scherzosamente la nipote con l’indice.
Questa rise e riprese a osservare lo schermo con una nuova luce negli occhi. «Potresti indicare approssimativamente la data del parto?»
«Tra la prima e l’inizio della quarta settimana di maggio. Giusto in tempo per riprenderti in vista del matrimonio» disse l’uomo, che doveva in qualche modo averle letto nella mente. Difatti, non si sorprese nel vederle tirare un sospiro di sollievo.
Fred, invece, parve ricordarsi del piccolo scambio di battute avuto per strada con la sua ragazza, così assunse un’espressione incuriosita e si aprì in un altro nuovo sorriso. «Sapresti dirci se è maschio o femmina?»
«Posso provarci, ma solitamente è ancora abbastanza presto per vederlo» rispose, pensieroso, studiando con attenzione lo schermo. «Potrebbe essere una bella signorina.»
Nell’udire quelle parole, Margaret per poco non balzò giù dalla sedia, desiderosa come non mai di beffeggiare il suo fidanzato, rimasto evidentemente sconvolto al pensiero di una possibile piccola Meg – temibile, manco a dirlo, almeno quanto la madre – saltellante per la casa. «Lo sapevo, ne ero sicura! Sarà così adorabile, ma ci pensi?» esultò, euforica, ma lo zio fu costretto a interromperla.
«Ehi, frena! Aspetta un attimo, non è certo che lo sia» le ricordò, mentre ancora analizzava l’immagine sul monitor. Rimase fermo a osservarla per due minuti abbondanti, durante i quali i due futuri genitori si scambiarono numerose occhiate ansiose, fino a quando sul volto dell’uomo non si aprì un sorriso colpevole che fece sgranare gli occhi alla nipote. «Infatti, cara, credo proprio di dover distruggere il tuo entusiasmo. È un bel maschietto, stavolta posso affermarlo con sicurezza.»
La situazione, com’era prevedibile, mutò improvvisamente. Margaret spalancò la bocca, impietrita di fronte all’immagine che si stava formando nella sua testa, che ritraeva un pestifero Fred in miniatura che distruggeva qualsiasi cosa avesse avuto la sfortuna di trovarsi lungo il suo cammino; Fred, invece, per poco non iniziò a saltellare come un idiota.
«Te l’avevo detto, te l’avevo detto! Un piccolo me!»
«Che Merlino mi aiuti» commentò la ragazza, ma adesso l’espressione sconvolta che aveva assunto poco prima stava lasciando il posto a un largo sorriso: guardare il suo fidanzato ridicolizzarsi in quel modo la ripagava enormemente, e per di più la considerava un’evidente manifestazione della sua indiscutibile felicità.
Poi – si disse – avere un figlio maschio le dava anche degli innegabili vantaggi: spontaneamente, immaginò un adorabile bambino paffutello e imbranato dai capelli rossi pronto a prendere le sue difese in ogni occasione, e quella visione non poté fare altro che infonderle un infinito buon umore.

Una volta terminata la visita, Fred e Margaret lasciarono la Clinica e si ritrovarono nuovamente a percorrere le vie affollate della Londra Babbana. Mano nella mano, scambiandosi sorrisi complici, si sentivano più euforici che mai, ed era come se non avessero mai ricevuto notizia più bella di quella: non soltanto, infatti, il bambino era in perfetta salute, ma per di più adesso sapevano che sarebbe stato un maschio, e dunque avrebbero potuto iniziare a pensare al nome da dargli; per non parlare, ovviamente, dei mille viaggi mentali del ragazzo.
«Diventerà il più grande giocatore di Quidditch che sia mai esistito!» esordì lui con convinzione, radioso. «Dobbiamo iniziare a lavorarci fin da subito, però, ed è per questo che la prima cosa che gli comprerò sarà una scopa giocattolo. Quando sarà più grande, gli insegnerò le tattiche migliori, così quando arriverà a Hogwarts farà vedere a tutti gli altri di cosa è capace, sfruttando al meglio i miei consigli.»
«Ehi, amore, ci sarei anch’io. Sai, il Capitano della squadra della propria Casa, in Spagna; la Battitrice che ti ha sostituito dopo che tu sei stato espulso a vita, non so se ricordi» commentò Meg, ironica, riportando alla realtà il suo fidanzato. Questi sorrise, consapevole, e annuì lentamente, dandole un bacio sulla tempia.
«Okay, hai ragione: ero così concentrato sulle attività “padre-figlio” che l’ho tolto dalla mente! Ovviamente saranno i nostri consigli e insegnamenti, non solo miei» si giustificò Fred, stavolta un po’ imbarazzato, e lei non poté che pensare che fosse assolutamente dolcissimo. Gli si strinse ancor di più, poggiando la testa sulla sua spalla.
Vederlo così coinvolto le faceva provare una felicità a tratti incontenibile: bastava che la sua mano toccasse quel pancino appena accennato, quasi invisibile, perché i suoi occhi brillassero e il cuore iniziasse ad accelerare i suoi battiti; le ricordava che lei non era sola, ma che aveva accanto un ragazzo splendido e attento, che avrebbe amato quel bambino tanto quanto adesso amava lei.

Tuttavia, quando – ancora abbracciati – si fermarono al semaforo, Margaret ebbe la disavventura di ascoltare la conversazione di due uomini, proprio accanto a lei, che di certo non potevano immaginare lo stato in cui si trovava la giovane donna.
«Devi credermi, era enorme!» disse il primo, animatamente. Il secondo scosse la testa, spazientito.
«Impossibile
«Sto dicendo la verità! Non ho mai mangiato un polpo così grande in vita mia, e anche così buono!»
Meg si voltò lentamente verso il suo ragazzo, che la fissava con un misto di terrore e preoccupazione nello sguardo a causa della richiesta che pensava lei gli avrebbe fatto di lì a poco.
«Vuoi... Vuoi che ne compriamo uno?» le chiese premurosamente, però, ripetendosi che tutto ciò che gli domandava Margaret doveva avere la priorità assoluta. Non per nulla, infatti, era spesso uscito di casa in piena notte per fare un salto al supermercato Babbano aperto più vicino, cercandovi cibi assurdi e di dubbia provenienza di cui non aveva mai sospettato l’esistenza. Doveroso sottolineare come quei cassieri, ormai, avessero iniziato ad accoglierlo come avrebbero fatto con un amico di vecchia data.
Lei, invece, fece un sorriso e scosse la testa, sebbene l’immagine di un bel polpo gustoso avesse cominciato a invaderle la mente con prepotenza.
Arrivarono a casa pochi minuti dopo, trovandovi un caminetto acceso e uno scalpitante George che attendevano solamente loro. Così, di fronte al muto interrogativo del fratello, Fred si inginocchiò teatralmente e rivolse le braccia al soffitto, lasciando spiazzati il gemello e, soprattutto, la fidanzata, che di certo non si aspettava una cosa del genere.
«È maschio
A quell’esclamazione, George parve perdere quel briciolo di intelligenza che gli era ancora rimasta e si unì ai festeggiamenti del fratello; sembravano essere tornati entrambi all’età di sei anni.
Margaret, ridendo, li lasciò alle loro esultanze e si ritirò in camera da letto, stranamente fiacca e infreddolita, intenzionata a riposarsi un po’ prima della cena.

Correva, non sapeva dove fosse diretta, ma la cosa che più le importava era riuscire ad andare via di lì.
Non era al sicuro: doveva fuggire a qualsiasi costo.
Ogni porta era bloccata, l’unica via di uscita si trovava in fondo al corridoio, ma – man mano che avanzava – questo sembrava allungarsi a dismisura, mentre quella porta aperta si faceva sempre più lontana.
Margaret sentì dei rumori alle proprie spalle, ma fece in modo di non dar loro troppo peso: erano solo frutto della sua immaginazione.
Tuttavia, la tentazione di voltarsi era troppo insistente, così lo fece: ciò che vide di fronte ai propri occhi era un polpo gigante, alto quasi tre metri e tanto grosso da bloccare il corridoio; legato al collo portava un bavaglino, mentre uno dei tentacoli reggeva ben salda una forchetta.
«No, vattene! Non posso!» piagnucolò lei, disperata, ma il polpo rise sguaiatamente.
«Dovevi chiedere aiuto al tuo caro Fred, ma adesso è troppo tardi!»
«No, no! Risparmiami, ti prego!»
«Ti mangio, Margaret!»
«Aiuto! Aiutatemi! Sono troppo giovane per essere mangiata!» urlò lei, ricominciando a correre il più velocemente possibile in direzione della lontana porta. Improvvisamente, però, una voce parlò, ed essa era più dolce e gentile di quanto lei ricordasse, ma allo stesso tempo era anche molto preoccupata.
«Meg! Maggie?! È tutto finito, avanti!» le sussurrò Fred, ma lei non riusciva a vederlo da nessuna parte.
«Fred! Dove sei? Aiutami!»


«Maggie, Pasticcino? Svegliati, non farmi preoccupare» disse Fred, scuotendo delicatamente il braccio della fidanzata.
«Si sta riprendendo, guarda» lo rassicurò George, anche lui chino sulla ragazza.
Questa aprì gli occhi, impaurita e sudata, e si tirò a sedere, rivolgendo a Fred uno sguardo confuso.
«Il polpo» mormorò, scuotendo la testa e respirando affannosamente. «Voleva mangiarmi, Fred!»
«Il polpo? Di che cosa sta parlando? Ha sbattuto la testa, forse?» gracchiò George, sconvolto. Il gemello lo mise a tacere.
«Era solo un incubo, sta’ tranquilla» la rassicurò questi, toccandole la fronte con il dorso della mano, prima di guardare il fratello. «Scotta, avrà la febbre. Tu prova a darle un po’ d’acqua, io torno subito.»
Fred si avviò rapidamente verso la porta di ingresso e, pochi secondi dopo, si gettò nel freddo clima autunnale, deciso a raggiungere il suo obiettivo: quel dannatissimo polpo.
Doveva trovarlo a ogni costo, per il bene della sua ragazza, di suo figlio e suo. Sì, perché non ci teneva a passare un’altra nottata insonne, o a dormire vicino le scale o in negozio. E poi, il pensiero di venir rimproverato da Margaret lo faceva rabbrividire: il suo povero mal di testa ne avrebbe risentito parecchio.
In fondo, anche Fred Weasley aveva bisogno di riposare.


- Angolo dell’autrice

Sì, questo capitolo lo pubblico con un giorno di anticipo. Vedete quanto sono buona? *-* No, in realtà l’ho fatto solo perché domani non avrei potuto, tutto qui. :D *vi ama tanto, anche se non lo dimostra*
-Tu sei capace di amare?! E da quando?!
Meg, va’ a mangiare quel dannato polpo. Non ho fatto scomodare quel povero Cristo per nulla, andiamo!
Okay, che dire? Ebbene sì, è maschio. Spero tanto che la cara Emma non mi uccida. *si nasconde*
I suggerimenti per il nome sono sempre bene accetti.
Va bene, stavolta non mi dilungo! La frase che ho utilizzato per il titolo è di Simona Izzo, mentre la canzone è Guardian, di Alanis Morissette.
Ringrazio chiunque abbia inserito la storia tra le seguite, ricordate e preferite, ed EmmaDiggory15JeckyCobain e Quella che ama i Beatles, che hanno recensito il capitolo precedente.
Prossimo aggiornamento: sabato 4 maggio.
Love you all,
Jules


Ps. Ho revisionato la storia precedente a questa, I have finally realised I need your love. Dopo aver riletto alcune parti, avrei voluto sbattermi la testa contro il muro. Non potevo non dare una sistemata, capite.

- Curiosità:

La storia del sogno del polpo è vera! Successe una cosa simile a una mia parente, svariati anni fa, proprio durante la sua prima gravidanza, e non ho potuto fare a meno di prendere spunto da quello che mi è stato raccontato per riproporlo.



Ultima revisione: 04.08.2015

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Capitolo 7
*** Tutto è relativo in questo mondo. Chiedi un po’ alle oche e ai tacchini la loro opinione sul Natale ***



Capitolo 7



 
Tutto è relativo in questo mondo,
chiedi un po’ alle oche e ai tacchini la loro opinione sul Natale

 
I just want you for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
You know that all I want for Christmas is you

 
I fiocchi di neve cadevano leggeri fuori dalla finestra, la mattina di Natale dell’anno 1996.
Erano le nove del mattino, ma Fred era già sveglio da diverse ore, accucciato sotto il pesante piumone del suo letto e con lo sguardo rivolto al soffitto, mentre Margaret dormiva profondamente sul suo petto; una mano era poggiata sulla guancia del fidanzato, l’altra sulla piccola rotondità appena evidente della sua pancia.

Fred, quella notte, non aveva quasi chiuso occhio: posata la testa sul cuscino, aveva iniziato ad avvertire uno strano tormento interiore, che non aveva tardato ad associare alla gravidanza della sua ragazza. Era la prima volta, in quei quattro mesi e mezzo, che si sentiva così strano; gli trasmetteva una certa ansia il pensiero di non farcela, di non riuscire a proteggere quella che – a tutti gli effetti – era ormai la sua famiglia, o di non essere capace di garantire stabilità e sicurezza a quella che sarebbe diventata presto sua moglie e alla piccola creaturina che questa portava in grembo. Il suo sesto senso gli suggeriva che sarebbe stato un ottimo genitore, che avrebbe saputo dare a suo figlio ogni cosa, e in particolar modo quell’amore infinito che aveva da riservargli: apparentemente, non vi era alcun motivo di preoccuparsi.
Eppure, la guerra minacciava di strappargli via con la forza tutto ciò che aveva pian piano conquistato.
Aveva capito già da tempo di aver trovato qualcuno capace di controbilanciarlo, equilibrarlo. Aveva al suo fianco quella metà femminile cui, solo pochi anni prima, difficilmente avrebbe immaginato di dover indirizzare i suoi intramontabili quanto ridicoli “piani di conquista”; erano simili, ma al contempo anche così diversi da chiedersi cosa ci facessero due come loro insieme. Fred, però, non riusciva più a pensare a una vita senza di lei, e il pensiero che qualcosa – adesso più incombente che mai – potesse distruggere quelle sue certezze lo lasciava spiazzato, tramortito. Quel moto di angoscia, che raramente aveva provato prima di allora, l’aveva tenuto vigile per quasi tutta la notte, facendo viaggiare la sua mente tra le più disparate e assurde conclusioni.

A trascinarlo via dalle sue riflessioni, però, ci pensò Meg, che si era appena svegliata e si era già apprestata a tirargli dispettosamente le guance.
«Buon Natale, sweetie pie» disse mentre, energica, gli si fiondava addosso cavalcioni e gli stampava un bacio sulle labbra. Lui sbuffò, divertito, e la strinse a sé.
«Buon Natale a te, Pasticcino! E auguri anche a questa mia piccola, adorabile peste» ricambiò, accarezzando la pancia della sua fidanzata. Questa sorrise, radiosa, e si lasciò sprofondare nuovamente contro il suo petto, mentre lui giocava dolcemente con i suoi capelli. Si godette quegli attimi tanto piacevoli, assaporando quel conforto che tenerla tra le braccia gli regalava, ma non durarono quanto avrebbe desiderato. Margaret, difatti, era tornata a trafiggerlo con i suoi occhi penetranti e con quell’inspiegabile sorriso che, solitamente, non preannunciava nulla di buono.
«Lo diremo oggi!» comunicò, piena di entusiasmo, facendogli prendere un mezzo infarto: non se lo aspettava assolutamente.
«Momento, momento, momento: ho capito bene? Vuoi dire a quei pazzi furiosi e potenzialmente omicidi dei nostri parenti che siamo incinti? Oggi?» chiese, sconvolto e notevolmente preoccupato.
Lei sorrise ancor di più. «Hai capito benissimo, bellezza!»
«Dimmi, honey: perché?»
«Cosa?»
«Perché farci uccidere proprio oggi? Perché trasformare un giorno di festa nello scenario di una tragedia familiare? Dove hai abbandonato lo spirito natalizio? E poi, non potremmo scappare in... Australia, o Nuova Zelanda? E tornare tra cinque mesi, quando sarà tutto finito?» domandò disperatamente Fred, al che Meg sollevò un sopracciglio.
«Certo, e poi potremmo riapparire con un bel bebè – magari identico a me o a te, sai com’è – e dire in giro che in realtà abbiamo deciso di adottarlo perché era stato abbandonato proprio davanti alla nostra porta. Potrebbe funzionare, no?» propose la ragazza in un tono più che sarcastico; peccato che la mente del fidanzato avesse già iniziato a prendere in considerazione quell’ipotesi.
«Possiamo davvero?» chiese, speranzoso, ma l’occhiataccia che Margaret gli riservò lo costrinse a recuperare il buon senso perduto. «Sul serio, Maggie, perché rovinarci la giornata? È Natale, suvvia! Ti fa davvero tanto schifo l’idea di trascorrere una giornata tranquilla e senza troppi problemi all’orizzonte?»
Lei sospirò, poi scostò i capelli e scosse la testa in modo impercettibile: la sera precedente, prima di addormentarsi, aveva capito che era finalmente arrivato il momento di dare il grande annuncio; era decisa a non permettere a nessuno di distoglierla dal suo intento, Fred compreso. Infatti, rimandare non l’avrebbe aiutata, ma l’avrebbe solo costretta a rimanere rintanata in casa per un altro mese per evitare di incappare nei suoi numerosi parenti; tanto valeva informare personalmente i rispettivi genitori prima che potesse farlo qualcun altro al posto loro.
«Freddie, sono quasi al quinto mese: la pancia sta iniziando a crescere molto più velocemente di quanto immaginassi. Dall’inizio di dicembre vado al lavoro con maglie larghissime, tanto brutte da non aiutarmi nel mio intento di passare inosservata, e l’altra mattina tuo padre mi ha detto che sembro diversa – il che era un modo molto gentile per farmi sapere che mi trovava ingrassata. Non possiamo continuare così, dobbiamo dirlo; cosa c’è di meglio di un bel pranzo di Natale in famiglia?»
«Un suicidio, forse?» gracchiò lui, facendosi però più piccolo di fronte allo sguardo di fuoco di Margaret.
«Santo Godric, Fred!»
«Ma lo dico soprattutto per te!» tentò di salvarsi in corner, mentre le infilava la mano sotto la maglietta del pigiama per solleticarle affettuosamente la pancia. «Tuo padre già non ti parla – non ci parla – da mesi per via del matrimonio, come la mettiamo?»
Un’ombra attraversò il volto di Meg per qualche istante, che poi si contrasse in una smorfia appena accennata. «Non cambierà nulla se tiriamo fuori la questione della gravidanza, no?» osservò, lasciandosi andare contro il materasso. «Avrà un principio di svenimento, diventerà viola, ci urlerà contro e poi andrà via. Come sempre» rimuginò, seria, incupendosi; per un attimo, pensò ingenuamente che nessuno al mondo avrebbe potuto capire quanto dolore gratuito le stesse procurando quella situazione.
Fred non ci mise molto a intuire il suo disagio, così si strinse un po’ di più a lei e poggiò la testa sulla sua scapola, non prima però di avervi posato un bacio. «Hai dimenticato di accennare all’immancabile sbattimento trionfale di porta» commentò con leggerezza, sorridendo sul suo collo nell’esatto momento in cui ebbe udito la sua risata sincera e spontanea invadergli le orecchie. Si sollevò di poco e tornò a guardarla negli occhi, sfiorandole al contempo la guancia. «E va bene, bella mammina: se proprio insisti, lo diremo oggi.»
Fece incontrare le loro labbra in un bacio accogliente, lasciandosi sfuggire un lieve sospiro quando percepì le dita di Margaret intrecciarsi ai suoi capelli e poi aggrapparsi alle sue spalle; interruppe il bacio per spostarsi sul suo collo, tra quelle ciocche di capelli castani che ancora recavano il profumo della sera prima, guidando lentamente le mani dal suo seno fino ai fianchi per soffermarsi su questi ultimi, giocherellando con un sorrisino furbo con l’elastico del pigiama. Ancora una volta, desiderò che quei piacevoli gesti di intimità non terminassero mai, mentre la sua maglietta veniva sfilata via con gentilezza dalla stessa giovane donna la cui bocca, immediatamente dopo, prese a imprimere una scia di baci sul suo petto nudo.

Tuttavia, quel giorno Merlino sembrava non averlo preso molto in simpatia.
Pochi istanti dopo, difatti, George – più emozionato di un bambino di sei anni di fronte a una montagna di doni – spalancò energicamente la porta, non degnandosi minimamente di bussare. Come se ciò non fosse bastato, poi, il ragazzo indossava un cappello rosso da Babbo Natale e portava con sé diversi regali, ognuno dei quali era stato impacchettato in una carta di diverso colore.
Fred e Meg, spaventati, sobbalzarono e si separarono di scatto l’uno dall’altra.
«Buon Natale, piccioncini disgustosi! Non ho interrotto nulla di importante, giusto?» chiese l’intruso, andandosi a sedere con disinvoltura ai piedi del letto.
Fred recuperò parte del pigiama e si rituffò sotto le coperte, un tantino imbronciato. «Nulla di importante, già» mugugnò, poi, con il viso affondato nel cuscino.
«Oh, quasi mi dimenticavo del mio nipotino!» fece George con aria melodrammatica, prima di chinarsi sulla pancia dell’amica e bussarvi con delicatezza con l’indice. «Ehilà, siamo svegli qui dentro? È il tuo zietto preferito che parla: quello terribilmente bello e simpatico e che ti comprerà il Whisky Incendiario quando avrai sedici anni e tua madre ti minaccerà di staccarti la testa a schiaffi se toccherai un solo goccio di alcool.»
«Provaci e la staccherò anche a te» lo minacciò Margaret, ridendo insieme a lui.
Nonostante il disappunto di poco prima, anche Fred alla fine non ne poté fare a meno; poi, prese uno dei pacchi portati dal gemello e lo esaminò attentamente.
«Questo dovrebbe essere il mio regalo per Meg, o sbaglio?»
«Li ho portati tutti, genio» spiegò George con fare eloquente. «Sono o non sono il vostro Babbo Natale ufficiale?»
«Non mi pare che qualcuno ti abbia mai assegnato questo incarico» osservò Fred, d’altro canto, prima di porgere il regalo a Margaret con un sorriso. «Ma se proprio insisti... Buon Natale, Meg.»
La ragazza, quindi, strappò con cura la carta e poi contemplò per qualche istante il piatto cofanetto quadrangolare che aveva dinanzi a sé; quando lo aprì, rimase incantata alla vista di una bellissima e raffinata tiara d’argento e strass, che per poco non le ricadde sulle lenzuola per via dell’innegabile stupore. Così, alzò gli occhi stupefatti e commossi sul suo fidanzato e si portò una mano alla bocca, prima di abbracciarlo.
«Merlino, sono senza parole. È incantevole!»
«Ho pensato fosse giusto dare il via agli acquisti per il matrimonio: mancano solo sette mesi, no?» le spiegò Fred, compiaciuto del suo ottimo gusto. Lei sorrise, radiosa.
«Sei... Sei meraviglioso» sospirò con aria sognante, e lo baciò teneramente. Lui rispose e le passò una mano tra i capelli, prima che un colpo di tosse ben assestato rovinasse l’atmosfera.
«Non vorrei interrompervi, ma ci sarei anch’io. Non mi entusiasma l’idea di fare il terzo incomodo, sapete?» li interruppe, infatti, George – che eppure sghignazzava di sottecchi –, facendo notare la sua presenza. Li trovava teneri, ma indubbiamente passava i suoi giorni sperando che il periodo dell’insano rincitrullimento finisse presto e che entrambi tornassero quanto prima in sé.  
I due si separarono con molta calma e tornarono a guardare il ragazzo con fare innocente, poi Meg prese il suo regalo e lo porse a Fred, che rimase positivamente impressionato dal bell’orologio appena scartato. Si voltò a guardare la fidanzata, che si limitò a dare in un’alzata di spalle e a dire con semplicità: «Che i miei primi guadagni siano benedetti!»
Dopodiché, questa diede il suo regalo a George – che consisteva nel profumo che il ragazzo cercava da tempo – e lui le porse il suo, inspiegabilmente impaziente di scoprire che reazione avrebbe avuto.
Meg aprì il piccolo pacchetto e vi trovò una lunga collana in argento con un ciondolo molto decorato di forma sferica, incredibilmente bello.
«Sai, stavo passeggiando per le vie della Londra Babbana, qualche giorno fa, quando ho visto una ragazza incinta – molto carina, tra le altre cose, ma non mi sembrava esattamente il caso di provarci – che indossava una collana simile a questa» iniziò George, notando gli sguardi curiosi del fratello e dell’amica. «Volevo saperne di più, così sono entrato in una gioielleria e, guarda caso, la prima cosa che ho visto è stata proprio questa; ho chiesto delle informazioni a una commessa – anche lei estremamente carina, in effetti! Proprio una grande giornata, quella –, che mi ha spiegato un po’ quello che dovrebbe essere il funzionamento. Per quel che ricordo, quando cammini o ti muovi produce un suono che aiuta a far capire al bambino che sei sveglia, così potrà abituarsi ai tuoi ritmi e lasciarti un po’ in pace quando vorrai riposarti. Ho subito pensato a te: i tuoi vagabondaggi notturni per la casa non sono più un mistero per nessuno, figuriamoci cosa succederà quando inizierai a sentirlo muoversi» concluse, scrutando con interesse la ragazza.
Questa, difatti, sollevò gli occhi lucidi di emozione dal regalo e strinse intensamente la mano del giovane mago, per poi lasciarsi abbracciare. «È un pensiero dolcissimo e ti voglio un bene dell’anima, Georgie.»
«Te ne voglio anch’io, Zuccherino, e per te questo e altro. Insomma, non ne posso più di sentire i tuoi passi inquietanti per la cucina alle tre di notte, era necessario intervenire affinché questa situazione non si aggravasse ancora» scherzò George, accarezzandole i capelli e ricevendo un sorriso benevolo da parte del fratello.
Una volta che Margaret l’ebbe lasciato andare, questi lanciò il suo regalo a Fred, che non tardò a fare la stessa cosa. Scartarono contemporaneamente gli involucri colorati, scoprendo due camicie uguali fino all’ultimo bottone. Dopo i primi attimi di spiazzamento e incredulità, entrambi scoppiarono a ridere sonoramente, poi le indossarono sopra il pigiama ed esclamarono all’unisono: «Guarda, Meg: siamo identici!»
Lei, con la bocca immancabilmente spalancata, fece viaggiare lo sguardo dall’uno all’altro un paio di volte. «Per Godric, vi siete fatti lo stesso regalo! Non ci posso credere!» commentò, esasperata, rigettandosi sotto il piumone per non vedere altro; non ci volle molto, tuttavia, perché anche lei si lasciasse trasportare dalle loro risate divertite.

Passò un’ora prima che si Materializzassero direttamente nel giardino della Tana.
Margaret e Fred si guardarono, nervosi, e lasciarono che George li precedesse; questi bussò tre volte alla porta, impaziente che il profumino delizioso che si disperdeva dalla cucina lo investisse, mentre i passi concitati di Molly Weasley si facevano sempre più vicini per arrestarsi dopo pochi istanti.  
«Identificatevi!» ordinò la voce un po’ tremante della donna, al che i ragazzi si guardarono, per nulla straniti: dal ritorno di Lord Voldemort, il Ministero aveva adottato diverse misure di sicurezza, invitando ovviamente tutte le famiglie della comunità magica a fare altrettanto.
«Sono George, mamma, e ci sono anche Fred e Margaret» disse il ragazzo, che poté udire distintamente la madre sospirare di sollievo. Questa stava per aprire, ma le voci di Arthur Weasley e di Gloria Stevens riecheggiarono dalla stanza adiacente e la fecero sobbalzare.
«La domanda, Molly!» le ricordarono i due, a gran voce. Molly sbuffò sonoramente, così i tre giovani si scambiarono degli sguardi divertiti.
«Suvvia, sono loro!» si lamentò lei, ma il marito era irremovibile.
«Cosa ti assicura che non siano dei Mangiamorte?»
«Saprei riconoscere i miei figli anche a occhi chiusi!» replicò di nuovo la donna, quasi offesa, al che Arthur sollevò gli occhi al soffitto.
«È la procedura del Ministero, cara. Fa’ come ti dico, per piacere» la esortò nuovamente, allora, portando Molly a rassegnarsi e a tornare a rivolgersi ai tre che, infreddoliti, stavano ancora aspettando al di là della porta. Dunque, si schiarì la voce e porse loro la stessa identica domanda della volta precedente.
«Di che colore erano i maglioni che vi ho regalato lo scorso Natale?»
«Rosso e oro, naturalmente!» risposero tutti e tre all’unisono, ma quasi non avevano avuto il tempo di terminare la frase che la signora Weasley aveva immediatamente aperto la porta e si era fiondata sui suoi due figli, avvolgendoli in un abbraccio stritola costole e scoppiando a piangere subito dopo.
George le diede un paio di pacche sulle spalle per tranquillizzarla, bisbigliando ironicamente: «Auguri anche a te, mamma
Margaret, invece, sembrava sul punto di inondare l’intero ingresso di lacrime, ma Fred era certo si trattasse esclusivamente della super sensibilità prenatale della quale la sua fidanzata stava dando mostra fin troppo frequentemente in quegli ultimi mesi. Tuttavia, la futura suocera non sospettava di nulla, e di conseguenza non poté che interpretarla come una manifestazione della condivisione delle sue stesse preoccupazioni. Così, spinse via i figli e abbracciò anche lei.
«Oh, ragazzi, ero così preoccupata! Non vi si vede da tre settimane, le vostre lettere non potevano bastare a tranquillizzarmi» ammise Molly, fissandoli tutti con fare amorevole. I ragazzi le rivolsero tre sorrisi comprensivi e rassicuranti, ma prima ancora che uno di loro potesse aprire bocca lei li sospinse verso la sala da pranzo, dove gli altri chiacchieravano più o meno allegramente.

«Buon Natale a tutti!» disse Fred, gioviale, subito imitato dalla fidanzata e dal fratello.
Meg andò ad abbracciare Gloria, mentre Desmond le rivolse solo uno sguardo, allontanandosi immediatamente dopo.
La ragazza respirò a fondo, cercando di non dare a vedere come il nervosismo in realtà le stesse divorando le viscere. «Com’è andato il viaggio in Italia?» chiese, quindi, alla madre – che, insieme al marito, era tornata proprio due giorni prima da una vacanza – tentando di tenere in qualche modo la mente impegnata.
«Benissimo, tesoro mio: siamo stati anche a Roma, dalla zia. Ti salutano tutti – erano veramente dispiaciuti che tu non ci fossi – ed Abbie dice che le manchi da morire. Oh, quasi dimenticavo...» iniziò a raccontarle Gloria – notevolmente contrariata a causa della precedente reazione di Desmond –, prima di frugare nella borsa in cerca di una foto in particolare. «Ti manda questa» le disse, una volta che l’ebbe trovata, porgendogliela.
Margaret la prese e la osservò con una certa nostalgia: a salutarla dalla carta stampata c’era una bella ragazza sui diciotto anni, dai lineamenti delicati che definivano un viso a cuore gentilmente incorniciato da un caschetto di lisci ma spettinati capelli biondi; gli occhi grigi erano allungati, penetranti, e conferivano allo sguardo un’intensità che bene si sposava con la luce che il suo sorriso emetteva dalle labbra carnose leggermente schiuse. Più guardava quell’immagine, più non riusciva a pensare ad altro che a quanto sentisse la sua mancanza.
«Fred, è lei quella mia cugina di cui ti parlavo tempo fa, ti ricor-... Fred?» s’interruppe, una volta accortasi dell’improvvisa sparizione del suo fidanzato. Prese dunque a cercarlo con lo sguardo, ritrovandolo – ancora una volta – alle prese con Molly, che nella stanza accanto gli parlava in maniera molto animata di cose che lei non riusciva a sentire. Si voltò allora a guardare George, che a sua volta lanciava di sottecchi delle occhiate torve a un ignaro Desmond – alle prese con le frequenze radio –, e si chiese per quanto tempo ancora sarebbero stati costretti a vivere e ad assistere a quella spiacevole situazione, divenuta ormai terribilmente imbarazzante un po’ per tutti.
Provò allora a rompere quello scomodo silenzio, e per farlo approfittò soprattutto della presenza di Harry e Ron, che non vedeva da diverso tempo.
«Oh, Harry, a scuola come procede?»
«Piton sta cercando di aiutare Malfoy, che a sua volta complotta qualcosa. Interessante, vero?» rispose prontamente il ragazzo, al che Arthur – evidentemente esasperato – si batté una mano sulla fronte.
«Maggie, per favore, vuoi dirgli anche tu che questo non è possibile? È molto più plausibile che Piton stia solo fingendo di aiutare Malfoy per scoprire cos’abbia in mente.»
Margaret, che di certo avrebbe preferito non essere interpellata sulla questione, si maledisse per aver anche solo pensato di aprire bocca. «Be’... È plausibile, sì. Però non mi fiderei poi così ciecamente di lui, sai?»
«Ha visto?» fece allora Harry, riaccendendo una discussione più o meno pacata con Arthur Weasley che aveva per oggetto la sua nuova ossessione.
Meg – che, nel frattempo, continuava a maledirsi – decise quindi di portare avanti la sua missione suicida e di interpellare Ron, perso in non si sa quali pensieri.
«Ronnie! Tu, invece?» chiese, speranzosa di ricevere, almeno da parte sua, una qualche risposta incoraggiante.
Risposta incoraggiante che, naturalmente, non le venne servita.
«Va sempre peggio, miseriaccia!» esclamò il giovane, infatti, disperato per chissà quale assurdo motivo.
«Grande voglia di vivere, eh?!» commentò ironicamente George – che, sicuramente, doveva avere intuito il disagio della migliore amica e aveva deciso di correre in suo aiuto –, facendo sorridere i presenti.
«Sai bene che lamentarsi è l’attività preferita di nostro fratello» scherzò Ginny, meritandosi un batti cinque da parte di Fred, appena tornato in sala da pranzo. Ron, a quel punto, le rivolse uno sguardo più che minaccioso, ma lei non se ne curò affatto. «Maggie, hai qualcosa di diverso!» continuò, piuttosto, iniziando a squadrare attentamente l’amica da capo a piedi. Questa – com’era prevedibile – avvampò, e rimpianse amaramente il momento in cui aveva deciso di indossare quel vestito e non un enorme sacco totalmente avvolgente in cui sarebbe potuta sparire.
«Pff, sarà ingrassata!» intervenne George, ghignante, deciso a non lasciarsi sfuggire un’occasione tanto ghiotta per metterla dispettosamente in difficoltà. «Insomma, cosa ti aspettavi: mangia tanto quanto una donna incinta, era normale che prima o poi mettesse su qualche chilo!» aggiunse, infatti, lanciandole sguardi maliziosi che, se possibile, la fecero diventare ancora più rossa di quanto già non fosse.
«George, ti spacco la testa» bisbigliò, quindi, nella sua direzione, approfittando di quel momento di ilarità generale. Tuttavia, non poté evitare di incrociare le occhiate curiose e investigative della piccola di casa Weasley, il cui cervello costantemente al lavoro doveva aver iniziato a intuire qualcosa. Quest’ultima, quindi, si alzò e la prese sottobraccio, conducendola al piano superiore con la scusa di farle vedere quanto fosse diventata adorabile la sua Puffola Pigmea, Arnold, che aveva lasciato in camera sua.

Non passò molto prima che, dopo aver varcato la soglia della stanza, Ginny si adoperasse per farle vuotare il sacco.
«Cosa ci stai nascondendo?» le chiese, per l’appunto, squadrandola da capo a piedi.
Margaret si accomodò sul materasso e fece spallucce, fingendo con innocenza di non capire a che cosa l’amica si riferisse. «Niente, cosa dovrei nascondere?»
Ginny la guardò per qualche istante, torva, giacché era certa si trattasse di una bugia. «Margaret
«Ginevra
«Non costringermi a chiederlo a George, sai che il suo spirito da vecchia comare non vede l’ora di raccontarmi tutto.»
Margaret si fece scappare un sorriso, consapevole di aver già perso la battaglia, e sospirò con aria a tratti divertita. Sapeva che Ginny non avrebbe mollato fino a quando non avesse ottenuto ciò che desiderava, tanto valeva renderle tutto più semplice e porre subito fine a quello scambio di battute che altrimenti si sarebbe rivelato interminabile. «Sono quasi al quinto mese di gravidanza» confessò, allora, godendosi lo sguardo esterrefatto della futura cognata.
«Cosa?» domandò questa, infatti, alzando di un’ottava il tono di voce – con grande disappunto di Margaret, che immediatamente le fece cenno di non urlare – e preoccupandosi di prendere anch’essa posto sul letto: pochi altri secondi in piedi e probabilmente avrebbe perso l’equilibrio a causa dello shock. «Non ci credo! Santo Merlino, Fred che diventa padre è una cosa che non mi sarei aspettata di vedere nemmeno tra vent’anni!»
«Lo so, è stato abbastanza destabilizzante anche per noi, ma... abbiamo iniziato a farci l’abitudine, ormai.»
«Sì, ci credo, ma mio fratello è proprio un cretino: alla sua età avrebbe dovuto aver imparato a stare attento a queste cose» osservò Ginny, ancora incredula, mentre Margaret rideva genuinamente nel pensare a quanto in fondo avesse un po’ ragione. «Ma è maschio o femmina?»
«Un bel maschietto, e non sto qui a raccontarti il siparietto ridicolo messo in scena da Fred e George quando l’hanno saputo» rispose la Stevens, ridendo di nuovo alla vista delle sopracciglia inarcate dal disappunto della piccola Weasley.
«Sono così prevedibili» commentò, ma il suo sguardo si addolcì una volta che ebbe fatto caso alla morbida rotondità che si intravedeva appena tra le pieghe del vestito dell’amica. «Scommetto però che sarà adorabile, pieno di capelli rossi e di lentiggini. Un piccolo Fred coi fiocchi» aggiunse, accarezzandole la pancia e iniziando a percepire una certa eccitazione di fronte alla prospettiva di diventare zia: nonostante la notizia fosse del tutto inaspettata, pensò infatti che un nipote fosse quanto di migliore sarebbe potuto capitarle in un momento profondamente critico come quello.
Margaret le rivolse un sorriso intenerito, sebbene l’agitazione legata all’imminente comunicazione della gravidanza agli altri familiari non l’avesse lasciata un solo istante da quando aveva messo piede in quella casa. «Gli altri, invece? Raccontami qualche scoop, credo di essermi persa un bel po’ di cose.»
Ginny, naturalmente, non se lo fece ripetere due volte. «Ron sta con quell’oca giuliva di Lavanda Brown.»
«No! Non mi dire!» esclamò immediatamente l’altra, incredula, incurante del pericolo che qualche moscerino entrasse dalla sua bocca spalancata.
«Sì, e non chiedermi perché: non lo so e non lo voglio sapere. Sta di fatto che, anche se non lo ammetterà mai, Hermione è veramente gelosa e non passa un solo giorno senza che lei e Ron litighino per chissà quale stupidissima ragione.» 
«Ecco perché Hermione non è qui adesso» rifletté Meg, riuscendo finalmente a spiegarsi il motivo dell’assenza della riccia. «Per un istante ho creduto che non fosse venuta per evitare di incontrare George, ma sarebbe stato davvero ridicolo.»

Ginny stava per darle ragione, ma fu interrotta dal suono insistente delle nocche di una mano che bussavano alla porta della stanza.
Il suo sguardo truce non esitò a posarsi su Fred, che com’era prevedibile entrò in camera senza neanche aspettare che loro gli dessero il permesso.
«Non mi pare di averti dato il via libera, “Mr. Non so usare l’Incantesimo Contraccettivo”» non tardò a stuzzicarlo, rivolgendogli un ghigno malizioso che aveva tutte le intenzioni di beffarsi di lui.
Questi rimase di sasso, guardando con fare interdetto prima la sorella e poi la fidanzata – che, ovviamente, non ce l’aveva proprio fatta a trattenersi dal ridere. «Immagino tu gliel’abbia detto, eh?»
«È un’impicciona, lo sai. Non sa farsi i fattacci suoi» si giustificò l’interpellata, scherzosa, facendogli cenno di sedersi accanto a loro.
Lui le raggiunse, poi si rivolse alla sorella e la scrutò con fare stranamente incerto. «Cosa ne pensi?»
«Che la mamma ti ucciderà, perché sei un cretino» rispose lei in tutta sincerità, ma alla fine gli indirizzò un sorriso bonario e gli prese una mano, stringendola nella sua. «E penso anche che sarai il papà migliore del mondo. Un po’ cretino, ma indubbiamente il migliore.»
«Lo sapevo già, ma grazie» ribatté lui, sbruffone come suo solito, beccandosi uno scappellotto da parte di entrambe. Si massaggiò il collo, consapevole di esserselo meritato, e poi tornò a guardare la sua ragazza, che ancora lo scrutava con quell’aria divertita che difficilmente la abbandonava quando si trovava in sua presenza. «Sono venuto per dirti che sto accompagnando George al villaggio: ha appena scoperto che il giornalaio ha assunto una nuova ragazza e – a quanto si dice in giro – pare che sia molto carina. Vuole sondare personalmente il terreno.»
«Tipico di George» commentarono le due giovani streghe all’unisono, quasi esasperate, lasciandosi scappare degli sbuffi divertiti: non sarebbe cambiato mai.
«Be’, ha le sue ottime ragioni» commentò Fred, che subito si ricordò di un’altra piccola notizia della quale avrebbe subito dovuto mettere al corrente la sua fidanzata. «Seconda ragione per cui sono qui: mamma e papà hanno intenzione di obbligarci a invitare anche zia Muriel al matrimonio.»
Margaret sgranò gli occhi, sgomenta. «Per gli slip di Merlino, quella vecchia megera mi odia!» si lamentò con vigore, per poi accarezzarsi la pancia nell’avvertire un piccolo movimento al suo interno – con ogni probabilità, anch’esso di protesta.
Ginny, d’altro canto, non perse l’occasione di mettersi al centro della stanza e di imitare alla perfezione l’espressione facciale che la loro pro-zia assumeva ogniqualvolta qualcuno non le andasse a genio. Poi, puntò l’indice contro Margaret, dando mostra di una lampante quanto mai realistica aria di disapprovazione.
«“Quella ragazza non mi piace per niente! Ha la lingua troppo tagliente, gli occhi troppo verdi e il seno troppo piccolo!”» disse, riproponendo in maniera mirabile i modi di fare maligni della donna oggetto della loro momentanea ilarità, poi rise e si sedette di nuovo sul letto. «Ma quante volte l’avrà ripetuto? Un migliaio?» commentò, mentre il fratello e la futura cognata – così come lei – non riuscivano a smettere di ridere, memori delle gentili parole che la cara Muriel, senza mai risparmiarsi, da tempo immemore riservava a Margaret.


 
***


Durante il pranzo, per quanto ci provassero, Fred e Margaret non riuscivano a ignorare quella terribile sensazione ansiogena che aveva ormai preso possesso delle loro menti e che contribuiva a chiuder loro l’appetito. L’annuncio che avevano intenzione di fare era troppo importante, nonché pericoloso, e nulla aveva a che vedere con quello del fidanzamento o con quello del matrimonio, che paradossalmente avrebbero di gran lunga preferito ripetere piuttosto che trovarsi in quella delicata situazione. Sapevano entrambi, però, che era diventato impossibile pensare di celare ulteriormente ciò che tra pochissimo tempo sarebbe stato fin troppo evidente: una gravidanza non la si può certo nascondere.
Per un folle istante, Margaret pensò che, dopotutto, l’idea di Fred di sparire per quattro mesi e mezzo e poi tornare non era da considerarsi tanto cattiva. Non era più così sicura di volerlo fare proprio quel giorno: aveva paura di quella che sarebbe stata la reazione dei loro parenti, e in principal modo di quella di suo padre. La situazione era di poco migliorata, ma i due continuavano a rivolgersi la parola molto di rado, e spesso passavano intere settimane prima che avessero notizie l’uno dell’altra. L’unica intermediaria era Gloria, che tra l’altro non ne poteva più di quella situazione: continuava a ripetere sia all’uno che all’altra che avrebbero dovuto cercare di chiarirsi prima che rischiasse di essere davvero troppo tardi, prima che la Guerra prendesse definitivamente il sopravvento e potesse mettere a repentaglio la loro salute. L’incertezza e il dubbio nei riguardi del futuro regnavano sovrani, e ciò avrebbe dovuto spingere uno dei due a cercare un riavvicinamento, una riappacificazione; una cosa che, invece, non era ancora avvenuta. Entrambi erano certi di essere nel giusto, e quasi nulla avrebbe potuto smuoverli dalle loro convinzioni, esatte o sbagliate che fossero.
Adesso, però, la ragazza temeva che la notizia di quella gravidanza avrebbe deteriorato ancor di più il rapporto con Desmond – che, senza alcun dubbio, non avrebbe esitato a dar mostra di tutto il suo disappunto. Era anche convinta, tuttavia, che lei e Fred avrebbero affrontato a testa alta qualsiasi cosa la vita avesse deciso di riservar loro: erano stati due Grifondoro, e come tali dovevano essere coraggiosi e, soprattutto, dovevano assumersi le loro responsabilità.

Fu quando un improvviso silenzio cadde lungo l’intera tavola che qualcosa dentro di lei le disse che era proprio quello il momento giusto.
«Io e Fred aspettiamo un bambino» annunciò istintivamente, senza alcun preambolo, facendo di conseguenza affogare con la Burrobirra il suo inorridito ragazzo.
«Meg, accidenti, potevi almeno avvertirmi che l’avresti detto adesso!» fece questi, sgomento, per poi rendersi conto che tutti i presenti avevano smesso di mangiare e che alcuni di loro, come Desmond e Molly, avevano lasciato cadere le forchette sul piatto.
La giovane coppia stette lì ad aspettare una reazione da parte di uno qualsiasi dei membri delle rispettive famiglie, con sguardi pietrificati e al contempo carichi di aspettativa.
«Miseriaccia, diventerò zio! Grande!» esclamò Ron, fissando con fare felicemente stupito i futuri genitori. Stessa cosa fece Harry, indubbiamente contento di quella bella ma inaspettata notizia.
Fred e Meg sorrisero, riconoscenti, ma erano fermamente convinti che il peggio sarebbe presto arrivato.

In tal senso, la prima a rianimarsi fu proprio Molly, che palesemente incredula rivolse loro delle spaventose occhiate di fuoco.
«Siete pazzi! Fuori di testa! Incoscienti!» sbottò, fortemente tentata di prendere entrambi a schiaffi. «Prima il matrimonio, adesso questo! Pensavo foste più responsabili – soprattutto tu, Margaret! –, che a quasi diciannove anni aveste già imparato a usare la testa!»
Dalla parte opposta del tavolo, Gloria si portò le mani ai capelli e cercò di ragionare e trovare un senso a tutta quella vicenda, ma i risultati si rivelarono tragicamente scarsi. «Ma cosa... cosa vi siete messi in testa, voi due? Siete ancora giovani, troppo, e che cosa fate? Programmate una gravidanza?»
«Credi davvero che ci siamo messi a programmare una gravidanza? Ci credi davvero così stupidi? È successo, dannazione! Può capitare, non credete?» ribatté Meg, indignata, alzando il volume della voce e diventando rossa per l’agitazione.
«Stai calma, Meg, non ti fa bene. Lo capiamo, non siamo certo sciocchi, ma anche voi dovete anche provare a capire in che situazione ci troviamo noi adesso» si introdusse Arthur Weasley, straordinariamente tranquillo.
«In che situazione vi trovate? Avanti, papà, sono proprio curioso: insomma, non credevo che anche tu dovessi affrontare un parto tra pochi mesi!» commentò ironicamente Fred – che, se provava a rifletterci su, non riusciva a comprendere quale motivo ci fosse di reagire in quel modo: avevano quasi diciannove anni e c’era una Guerra alle porte, ne era consapevole, ma avevano anche deciso di sposarsi e avevano entrambi un buon lavoro. Quale crimine commettevano mettendo al mondo un figlio che sarebbero perfettamente stati in grado di mantenere?
«Ciò che vorremmo sapere è: come?» continuò Gloria, suscitando una breve risata sarcastica nel futuro genero.
«Sai, Gloria, credevo sapessi come si concepiscono i bambini!»
«Non fare l’idiota, non intendevo quello!»
«Io, invece, vorrei tanto capire di che cosa vi preoccupiate» il ragazzo provò a farli riflettere, straordinariamente pacato, guardandoli uno a uno. «È figlio nostro, mio e di Margaret, non vostro: noi cambieremo i pannolini, noi ci prenderemo cura di lui quando starà male, noi passeremo le notti insonni e cercheremo di calmare i pianti, non voi. Guadagniamo abbastanza bene, quel che basta per non farci mancare niente, quindi possiamo mantenerlo e coprire tutte le spese che verranno. È successo e non era certo nostra intenzione che accadesse, ma adesso sono felice che ci sia e non riuscirete a farmi dire il contrario.»
«Ma siete troppo giovani, troppo poco maturi per crescere un bambino!» ribatté di nuovo Molly, anche se ogni sua precedente certezza sull’argomento sembrava ormai sul punto di crollare.
«Ma avete dimenticato, voi due, come vi sentivate quando aspettavate dei bambini?» Meg si rivolse a sua madre e alla futura suocera, stanca che queste si rifiutassero di dar ascolto alle loro ragioni. «Quante paure e insicurezze vi affliggevano, ma anche quante emozioni avete provato? Parlate come se non ricordaste niente di tutto quello che avete passato, quando invece dovreste essere le prime persone disposte a sostenerci. Io non lo volevo, e Fred lo sa: avevo paura, e giuro che ne ho tantissima anche adesso, perché so che nessuno di noi è al sicuro e che tantomeno lo sarà un bambino indifeso che ha per genitori due traditori del proprio sangue. Il fatto che io sia terrorizzata, però, non implica che non saprò prendermi cura di lui! Lo sento mio, è una parte fondamentale della mia vita da ormai quasi cinque mesi, lo amo più di quanto ami me stessa e così sempre sarà. Quindi, vi prego, se proprio non riuscite ad accettare l’idea, potreste almeno mostrarci il vostro appoggio e provare a venirci incontro? Dobbiamo restare tutti uniti, no? O questo, adesso, non conta più niente?» concluse, fredda ma allo stesso tempo esasperata.
Sperò ardentemente che il suo discorso sortisse l’effetto desiderato – e così pareva, dati gli sguardi pensierosi e un po’ colpevoli dei presenti e l’improvviso silenzio che aveva avvolto l’intera stanza. Nonostante ciò, non poté non fare caso a come suo padre – che prima teneva il capo sprofondato tra le mani – avesse pian piano sollevato la testa per fissare a turno sia lei che Fred, che attendevano entrambi una sua reazione da quando quell’accesa discussione era iniziata.
Il ragazzo, un po’ in soggezione, spostò immediatamente lo sguardo e incrociò casualmente gli occhi inumiditi di sua madre, che – nonostante un pizzico di disappunto – sentiva crescere gradualmente dentro di sé l’istinto di raggiungere i due futuri genitori e di abbracciarli.
«Voi due... io non...» farfugliò Desmond, evidentemente il più sconvolto di tutti, non riuscendo a mettere ordine tra le sue idee. La moglie, spiazzata dalle parole della figlia, gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla, cercando di riportarlo alla realtà.
«Des, avanti...» sussurrò nella sua direzione, ma lui le scansò la mano con stizza e sgranò gli occhi.
«Piantala, Gloria! Come puoi anche soltanto pensare di difenderli? Si aspettano comprensione, da parte nostra, ma la mia non l’avranno di certo» disse con un pizzico di cattiveria, alzandosi e scostando con irruenza la sedia. Ignorando gli inviti della consorte, che lo pregava di riprendere posto a tavola, affrettò il passo e uscì, sbattendo con forza la porta d’ingresso.

Margaret non si mosse, né emise alcun suono: era troppo impegnata a combattere tra quell’impellente necessità di piangere che in quei mesi la accompagnava costantemente e una rabbia più che giustificabile che le bruciava al centro del petto. Si morse il labbro con forza, quasi fino a farsi male, mentre Fred scuoteva la testa e le sussurrava che non ne valeva la pena.
A quel punto, Molly mise da parte ogni remora e si avvicinò loro per abbracciarli e rassicurarli che tutto sarebbe andato per il meglio e che loro sarebbero stati sempre presenti, qualunque cosa fosse successa. Anche Gloria, infine, si unì all’abbraccio, poi puntò i suoi occhi in quelli della figlia e le asciugò le guance bagnate dal pianto. Le sorrise, benevola, e le baciò la fronte.
«Promettetemi soltanto che farete in modo che non mi chiami nonna fino a quando non avrò compiuto almeno cinquantacinque anni» scherzò, riuscendo nel suo intento di far ridere i due futuri genitori, adesso più rilassati.
«È maschio o femmina?» chiese Arthur, curioso, e diede una pacca sulla spalla al figlio, che si illuminò.
«Maschio!» rispose proprio quest’ultimo – sempre molto contento di sentirsi porre questa domanda –, mentre George tornava dal resto della famiglia con un paio di bottiglie di Whisky Incendiario, intenzionato a voler festeggiare la buona notizia e a premiare il fratello e l’amica per averla avuta vinta in quella piccola battaglia.
Molly congiunse con euforia le mani, entusiasta. «Devo avere un paio di scatoloni con diversi vestiti per maschietto, sono come nuovi. Magari potete dare un’occhiata e prendere quelli che vi piacciono di più, che ne pensate?»
«Sarebbe splendido, Molly» annuì Meg, tornata raggiante nonostante quel pizzico di dispiacere per suo padre che lei sapeva l’avrebbe tormentata per diverso tempo.
«Vado a prenderli immediatamente» annunciò con dolcezza la donna, sparendo su per le scale.
Fred e Margaret allora si guardarono, provati, ma convinti che se erano riusciti a uscirne vivi in quell’occasione nulla avrebbe davvero potuto fermarli. 

 
- Angolo dell'autrice

Desmond, che cattivone.
-Ma si può sapere perché diavolo devo fare la parte dello stronzo di turno?! Non mi si addice! Io sono bello, sono fascinoso, sono simpatico, sono meravigliosamente e schifosamente sexy, sono...- *la moglie inizia a prenderlo a calci nel sedere*
-Desmond, appena arriviamo a casa facciamo i conti!-
Vai, Gloria, vai! Così impara! *w*
Qui c’è tanto, ma tanto amore per tutti. Insomma, è Natale, e sono tutti più buoni. Tranne Des.
E Fred inizia ad avere fifa, povero caro.
-Ehi, ma non è vero! Sono solo... preoccupatoapprensivoansiosodov’èlamiabacchettadannazione!- *voce stridula*
-Fred... ce l’hai in mano.- *facepalm di Meg*
Ecco. Be’, dai, è giustificabile. Neanche diciannovenne, e già si trova ad avere una fidanzata, già di per sé isterica, incinta. Ed una guerra alle porte. A proposito di ciò, ho pensato di inserire degli elementi, dei pensieri che contestualizzassero maggiormente la storia nel periodo in cui è ambientata. L’ho fatto poco fino ad ora, quindi ho pensato di rimediare adesso. Insomma, già il fatto che Molly chieda loro di identificarsi la dice lunga. Nei capitoli ancora più successivi ci saranno riferimenti alla Guerra decisamente più frequenti, diciamo che per ora mi sto incentrando di più sul “fattore tanto amore”. D:
Bene, avete visto le reazioni dei parenti, che, anche se sconvolti, si sono rassegnati (Des è sempre un caso a parte), ed avete anche capito che Muriel detesta Meg. Prima o poi, la farò apparire, ve lo prometto.
Il titolo è di Peter Willforth. Carino, vero? Ce li vedevo bene, Fred e Meg, nei panni del tacchino.
La canzone, invece, è All I Want For Christmas is You, di Mariah Carey. Ma io preferisco la versione di Michael Bublé (<3).
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite, preferite e ricordate, e soprattutto JeckyCobain, che ha recensito il capitolo precedente.
Fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Un abbraccio,
Jules

Ah, a che ci siamo vi preparo psicologicamente (?). Mentre, con i Beatles in sottofondo, rileggevo i prossimi capitoli e pensavo a quelli che dovrò scrivere successivamente, mi sono partiti dei flash mentali abbastanza insani, preoccupanti ed assurdi. Quindi, a partire dal prossimo aggiornamento (sabato 18 maggio), al termine di qualche capitolo potreste incontrare una piccola sezione (come quella delle curiosità, per intenderci) destinata ad esplicarvi il frutto dei miei problemi psichici. È una cosa da teste di cazzo, lo so, ma queste allucinazioni le trovo meravigliose, non posso non “mostrarvele”. <3


- Curiosità

Forse dovevo pensarci prima, ma meglio tardi che mai. Tutte le famiglie Purosangue sono in un certo qual modo imparentate tra di loro, no? Quindi mi sembra il caso di fare un po’ di chiarezza sulla linea di discendenza degli Stevens (Desmond) e dei Wilson (Gloria).
Margaret è qualcosa come cugina di quarto o quinto grado di Fred, George e tutti gli altri fratelli Weasley. Per parte di suo padre, infatti, è imparentata sia con i Weasley che con i Prewett: sua nonna Julia è cugina di Arthur Weasley, mentre suo nonno Dawson è cugino di Molly.
Per parte della famiglia materna (i Wilson, quindi), è imparentata con i Black. Vittoria, infatti, dovrebbe essere cugina di Walburga (ve la ricordate, no?) e Cygnus Black, quindi Gloria è cugina di terzo grado di Sirius e Regulus, ma anche di Bellatrix, Andromeda e Narcissa.



Ultima revisione: 23.08.2016

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Capitolo 8
*** La vita è un male, ma l’amore e l’amicizia sono dei potenti anestetici ***


Capitolo 8


 

La vita è un male,
ma l’amore e l’amicizia sono dei potenti anestetici
 

There's sunshine trapped in our hearts
It could rise again
But I'm lost, and crushed, and cold, and confused
With no guiding light left inside
 

Margaret si trovava al lavoro, quella mattina di metà gennaio, ma la sua scrivania e il pavimento circostante somigliavano più a un deposito merci che a un ufficio: ovunque la giovane donna posasse gli occhi, il suo campo visivo era irrimediabilmente invaso da un numero spropositato di pacchi e scatoloni dei quali, fino a poche ore prima, non c’era la minima traccia.
La ragazza si guardò attorno per la millesima volta, maledicendo mentalmente i suoi parenti, quelli di Fred e persino quest’ultimo, perché era proprio a causa sua se da cinque mesi e mezzo soffriva di attacchi di isterismo improvvisi e di insofferenza acuta verso ogni singolo esemplare di essere umano – non che solitamente andasse tanto meglio, ma provava un certo piacere nel convincersi del contrario.
«Resistiamo, piccolo: prima o poi la smetteranno» sussurrò, rassegnata, mentre si accarezzava dolcemente la pancia sempre più evidente.
La sua attenzione, però, ben presto tornò a focalizzarsi su tutte quelle scatole ancora perfettamente imballate, la maggior parte delle quali aveva come mittenti le sue due nonne. Da quando erano venute a conoscenza della gravidanza, infatti, queste erano completamente uscite fuori di testa e si erano sbizzarrite nel ricamare coperte, berretti, sciarpe, capi di abbigliamento e chi più ne ha, più ne metta – ciò, ovviamente, con grande disappunto della futura mamma, che aveva più volte ripetuto con ardore alle due anziane signore che “Tutto ciò porta sfortuna, nel nome di Morgana!”, non riuscendo, tuttavia, a demolire il loro entusiasmo.
D’altra parte, anche sua madre e Molly in quegli ultimi giorni avevano iniziato a dar mostra di una galoppante eccitazione per quella gravidanza: entrambe, un giorno sì e uno no, avevano preso l’abitudine di precipitarsi a casa dei ragazzi, rigorosamente e immancabilmente insieme, portando con loro pietanze sempre diverse, dalla torta di melassa ai biscotti allo zenzero, passando per i bignè alla crema, le cheesecake, i pasticci di carne e tanto, tanto altro ancora. Le due donne, difatti, sostenevano che la povera Margaret fosse fin troppo magra, ignorando in tutta tranquillità le lamentele della ragazza che, esasperata, ricordava loro continuamente e invano di aver messo su quasi sei chili. Dunque, la giovane Stevens era letteralmente costretta da quelle temibili matrone a ingozzarsi di qualsiasi cosa queste le proponessero, anche se a lungo andare si rese conto che la cosa non le dispiaceva più di tanto. Inoltre, aveva anche la benedizione del suo fidanzato, che riteneva stesse meglio adesso rispetto a prima.
Quello stesso fidanzato che, insieme al fratello gemello, restava cortesemente in disparte a ridere e a beffarsi delle sue disgrazie, identificabili con l’immagine delle due donne sopracitate.
Adesso che ci rifletteva, la ragazza pregò il cielo che quel giorno non arrivasse nessuno a disturbare la loro quiete: si era proprio svegliata con il piede sbagliato, non le sembrava il caso di riversare il suo nervosismo su altra gente; Fred era più che sufficiente. Era sicura che il suo futuro marito non avrebbe mai e poi mai dimenticato il momento in cui lei, quella stessa mattina, gli aveva lanciato una scarpa addosso e l’aveva colpito in piena faccia, e un po’ la cosa la compiaceva: almeno, si disse, avrebbe imparato ad avere più a cuore il suo spirito di autoconservazione, evitando di punzecchiarla anche alle sette del mattino.

Di lì a pochi minuti, una ragazza della stessa età di Margaret aprì la porta dell’ufficio ed entrò, rimanendo ovviamente impressionata dalla quantità di roba che la collega aveva ricevuto per posta.
«Wow! Hai fatto compere?» le chiese con ironia, porgendole una delle due tazze di tè che aveva con sé.
«Non una parola, Cassie!» rispose Meg, affondando il viso nella sua tazza con fare contrariato. «Mi vengono a trovare ogni santo giorno, perché non me li portano a casa? Sono stata distratta per tutto il tempo, è un miracolo che abbia finito con così largo anticipo.»
«Dai, Maggie, rilassati. Sono solo emozionati e questo è il loro modo di dimostrarlo, devi cercare di capirli» osservò amabilmente Cassandra, che provava sempre a vedere il lato positivo delle cose.
Portava i capelli molto lunghi, castani come i suoi occhi, e un sorriso perennemente pronto ad accompagnare il suo costante buonumore. Era uscita un paio di volte con George, presentatole ovviamente dalla collega, e dai pochi momenti trascorsi insieme entrambi avevano avuto l’impressione che potesse anche valerne la pena. Peccato, però, che il ragazzo fosse stato così poco attento da farsi beccare con un’altra, scatenando l’ira funesta della cognata – che, in quell’occasione, sarebbe stata capace di scatenare una qualche catastrofe ambientale.

Meg diede in un’alzata di spalle, poi si appoggiò allo schienale della sedia e guardò fuori dalla finestra, contemplando i leggeri fiocchi di neve che senza sosta cadevano dalla notte precedente.
Prima ancora di potersi definire anche solo lontanamente rilassata, qualcuno bussò alla porta e apparve subito dopo sull’uscio portando con sé un enorme mazzo di rose bianche.
«Meg, sono arrivati questi per te, li hanno portati per sbaglio nell’ufficio mio e di Steven. Devono aver confuso il tuo cognome con il suo nome, poveri idioti» spiegò la voce di un giovane ragazzo, Frank, da dietro la montagna di fiori.
A Cassandra andò di traverso il tè e Meg sbarrò gli occhi, alzandosi per prendere le rose e leggere il bigliettino.
«“Quella scarpa in faccia, stamattina, non me la meritavo, ma poteva andarmi peggio: conoscendoti, poteva essere chiodata. Quindi, ti ringrazio per la tua immensa gentilezza. Firmato: un offesissimo Fred che si chiede per quale ragione ti abbia comprato tutte queste rose”. Ecco perché lo amo!» commentò la ragazza, prima di fiondarsi nuovamente sulla sedia e guardare i due colleghi con aria sognante.
«Cos’è che gli hai tirato?» domandò Frank, divertito, prendendo una delle sedie libere.
Cassandra si affogò nuovamente con il tè, non riuscendo a trattenersi dal ridere. «Una ciabatta, in pieno viso, e solo perché le ha detto che appena sveglia sembrava la reincarnazione diabolica di Merlino!» spiegò, lanciando un’occhiata a Meg, che s’incupì di nuovo.
Frank, dal canto suo, cercò di frenarsi dall’impulso di imitare Cassandra, così iniziò a guardarsi intorno con finta disinvoltura. «Ma ancora non li hai aperti?» chiese, allora, indicando gli scatoloni che ancora giacevano per terra.
«Avevo intenzione di scaricare questo onore al mio carissimo fidanzato, ma credo di averlo punito abbastanza. Tanto abbiamo finito, no? E potremo andarcene solo tra mezz’ora. Frank, come sei messo?» fece Margaret, spostando lo sguardo su entrambi i suoi colleghi.
Frank lanciò un’occhiata pregna di infatuazione a Cassandra, che non se ne accorse, e ovviamente non perse tempo a ribadire la sua volontà di stare un po’ in compagnia della giovane strega.
«Mai stato più disponibile!» rispose infatti il ragazzo, che si era già mobilitato per prendere il pacco più vicino all’oggetto dei suoi desideri.
Meg, per evitare di ricoprire il ruolo dell’indelicata e di ridere in faccia ai colleghi, voltò lo sguardo altrove, pensando tuttavia che sarebbe stato fin troppo divertente fare qualche battutina su una loro possibile unione.
«“Cerca di trovare del tempo libero per la tua cara nonna: credo che non possiamo più rimandare la scelta del mobilio per la tua futura casa. Nel frattempo, spero che queste sciocchezze non ti dispiacciano! Con affetto, nonna Julia”. Ehi, qui dentro ci sarà una decina di lenzuola ricamate a mano» annunciò Frank, studiando incuriosito il contenuto della scatola.
«Perfetto, si andranno a sommare a quelle che ci hanno regalato Molly e Arthur per Natale. Ah, in effetti mancavano solo le tovaglie da tavola di mia nonna Vittoria» commentò Meg dopo che ebbe aperto l’enorme busta che le era stata mandata dalla nonna materna.
«“Dalle tue nonne Julia e Vittoria. Nella speranza che possano tornarti utili per affrontare al meglio la gravidanza.” Oh, guarda qui! Dei libri! Diventare mamma deve essere così bello, santo Merlino» commentò Cassandra, sognante, sfogliando avidamente le pagine di quei volumi.
«Cassie, Frank è single, perché non ci fai un pensierino?» fece Meg, lasciandosi vincere dalla tentazione. La coetanea arrossì violentemente e guardò da un’altra parte, posando immediatamente i libri al loro posto, mentre il ragazzo era diventato così bianco da sembrare sul punto di svenire.
«Tua madre ti manda dei vestiti premaman» comunicò questi, improvvisamente atono, aprendo una nuova busta.
«Molly, invece, le tutine che avevi scelto questo Natale, dice che le ha rese come nuove.»
«Le nonne, di nuovo, cappellini e guanti per neonato.»
«Ancora?» domandò Margaret, incredula. «Nascerà a maggio e glieli farò mettere tra un anno, non posso già averne una trentina!»
«Aspetta, senti qua» la ignorò Cassandra, fissando con tanto d’occhi un nuovo bigliettino. «“Ciao tesoro, sono tuo cugino Dorian. Spero che la gravidanza proceda bene e che vada tutto per il meglio. Non so quali siano i vostri gusti, quindi ti ho allegato un buono da centocinquanta galeoni da spendere da Mondo Bimbo & Magia, a Diagon Alley. Hanno tutto ciò che serve a un neonato, vacci quando vuoi e prendi quello di cui avete bisogno. Ti mando un forte abbraccio, spero di rivederti presto. PS. Ti salutano mamma e papà, stanno ancora pensando a cosa comprarti!”. Centocinquanta galeoni? Me lo presenti questo tuo cugino?» chiese Cassandra, ironica, facendo rabbuiare Frank.
«Se non ci fosse, dovrebbero inventarlo» commentò l’altra, al tempo stesso dandosi da fare per sistemare i pacchi già aperti.

Fortunatamente per i tre colleghi, le scatole andavano man mano diminuendo, e quella mezz’ora passò più velocemente di quanto si aspettassero. Cassandra e Frank aiutarono Margaret a far Evanescere tutti quegli scatoloni, destinati a riapparire nell’appartamento situato sopra ai Tiri Vispi, dopodiché la ragazza si congedò e, una volta raggiunta l’uscita del Ministero, si Smaterializzò.
Arrivata a casa, la prima persona che vide fu proprio Fred, intento a curiosare tra i numerosi pacchi letteralmente apparsi sotto i suoi occhi giusto qualche minuto prima.
«Cosa sono?» le chiese, sentendola richiudere la porta di ingresso.
Margaret posò il suo mantello blu pervinca sull’attaccapanni e la borsa sul divano, prima di rispondergli. «Cose per il bambino e per la casa, le mie nonne hanno avuto la brillante idea di recapitarmele direttamente in ufficio.»
«Non solo loro, a quanto pare» osservò lui, ancora impegnato a leggere la miriade di bigliettini allegati.
Lei gli si avvicinò e gli strinse affettuosamente un braccio, portandolo a ricambiare il suo sguardo colpevole. «Stamattina ho un po’ esagerato, lo ammetto.»
«Wow, facciamo progressi» commentò Fred, fingendosi colpito. «Adesso hai imparato a chiedere scusa senza che nessuno ti preghi di farlo, è ammirevole.»
«Smettila, o mi costringerai a ritirare tutto» lo ammonì la giovane strega, bonaria, puntandogli un dito contro. Lui sorrise, divertito, e dopo averle dato un bacio sulle labbra le fece cenno di mettersi comoda.
«Oggi cucino io, tu riposati.»
«Vuoi forse avvelenarmi?» domandò Margaret, impostandosi addosso una finta espressione preoccupata mentre si portava entrambe le mani alla bocca.
Prima ancora che Fred potesse ribattere, George uscì dal bagno e fissò entrambi con fare incuriosito. «Chi vuole avvelenare chi?»
«La tua amica mette in dubbio le mie doti culinarie» si lamentò il gemello, indicando con un mestolo la ragazza, che naturalmente non tardò a riservargli una linguaccia.
«Non solo lei» precisò l’altro, scrutandolo con circospezione. «Ed è il motivo per cui credo che accetterò la proposta di quella simpaticissima ed estremamente deliziosa cliente che stamattina mi ha chiesto di andare a pranzo insieme. Quindi, con permesso...» continuò, facendo un breve inchino, per poi prendere il cappotto e la sciarpa e uscire dall’appartamento.
Quando la porta si fu richiusa, gli altri due si scambiarono degli sguardi divertiti e, senza una precisa ragione, iniziarono a ridere, quando all’improvviso Margaret ebbe un leggero sussulto. Ancora sorridente, invitò il ragazzo ad avvicinarsi e, una volta che questi fu di fronte a lei, gli prese la mano e la posò sulla sua pancia.
«Senti?» gli domandò con particolare dolcezza, ma gli occhi sgranati di lui e il repentino mutamento di espressione valsero da sé come risposte.
«Scalcia tantissimo, accidenti» constatò, infatti, non smettendo però di accarezzarla. Era tutto così strano, per lui, ma al tempo stesso enormemente affascinante.
Meg gli sorrise teneramente e gli sfiorò i capelli, mentre con l’altra mano andava a stringergli la sua. «Riconosce le nostre voci.»
«Quindi non pensi sia troppo presto per una chiacchierata padre-figlio?» chiese Fred, allora, in un tono scherzosamente pensieroso.
«Meglio favorire fin da subito il dialogo intergenerazionale» rispose lei, incredibilmente seria, stando al gioco, ma presto le toccò sollevare entrambe le sopracciglia in un’espressione eloquente. «Anche se, devo dirtelo, non mi è possibile lasciarvi soli e togliere il disturbo, quindi dovrai rassegnarti ad avermi tra i piedi.»
«Me ne farò una ragione, mia cara rompipluffe. L’importante è che tu non ci interrompa» le disse allora il ragazzo, destinandole un sorriso sornione mentre abbassava la testa per portarla all’altezza del pancione, prima di chiudere gli occhi e bearsi per qualche istante di quelle delicate carezze tra i capelli. Poco dopo, si schiarì la voce e tornò a sorridere: trovava che ciò che stava per fare fosse un tantino assurdo, ma al tempo stesso aveva l’impressione che si trattasse di una delle cose più naturali, spontanee e giuste che gli fosse mai capitato di sperimentare. «Ehm, da dove comincio?»
«Magari potresti salutarlo» suggerì la giovane strega, beccandosi un’occhiataccia – stavolta vera – da parte del futuro marito.
«Era una domanda retorica, non ti pare?» chiarì questi, al che lei sollevò entrambe le braccia in segno di resa – ma anche gli occhi al soffitto – e gli fece cenno di continuare. «Vediamo di finire questo discorso prima che tua madre decida di mettersi in mezzo un’altra volta. Va bene, piccolo Weasley?»
«Ehi, vedi che sono ancora qui.»
«Non la trovi fastidiosa, a volte? Poi tu devi sopportarla tutto il giorno e anche la notte, penso sia un’ingiustizia. Comunque, sicuramente già lo sai, ma chi parla da queste parti è proprio papà – il migliore che ti potesse capitare, tra l’altro! Mancano... tre mesi e mezzo o giù di lì, no? È pochissimo tempo che per noi sembra infinito, ma sarà perché davvero non vediamo l’ora di conoscerti e scoprire se somigli di più a quella cattivona della mamma o al tuo simpaticissimo e fantastico genitore preferito, che sarei io» rise, cosciente di essersi meritato l’affettuoso scappellotto che Margaret gli aveva appena rifilato, ma subito tornò un po’ più serio e gentilmente le infilò una mano sotto il maglione, volendo percepire più direttamente il contatto con quella pancia che lo separava da suo figlio. «Sai, la situazione non è semplice: c’è una guerra, qui fuori, e la mamma ultimamente ha una fifa vergognosa – però non dirle che te l’ho detto, che altrimenti mi lancia addosso anche l’altra ciabatta! Sì, la vedi sempre forte e coraggiosa, ma in fondo un po’ di paura ce l’ha anche lei: teme che ci possa succedere qualcosa, e così anch’io. Voglio però che tu abbia ben chiaro fin da adesso che ti amiamo, che sarà sempre così, e che faremo qualsiasi cosa per tenerti al sicuro e per renderti felice» concluse, posando un bacio vicino l’ombelico, ma fu solo quando tornò ad alzare lo sguardo sulla fidanzata che notò come questa stesse silenziosamente piangendo. Così, non esitò e la strinse a sé, permettendole di lasciare che quelle lacrime di commozione ma anche di preoccupazione trovassero una via di uscita.
«Andrà tutto bene» le sussurrò, liberandola, salvo poi prenderle il viso tra le mani e scostarle qualche ciocca di capelli bagnata dal pianto. «Sii obiettiva: chi mai vorrebbe fare del male a uno splendore come me, o come te? Sarebbe un crimine nei confronti dell’umanità!»
Di fronte a quel tentativo di farle tornare il buonumore, Margaret non poté fare altro che ridere e dispiegare un bel sorriso luminoso sul suo volto. «Hai ragione» sussurrò, e gli stampò un bacio sulle labbra. «Ce la faremo.»
«Insieme» confermò Fred, e quelle parole non gli erano mai parse così vere come in quel momento.
 

***
 

Erano quasi le undici e mezzo di sera. Margaret era a letto, con la schiena poggiata contro il cuscino, sotto un pesante piumone la cui presenza era resa indispensabile dalla fredda temperatura invernale. Quel pomeriggio era andata a far visita alle sue nonne, non mancando di ringraziarle delle centinaia di regali che le avevano mandato quella stessa mattina, e non aveva certo dimenticato di ricordar loro che non c’era assoluto bisogno che si disturbassero ancora. Parole al vento, naturalmente, in quanto le due signore si erano già messe all’opera per realizzare chissà quale altra diavoleria.

Mentre lei rifletteva sull’inutilità delle sue suppliche, Fred uscì dal bagno ed entrò in camera. Si chiuse la porta alle spalle e si tuffò sul letto, poi raggiunse la fidanzata sotto le coperte e, avvicinandosi a lei, le prese dalle mani il libro che stava leggendo e lo scaraventò di lato.
«Ehi!» si lamentò la ragazza, seccata, ma lui parve non curarsene. Piuttosto, posò la testa sulla sua spalla e, puntando tutto sul classico sguardo da cucciolo bastonato, riuscì persino a convincerla a farsi accarezzare i capelli. Poco dopo, però, le sfiorò la pancia e si fece pensieroso.
«È da settimane che me lo chiedo, ormai: come vogliamo chiamarlo?» esordì, allora, in risposta alla sua espressione interrogativa, e dal suo cenno d’assenso poté notare con un certo piacere che anche lei doveva averci riflettuto su.
«Ci ho pensato anch’io, a dire il vero, ma siamo stati così impegnati che l’ho tolto dalla mente. C’è qualche nome che ti piace?»
«Ehm... non proprio. Ho qualche nome, questo sì, ma nessuno mi convince: Thomas, ad esempio, oppure... oppure Gabriel.»
Margaret storse il naso, per nulla entusiasta. «No, non mi piacciono neanche un po’» ammise, e anche Fred sembrava abbastanza d’accordo.
«Già, niente di ché. Dennis?» tentò questi, ancora, ma stavolta andò anche peggio di prima, dal momento che la giovane prese a fissarlo con tanto d’occhi, basita.
«Il mio gatto si chiamava Dennis, Fred!»
«Ooh, il piccolo, dolce Dennis! Quel gatto infernale mi odiava» ricordò quindi lui con estremo risentimento, e Meg non riuscì più a evitare di ridere.
«Non dirmi che ce l’hai con un gatto!»
«Un gatto che mi odiava, per la precisione: ho tutto il diritto di ricordarlo con rancore!» si giustificò il ragazzo, al che lei si finse esasperata e si portò una mano alla fronte, scuotendo la testa: di quel passo, si chiese se quel bambino sarebbe mai riuscito ad avere un nome decente. Decise dunque di provare a proporre qualcosa lei stessa, e non poteva negare di aver già fatto un’accurata e lungimirante selezione diverso tempo addietro.
«A me piace molto Alexander, che tra l’altro è il nome che i miei mi avrebbero dato se fossi stata maschio, o anche James o Richard.»
«Alexander?» ripeté lui, incuriosito. Meg annuì rapidamente.
«Ti piace?»
«Sì... decisamente sì. Ho come il presentimento che sia quello giusto.»
«Sono d’accordo. Insomma, in tre mesi e mezzo potremo anche cambiare idea, ma come prima proposta direi che se sei d’accordo ci siamo.»
«Mai stato più d’accordo di così» la rassicurò, indirizzandole una strizzata d’occhio. «Dobbiamo anche scegliere il secondo nome, ma credo che quello sia quasi scontato.»
«Certo che “Alexander George Weasley” suona dannatamente bene, non trovi?» osservò Margaret con complicità, cogliendo il suo riferimento, prima di lasciarsi andare in una piccola risata divertita. «Credo che tuo fratello rischierà un infarto quando gli diremo che sarà il padrino del bambino. Insomma, quando gli ho detto che sarebbe stato il mio testimone si è addirittura commosso, ricordi?»
Fred annuì e, quando smise di ridere, sul suo viso comparve un dispettoso ghigno beffardo. «E chi se lo dimentica?» commentò, prima di rendersi conto di doverle dire dell’altro. «A proposito! Ho scelto i miei testimoni, sai?»
«Chi?» domandò subito lei, incredibilmente curiosa.
«Ginny e Lee!» annunciò il ragazzo, godendosi la sua espressione entusiasticamente sorpresa. «A mia sorella non l’ho ancora detto, ma già posso immaginare quale sarà la sua reazione. Poi, dato che tu ti sei brutalmente appropriata di George, avevo intenzione di scegliere Charlie, quando poi mi sono ricordato che sarà il testimone di Bill – quanto a lui, sarà troppo impegnato nel preparare il suo matrimonio, quindi non mi sembrava il caso di scomodarlo. Così, mi sono detto: ehi, ma c’è Lee! Insomma, è un caro amico e va molto d’accordo anche con te, dunque perché no?»
«Sono contenta che tu abbia fatto questa scelta, credimi: Lee è adorabile, e Ginny... Merlino, non voglio immaginare cosa farà quando glielo dirai» approvò Meg, innegabilmente felice, e le venne da ridere al pensiero di una Ginny tanto euforica da poter persino risultare distruttiva.
Fred sorrise e le si strinse un po’ di più, beandosi del piacevole tepore emanato dalle lenzuola e dalla vicinanza al corpo della ragazza. «Piuttosto, chi sarà la dolce donzella che farà compagnia al mio caro gemellino?» le chiese, estinguendo la parte finale della frase in uno sbadiglio.
Margaret, dal canto suo, trattenne una risatina: in quel caso, la parola “dolce” era davvero poco appropriata. «Mia cugina Abigail, che domani compie diciotto anni di adorabile stronzaggine compulsiva» annunciò, avendo ancora bene impressi nella mente i modi affatto docili della giovane. Tuttavia, viaggiando tra i ricordi, non riuscì a evitare che un briciolo di nostalgia le annodasse lo stomaco: sua cugina le mancava terribilmente, e per giorni non aveva fatto altro che pensare a quanto sarebbe stato bello e confortante averla lì con lei, pronta come una volta a tenderle una mano qualora si fosse reso anche solo minimamente necessario.
Fred aveva chiuso gli occhi, ma era ancora sveglio: non fu molto difficile, per lui, fiutare qualcosa nell’aria.
«So a cosa stai pensando, Maggie, e ti dico che per quanto mi riguarda va benissimo. Anzi, può restare anche dopo il matrimonio, se vorrà» si premurò di rassicurarla, e la prontezza con cui lo fece la lasciò stupita e la portò a sgranare un po’ gli occhi.
«Mi stai dicendo di chiederle di trasferirsi da noi? Sul serio?» cercò quindi ulteriore conferma a ciò che pensava di aver sentito, incredula. Così, Fred aprì un occhio e la fissò con perplessità.
«Stevens, da quando mi chiedi il permesso? Tu non eri quella che prima prendeva le decisioni, le attuava e poi me le veniva a comunicare a fatto compiuto? Che fine ha fatto la vera te?» domandò, stordito di fronte ai modi molto cordiali e per nulla inopportuni della sua fidanzata.
Questa scosse la testa, come riprendendosi solo in quel momento da un lungo torpore. «Questa gravidanza mi sta rammollendo, inizio a disgustarmi: tutta questa sensibilità non mi si addice per niente» si lamentò, poi gli scoccò un bacio sulle labbra e si sistemò meglio sotto le coperte.
Fred sorrise, divertito, così le depositò un bacio tra capelli, le diede la buonanotte e tentò di addormentarsi. Lei, invece, rimase sveglia un altro po’, pensando alle parole giuste da inserire nella lettera che il giorno seguente avrebbe scritto a sua cugina. Provò un moto di gratitudine nei confronti del suo fidanzato, che per l’ennesima volta le confermava che non avrebbe potuto desiderare di meglio al mondo, e strinse un po’ più forte la mano nella sua. Lui ricambiò la presa con tanta intensità che sembrava che da quel gesto dipendesse tutta la sua esistenza.
«Non lasciarmi.»
«Mai, Meg. Sono qui.»  

Finalmente rilassata, Margaret chiuse gli occhi.
Era da quasi un anno e mezzo che la vita le stava rivolgendo il migliore tra i suoi sorrisi.
 

***
 

Abigail Thompson era stufa di dover lavorare in quel posto: lei era una strega coi fiocchi, aveva sangue Wilson nelle vene, e si trovava lì solo perché sua madre aveva deciso di punirla. Più ci provava, più non riusciva a capire cosa ci fosse stato di sbagliato nel Trasfigurare in un porcospino quell’idiota del suo vicino di casa – ormai diventato fin troppo abile, per i suoi gusti, nello stuzzicarla ogniqualvolta la incontrasse. Evidentemente, e nonostante le validissime ragioni che non aveva tardato a esporre per motivare le sue azioni, Regina Wilson non era stata dello stesso avviso e aveva solennemente decretato che quel comportamento meritava di essere punito con sei mesi di lavori Babbani.
«Andrew e John non hanno mai fatto una cosa del genere!», le aveva urlato la donna dall’alto del suo disappunto, ignorando che forse la possibilità di distinguersi dai suoi fratelli – seppur negativamente – per lei fosse una cosa positiva. Non aveva mai provato tanta insofferenza nei loro confronti come in quelle ultime settimane, durante le quali non aveva fatto altro che sperare in un’occasione per andare via da lì, altrove, preferibilmente molto lontano. Voleva indubbiamente bene alla sua famiglia, ma a partire dall’inizio della Guerra tutto per lei era divenuto più opprimente: la madre continuava, imperterrita, a riversare su di lei tutte le sue ansie e le paure, mentre i suoi fratelli – che vivevano ormai per conto loro – non mancavano di far sentire la loro fastidiosissima opinione su ogni cosa. Abigail pensava che, se ci fosse stato ancora suo padre, tutto sarebbe stato diverso: lui l’avrebbe capita, avrebbe compreso il suo desiderio di tornare a casa, in Inghilterra, ed era certa che l’avrebbe aiutata a esaudirlo; ma sua madre e suo padre non erano mai stati uguali, e mai lo sarebbero stati.

Erano le cinque del pomeriggio e il suo turno stava giusto per terminare quando Filippo, il suo ragazzo, entrò nel bar. La giovane strega alzò gli occhi al soffitto, mentre un’insana voglia di nascondersi si impadroniva di lei: da tempo lo considerava persino un po’ più insopportabile degli altri; era tragicamente noioso, assurdamente pesante, e trovava sempre il pretesto per attaccarla e per farla sentire in colpa per ogni sciocchezza, anche la più irrilevante, rinfacciandole costantemente cose che magari non aveva neanche fatto. Se all’inizio era tutto andato a gonfie vele, non era trascorso molto prima che Filippo desse mostra del suo vero carattere, lasciandola così di stucco da star male e da maledirsi per aver investito tanto in un rapporto che di autentico non aveva niente; mai gli avrebbe perdonato le lacrime che le aveva fatto e continuava a farle versare e, mentre si sforzava di agire di conseguenza, non era certa di sapere per quanto altro tempo ancora sarebbe riuscita a portare avanti quella farsa.
«Ehi, bellezza!» la salutò, non appena fu certo che lei l’avesse visto, con un tono stranamente gentile che di spontaneo aveva ben poco.
«Cinque minuti» fece lei, rivolgendogli un tiratissimo sorriso. Le dava fastidio anche soltanto sentirlo respirare.
Finito il turno di lavoro lo raggiunse, un po’ nervosa, e lo salutò con un distaccato bacio sulle labbra, ma lui non parve curarsene. Mentre uscivano, la prese per mano, assicurandosi che la maggior parte dei presenti li stesse guardando, e lei non riuscì a fare niente per impedirglielo.
«Tutto bene?» le chiese, per niente interessato: si trattava della classica domanda di routine alla cui risposta probabilmente nemmeno avrebbe fatto caso.
«Potrebbe andare meglio, ma va bene» rispose lei, molto vaga, avvolgendosi un po’ di più in sciarpa e cappotto. L’inverno le piaceva, ma quel freddo era davvero troppo pungente.
Come sempre, il ragazzo si guardò dall’indugiare sulle sue parole. «Sono andato a ritirare la tua moto dal meccanico, è tutto sistemato. Mi ha detto che aveva un qualcosa di inusuale, non è riuscito a spiegarmelo tanto bene, anche perché lui stesso non sapeva di cosa stesse parlando. Tu ne sai qualcosa?» le domandò, allora, inquisitorio, al che Abigail arrossì violentemente. D’altra parte, la sua moto era stata modificata con la magia, ed era più che normale che avesse qualcosa fuori dal comune; peccato che sia il meccanico che il suo ragazzo fossero Babbani.
«E di che? Io so solo che il giorno prima funzionava, il giorno seguente no. L’ha aggiustata? Tanto meglio. Dove l’hai lasciata?» rispose lei, seccata, avendo colto il tono lievemente accusatorio che le era appena stato rivolto.
Lui scrollò le spalle, indifferente, e le indicò la via che si stava aprendo sulla loro sinistra. Vi si immisero e continuarono a camminare, ma a ogni passo Abigail sentiva un impellente bisogno di parlare, di dar fiato a tutto ciò che aveva intenzione di dire da più di un mese. Trasse quindi un lungo respiro, nel tentativo di infondersi quel po’ di coraggio che le sarebbe bastato per affrontarlo, e pochi istanti dopo si fermò di botto e lo trattenne per la manica del giubbotto. Filippo si voltò a guardarla con fare scocciato, convinto che si fosse bloccata davanti alla vetrina di un negozio, ma rimase sorpreso non appena poté constatare che non era così.
«Dobbiamo parlare» spiegò lei, allora, di fronte al suo sguardo curioso. Lui, di contro, alzò gli occhi al cielo.
«Oh, e di cosa? Ma vuoi sempre parlare, tu?» sbottò, polemico, e Abigail poté avvertire la propria rabbia montare a una velocità allucinante; strinse i pugni, cercando di mantenere la calma, ma sapeva con sicurezza che sarebbe esplosa da un momento all’altro.
«Ma ti senti? Non mi lasci mai dire nulla e adesso hai anche il coraggio di lamentarti? E poi, sai: le coppie parlano, discutono, si confrontano! Noi non comunichiamo quasi più, ti rendi conto? Tutto gira attorno a te, alle tue esigenze, alle tue manie di protagonismo!»
«Nessuno ti costringe a stare con me, se non ti sta bene puoi anche andartene» la provocò ancora lui, facendo spallucce con noncuranza, con quel tono strafottente capace di farla andare in escandescenze.
«È a te che non sta mai bene nulla di tutto ciò che faccio! Io non la posso più sopportare questa situazione, lo vuoi capire? Non ti amo più, così come tu non ami me, e dubito che tu l’abbia mai fatto. Sono stati solo due anni di bugie, e sai cosa c’è? C’è che non mi lasci respirare, che hai un senso dell’umorismo pari a zero, che te la prendi per qualsiasi stronzata, ed io sono stanca. Non sono una marionetta che puoi gestire a tuo piacimento, ficcatelo bene in testa!» proruppe, alla fine, mentre i suoi occhi grigi erano molto prossimi a prendere fuoco. Filippo, invece, si portò una mano ai capelli e sorrise con sfacciataggine.
«Sì, avanti: fa’ la vittima. Io non ti ho mai fatto mancare niente» ribatté, tranquillo, come se la questione non lo riguardasse. Nell’udire quelle parole, però, un’incredula Abigail spalancò un po’ la bocca e quasi non prese a pugni l’aria.
«Prego? Dai più attenzioni alla tua auto che a me!» esplose; fosse stato possibile, il suo sguardo l’avrebbe incenerito. «Per favore, smettila di fingere che ti importi di me, di noi: le tue balle non me le bevo più. Credi che non lo sappia, che mi hai tradita? Che dici agli amici di avere una fidanzata inglese solo per vantarti, quando invece di me ti frega meno di zero? Ormai mi fai solo schifo» sputò, lucida, ma la delusione era viva e strabordante da ogni sua singola parola. Lui sbatté le palpebre e si grattò il mento, palesemente stupito, mentre provava a capire come avesse fatto a scoprire quelle cose, ma la sua voce tagliente non gli diede la possibilità di perdersi in alcuna riflessione. «Dammi le chiavi e fammi avere entro domani pomeriggio tutte le mie cose. Di mio non ti deve rimanere neanche un capello, intesi?»
«Stai esagerando, lo sai?»
«Dammi le chiavi!» sibilò ancora lei, ormai sull’orlo delle lacrime, prima di strappargli dalle mani le chiavi della sua moto, saltarvi in sella e avviarsi verso casa; pochi secondi e la figura di Filippo era già svanita in lontananza.

Mentre guidava, quella voglia di scappare via, lontano da tutti e tutto, non tardò a ripresentarsi in tutta la sua scalpitante intensità, ed ebbe come unico effetto quello di farla stare ancor più male di quanto già non si sentisse.
Posteggiò nel vialetto del giardino e corse verso l’ingresso, congelata dalla punta dei capelli a quella dei piedi. Non voleva vedere nessuno: voleva soltanto chiudersi in camera e isolarsi dal mondo.
Tuttavia, non appena ebbe aperto la porta e varcato la soglia, due ragazzi mediamente alti, identici, dai capelli color castano scuro e dagli occhi azzurri le si pararono di fronte e le sbarrarono la strada. Per poco non le sfuggì un’imprecazione: i suoi fratelli erano venuti a far loro visita nel momento meno opportuno, e non poté trattenersi dal maledire mentalmente il momento in cui dovevano aver brillantemente deciso di fare un salto dalla famiglia in giorni che non fossero la domenica.
«Dove sei stata?»
«Perché hai fatto tardi?»
«Con chi eri?»
«E quell’occhio assassino? Hai per caso litigato con quel Babbano deficiente?»
«Vacci piano, Drew. Potrebbe ucciderci.»
«La piantate?» li supplicò, esausta, ma i due non parevano intenzionati a desistere e, anzi, continuarono a scrutarla con malsana curiosità.
«Devi avere il ciclo, non c’è altra spiegazione» commentò John, aggrottando le sopracciglia, ma l’altro sospirò e scosse la testa.
«Jay, lei è sempre così.»
«Andrew, togliti o ti spacco la faccia» intimò Abigail al fratello, che diede in un’alzata di spalle e la lasciò passare. I due ragazzi stettero lì, fermi, a squadrarla per bene mentre si toglieva il cappotto, in attesa del suo exploit d’ira: la cosa li divertiva fin troppo.
«Ma voi due una casa non ce l’avete?» urlò lei, infatti, portandosi entrambe le mani ai capelli, mentre li fulminava con lo sguardo.
In tutta tranquillità, invece, Andrew sorrise con fare sornione e le si avvicinò per sfilarle la pesante sciarpa che ancora indossava. «Certo, ma come potevamo pensare di perderci il compleanno della piccola Abbie?»
«E poi, le tue sfuriate ci mancavano terribilmente» gli diede manforte il gemello, divertito quanto e forse anche più di lui.
I due risero, convinti che come sempre la ragazza alla fine avrebbe lasciato andare il malumore e si sarebbe unita a loro, e fu proprio per questa ragione che ciò che successe subito dopo li spiazzò. Abigail, infatti, mise da parte ogni estenuante tentativo di fingere che nulla fosse accaduto e si abbandonò alle lacrime, che presto si trasformarono in veri e propri singhiozzi. Così, dopo qualche istante di totale inerzia e incredulità, Andrew si precipitò ad abbracciarla in una stretta forte e rassicurante, mentre John corrugava la fronte e si sforzava di provare a capire a cosa fosse dovuta quell’inaspettata reazione.
«Gail, che è successo?» le chiese, quindi, non ottenendo risposta.
«È colpa di quell’idiota, non è così?» provò allora l’altro, duro nella voce.
Quando lei, con la faccia spalmata sul maglione del fratello maggiore, annuì, entrambi si irrigidirono: non avevano mai visto Filippo di buon occhio, ma avevano sempre evitato di impicciarsi più del dovuto in affari che non li riguardavano; nonostante ciò, per loro era una questione insindacabilmente inaccettabile che qualcuno – a maggior ragione lui – la facesse soffrire.
John, allora, iniziò a sfregarsi le mani, pronto a entrare in azione; tra i due, era sicuramente lui il più protettivo. «Lo sistemo io, quel mentecatto: credo gli piaceranno i vecchi e sani metodi Babbani. Che ne pensi, Drew?»
«Mai stato così d’accordo, Jay. Sono due anni che non vedo l’ora di fargli saltare qualche molare, il glorioso giorno è finalmente arrivato» convenne Andrew, ma dovette smorzare il suo entusiasmo e i suoi desideri di vendetta quando Abigail prese a scuotere la testa.
«N-Niente molari che saltano. Non s-stavolta, almeno» disse la ragazza, con voce ancora un po’ tremante. Sciolse allora l’abbraccio e si asciugò il viso, inspirando a fondo un paio di volte per recuperare un briciolo di stabilità. «L’ho lasciato io, e mi rendo conto che avrei dovuto farlo prima. L’importante è che alla fine ci sia riuscita» spiegò, stavolta tentando di rassicurare i due fratelli, che d’altra parte sorrisero benevolmente, mostrandosi comprensivi.
John le tirò la guancia, più rilassato. «Non ti perdi niente; anzi, puoi solo guadagnarci: lì fuori è pieno zeppo di gente infinitamente più degna della tua attenzione.»
«E poi, diciamocela tutta: come facevi a stare con uno che criticava continuamente il nostro meraviglioso accento del Devon?» aggiunse Andrew, tetro, facendo ridere la ragazza.

Fu proprio in quel momento che Regina Wilson in Thompson entrò nella stanza.
La sua somiglianza con Gloria Stevens era impressionante: gli occhi grandi e azzurri erano sia nel taglio che nel colore identici a quelli della sorella, cui la accumunava anche il colore dei capelli, castani e accesi da sfumature ramate, sebbene i suoi fossero lisci. Al contempo, era molto diversa dalla figlia, che aveva invece ereditato dal padre, Matthew, i suoi capelli biondi e gli occhi grigi.
«Stai bene, tesoro?» si affrettò a chiedere ad Abigail, avendo notato le sue guance arrossate dal pianto e gli occhi ancora lucidi. Non tardò, quindi, a guardare torva i due ragazzi. «Che cosa le avete fatto?»
«Assolutamente niente!» esclamarono questi, all’unisono, in tono fortemente scandalizzato, mentre la madre indossava il suo mantello verde e rivolgeva un’occhiata interrogativa alla figlia, come a chiederle conferma della veridicità delle parole dei fratelli.
La giovane strega le sorrise con fare rassicurante e infilò entrambe le mani nelle tasche dei jeans, iniziando a tamburellare sul tessuto con i pollici. «Tutto ok, è stato solo uno sfogo.»
«Sicura?» chiese la donna, volendosi accertare che la figlia stesse davvero bene, mentre prendeva una delle sue sciarpe pesanti dall’appendiabiti e se la avvolgeva al collo. «Io adesso devo uscire – devo risolvere una questione con la signora Marinelli, quella vecchia vipera maledetta –, ma stasera ne parliamo. Ti ho vista un po’ giù, ultimamente.»
«Stai tranquilla, mamma, non è niente» cercò di sviare, Abigail, facendo spallucce. «È solo un periodo.»
«I soliti drammi post-adolescenziali, sai com’è fatta» intervenne Andrew, pizzicando la guancia della sorella – che, d’altra parte, sollevò gli occhi al soffitto.
Regina scosse la testa, bonaria, e sospirò, salvo poi rovistare nella borsa alla ricerca di qualcosa. «Cercate di non far saltare in aria la casa, mentre sono via» disse, in un tono che sotto sotto sapeva di supplica, riuscendo infine a estrarre da quell’insieme di cianfrusaglie una lettera giusto appena stropicciata, porgendola quindi all’ultimogenita. «È arrivata questa, è da parte di Maggie. Il suo gufo è qui da stamattina, presumo voglia una risposta il prima possibile.»
«Ma che carine... due piccole criminali che si tengono in contatto, che cosa commovente!» commentò John, provocatorio, cercando il supporto del gemello – che, com’era prevedibile, non tardò ad arrivare.
«Venti galeoni che le sta scrivendo da Azkaban.»
«Piantatela, cretini» li zittì Abigail, che eppure rideva, accingendosi ad aprire la busta.
«Smettetela di stuzzicarla, voi due, o vi toglierò le bacchette» li minacciò la madre, ma neanche lei riuscì a reprimere quel sorriso divertito che le si era appena disegnato sulle labbra. Ancora con la testa china a guardare dentro la borsa, poi, sbuffò e la chiuse di scatto in un gesto seccato. «Per Salazar, ho dimenticato i guanti in camera.»
«La vecchiaia si avvicina» cantilenò Andrew, dispettoso, beccandosi un’altra occhiata malevola da parte della donna.
Quest’ultima tornò indietro, in direzione delle scale che conducevano al piano superiore. Fu allora che i due fratelli, voltandosi per ricominciare a infastidire Abigail, si resero conto che la sorella li aveva piantati in asso già da un pezzo. Percorrendo l’intera stanza con lo sguardo, la videro appoggiata con la schiena all’ampia finestra a vetrata del salone, immersa nella lettura di quel foglio di pergamena che con tanta semplicità era riuscito a illuminarle il viso.
 


Margaret S. E. Stevens
Appartamento sopra i Tiri Vispi Weasley
Diagon Alley, 93, Londra, Inghilterra
12 gennaio 1997
 

Abbie, mia cara
Come potrei iniziare questa lettera, se non facendoti i miei più grandi auguri di compleanno? Diciotto anni, santo Merlino: nel mondo Babbano saresti appena diventata maggiorenne!
Sai quanto mi addolori non poter trascorrere questo giorno con te. Il desiderio di raggiungerti, di farti una sorpresa, era a dir poco irresistibile, ma come ben saprai ho da poco iniziato a lavorare al Ministero e sarebbe stato impensabile chiedere già da subito dei giorni di permesso per passare qualche giorno lì con te. Sono certa, però, che anche stavolta troveremo il modo di recuperare, ed è a tal proposito che mi sembra il caso di andare dritte al sodo e di farti sapere che c’è un’ulteriore motivazione che mi ha spinta a scriverti questa lettera (come se il farti gli auguri e il ricordarti che ti voglio bene e che mi manchi immensamente non fossero sufficienti!). In verità, avrei una vera e propria proposta da farti, ma tranquilla: nulla di potenzialmente compromettente per la nostra preziosa salute!

Il fatto è che tu, per me, sei fondamentale. Abbiamo sempre condiviso tutto, dalla più bella delle gioie al più lacerante dei dolori, e la consapevolezza di averti così distante è qualcosa che col passare degli anni mi rendo conto di trovare estremamente difficile da sopportare.
Oh, Abbie... ci sono così tante cose che vorrei dirti, così tante cose che vorrei condividere con te e che sono costretta a tenere per me perché non sarebbe loro fatta giustizia se obbligate a trovare spazio all’interno di una stupida lettera.

Ciò che mi sembra ormai ovvio voglia chiederti è di venire a vivere qui da noi, a Londra. L’appartamento che divido con Fred e George non è molto grande, ma è accogliente; inoltre, sarebbe solo una soluzione temporanea, fino a quando non ci trasferiremo nella nostra nuova casa dopo il matrimonio (e lì, ti posso garantire, staremo tutti schifosamente comodi). Potrai restare da me tutto il tempo che vorrai: casa mia è casa tua, è sempre stato così e così sempre sarà. E poi, so bene quanto ti manchi l’Inghilterra; ci sono passata anch’io, e posso perfettamente comprendere quanta voglia di ritornare tu debba avere.
Spero che accetterai la mia proposta, e soprattutto che la mia cara zietta preferita non ti faccia problemi: ho bisogno di te, Abbie.
Per comodità ti lascio il mio gufo, saprà trovare la strada in un batter d’occhio.


Manda un bacio a tutti da parte mia, e salutami Filippo. Spero che le cose tra di voi vadano meglio e che ti tratti come dovrebbe.
Fred ti manda un abbraccio, mentre George... be’, lui non si ricorda di te. Non farci caso, il mio adorato futuro cognato vive in un mondo tutto suo.

Ti voglio bene, cugina mia
 
Tua Maggie    
 


Abigail finì di leggere la lettera, ma il sorriso che nei minuti precedenti le aveva incurvato le labbra non smise di accompagnarla: da mesi pregava perché qualcosa di piacevolmente inaspettato, qualcosa di nuovo e tanto ardentemente sperato arrivasse nella sua vita e la stravolgesse, rimettesse in discussione i progetti e gli equilibri, ma mai aveva pensato che sarebbe stata proprio la sua amata cugina a fornirle l’occasione che così a lungo aveva atteso.
L’unico ostacolo, all’apparenza invalicabile, che avrebbe potuto impedire la realizzazione dei suoi – fino a quel momento – taciuti desideri era di nuovo di fronte a lei, concretizzato nella fermezza quasi nobiliare di Regina Wilson, che tornata dal piano di sopra la scrutava con palese curiosità.
«Buone notizie?» le chiese, la donna, infilandosi i guanti verdi, perfettamente coordinati al mantello.
La figlia si mordicchiò il labbro inferiore e annuì, mentre mentalmente incrociava le dita e si augurava che Merlino – almeno per quella volta – gliela mandasse buona. «Margaret mi ha chiesto di trasferirmi da lei, a Londra.»
«Cosa?» fu la risposta delle altre tre persone presenti nella stanza, con la sola differenza che mentre il tono di Regina era per lo più sorpreso, quello di Andrew e John era quasi stridulo – con, tra l’altro, la netta disapprovazione della sorella, che non mancò di sollevare per l’ennesima volta gli occhi al soffitto.
«Può sembrarvi assurdo, me ne rendo conto, ma Meg ha bisogno di me, e anch’io ho bisogno di starle vicino. Voglio poterle dare una mano con i preparativi per il matrimonio, voglio recuperare tutto il tempo che abbiamo perduto... e voglio tornare in Inghilterra» confessò questa, rivolgendosi direttamente alla madre con uno sguardo speranzoso, ma anche velatamente supplicante. «Sai quanto mi manchi, e anche se non te l’ho mai detto sai quanto, qui, io mi senta fuori posto. Io ti prego, mamma, ti prego di lasciarmi partire. È il regalo di compleanno più grande che tu potresti farmi.»
Regina continuò a guardarla per una manciata di secondi, combattuta, salvo poi rivolgere la propria attenzione al pavimento e soppesare i pro e i contro di quella situazione indubbiamente delicata, tormentando distrattamente i manici della borsa di pelle di drago che stringeva nelle mani.
Sapeva quanto fosse a tratti incontenibile, per Abigail, il desiderio di spiccare il volo, e quanto anche fosse importante il legame che la univa a sua cugina. Era sua madre, e in quanto tale il suo unico interesse era che lei fosse felice, anche se ciò le imponeva di osservarla mentre pian piano si allontanava da lei. Fu per questa ragione che i sensi di colpa la attanagliarono quando si rese conto che, ancor più che la sua felicità, ciò che principalmente le premeva era saperla al sicuro, e non era certa che in Inghilterra lo sarebbe stata; con una guerra ormai alle porte, era davvero sicura di voler mandare la sua ultimogenita allo sbaraglio?

Come se ciò non fosse bastato, Andrew e John – di fronte all’esitazione della donna – non tardarono a metterci il carico da undici.
«Ci stai pensando sul serio?» esordì il primo, sconvolto.
L’altro gli diede manforte, anche lui basito. «Sei impazzita? La manderesti davvero lì, da sola
«Forse non hai idea dei casini in cui si caccerebbe un giorno sì e l’altro pure!»
«Accidenti, stiamo parlando di Abigail Darleen Thompson!»
«Il pericolo numero uno della pace e dell’ordine civile!»
«Il capo supremo delle donne dotate di scarsissimo autocontrollo!»
Regina sbatté la borsa sul tavolo basso posto di fronte al divano, spazientita, e indicò in un gesto seccato la porta che dava sul corridoio d’ingresso, rivolgendo uno sguardo di rimprovero ai due. «Fuori!»
«Ma...» provò John, risentito, ma Regina non sembrava affatto intenzionata ad ammettere repliche.
«Andrew Benjamin e John Adam Thompson! Fuori da questa stanza, ora!» sbottò, infatti, abbandonando quell’espressione seria e un tantino minacciosa solo quando i due ragazzi si decisero a lasciare il salone. Trasse allora un profondo respiro esasperato, passandosi una mano tra i capelli. «Hanno ventitré anni, vivono per conto loro e ancora mi tocca rimproverarli» mormorò, stanca, prima di tornare a guardare la figlia, che intanto attendeva ansiosamente una sua risposta. «Gail, io...»
«Tu...?» la spronò l’appena menzionata, vedendola titubante; sperava solo che quei pochi istanti di riflessione avessero aiutato sua madre a capire quanto per lei fosse importante la decisione che era sul punto di prendere.
«Io... Gail, io non credo sia una buona idea» ammise, però, Regina, che senza perdersi in ulteriori spiegazioni afferrò la borsa posata precedentemente sul tavolinetto e si mosse in direzione della saletta adiacente, non degnandola di un altro sguardo.
Abigail volse gli occhi al pavimento e scosse la testa; era consapevole che le probabilità di ottenere una risposta positiva fossero scarse, ma non era ancora disposta a incassare il colpo. «Non hai neanche il coraggio di dirmi perché, come sempre. Pensi davvero di potertene andare così, lasciandomi qui come una stupida?» le chiese, marcando ogni parola di una profonda delusione, e capì di aver colto nel segno quando la donna si fermò e si voltò a fissarla, esterrefatta.
«Abigail, non credo tu abbia compreso quanto sia grave la situazione» iniziò questa, abbassando il tono della voce perché Andrew e John – che sicuramente stavano origliando – non fossero troppo tentati di intervenire. Era difficile – quasi doloroso –, per lei, negare a sua figlia una gioia tanto attesa quanto grande, ma era fondamentale che capisse le sue ragioni. «Lì fuori c’è una guerra, e restando in Italia sarai più al sicuro. L’Inghilterra è il punto focale dell’azione dei Mangiamorte; la gente muore, Abigail, e nessuno sa perché. Se permetti, dato che sei mia figlia, io ci tengo alla tua vita.»
«Ho diciotto anni, mamma. So badare a me stessa, non sono una stupida» le fece notare la ragazza, torcendosi nervosamente le dita; era stanca di essere continuamente considerata come un’incosciente, eternamente troppo piccola per poter cavarsela da sola.
«Sei pur sempre una ragazzina, e questa è una cosa che non puoi affrontare» controbatté, infatti, Regina, versando la goccia che fece traboccare un vaso colmo ormai da tempo.
«Come tutto il resto, no?» scoppiò Abigail, non riuscendo più a trattenersi. «Perché è questo che sono io, non è vero? Un’inutile ragazzina da tenere a bada, cui bisogna sempre stare attenti, perché non sia mai che la piccola Abbie sia veramente in grado di decidere cosa accidenti fare della sua stramaledetta vita!»
«Abigail, non ti permetto di...» provò Regina, alzando anche lei la voce, ma fu immediatamente interrotta da un nuovo sfogo della giovane strega.
«Non m’importa!» disse quest’ultima, e i suoi occhi iniziarono a inumidirsi. «Sono stanca di te, sono stanca di quei due deficienti, sono stanca di questa città e sono stanca di dover sempre sottostare alla volontà di qualcun altro! Io ho il diritto di prendere la mia strada, e mi sembra assurdo che tu ancora ti ostini a non capirlo!» concluse, e quel bruciore che le stringeva le corde vocali era niente in confronto a quello che le infersero le parole che aggiunse immediatamente dopo. «Se solo papà fosse vivo... le cose sarebbero diverse.»
Regina contrasse i lineamenti del viso, trattenendo impercettibilmente il respiro. «Non tirare tuo padre in mezzo a questa storia.»
«E perché no? Lui mi avrebbe fatto partire, lo sai.»
«Non puoi sapere cosa avrebbe detto tuo padre, Abigail.»
«Forse no» convenne la ragazza, che ormai non si sforzava neanche più di nascondere le lacrime e lasciava che le rigassero le guance arrossate. «Ma ciò che è certo è che quella è casa mia, mamma, e che questa è la mia vita. Sono stanca di accontentare gli altri e di dimenticare di pensare un po’ anche a me.»

Regina non si mosse, ma abbassò lo sguardo; cercò con ogni sua forza di rimanere lucida, impassibile come ghiaccio, ma le parole di Abigail le avevano fatto più male di quanto osasse ammettere persino a se stessa. Era così, allora, che si sentiva sua figlia? Perennemente sminuita, sotto controllo, incatenata, persino costretta a mettere da parte i suoi desideri per compiacerla?
Iniziò a sentirsi a disagio, comprendendo di esser stata così cieca, in quegli anni, da non rendersi conto di come le sue paure le stessero impedendo di vedere quanto in realtà Abigail fosse forte, matura e pronta a intraprendere il suo lungo e meraviglioso cammino da sola, lontana dalla sua ala protettiva. Più ne diventava consapevole, più si domandava se sarebbe mai riuscita a farsi perdonare per i suoi errori.
Sollevò la testa, quindi, e inaspettatamente incurvò le labbra in un piccolo e appena accennato sorriso triste. «Hai ragione. Lui... Lui te l’avrebbe permesso» le disse, piano; di lì a poco sarebbe crollata, ma non le importava.
Abigail, d’altra parte, poté distintamente percepire il peso che prima le aveva attanagliato lo stomaco dissolversi. «Mamma...»
«Gli somigli così tanto, Gail» aggiunse Regina, prima di soffocare quel dolore in un pianto silenzioso.
Si portò una mano alla bocca, nell’ingenua speranza che ciò bastasse a smorzare i singhiozzi che di lì a poco era certa sarebbero arrivati, quando Abigail la raggiunse e la strinse in un abbraccio, unendo le proprie lacrime alle sue.
La donna le accarezzò i capelli, respirando a fondo. «Andrà tutto bene, vedrai» la rassicurò, prima di prenderle dolcemente il viso tra le mani e asciugarle le guance, contemplando quegli occhi grigi che le ricordavano in modo agrodolce quelli del suo amato marito. «Ho fiducia in te
«Significa molto, per me» rispose la ragazza, ricambiando il suo sorriso.
L’altra le diede un bacio sulla fronte. «Va’ a scrivere quella lettera, avanti» la incoraggiò, strizzandole l’occhio. «Ma non dimenticare che hai ancora un mese di punizione, signorina

Abigail rise, e finalmente lo fece di cuore.
Si congedò da sua madre e poi salì al piano di sopra – ignorando, nel tragitto, le domande di Andrew e John, che da grandi impiccioni non vedevano l’ora di poter dire la loro su una questione che, ormai, era bella che chiusa.
S’infilò in camera, quindi si sedette alla scrivania e, una volta prese piuma e pergamena, l’inchiostro iniziò a scorrere libero sotto forma di parole. 
 


Abigail D. Thompson
Via delle Azalee, 15, Roma, Italia
12 gennaio 1997


Mia cara Maggie,
Devi credermi se ti dico che non riesco neanche a esprimere la felicità che sto provando in questi meravigliosi istanti.
Potrei mai, secondo te, rifiutare questa tua meravigliosa proposta? Assolutamente no. Se il Capo non me lo avesse permesso, sarei stata capace di sgattaiolare via nel bel mezzo della notte – il che, come ben sappiamo, non sarebbe stata neanche chissà quale novità!


Oh, Meg... non sto più nella pelle al pensiero di potervi rivedere. Mi manchi terribilmente, come mi mancano tutte quelle notti insonni trascorse insieme, a sorseggiare una tazza di tè e mangiare schifezze, parlando fino a quando le nostre corde vocali non ci imploravano di avere un po’ pietà di loro. Mi mancano le risate, mi mancano persino i pianti, e mi mancano tutte quelle piccole confessioni sussurrate sotto i piumoni per paura che qualcuno a parte noi le origliasse. Mi manca casa, e adesso che la sento di nuovo così vicina non permetterò a nessuno di portarmela via.
Abbiamo troppe cose da condividere, troppi nuovi ricordi da costruire insieme, ed io non sto più nella pelle di cominciare; preparati ad avere il più grandioso matrimonio nella storia dei matrimoni.  
Ahimè, ho ancora un mese di punizione – il Capo non fa sconti! Sarò da voi a metà febbraio, ovviamente ti darò informazioni più precise a tempo debito (ci sarebbero problemi se venissi in aereo? Ho sempre sognato di prendere uno di quei cosi!).


Non vedo l’ora di riabbracciarti, Maggie.

Da’ bacio a Fred da parte mia, e anche alla zia Gloria e allo zio Des.
Salutami pure George, a che ci sei – anche se non meriterebbe considerazione, dato che non si ricorda di me (non che io ne conservi un’immagine così vivida, eh)!


Ti voglio bene, splendido fiore

 
Tua Gail    


PS. Ho lasciato Filippo, oggi. È definitivamente arrivato il momento di scrivere una nuova pagina della mia vita.
 

Abigail rilesse la lettera un paio di volte, poi la imbustò e la affidò al gufo.
Si affacciò alla finestra, felice: forse quel mese non sarebbe stato così lungo.


- Angolo dell’autrice
 
Fred ed il suo scarsissimo spirito di autoconservazione: mai, e dico mai, scrivere un capitolo mentre si stanno studiando gli appunti di filosofia. Soprattutto se l’autore in questione è un certo Spinoza.
Sì, tra una crisi isterica ed una di pianto, sono riuscita a revisionare tutto e persino a pubblicare, e spero mi perdonerete se mi sono lasciata andare un po’ troppo con la lunghezza. D:

Ebbene... sì! Abbiamo l'ennesimo nuovo personaggio: Abigail Darleen Thompson, nata il 12 gennaio 1979, cugina di Margaret. Fin da questo capitolo, credo si siano delineate le differenze tra i due personaggi, o no? Insomma, Meg, nonostante la Guerra e tutto il resto, vede la vita che le sorride, mentre ad Abbie, per ora, va un po’ tutto storto. Inoltre, Fred è meraviglioso, ed è il completo opposto di quella cosa inutile di Filippo, che avrei molto volentieri preso a colpi di spranga sui denti (perdonatemi l'assenza di imparzialità, ma mi ricorda troppo il mio ex, non posso che odiarlo a morte). Stanno vivendo due situazioni completamente diverse, che di conseguenza influiranno anche sul loro carattere, modificandolo un po’.
Ma non vedrete mai una Margaret saltellante per i campi di grano mentre dichiara il suo improbabile amore per il mondo. Mai.

Altra “news”: abbiamo il nome! Che ne pensate di Alexander? Vi soddisfa? Fino all’ultima revisione, avevo scelto Richard, ma poi ho cambiato idea. Sì, sono fatta così.
Okay, che altro devo aggiungere? Ah, sì, che Meg mi sembra sempre più una pazza esaurita. Ma non è colpa sua, poverina.

Il titolo è di Henry Detouche, mentre la canzone è Guiding Light, dei Muse! *lovelovelovelove*
Prossimo aggiornamento: sabato 1 giugno.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate, e JeckyCobain e Quella che ama i Beatles, che hanno recensito il capitolo precedente!
Cari lettori, se volete rendere felice una povera donna a cui non è rimasta altra vita che quella scolastica, lasciate una recensioncina, anche piccolinapiccinapicciò. Fate quest’opera di bene per una povera esaurita e stressata come me, verrete ricompensati.

Love you,
Jules


- Curiosità:

Cassandra Jones e Meg hanno la stessa età. Difatti, anche Cassandra ha frequentato Hogwarts durante lo stesso periodo (a differenza di Margaret, però, Cassie era lì sin dal primo anno), ed apparteneva alla Casa di Corvonero. Frank Walker, l’altro collega, è di due anni più grande (coetaneo di Percy, per intenderci), ed apparteneva ai Tassorosso. Ha una cotta segreta per Cassandra dal momento in cui l’ha vista per la prima volta in occasione dello Smistamento.


Ultima revisione: 26.02.2017

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Capitolo 9
*** Non vi è nulla al mondo dolce come l'amore; e dopo l'amore, la cosa più dolce è l'odio ***


Non vi è nulla al mondo dolce come l'amore; e dopo l'amore, la cosa più dolce è l'odio



Look at me now, will I ever learn?
I don't know how but I suddenly lose control
There's a fire within my soul
Just one look and I can hear a bell ring
One more look and I forget everything
Mamma mia, here I go again
My my, how can I resist you?



Era la mattina del 14 febbraio 1997 e, come succedeva molto spesso durante quegli ultimi tempi, Fred veniva fuori dall’ennesima notte insonne.
Con occhi rossi e assonnati, era intento a mettere sul fuoco la teiera, mentre ogni parte del suo corpo e della sua mente gli imploravano pietà.
I preparativi per il matrimonio lo stavano a dir poco distruggendo, per non parlare delle visite regolari in Clinica per Margaret e dei sopralluoghi ai negozi di arredamento insieme ai nonni paterni della sua fidanzata. Da non dimenticare, ovviamente, la gestione dei Tiri Vispi, che lo teneva occupato per la metà del tempo, scatenando le ire di Meg, che era appena entrata in maternità e che faceva avanti e indietro dal negozio per controllare attentamente ogni sua azione, giustificandosi dicendo che, se non avesse trovato qualcosa da fare, si sarebbe annoiata a morte.
E cosa poteva esserci di più divertente di minacciare con lo sguardo chiunque osasse avvicinarsi al suo futuro marito, donna, uomo o bambino che fosse?
Per di più, due giorni prima George si era beccato l’influenza stagionale, trasmettendola poi alla cognata, che, delirante, aveva svegliato il povero Fred nel cuore della notte.
Ovviamente, si disse lui, non poteva non accondiscendere alle richieste di una donna incinta di sei mesi e mezzo e, per di più, con la febbre alta. Quindi, era rimasto lì, accanto a lei, a rassicurarla e a cambiarle i panni freddi da mettere sulla fronte.
Non appena ebbe pensato che il peggio fosse passato e, dunque, ebbe rimesso la testa sul cuscino, lei si svegliò, stavolta più tranquilla, comunicandogli che le era appena venuta voglia di tacos.
Fred si chiese cosa fossero questi tacos, come facesse lei a conoscerli e, soprattutto, come diavolo avrebbe fatto a trovarli. Non sapeva neanche se fosse roba commestibile.
Allora, ancora in pigiama, si era infilato il cappotto, aveva preso l’ombrello e si era recato al Paiolo Magico, dove aveva chiesto a chiunque avesse incontrato che cosa diavolo fossero i tucos, tacas, o come accidenti si chiamassero. Tutti, dal primo all’ultimo, lo avevano guardato in maniera più che mai truce.
Sì, compresa sua madre, che di certo non si aspettava di trovare suo figlio davanti l’uscio di casa alle quattro del mattino ad elemosinare cibo del quale non sospettava neanche lontanamente l’esistenza. Dire che Molly Weasley l’aveva rispedito a Diagon Alley a forza di calci nel sedere è fin troppo riduttivo.
Quel pover’uomo era rientrato nel suo accogliente appartamentino, pronto a prostrarsi ai piedi della fidanzata pur di venire perdonato, e si era diretto in camera da letto, dove, per sua fortuna, quella furia dagli occhi verdi stava dormendo beatamente, mentre sul suo comodino era adagiato un bigliettino.


Se avessi aspettato altri dieci secondi, mi avresti sentita dire che i tacos c'erano già.
Li ho comprati questo pomeriggio, andavano solo riscaldati.
Buonanotte, Freddie


Fred si era abbandonato sul letto, esausto, deciso a cancellare dalla sua memoria quell’esperienza, e, finalmente, quasi alle cinque del mattino, si era addormentato.

< Oh, dannazione! > sbottò lui, bruciatosi il dito con l’acqua bollente. Portò la mano sotto il getto del rubinetto, sperando che il dolore passasse presto, quando sentì due docili braccia serrarsi attorno alla sua vita. Si voltò, sorpreso, e quasi non rise di fronte all’immagine di Margaret, in vestaglia e notevolmente provata, che tentava di stringerlo nonostante un bel pancione le impedisse di farlo come si doveva. Capendo che era soltanto tempo perso, lei sbuffò, poi incrociò le braccia all’altezza del seno.
< E che cavolo... > sussurrò, imbronciata, e con voce molto più debole del normale. Lui nascose uno sbadiglio in una risata, poi l’abbracciò da dietro e posò la testa sulla sua spalla.
< Che ci fai in piedi? > le domandò, notevolmente stanco.
< Non ho più febbre, sono solo un po’ debole... > lo rassicurò lei, scuotendo la testa. Lui non parve convinto.
< Dovresti stare a letto, e l’ha detto anche tuo zio che dovresti riposarti molto > le ricordò, allora, al che lei alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
< Stai diventando quasi peggio di tua madre, lo sai? Avanti, sto meglio... Mi prepari qualcosa da mangiare, per favore? >
< Già fatto > le disse lui, strizzandole l’occhio e mostrandole un vassoio, sul piano cucina, dov’era poggiato un piatto di uova e pancetta, del pane tostato, della marmellata ed una tazza di tè.
Meg si sedette al tavolo, incrociando le dita e sperando che quella roba non le provocasse un’intossicazione alimentare. Con sua sorpresa, tuttavia, era tutto buonissimo.
< Da quando sai preparare qualcosa di commestibile, tesoro? > lo provocò, quindi, godendosi il suo sguardo contrariato.
< Da quando la mia adoratissima fidanzata ha le voglie ogni mezz’ora, cara > ribatté a tono, divertito. Lei sollevò un po’ le sopracciglia, poi sfoggiò nuovamente un leggero sorriso.
< Ricordi che devi andare a prendere mia cugina all’aeroporto, no? George è ancora debole, ed io non ce l’avrei fatta comunque... >
< Quando... Quando arriva? > chiese Fred, che si era quasi strozzato con del pane tostato: si era completamente dimenticato di dover andare a prendere Abigail. Fino a pochi giorni prima, infatti, quell’incarico doveva spettare a George, che però, essendosi ammalato, ovviamente non poteva andarci.
< Alle dieci e mezza, tra... Oddio, tra un’ora! Ce la fai, no? > disse lei, fissandolo con tanto d’occhi e portandosi le mani alla bocca.
< Ovvio! Sì, insomma... Dovrei... > fece lui, ingoiando velocemente l’ultima forchettata di bacon e fiondandosi in bagno, non riuscendo bene a comprendere come avesse fatto a cacciarsi in quella situazione snervante. Tra tutti i giorni possibili, quello era sicuramente il meno adatto all’arrivo di un ospite.

Si fece una doccia, e nel frattempo Margaret incitava George a svegliarsi e a darsi una sistemata: non voleva di certo che il suo futuro cognato facesse una brutta figura.
< Il bagno! > urlarono i due, attraverso la porta, a Fred, che fu pronto in una ventina di minuti, ed in men che non si dica tra suo fratello e la sua ragazza scoppiò una più che accesa discussione, che nessuno dei due aveva intenzione di perdere.
< Vado prima io! Sono stato ammalato e ne ho diritto! > affermò George con convinzione, sfoggiando un buffissimo naso arrossato per via del raffreddore.
< Eh no, carino, tocca a me! Anche io sono stata male, e per di più sono gravida, donna e isterica! > controbatté Meg, dilatando le narici per l’irritazione.
< Facciamo una cosa: usiamolo insieme! > fece lui, pensando che quella proposta fosse qualcosa di ancor più che geniale. Non era di certo della stessa opinione la cognata, che spalancò la bocca.
< Ma sei pazzo o cosa?! >
< La piantate, voi due? Meg, va’ in bagno! George, ti prego, sta’ zitto e non contraddirla, fallo per il bene comune! Voglio dire, arrivano ospiti! > esclamò Fred, esasperato, che diede un veloce bacio alla fidanzata e, dopo aver indossato sciarpa e cappotto, si fiondò oltre la porta di ingresso.

Giunto in strada, guardò l’orologio e constatò che aveva solo mezz’ora di tempo per arrivare all’aeroporto di Londra.
Con il massimo della concentrazione che riuscì a raccogliere, si Smaterializzò, per poi riapparire di fronte all’ingresso dell’Aeroporto principale della città, l’Heathrow.
Entrò di fretta e furia, disperato, non sapendo assolutamente cosa fare. Si diresse a grandi passi nella zona assistenza, sperando che gli venissero riferite le informazioni di cui aveva bisogno.
Non aveva proprio idea di come funzionassero i mezzi di trasporto Babbani, a differenza della sua ragazza, che ogniqualvolta ne prendeva uno, pareva divertirsi un mondo.
< Mi scusi, potrebbe dirmi se l’aereo da Roma è già arrivato? > domandò, abbastanza incerto, alla signorina dell’assistenza, che lo fissò con tanto d’occhi, cosa che non fece altro che aumentare la sua ostilità verso ogni tipo di trasporto a distanza che non comportasse l’utilizzo di una Passaporta o di qualcosa di simile.
< Sono spiacente, ma per oggi non è previsto proprio alcun arrivo da Roma > rispose la giovane donna, così Fred si sentì pervaso da un’orribile sensazione.
< Co-come? Sta scherzando?! > chiese, allora, perplesso, lasciandola interdetta.
< No, mi dispiace, non mi pagano per scherzare. Non so cosa le sia stato riferito, ma qualunque cosa fosse, era sbagliata > rispose, piccata, lasciandolo ancor più spiazzato.
Fred si guardò attorno, poi diede una nuova occhiata all’orologio, sconvolto nel vedere che erano le dieci e un quarto.
Uscì fuori, più confuso che persuaso, e decise di andare a chiedere a Margaret delle spiegazioni, anche se sapeva perfettamente qual era il problema.
Si Materializzò in cucina, facendo sobbalzare la fidanzata ed il fratello, intenti a dare una veloce sistemata qua e là.
< Cosa ci fai tu qui?! > gli chiese lei, basita.
< Ho sbagliato aeroporto! Sono andato all’Heathrow! > ammise, sentendosi quasi in colpa, ma convenendo alla fine che lui non c’entrava proprio niente. Piuttosto, era la gente tutta attorno a lui che non sapeva spiegarsi a dovere.
< Ma se ti ho detto fino a ieri che dovevi andare al Luton! >
< E allora?! Mi sono confuso: ci sono troppi aeroporti in questa città! > si giustificò, quindi, stressato. Margaret stava per ribattere a tono, ma venne frenata da George, che la batté sul tempo.
< Ci saranno altri momenti per discutere. Adesso va’! > disse, quindi, riuscendo ad evitare che si scatenasse un putiferio.

Il ragazzo si ributtò nuovamente in strada, poi si Smaterializzò e si ritrovò di fronte all’ingresso dell’aeroporto, stavolta quello giusto.
Come guidato da un profondo senso di invincibilità, si fiondò tra la folla, fino ad arrivare alla zona degli arrivi, dove giusto in quel momento si era radunato un folto numero di persone, probabilmente tutti quanti passeggeri.
Spiò l’orologio, che segnava le dieci e quaranta, e tornò a concentrarsi sulla folla, alla ricerca di un volto che avesse qualcosa di conosciuto.
Erano passati parecchi anni dall’ultima volta che aveva avuto l’occasione di scambiare due parole con lei, e allora non erano altro che bambini, quindi non poteva ricordare perfettamente la fisionomia del suo viso. Ma poi, improvvisamente, la riconobbe: occhi grigi, dello stesso identico taglio di quelli di Margaret, corti capelli biondi, statura medio-bassa e naso a patata; Abigail Thompson era lì, evidentemente infastidita da quel ritardo, con tre valigie al seguito ed uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Il piede batteva frenetico e con ritmo incalzante sul pavimento, e ciò, combinato alle braccia incrociate e agli sbuffi continui, a Fred ricordava in modo tremendo i momenti peggiori della sua futura moglie.
Avanzò, incerto, verso quella temibile giovane donna, che però, appena lo vide, diede in un sorriso radioso, lasciandolo ancor più perplesso.
< Merlino, devi essere Fred! Ti ho riconosciuto all’istante! Abigail Darleen Thompson, non so se ti ricordi di me. A proposito, chiamami Abbie, o al massimo Gail, ti prego! > disse lei, stranamente cordiale, porgendogli la mano, che lui non esitò a stringere.
< Ho dei vaghi ricordi, sì! E Meg mi ha parlato proprio tanto di te! > ammise lui, sorridendo di rimando. Al sentire nominare sua cugina, Abigail si illuminò.
< Spero lo abbia fatto positivamente! > scherzò poi, facendo ridere Fred tra sé e sé.
< Credimi: dice più carinerie nei tuoi riguardi che nei miei! Dammi, ti aiuto > le disse, prendendo due delle valigie che la giovane portava con sé.
< Com’è andato il viaggio? > le chiese mentre si incamminavano verso l’uscita. Abigail diede in un’alzata di spalle; poi, non appena entrò in contatto con la fredda aria invernale, si avvolse bene in sciarpa e cappotto.
< Piuttosto bene, solo qualche turbolenza. Mi ero dimenticata di quanto freddo facesse qui... Otto anni non sono pochi! >
< Otto anni? Wow, quasi non battevi il record di Maggie! Su, prendimi la mano > le disse lui una volta che l’ebbe condotta in una traversa in quel momento deserta.
Non appena Abigail fece ciò che le era stato detto, i due si Smaterializzarono, per riapparire di fronte la porta di ingresso dell’appartamento situato sopra i Tiri Vispi.
< Pronta? > le domandò Fred, sorridente.

La ragazza si sentì pervadere da un immenso sentimento di felicità, così bello che si sentiva quasi volare.
Da quando, un mese prima, la cugina le aveva fatto quella proposta, dentro di sé aveva sentito come una nuova vita nascere dalle ceneri di quella precedente.
Aveva fatto il conto alla rovescia, fantasticato con la mente, si era ritrovata a sorridere da sola, nel buio della notte, al pensiero di tutte quelle stronzate che avevano fatto insieme, e forse, facendo ciò, aveva provato un briciolo di nostalgia, perché aveva capito che ormai non erano più due ragazzine, ma erano due donne: una con un matrimonio da organizzare, l’altra con una vita da rimettere in ordine nel caos che la avvolgeva.
Non era solita programmare il domani: amava prendere le cose come venivano, improvvisare, persino stupirsi. Ma quella volta era certa che sarebbe stata disposta a cambiare ogni suo principio e modo di vivere affinché tutto quello che aveva aspettato non fosse svanito nel nulla o, ancora peggio, tra le sue stesse mani, come era accaduto fin troppe volte.
Aveva passato due anni incatenata in una relazione che aveva soppresso e soffocato il suo essere, la sua personalità, e adesso comprendeva che doveva fare in modo che questa esplodesse, si mostrasse al mondo, l’aiutasse a stravolgere la sua esistenza, e non poteva esserci posto migliore di quello al mondo per farlo.
Guardò il ragazzo che l’aveva accompagnata e gli sorrise, poi annuì lentamente e fissò rapita la sua mano che si posava sulla maniglia, desiderosa che si sbrigasse.
Quando la porta si aprì, intravide lo scorcio della cucina, vuota, ma pian piano dei passi provenienti dalla stanza accanto si fecero sempre più vicini, fino a quando uno squarcio di capelli color rame non apparve dalla porta della camera da letto.
< Abbie! > esclamò Margaret, emozionata e più felice che mai, non appena vide la cugina, ferma all’ingresso e con gli occhi lucidi.
< Maggie! > fece quest’ultima, correndo ad abbracciarla.
< Mi sei mancata tanto! > sussurrò la prima, le lacrime che iniziavano a rigarle il volto.
< Oh, anche tu! > risposte l’altra, entusiasta. Sua cugina era cambiata poco e niente, e preservava splendidamente quel sorriso contagioso che la contraddistingueva. Tuttavia,  Abigail iniziava a non capire per quale assurdo motivo sentiva come se tra lei e Margaret vi fosse un ostacolo fisico che impedisse loro di abbracciarsi dignitosamente. Si liberò, allora, e inevitabilmente il suo sguardo si posò sul pancione di Meg. Sbarrò gli occhi, sconvolta, ed aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma questa le appariva come un’impresa ardua, se non impossibile.
< Be’... Sorpresa! > annunciò la futura mamma, radiosa, che si aspettava una reazione simile.
< Ma... Ma come?! Oddio... Voglio dire... Cioè... Dai, scherzi? Sei... Sei davvero incinta?! Mi stai... Mi stai dicendo che... che diventerete genitori?! > chiese la ragazza, boccheggiando sempre più e facendo ridere i due futuri sposi.
< Wow, che perspicacia! > commentò Fred, sarcastico, mentre avvolgeva la sua fidanzata in un abbraccio da dietro e, nel frattempo, le accarezzava dolcemente la pancia.
< Mi viene... Mi viene da piangere! Cioè, fai pena e ti odio, perché ogni volta riesci a far risvegliare l’emotività che c’è in me! > esclamò Abbie, fiondandosi addosso alla cugina.
< Non sarebbe stato lo stesso se te l’avessi scritto in una lettera, no? > le disse Meg, commossa, mentre l’altra si allontanava nuovamente e si asciugava il principio di lacrime.
< Sono così felice, Maggie! Insomma, non me l’aspettavo proprio! Di quanto sei? >
< Di sei mesi e mezzo, ormai! Non immagini quanto sia importante per me che tu sia qui! Passeremo insieme tanto... > iniziò, ma fu interrotta da George che, finalmente in ordine e fresco come una rosa, era appena entrato in cucina.
< Mi sono perso qualco-... > fece lui, bloccatosi improvvisamente alla vista di Abigail, che aveva una faccia che lasciava intendere che, a ruoli invertiti, lei avrebbe avuto la stessa identica reazione.

George, in quel momento, sentì il cuore mancare qualche battito, una sconosciuta sensazione di calore salirgli su per il corpo ed il cervello scollegarsi definitivamente.
Non appena i suoi occhi azzurri avevano incrociato quelli grigi di lei, le sue gambe erano improvvisamente diventate deboli e instabili: sapeva che sarebbe caduto rovinosamente a terra al primo movimento. Ma, d’altra parte, ogni muscolo era come immobilizzato, intorpidito, incapace di sbloccarsi.
Non riusciva a capire cosa gli fosse successo, e si chiese se le campane in festa che sentiva fossero la realtà o solamente una stupida illusione uditiva.
L’unica cosa certa, per lui, era che, nonostante tutte quelle sensazioni contrastanti, quel senso di sollievo non era affatto male.
Abigail, dal suo punto di vista, benedì mentalmente il momento in cui aveva deciso di lasciare Filippo, perché, se fossero stati ancora insieme, sapeva che si sarebbe tremendamente sentita in colpa per la tipologia di pensieri che prendevano forma nella sua testa ogni secondo passato a guardare quel ragazzo. Perché sì, le piaceva. Le piaceva proprio tanto.
Quando aveva visto Fred, non aveva avuto la stessa reazione. Per carità, aveva subito pensato che fosse un gran bel ragazzo, ma nient’altro.
In fondo, era pur sempre il fidanzato di sua cugina, e come tale non le provocava alcuna attrattiva.
George, invece, non sapeva per quale motivo, pareva averla colpita nell’immediato, e adesso, che si fissavano in silenzio senza riuscire a spiccicare alcun suono, aveva l’impressione di non voler fare assolutamente nient’altro per parecchi anni a venire. O meglio, qualcos’altro l’avrebbe voluto fare. Magari in camera da letto.
Margaret sembrò quasi leggerle nel pensiero, infatti, profondamente imbarazzata ed in difficoltà, cercò di riprendere in mano le redini della situazione.
< Ehm... George, lei è Abigail, mia cugina. Abbie, lui è George, il gemello di Fred > disse, fulminando con lo sguardo il fidanzato, che non era più riuscito a trattenersi e adesso era piegato in due a causa delle risate.
< Piacere > fece Abigail, stordita, porgendo la mano al ragazzo.
< Piacere mio! > rispose George, sognante, esibendosi in un perfetto baciamano che la lasciò piacevolmente spiazzata.
< Ehm, Abbie... George è stato così gentile da cederti la sua camera. Lui dormirà sul divano-letto... >
< No, ma non ce n’è bisogno! Non c’è motivo di scomodarsi, posso starci io in cucina! >
< Non se ne parla assolutamente, non è un disturbo! Sono pur sempre un cavaliere, io... > la rassicurò George, tornato quasi completamente in sé, mettendole una mano sulla spalla ed adottando quella che lui usava chiamare “Tattica di conquista”.
< Va’ a farti una doccia, sarai stanca dopo il viaggio! Ci pensiamo io e Fred alle valigie, tu vai! > le disse Meg gentilmente, sospingendola verso il bagno. Dopodiché, Fred prese i bagagli e li portò nella camera del fratello, scambiando occhiate complici con la futura moglie.
< George, ti dispiace se nell’armadio, insieme ai tuoi vestiti, metto anche quelli di mia cugina? > chiese questa al cognato, sghignazzante.
< Non c’è problema! > rispose il ragazzo dalla cucina, e Meg si chiese cose stesse facendo.

Lei e Fred persero una decina di minuti a sistemare la camera e togliere le cose superflue, poi si dedicarono al disfacimento delle valigie.
< Dobbiamo farlo per forza noi? Non può farlo lei? > domandò lui, seccato. Lei lo trucidò con lo sguardo, contrariata.
< Un minimo di ospitalità, Fred! Odio fare questa roba ancor più di quanto la odi tu... > lo rimproverò Meg, mentre con un colpo di bacchetta faceva levitare i vestiti in perfetto ordine all’interno dell’armadio.
< Che te ne pare di lei? > gli chiese, poi, incuriosita. Lui si portò una mano dietro la testa e rifletté per qualche secondo. Se doveva essere sincero, la prima impressione non era stata affatto cattiva.
< A primo impatto, da lontano, mi ha fatto un po’ di paura. Sai, avete la stessa espressione minacciosa! Sarà il taglio degli occhi, non so... > commentò Fred, sorridente. Margaret immaginò la scena e scoppiò a ridere.
< Figliolo, tua madre mi prende in giro. Fa’ qualcosa! >
< Ehi, mi ha tirato un calcio! Voglio dire, lo fa sempre, ma questo era più forte! > esclamò lei, con gli occhi sgranati, massaggiandosi la pancia. Il ragazzo sollevò il sopracciglio, poi ghignò, compiaciuto, e le si avvicinò, si chinò e diede un bacio al pancione.
< Che dolce, mi difende! Ma quanto sei bravo? Papà è tanto orgoglioso di te! Coalizziamoci contro la mamma: forse in due avremo qualche speranza! > commentò lui, teatralmente, facendo sbuffare Meg.
< Non dargli retta, Alexander: tuo padre è solo uno zuccone cattivone! >
< E tua madre è un’arpia! > disse lui con tono di sfida. Meg aprì la bocca per rispondere, indignata, poi la richiuse e mise il broncio. Fred, sogghignando, le mise le mani sui fianchi e l’avvicinò a sé per abbracciarla, poi affondò il viso tra i suoi capelli e glielo poggiò nell’incavo del collo.
< Pensandoci bene, da qualche mese sei più amorevole... > ammise, sghignazzando.
< Te l’ho già detto, la gravidanza mi rammollisce... > commentò la ragazza, seccata. Lui sorrise ancor di più.
< Dovresti essere sempre incinta, allora! >
< La vuoi smettere?! > sbuffò lei, contrariata, premendo la testa contro il petto di lui.
< Va bene... > le disse, poi le alzò dolcemente il mento e la baciò. Lei affondò le mani tra i suoi capelli, baciandolo sempre con maggiore trasporto, dimenticandosi completamente del fatto che non erano soli, in casa. A ricordarglielo ci pensò Fred, un po’ contrariato.
< Ehm... Amore? Ci sono due persone gironzolanti per l’appartamento, non scordarlo > le sussurrò, al che lei divenne rossa per l’imbarazzo.
< Oh, giusto... Che peccato > commentò, abbassando gli occhi al pavimento ed iniziando a tormentarsi le mani. Lui, un po’ divertito, gliele prese e le strinse tra le sue, facendo incrociare i loro sguardi. Restarono immobili a fissarsi per qualche istante, fino a quando una voce furiosa, levatasi dalla stanza accanto, non ruppe quella piacevole armonia.

< Ma che diavolo fai?! > urlò una voce di donna, seguita da un sonoro tonfo. Fred e Margaret, presi alla sprovvista, corsero in cucina, dove, giusto davanti la porta del bagno, un’Abigail in accappatoio, fuori di sé, puntava la bacchetta contro un George piegato in due e con entrambe le mani a protezione del naso.
< Merlino potente e vendicatore, cosa accidenti sta succedendo?! > sbottò Meg, sconvolta di fronte a tale scena, mentre Fred era rimasto paralizzato, incapace di elaborare il quadro della situazione. Abigail stava quasi per rispondere, ma venne battuta sul tempo da George, sanguinante.
< Mi ha dato un pugno! Mi ha... Oh, cielo! Mi ha rotto il naso! > piagnucolò questi, sul punto di svenire in maniera davvero poco dignitosa alla vista di tutto quel sangue. La ragazza diede in una risata sarcastica, poi tornò a fulminarlo con lo sguardo, alterata.
< Te lo sei meritato, maniaco! > esclamò, cercando di avventarsi nuovamente contro di lui, ma venendo bloccata di forza da Fred, tornato in sé.
< George, cos’hai combinato?! > domandò questi, dunque, insospettendosi, mentre nello sguardo della fidanzata apparve un inquietante lampo di consapevolezza.
< Niente! > rispose George, sulla difensiva. Il gemello lo guardò in modo scettico, affatto convinto da quella risposta.
< Mi spiava dal buco della serratura! > sbraitò Abigail, più furiosa che mai. A quelle parole, Fred scoppiò a ridere, mollando la presa sulla ragazza; Meg, invece, spalancò la bocca, incredula, e fissò indignata il cognato, diventato viola come una melanzana per la vergogna.
< Morgana maledetta, George! Ma cosa diavolo ti è saltato in testa?! > fece lei, furibonda, avvicinandosi pericolosamente al ragazzo, che iniziò ad indietreggiare con cautela. 
< E’ stato un malinteso, te lo giuro! E Fred, dannazione, la smetti di ridere?! > tentò malamente di giustificarsi George, che poi riservò un’occhiataccia al gemello, accasciato su una sedia della cucina e in preda ad un attacco di risa.
< Malinteso?! Oh, ma certo, come ho fatto a non pensarci subito?! Che stupida! Guarda un po’, pensavo fossi solo un pervertito! > disse sarcastica la più giovane delle due ragazze, che sembrava abbastanza tentata di assestargli un altro bel pugno.
< Abbie, va’ a vestirti. A lui ci penso io! > le assicurò Meg, al che Abigail seguì il suo consiglio e si chiuse in camera con un tonfo. Margaret, d’altra parte, guardò il cognato, desiderando in parte di portare a termine il lavoro intrapreso dalla cugina, mentre Fred continuava a ridere, incapace di fermarsi.
< Avanti... Vieni qui che ti aggiusto il naso... > disse infine la ragazza, lasciando prevalere la sua parte benevola. Poi, con un elegante colpo di bacchetta, gli sistemò il naso rotto e sanguinante.
< Ma cosa... Ma che ti salta in mente? Arriva adesso, e già la spii? Aspetta almeno qualche altra settimana, ma non agire così in fretta: c’era tutto il tempo... > fece lei, con tono estremamente ironico.
< Maggie ha ragione, fratello! Era meglio far passare un altro po’ di tempo! > le diede manforte il fidanzato, ancora sghignazzante.
< Fred, tu dovresti proprio stare zitto! Devo ricordarti cos’hai fatto quasi due anni fa, lo stesso giorno che il tuo Pasticcino è tornato dalla Spagna? > iniziò George, vendicativo e diabolico.
< George, ti prego... > lo implorò Fred, adesso nuovamente paralizzato, gli occhi sgranati che andavano da Margaret al fratello, compiaciuto a causa di quel repentino cambiamento di umore.
< Cos’è che avresti fatto, Fred?! > chiese lei, notevolmente incuriosita ed anche un po’ minacciosa.
< Assolutamente niente! > rispose lui, utilizzando lo stesso tono di voce stridulo di cui aveva dato mostra il fratello pochi minuti prima.
< Ah, niente?! Stai forse negando di essere entrato all’improvviso in camera sua nella speranza di trovarla in déshabillé?! >
< Io non... Voglio dire... Oh, va bene, lo ammetto! Ma capirai, in camera c’era solo Ginny, e già ci ha pensato lei a picchiarmi! > cercò di difendersi, guardando supplichevolmente Margaret, le cui narici avevano già iniziato ad allargarsi pericolosamente.
< Fred, fai schifo... > commentò, basita, scuotendo la testa.
< Ma che ci posso fare? Capisci, eri irresistibile! >
< Sì, certo... Tanto facciamo i conti dopo! George, tornando a te, mi sembra giusto che tu vada... > cominciò lei, seccata, ma venne interrotta dal ragazzo, che aveva capito perfettamente quello che stava per dirgli.
< A chiederle scusa, sì > fece George, rassegnato, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso quella che fino a quella mattina era stata la sua stanza.
< La vedo male... > commentò Fred, trovando l’approvazione della fidanzata, che gli fece comprendere con lo sguardo che avrebbe dovuto cucinare qualcosa, se avesse voluto farsi perdonare.

George, al contempo, bussò alla porta della camera, ricevendo un mormorio di assenso che lo invitava ad entrare. Dentro, trovò Abigail distesa sul letto, intenta a leggere un libro.
Ella alzò lo sguardo, e non appena vide che era lui, la sua espressione si tramutò in una maschera di ghiaccio.
< Che vuoi, adesso? Frugare nella mia biancheria? > domandò, ironica, ricevendo in risposta uno sguardo scocciato.
< Solo chiederti scusa... > fece lui, leggermente imbarazzato. Lei lo squadrò, perplessa, poi tornò alla sua lettura con indifferenza, lasciando il ragazzo ancor più spiazzato.
< Sì, si vede che non mi conosci! > commentò lei, ridendo tra sé. George sgranò gli occhi più di prima.
< In che senso? >
< Nel senso che accetto le tue scuse, ma... diciamo che già mi stai sulle palle! > spiegò semplicemente lei, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo, rivolgendogli un sorriso più che mai finto. George si rabbuiò, poi scosse la testa, sconfitto, e si allontanò, sparendo dietro la porta.
La ragazza si compiacque enormemente, anche se un moto di tristezza per un istante parve attanagliarle lo stomaco.
Si era ripromessa di essere più dura, di non farla passare liscia a nessuno, a differenza di ciò che era successo durante i suoi due anni infernali di relazione con Filippo, che l’avevano portata, se non costretta, ad avviare una sorta di crociata contro il genere umano di sesso maschile. Il suo non era un capriccio: era una necessità.
Doveva dimostrare a se stessa di saper gestire le situazioni, di essere capace di reagire a quella dura batosta, e non poteva fare alcuna eccezione.
Per un istante, parve quasi dispiaciuta per George, ma quella sensazione l’abbandonò immediatamente, lasciando il posto al risentimento, provocato da ciò che era successo poco prima.
Stava facendo la doccia, e lui la stava spiando dal buco della serratura: come aveva potuto osare? Si sentiva profondamente offesa, e nulla, o quasi, avrebbe potuto cambiare ciò.

Una volta che Fred l’ebbe detto che il pranzo era pronto, Abigail posò il libro ed andò in cucina.
Si accorse che l’unico posto libero rimasto era proprio quello accanto a George così, riluttante ed irritata, si sedette, poi guardò minacciosamente la cugina, che, nonostante ciò, le fece l’occhiolino.
< Freddie, diciamo tutto adesso? > domandò Meg al suo fidanzato, che, addentando voracemente una forchettata di pasta, annuì.
< Che dovete dirci? > chiesero Abigail e George all’unisono, che poi si guardarono malissimo e tornarono immediatamente a fissare la futura coppia di sposi, raggianti.
< Abbiamo il nome del bambino! > annunciò Fred, entusiasta. Gli occhi di Abigail si illuminarono, mentre George sfregò le mani, curioso.
< Avanti, sparate! Qual è? >
< Alexander! > disse semplicemente Meg, al che la cugina sobbalzò, felicemente sorpresa.
< Ma è... bellissimo! > esclamò, portandosi una mano di fronte la bocca. Il ragazzo accanto a lei, invece, fece finta di sbadigliare.
< Non male, ma... George sarebbe stato decisamente meglio! > commentò, un po’ dispiaciuto.
< E infatti sarà il suo secondo nome: Alexander George Weasley! > affermò Meg con tranquillità, lasciando spiazzato il cognato, che di certo non si aspettava una notizia simile. Fissò stordito i due, in parte confuso e in parte commosso, poi si passò una mano tra i capelli e scosse la testa, incredulo.
< Per le mutande di Merlino! Voglio dire, è... non trovo le parole! >
< Se può consolarti, sarai... sarai anche il padrino > aggiunse Meg, che pensò che fosse meglio approfittare di quel momento per dare le notizie tutte in una volta. Se ciò fosse stato possibile, George prese a boccheggiare ancor di più.
< Mi state prendendo in giro, per caso? Volete dire che... che sarò il padrino di vostro figlio?! Io?! Merlino, è... è un onore immenso! Sono... colpito! Non è che avete qualche altra notizia da darmi?! >
< Be’, sei anche il testimone della sposa! > disse Fred, divertito dalla situazione, al che il fratello lo fissò con ovvietà.
< Insieme ad Abbie... > concluse Margaret, e a quel punto cadde il silenzio. Abigail e George si guardarono nuovamente, e nel frattempo pensarono a tutte quelle centinaia di cose che avrebbero dovuto fare insieme in qualità di testimoni della sposa. Entrambi avrebbero voluto prendersi a testate vicendevolmente e porre fine ad una cosa del genere ancor prima che fosse iniziata.
Probabilmente, se questa notizia fosse stata data loro prima del fatidico episodio, l’avrebbero presa entrambi nel migliore dei modi. Peccato la situazione fosse cambiata in un batter d’ali di farfalla.
La bionda guardò la cugina, che sembrava esserci rimasta male, e le rivolse un sorriso enorme, rincuorandola.
< Maggie, non immagini quanto possa essere felice di essere la tua testimone! È più che un onore, devi credermi, ma... devo farlo proprio con lui?! > le chiese, quindi, sperando che si potesse trovare una qualsiasi soluzione. Margaret posò la forchetta sul piatto ed inspirò a fondo, cercando di trovare le parole per elaborare un discorso per lo meno convincente.
< Gail, tu sei mia cugina, mentre lui è il mio migliore amico. Siete due delle persone più importanti, per me, e per questa ragione non posso rinunciare a nessuno dei due, intesi? Sì, sarete i miei testimoni... e lo farete insieme! Non sarà nulla di così atroce, e credo anche che siate partiti con il piede sbagliato, o dico male? Direi che questa potrebbe dimostrarsi come l’occasione giusta per mettere a posto le cose, o no? Cercate di andare d’accordo, vi scongiuro... anche solo in mia presenza! Ma ho bisogno di entrambi... > fece Meg, con la speranza di trovare la collaborazione dei due. George le sorrise e diede in un’alzata di spalle, e stessa cosa fece Abigail, anche se controvoglia.
< Ho bisogno di un po’ di sano shopping Babbano: devo riprendermi! > disse questa, trovando il consenso di un’entusiasta Margaret, che andò a prendere velocemente il cappotto e si incamminò verso la porta di ingresso.
< Completamente d’accordo con te! Fred, George, pensate voi a sparecchiare? >
< Ehi! Hai avuto la febbre, non dovresti uscire! > si lamentò Fred, protettivo come sempre.
< Lo prendo come un sì! Forza, Abbie: andiamo! > ordinò la ragazza, raggiunta subito dalla cugina, che si chiuse la porta alle spalle, non senza però aver prima lanciato l’ennesima occhiata truce a George.
I due ragazzi si guardarono, sconvolti e presi alla sprovvista dalla velocità decisionale delle due giovani. Il più basito, ovviamente, era Fred, che era stato tranquillamente ignorato e non preso in considerazione.
< Donne! > esclamarono all’unisono i due, che, nonostante tutto, si diedero subito da fare con i loro doveri da casalinghi perfetti.


Angolo dell’autrice

E’ orrendamente confusionario, Morgana maledetta (?), e non mi convince per nulla. Ho avuto pochissimo tempo per dargli una sistemata, e questo (purtroppo) è il risultato. Liberissimi di lanciarmi pomodori. Spero vi piaccia anche solo un pochino. ç_ç
Bene, Abigail... pensavate fosse sbocciato l'amour, eh? Mwuhauhauah, sono cattiva. Lei e George diventeranno, insieme, il “fattore comicità” (?) della storia, o almeno per qualche capitolo.
Poi ho in mente una roba che non vi sto qui a raccontare, altrimenti rovino la sorpresa. Diciamo che ho intenzione di sperimentare parecchio su questi due poveracci, sì!
Be’, stavolta non ho molto da dire riguardo il capitolo, a parte che il titolo è dello scrittore statunitense Henry Wadsworth Longfellow, mentre la canzone è Mamma Mia, degli Abba.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate, ma soprattutto JeckyCobain, che a quanto pare è l’unica che mi sopporta! <3 Vi invito a leggere la sua storia, qui.
Prossimo aggiornamento: sabato 15 giugno (quasi sicuramente, a partire da quella data in poi, l’aggiornamento sarà settimanale! Vi darò la conferma la prossima volta).
Un abbraccio,
Jules


Curiosità:

Abigail ha già finito la scuola perché, frequentandola in Italia, essa prende le caratteristiche del nostro sistema scolastico, e dunque lei, avendo compiuto diciassette anni nel gennaio dell’anno prima, ha già completato i suoi studi alla Scuola di Magia.

Dal prossimo capitolo:

< Merlino! Quando la smetteranno?! >
< Non ne ho idea, ma spero solo che George non le Trasfiguri il naso in quello di un maiale, come ha fatto settimana scorsa! >
< E io mi auguro che Abbie non gli faccia diventare i capelli verdi, proprio come ieri! > fece lei, esasperata, lasciando di sasso il suo fidanzato, che probabilmente doveva essere rimasto all’oscuro dell’accaduto.
< L’ha fatto davvero?! Per i tanga leopardati di... >

Flash mentale poco raccomandabile del giorno:

Nel momento in cui George ed Abigail si vedono per la prima volta, i Beatles, onnipresenti, se ne stanno nell’angolino della cucina cantando allegramente “All You Need is Love”.
Quando Abigail becca George mentre quest’ultimo la sta spiando dal buco della serratura, i Beatles vengono sostituiti dai Muse, che intonano con fare grave e teatrale una roba come “Apocalypse, Please”. Credo renda bene l’idea, no?
*Aiutatequestapoveradonnaviprego*

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Capitolo 10
*** Le antipatie violente sono sempre sospette, e tradiscono una segreta affinità ***


Le antipatie violente sono sempre sospette, e tradiscono una segreta affinità



Ooh 1, 2, 3, 4 fire's in your eyes,
And this chaos it defies imagination
5, 6, 7, 8 minus 9 lives
And I know you will fight for the duration
Ooh 1, 2, 3, 4 fire's in your eyes
And you know I'm not resisting your temptations
5, 6, 7, 8 minus 9 lives
You've arrived at Panic Station!



Se quella mattina della prima metà di marzo qualcuno avesse posato gli occhi sul prospetto dell’appartamento situato sopra i Tiri Vispi Weasley, non ci avrebbe visto nulla di strano: le pareti esterne erano state dipinte di un bel colore arancio acceso, in piacevole contrasto con l’azzurro del cielo di fine inverno, mentre delle graziose tende rosse a pois si intravedevano attraverso le finestre chiuse della cucina.
Ma nessuno, proprio nessuno, avrebbe mai potuto immaginare la situazione infernale che si era radicata da quasi un mese in quella residenza all’apparenza accogliente.
Difatti, ai lati opposti del tavolo da pranzo stavano, probabilmente per evitare di darsele di santa ragione, Abigail Thompson e George Weasley, entrambi in pigiama e con i capelli scompigliati.
La prima teneva ben salda in pugno la bacchetta, puntata ovviamente contro il ragazzo, che stavolta sembrava essersi rifugiato nelle classiche “armi” Babbane, come testimoniava perfettamente la padella per pancakes che reggeva minacciosamente in mano.
I due si squadravano da capo a piedi con occhiate sempre più truci, il che lasciava presagire che la situazione si sarebbe evoluta nel peggiore dei modi.
Da quando il ragazzo, infatti, l’aveva spiata dal buco della serratura al suo arrivo, il rapporto tra i due non aveva fatto altro che deteriorarsi maggiormente, a tal punto che per ben due volte si era reso necessario l’intervento di Fred per separarli e per evitare possibili omicidi o, nel migliore dei casi, un ricovero d’urgenza al San Mungo.
Adesso, però, si era giunti al limite. Ogni giorno, almeno uno tra loro due cercava qualsiasi pretesto, anche quello più ridicolo, per litigare e per accendere qualsivoglia discussione, spesso insensata, proprio come stava succedendo quella mattina.
< Stavolta non la passi liscia, mentecatto! > sibilò lei, e la sua bacchetta emanò subito dei piccoli sbuffi di vapore rosso, segno dell’evidente nervosismo della sua proprietaria. George ridacchiò, sarcastico.
< Biondina, ma ti sei vista?! Indossi una camicia da notte rosa con su disegnato un panda! Un panda! Pensi di farmi paura? > commentò lui, facendo una smorfia provocatoria. Abigail divenne viola.
< Cosa c’entra il pigiama?! Tu hai in mano una stupida padella, io invece ho la bacchetta! Non ti trovi proprio nella condizione di potermi infastidire! >
< Hai detto bene: ho la padella! Sono abbastanza agile da schivare i tuoi incantesimi, raggiungerti alle spalle, darti un colpo in testa con la mia infallibile arma e stanarti! >

< Stavolta per cosa stanno litigando? > chiese Margaret, ormai al settimo mese di gravidanza, a Fred, anche lui, come lei, sotto le coperte del loro comodo letto.
< Ormai, non si prendono nemmeno più la briga di trovare un valido motivo. Basta loro guardarsi per sfoderare le bacchette e puntarsele contro... o tirarsi addosso stoviglie, scarpe... caffettiere. Oggi, però, stanno litigando per la colazione. Entrambi vogliono i pancakes, ma nessuno dei due vuole mangiare la stessa cosa che mangia l’altro. Ma il fatto è che entrambi si rifiutano di scegliere un’altra cosa. Stanno degenerando... > spiegò lui con calma, anche se non poteva negare che la faccenda lo divertisse parecchio, e non a tutti i torti. Il fatto che cercasse di alimentare a più non posso quelle discussioni, be’... quello era tutto un altro discorso.
< Merlino! Quando la smetteranno?! >
< Non ne ho idea, ma spero solo che George non le Trasfiguri il naso in quello di un maiale, come ha fatto settimana scorsa! > bugia del giorno. Lo sperava, eccome se lo sperava!
< E io mi auguro che Abbie non gli faccia diventare i capelli verdi, proprio come ieri! > fece lei, esasperata, lasciando di sasso il suo fidanzato, che probabilmente doveva essere rimasto all’oscuro dell’accaduto.
< L’ha fatto davvero?! Per i tanga leopardati di... >
< Te l’ho detto che dobbiamo fare qualcosa! Arriveranno ad uccidersi, te lo garantisco! > si lamentò lei, adesso preoccupata. Temeva che, prima o poi, uno dei due si facesse male sul serio, e se ciò fosse accaduto, già sapeva che si sarebbe sentita in colpa a vita.
< O ad innamorarsi. E, onestamente, non so quale possa essere la cosa peggiore. Pensa, potremmo persino liberarci di entrambi! > aggiunse, con sguardo sognante, Fred, che in quegli ultimi tempi tendeva a sdrammatizzare la situazione dicendo alla fidanzata che almeno, se quei due avessero continuato ad odiarsi, non ci sarebbe stato il rischio di ritrovarsi qualche altro bambino in giro per casa oltre il loro.
< Fred! > lo rimproverò Meg, al che lui sorrise e la strinse a sé, poi coprì le teste di entrambi con il cuscino per attenuare il più possibile le urla ed i rumori di oggetti volanti provenienti dalla cucina.

< Ti odio! > esclamò Abigail, lanciando contro il suo “avversario” la pantofola che si era appena tolta. Lui la schivò con nonchalance e puntò la ragazza con la famosa padella, tirandogliela addosso e mancandola di pochissimo. Era pur sempre stato un ottimo Battitore.
< Mai quanto io possa odiare te, stupida viziata! > soffiò George, che poi fu più veloce di lei a recuperare la bacchetta e a scagliarle contro un incantesimo Levicorpus. Immediatamente, la giovane si ritrovò sospesa in aria per un piede, cercando poi in tutti i modi di coprirsi il più possibile con la camicia da notte. Il ragazzo, dal basso, aveva iniziato a ridere e non sembrava propenso a fermarsi.
< Cos’è che ho appena intravisto?! Slip con gli orsacchiotti? Thompson, vuoi prendermi in giro? > la provocò, compiaciuto della sua mossa... ed anche della visuale, a dirla tutta.
< Fammi... scendere... subito! >
< Perché dovrei? È fin troppo divertente! >
< Weasley! Ti... TI SPACCO LA FACCIA! > lo minacciò lei, sempre  più furiosa, mentre continuava a portare avanti i vani tentativi di coprirsi.
< Ecco, non mi conviene annullare l’incantesimo! Lo farò solo quando sarò vestito e fuori dall’uscio di questa casa, quindi... all’incirca tra due orette! > fece lui con tranquillità, godendosi la sua reazione indignata.
< George, per quanto io ami vedervi litigare, sono costretto da, ehm... forze esterne a dirti di farla scendere immediatamente! > urlò Fred dalla camera da letto, evidentemente seccato, beccandosi un calcio da parte di Margaret, che stava iniziando ad innervosirsi.
< E va bene! Uffa, una volta che mi divertivo... > si lagnò George, ancora sghignazzante, mentre annullava l’incantesimo e la ragazza cadeva sul pavimento con un tonfo; ma il sorriso gli si spense sulle labbra non appena vide che una furia dai capelli biondi gli si stava fiondando addosso spinta da una forza alimentata da una rabbia senza fine.
Senza capire dove, quando e perché, si ritrovò disteso a terra, mentre Abigail, sopra di lui, gli tirava i capelli con vigore.
< Che fai?! Sei pazza?! Mi fai male! > strillò lui, lacrimante per il dolore. Lei diede in un’inquietante risata e gli tirò un ceffone.
< Te li strappo tutti, uno per uno, dovessi impiegarci anche tutta la vita. È una promessa, Weasley > sibilò, rabbiosa. George, però, riuscì ad approfittare di un momento di distrazione della ragazza per ribaltare la situazione, trovandosi adesso all’attacco.
Ovviamente, non esitò neanche un secondo a vendicarsi della “tortura” appena subita.
< I miei capelli! I miei bellissimi capelli! Così me li strappi, idiota! > fece lei con voce estremamente stridula, cercando in tutti i modi di liberarsi e di graffiargli il viso.
< Be’, sai... sarebbe il mio intento! Per qualche capello in meno non è mai morto nessuno, sta’ tranquilla! >
< Oh, ma che peccato! > disse lei, furibonda, mentre riusciva nuovamente ad attaccare le mani sui capelli di lui. Continuarono entrambi così per qualche altro minuto, fino a quando lei, stanca, non spostò le mani sul viso del ragazzo, avvicinandolo al suo. Rimasero fermi a fissarsi per parecchi istanti, stravolti e parecchio confusi.
< Sei una merda > gli sussurrò lei sulle labbra, stavolta però con tranquillità, senza alcuna traccia di rancore o fastidio.
< Temi la concorrenza, eh? > disse lui in un soffio, scostandole i capelli dal volto ed asciugandole con un dito il lieve rivolo di sangue che le sgorgava dal labbro inferiore, leggermente spaccato. Poggiò la fronte contro la sua, in modo tale che i loro occhi fossero ancora più vicini e potessero fissarsi meglio, lottando tra l’odio ed una più che evidente attrazione reciproca.

< Maggie, c’è troppo silenzio. Saranno morti? > domandò, speranzoso, Fred a Margaret. Entrambi tenevano ancora le teste sotto il cuscino.
< Nah, ora ricominciano... >

George, preso da un momento di pura confusione, stava per premere le sue labbra contro quelle di Abigail, quando quest’ultima fece forza con le mani contro il petto di lui per scansarlo violentemente.
< Che ci aspettavi a toglierti di mezzo?! > sbraitò, rialzandosi, lei, che sicuramente non aveva capito cosa il ragazzo era stato in procinto di fare. Lui, seduto sul pavimento, scosse la testa, come per riprendersi, e sgranò gli occhi.
< Ma se sei stata tu ad arpionarmi la faccia! > si difese, un po’ imbarazzato. Lei rise istericamente e tornò a fissarlo con disprezzo, anche se, dentro di lei, sentì quasi come se un nodo le stesse attanagliando le viscere.
“Eravamo così vicini...”
< E con ciò? Cosa vorresti insinuare? > disse, comunque, con una disinvoltura fuori dal comune.
< Che mi è passata la fame > fece George con astio, ma al contempo pregando qualsiasi entità affinché quella sgradevole sensazione di budella attorcigliate scomparisse il prima possibile.
Si rialzò, quindi, e si diresse in bagno, sbattendo malamente la porta e lasciando Abigail interdetta e più confusa di prima.

< Te l’avevo detto che ricominciavano... > sussurrò Meg, ancora a letto, prima di stampare un dolce bacio sulle labbra del fidanzato, sorridente.
< Sono così prevedibili, non trovi? > commentò allora lui, accarezzandole il pancione. Lei assunse un’espressione pensierosa e poi corrucciò il naso, divertita.
< Conosciamo abbastanza bene i nostri polli, già! > affermò lei con convinzione, dando un altro calcio a Fred e facendolo cascare giù dal letto.
< Ah, che cosa meravigliosa e poco dolorosa, l’amore! > esclamò ironicamente lui con la faccia contro il pavimento gelato.
“Pasticcino, un giorno avrò la mia vendetta!” 


* * *


L’avvento incombente della Primavera non sempre combacia con il manifestarsi di un clima più tiepido, come dimostrava perfettamente la fresca temperatura di quel pomeriggio.
Dopo il duplice assassinio sventato in Casa Weasley di quella stessa mattina, Meg e Fred pensarono che la cosa migliore fosse quella di portare i due testimoni della sposa, sempre più insofferenti l’uno nei confronti dell’altra e viceversa, a fare compere. Margaret, difatti, doveva incontrare le sue damigelle per trovare un accordo per quanto riguardava i loro vestiti.
< Dov’è il rendez-vous? > domandò Fred alla sua ragazza, camminando insieme a lei a debita distanza da Abigail e George, ancora estremamente impegnati a litigare. Sembrava quasi che ci avessero preso gusto.
< Da quando usi certi termini ricercati? > fece allora Meg, sbalordita di fronte alla frase pronunciata precedentemente dal futuro marito. Lui chinò il capo, colpevole, poi la guardò facendo gli occhi dolci.
< L’ho letto su quel cartello... > bisbigliò lui, al che Margaret si fermò di botto e scoppiò a ridere fragorosamente, tenendosi con entrambe le mani il pancione. A quella scena, anche lui non poté far altro che lasciarsi trasportare dalle risate.
< Sei... sei proprio un idiota... Ma chi... ma chi mi sto mettendo in casa... > commentò lei, ormai in lacrime, appoggiandosi alla spalla di lui, che come lei non riusciva a smettere di ridere.
Nel frattempo, invece, George e Abigail stavano discutendo, tanto per cambiare, sull’ennesima ridicola cosa, noncuranti della gente infastidita attorno a loro.
< Sei tu che puzzi! > fece lui, provocatorio.
< No, tu! > contrattaccò lei, dandogli uno spintone.
< Tu! > continuò George, rispondendo alla spinta e facendo quasi atterrare la ragazza addosso ad un’anziana signora, che non tardò a picchiarli entrambi con il bastone da passeggio1. Una volta che, soddisfatta, si fu allontanata, Abigail puntò gli occhi inferociti sul “nemico”.
< Adesso ti uccido! > sbraitò lei, allora, che stava per fiondarglisi addosso, ma che venne immediatamente bloccata da Fred, abbastanza veloce da mettersi tra i due e prenderla di peso, manco fosse stata un sacco di patate.
< Mettimi giù, o ce ne sono anche per te! > lo minacciò lei, non sortendo l’effetto desiderato.
< Si può sapere, stavolta, per quale assurdo motivo state litigando? > chiese, più incuriosito che arrabbiato, rimanendo spiazzato dalla stupidissima risposta che ricevette.
< Dice che puzzo, quando invece è ovvio che, tra i due, quello che puzza è lui! >
< Ti sbagli, bellina: io profumo come una rosa! >
< Adesso basta, dannazione! Puzzate entrambi! > intervenne Margaret, dapprima estremamente seria, per poi dare nuovamente in una rumorosa risata. Fred, inevitabilmente, lasciò andare Abigail, che quasi non cadde con la faccia sul marciapiede, e seguì a ruota la ragazza, lasciando interdetti i due litiganti.
< Amore, sei... sei sempre geniale! >
< Ehm... io direi di allontanarci con cautela, che dici? > sussurrò George in direzione della cugina della futura sposa, che annuì vivacemente, perplessa.
< Fermi lì, voi due! Angelina, Alicia e Cassandra mi aspettano all’incrocio tra Oxford Street e Regent Street, dobbiamo dare un’occhiata ai loro abiti. Abbie, sai per caso la taglia di nostra cugina Blanche? > disse improvvisamente Meg, facendo sobbalzare i due. Abigail, a quella domanda, sbarrò gli occhi.
< Ha dodici anni, non ne ho idea... Ma mi stai dicendo che hai scelto anche lei, come damigella?! Merlino ci salvi, sai che odia l’azzurro! Non lo indosserà mai! >
< Vorrà dire che dovrà adattarsi! Bene, io e Fred andiamo. Voi, piuttosto, sfruttate l’occasione per andare a scegliere i vostri abiti da cerimonia. George, il colore della tua cravatta deve essere uguale a quello del vestito di Abbie, mi raccomando! > spiegò Margaret, aspettandosi ovviamente una reazione affatto positiva.
< Come?! > esclamarono i due, infatti, all’unisono, facendole portare le mani ai capelli.
< E io dovrei indossare qualcosa che abbia lo stesso colore di una cosa che indossa lui?! > domandò Abigail, disgustata, mentre George, per la prima volta, sembrava essere d’accordo con lei.
< No, scherziamo?! È già troppo essere testimone di nozze insieme a lei, ma indossare roba che abbia qualcosa in comune è... per le unghia finte di Morgana, è inaccettabile! > commentò il ragazzo, sconcertato, mentre suo fratello si allontanava, seppur a malincuore, deciso a non voler sentire la sfuriata della sua fidanzata.
< Statemi a sentire, voi due! O provate ad andare d’accordo, o vi faccio pentire di essere nati, sono stata abbastanza chiara?! > fece Meg, minacciosa, ergendosi in tutta la sua scarsa altezza e, da degna erede di Molly Weasley, puntellandosi le mani sui fianchi. Con quel pancione ben evidente, poi, faceva più terrore che tenerezza.
< Non lo sopporto, cosa ci posso fare?! > si lagnò la cugina, imbronciata. Il cognato le diede manforte.
< E io non sopporto lei, che faccio di male?! >
< Che fai di male?! Mi state rovinando il matrimonio, ve ne rendete conto? > si ritrovò ad urlare la giovane mamma, facendo voltare alcune persone che guardavano le vetrine lì vicino. Fred, dal suo canto, si allontanò ancor di più, deciso a salvare se stesso da una possibilissima emicrania, ed iniziò a parlare del tempo con un’ignara signora che passava di lì per caso e che, naturalmente, gli riservò lo sguardo più truce che era riuscita a pescare.

George e Abigail, dapprima sconvolti per il repentino cambio di umore della ragazza, in seguito colpiti da profondi sensi di colpa, si guardarono, poi si porsero la mano a vicenda.
< Tregua > dissero all’unisono, al che Margaret tornò a sorridere, speranzosa che le acque si calmassero sul serio, almeno al momento.
< Non durerà a lungo, sappilo! > l’avvertì quindi George, deciso a mettere le cose in chiaro.
< Andate, avanti, dietro l’angolo c’è un atelier. Ci rivediamo qui tra un’ora! > li cacciò via Fred, che voleva far finire tutto il prima possibile. Il gemello, per far contenta la cognata, passò un braccio dietro le spalle ad Abigail, iniziando ad incamminarsi.
Una volta che girarono l’angolo, George lo tirò subito via e fece finta di pulirlo sui vestiti, disgustato, mentre la ragazza si esibiva in smorfie schifate.
< Che orrore, potresti avermi infettato! > fece teatralmente lui, meritandosi un’occhiata assassina da parte di lei.
< Dovrei preoccuparmi io, piuttosto! I tuoi germi saranno arrivati ovunque! Ho bisogno di un bel bagno purificante... > rispose lei, a tono, gustandosi la sua espressione malevola.
< Arpia! >
< Zuccone! >
< Invece di offendere, pensa ad un colore, Megera! >
< Ma io l’ho già deciso: sarà il rosa! > disse lei, risoluta, facendo bloccare di botto il ragazzo, che la guardò in modo contrariato.
< Ma non se ne parla neanche! Ho i capelli rossi, non te ne sei accorta?! Con il rosa fanno un pugno nell’occhio! > constatò lui, ma la giovane neanche parve ascoltarlo.
< E allora? A me il rosa sta benissimo, ed è questo l’importante! > fece lei, cercando di entrare nell’atelier, ma George fu più veloce e riuscì a trattenerla per il polso.
Abigail si voltò, pronta a dirgliene di tutti i colori, ma le parole le rimasero ferme in gola non appena poté notare che i loro occhi erano a pochi centimetri di distanza. Neanche pochi secondi, e già le sue guance si erano colorate di un rosso pomodoro bello acceso.
< Tu non vai da nessuna parte fino a quando non decidiamo questo dannato colore. Insieme > soffiò lui, compiaciuto di quel silenzio. Lei non seppe che dire per qualche istante, poi sospirò e si divincolò dalla presa del ragazzo.
< Avanti, proponi > disse, rassegnata. Lui ghignò, soddisfatto.
< Verde! > propose, al che la giovane fece una faccia a dir poco disgustata.
< Non meriti di vivere su questo pianeta un solo secondo di più... >
< Dire semplicemente che non ti piace ti costa fatica? >
< No, è solo che è così bello farti innervosire > commentò Abigail, rivolgendogli forse il primo vero sorriso in quel mese di sopportazione reciproca. George, preso alla sprovvista, non poté fare altro che ricambiare quel gesto inaspettato.
< Avorio? > propose, allora, sperando di arrivare presto ad un accordo. Lei lo squadrò scetticamente.
< Non posso avere un abito di un colore simile al bianco, no. Azzurro? >
< Già ci sono i vestiti delle damigelle di quel colore, quindi no. Porpora? >
< No, non mi sta... >
< Scherzi? A te sta bene tutto, sei una favola! > commentò George, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo, ma si ammutolì subito dopo, mentre Abigail era arrossita violentemente. Si morse il labbro e gli sorrise lievemente, cercando di evitare di guardarlo direttamente negli occhi.
< Oh, be’... Grazie > gli disse, allora, timidamente, il che lasciò molto spiazzato il ragazzo.
< Non... Non ti ci abituare troppo, eh? > le sussurrò lui, quindi, facendole l’occhiolino, poi le cinse le spalle e la condusse dentro l’atelier.

< Buonasera, posso esservi d’aiuto? > chiese loro una giovane ragazza, al che George sfoggiò tutto il suo charme. 
< Sì, davvero molto gentile! Cercavamo degli abiti da cerimonia! >
< Serviamo prima la sua fidanzata? >
< Sì, serviamo prima la mia fidanza-... eh?! > fece lui, incredulo, sentendosi crollare addoss tutto il piano di conquista che la sua testa stava elaborando.
La commessa, tuttavia, si era già avviata e li aveva invitati a seguirla, e Abigail, si chiese il perché, non riuscì a reprimere un notevole compiacimento. Fece per dare un’occhiata agli abiti che le erano stati proposti, ma George le si parò davanti e le impedì di continuare ad esaminarli.
< Che fai?! > gli chiese, allora, infastidita. Lui si esibì in un ghigno diabolico e la sospinse più in là.
< Lo scelgo io, il tuo > disse, quindi, provocandole una reazione sconvolta. Il ragazzo, che non si capiva proprio da quando fosse diventato un esperto di moda, si tuffò quasi letteralmente all’interno dello stand di abiti, per uscirne fuori cinque minuti dopo con un lungo vestito mono spalla in chiffon di seta, color rosso porpora, aderente fino alla vita, sotto la quale cadeva in maniera più morbida. Abigail fissò l’abito per qualche istante, poi alzò gli occhi sul suo accompagnatore e lo scrutò con sguardo interrogativo.
< George... è porpora... >
< Ti starà benissimo, fidati! Signorina, lei cosa ne pensa? > domandò lui, convintissimo di quello che stava facendo.
< Credo anche io che le starà d’incanto! Per lei, invece? > fece la commessa, rivolgendosi poi a George. Lui parve rifletterci su per qualche istante, mentre Abigail sembrava fortemente desiderosa di assassinarlo.
< Cravatta e camicia porpora, ovviamente. Lo smoking lo faccio scegliere alla mia ragazza, credo ne sarà entusiasta! > disse, poi, facendo quasi affogare la sopracitata con la sua stessa saliva. La commessa, d’altra parte, euforica, la invitò a seguirla nel reparto uomini, dal quale furono di ritorno pochi minuti dopo con un abito nero molto elegante e raffinato.
< Ecco a lei, lì in fondo ci sono due camerini liberi! Intanto andate, a breve vi porterò gli accessori > .
I due ragazzi si andarono a cambiare, uno curioso, l’altra perplessa, ma entrambi con una grande confusione in testa. Dopo un lungo mese fatto di insulti ed intolleranza reciproca, quelli erano stati i primi minuti di conversazione civile ed educata.
Abigail quasi non si maledisse mentalmente: come aveva fatto un semplice complimento, tra l’altro arrivato per sbaglio, a sciogliere i nodi di rancore che si erano accumulati, intrecciandosi, durante quel breve ma intenso lasso di tempo? Si disse che era una stupida, che quella debolezza non se la sarebbe mai perdonata.
“Abigail Darleen Thompson, da quando intraprendi un rapporto civile con lui?! È guerra! Guerra, ti ho detto! Non puoi lasciarti abbindolare da due occhioni azzurri, dannazione! Questione d’onore e d’orgoglio!” pensò la giovane donna mentre, nel camerino, indossava il vestito.
“George Weasley, come ti salta in testa di usare dei modi così gentili con lei?! Riprenditi, idiota! Non puoi rammollirti in questo modo per colpa di un sorriso! Be’, di uno splendido, incantevole, meraviglioso sorriso, in effetti. Oh, accidenti, non c’entra nulla! Deve capire con chi ha a che fare!” si lamentò mentalmente George, anche lui intento a provare l’abito da cerimonia.


* * *


Fred e Margaret, che avevano appena comprato i vestiti per le damigelle, si erano incamminati per raggiungere i due ragazzi all’atelier.
Non era stato affatto semplice concordare tre teste, specialmente se queste appartenevano a delle tipe come Angelina, Alicia e Cassandra, affatto docili e sempre ferme nelle loro decisioni. Alla fine, però, ce l’avevano fatta, ed era questo l’importante.
Certo, la presenza di Fred e di Frank, che, felice come una Pasqua, aveva accompagnato la sua adorata amica Cassie, era stata provvidenziale: sotto la loro vigilanza costante, nessuna delle tre streghe aveva anche solo osato pensare di mettere in atto una zuffa. Ogni tanto, si disse Meg, gli uomini potevano essere utili a qualcosa.
Quest’ultima, tuttavia, nonostante la felicità per l’avvicinarsi della nascita di suo figlio e delle nozze, non poteva che provare al contempo un notevole nervosismo.
Non sapeva cosa l’aspettava, ciò che avrebbe dovuto affrontare, e la paura di non essere una buona mamma, se dapprima era sparita, adesso si faceva sentire nuovamente. Per di più, la nuvola di tensione che circondava costantemente sua cugina e suo cognato non faceva altro che peggiorare il suo già instabile umore.
In quel momento stava camminando abbracciata a Fred, ma mentre lui, volgendo lo sguardo attorno a sé, vedeva solo coppie felici con bambini in braccio o nelle carrozzelle, lei incrociava i suoi occhi con quelli di donne esasperate che tenevano per mano i figli pestiferi in lacrime.
< Amore, che succede? Non parli, non è da te... > osservò lui, insospettito. Meg si fermò di colpo ed alzò il viso per guardarlo dritto negli occhi.
< Sono semplicemente terrorizzata, nulla di cui preoccuparsi > disse lei con estrema semplicità, lasciando spiazzato il suo ragazzo, che prese a scrutarla con interesse.
< E, di grazia, perché mai? Insomma, fino a due secondi fa eri tranquillissima! >
< Sono terrorizzata perché non voglio diventare una pazza esaurita, mentre è ovvio che tutte le donne, appena diventate mamme, lo diventano! Mia zia Annabel esaurì, così come mia zia Alexis, come mia madre, per non parlare poi di mia zia Regina, che è diventata il capo supremo degli esauriti, e sfiderei chiunque a non diventarlo avendo in casa John, Andrew e Abigail! E poi, diciamocela tutta... non so nemmeno cambiare un pannolino! E non sopporto i pianti, i capricci, e tutta quella roba lì. Rinchiudimi in un manicomio, è la cosa migliore! >
< Lo sto prendendo seriamente in considerazione, sai? Ascolta, stai mettendo molto a dura prova la mia capacità di sopportazione e comprensione dei tuoi sbalzi di umore, che, credimi, sono assolutamente raccapriccianti. Neanche io so cambiare i pannolini, ma impareremo, va bene? Mia madre ha cresciuto e sopportato sette figli, e sono sicuro che io e George siamo molto peggio di tutti i tuoi cugini messi insieme, ma non mi pare che qualcuno l’abbia mai rinchiusa in una casa di cura. E poi, non devi preoccuparti di diventare una pazza furiosa: lo sei sempre stata, ma nonostante ciò tutti ti vogliono bene! Ora, vuoi ritornare in te, per favore? > fece Fred con una calma impressionante, al che Meg sorrise e gli si fiondò tra le braccia.
Capiva che le sue ansie erano stupide e giustificabilissime, ma aveva bisogno che qualcuno la rassicurasse, le confermasse che sarebbe stata capace di affrontare ciò che si prospettava come la cosa più difficile al mondo.
< Sono pesante, lo so... > si scusò lei, ma lui scosse la testa e le diede un bacio sulla fronte, poi la prese per mano e la invitò a proseguire per il loro tragitto.
< Sta’ tranquilla, è lo stress per i preparativi, ti capisco. Saremo dei genitori modello, non preoccuparti! > la rassicurò, poi, ancora lui.
< Lo so, a volte mi lascio prendere dall’ansia. Quei due, poi, non fanno altro che peggiorare la situazione! Litigano in continuazione, sono diventati ridicoli! E... ho pensato a lungo ad una cosa... > fece Meg, alludendo a George e Abigail.
< Cosa? >
< Non possono essere entrambi miei testimoni: a forza di cercare di collaborare, uno dei due arriverà ad ammazzare l’altro... >
< Sei proprio sicurissima di quello che dici? > chiese allora Fred, consapevole del fatto che la sua futura moglie avrebbe potuto cambiare idea dopo qualche secondo, cosa che durante quei sette mesi di gravidanza era successa continuamente. Ma, stavolta, sembrava proprio convinta della sua decisione.

Dopo pochi minuti arrivarono, finalmente, all’atelier dove avevano fatto recare i due testimoni, e Margaret, sicura, puntò dritto in fondo al locale, dove un ragazzo dai capelli rossi ed una ragazza dai corti capelli biondi indossavano degli abiti da cerimonia e si stavano guardando allo specchio.
< George, Abbie, devo dirvi una co-... > iniziò, ma si interruppe non appena i due si voltarono nella sua direzione sfoggiando dei sorrisi radiosi.
< Oh... Santo cielo, siete meravigliosi > sussurrò lei, con le lacrime agli occhi, mentre ciò di cui prima era assolutamente sicura andava svanendo nei meandri della sua mente contorta.
< Ecco, vuoi dirle anche tu che con questo vestito è splendida? > disse George, cingendo la vita ad Abigail, sotto gli occhi ovviamente sconvolti del fratello e della cognata. Quest’ultima, allora, si buttò quasi letteralmente addosso ai due, stringendoli in un abbraccio soffocante. Fred, d’altra parte, rideva tra sé, come sempre spiazzato dai repentini cambiamenti decisionali di Margaret.
< Cosa ci dovevi dire? > domandò però Abigail, incuriosita.
< Niente! Assolutamente niente! Pagate e andiamo, vi aspettiamo fuori! > si intromise Fred, deciso a chiudere lì la questione. Dopodiché, prese per mano Meg e la condusse fuori dall’atelier, consapevole, però, del fatto che la giornata non fosse ancora finita.


* * *


Differentemente da quanto era successo quella stessa mattina, quella sera, in Casa Weasley, l’atmosfera che si respirava poteva essere considerata delle più piacevoli. La cena era stata consumata con estrema tranquillità, e le conversazioni civili ed educate tra George ed Abigail sembravano aver preso il posto degli insulti e delle mazzate.
< Se la stanno cavando abbastanza bene, che dici? > domandò Fred a Margaret mentre, insieme a lei, faceva la svolta del letto. Lei arricciò il naso, incerta.
< All’apparenza sì, però tutta questa gentilezza improvvisa mi spaventa un poco. Non voglio dare per scontato che abbiano lasciato da parte i dissapori solo perché gliel’ho chiesto io. Insomma, sappiamo entrambi come sono fatti... > osservò Meg, infilandosi la camicia da notte. Lui le diede ragione, poi, estremamente stanco, si distese a letto, facendo spazio alla ragazza, che si strinse immediatamente a lui e che, subito dopo, prese a depositargli una serie infinita di baci sul collo.
Fred spense la lampada sul comodino ma, proprio nel momento in cui ebbe poggiato la testa sul cuscino, sia lui che Margaret poterono udire un sonoro tonfo provenire dalla stanza accanto.
Si guardarono, immobili, e sperarono di aver solo immaginato quel rumore. Ma, ovviamente, le voci irate che lo seguirono furono la conferma del fatto che non fosse stato così.

< Tocca a me andare in bagno! > disse Abigail, alzandosi sulle punte per poter risultare un po’ più alta.
< No! Ci vado io, tu impieghi mezz’ora! > fece George, che quasi non era scoppiato a ridere di fronte all’inutile tentativo della ragazza.
< Prima le signore, non te l’ha mai insegnato nessuno?! > contrattaccò lei, sempre più innervosita. Lui sollevò un sopracciglio.
< Tu una signora?! Gli gnomi del giardino di mia madre sono più femminili di te! > cercò di provocarla lui, riuscendoci.
< Sai che ti dico?! Se gli idioti fossero fonti di energia rinnovabile, tu illumineresti l’intera fottutissima Gran Bretagna! > rispose lei, a tono, lasciandolo basito. Spalancò la bocca e la fissò con tanto d’occhi, poi, una volta ripresosi, la spinse da parte.
< Per le virtù infinite di Merlino, ma quanto sei acida?! > commentò senza neanche guardarla, avviandosi verso il bagno, ma Abigail gli si posizionò davanti, bloccandogli il passaggio.
< Se prendo la bacchetta sono guai, Weasley! >
< Sto tremando dalla paura, Thompson! >

< Ci risiamo! > dissero all’unisono Fred e Meg; dopodiché, esasperati, si coprirono le teste con i cuscini, rimpiangendo profondamente quell’atmosfera intima di pochi momenti prima.
A quel punto, c’era solo da sperare che finisse presto.



1: No, volevo solo dire che, se fosse esistita, avrei voluto congratularmi con quella signora e abbracciarla. Sul serio, è la mia nuova divinità.

Angolo dell’autrice

Finalmente, ecco qui il decimo capitolo! Non sono totalmente soddisfatta, però non è così male, nel complesso! C’è da dire che adoro, amo, stravedo per la parte iniziale... sì, quella dell’azzuffata in cucina. È sicuramente una delle mie scene preferite della storia, finora, ma non saprei spiegarne il motivo: probabilmente, il fatto che riesco ad immaginarla in maniera più distinta rispetto alle altre contribuisce tantissimo.
Comunque, si è perfettamente capito che tra Abigail e George si sta creando sempre di più un rapporto di odio/”amore”... che avrà ovviamente una sua evoluzione.
Ah, Cassandra e Frank non stanno insieme, però lui ha iniziato a provarci spudoratamente, tanto per intenderci.
Notizia importante (?): da adesso in poi, aggiornerò ogni settimana! Il giorno è sempre il sabato, se dovessero esserci dei cambiamenti ve lo farò sapere. Quindi, il prossimo capitolo verrà pubblicato sabato 22! :)
Il titolo che ho scelto è dello scrittore inglese William Hazlitt, mentre la canzone è Panic Station, dei Muse.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate e JeckyCobain (tanto per cambiare xD) che ha recensito il capitolo precedente.
Se avete consigli, appunti da fare, domande da pormi, dite pure! Sì, insomma, un po’ mi dispiace che la storia stia avendo meno seguito di quella di prima, ma magari sono io che sto sbagliando qualcosa, quindi mi piacerebbe “capire” e, se è il caso, migliorarmi! :)
Un abbraccio,
Jules

Ps. In fondo, ci sono le immagini dell’abito delle damigelle (quello azzurro) e di quello di Abbie (porpora).


Curiosità:

Il padre di Abigail, Matthew Thompson, è morto in circostanze sconosciute quando la figlia aveva tredici anni. Segnata dalla morte del marito, Regina lascia il lavoro di giornalista (stesso lavoro della madre Vittoria) per dedicarsi all’insegnamento di Difesa contro le Arti Oscure nella Scuola di Magia italiana frequentata dai suoi figli. Nonostante ciò, il suo grande desiderio è sempre stato quello di diventare Auror, come la sorella.

Dal prossimo capitolo (stavolta lo spoiler è doppio!):

1 - < Che bella giornata, eh? > domandò Fred al gemello, che non tardò a rivolgergli il più minaccioso tra i suoi sguardi.
< Bella giornata, dici?! E’ una merda! >
< Ti sei svegliato dalla parte sbagliata del letto, stamattina? >
< Fred... Io non ce l’ho un letto! Io dormo su quello pseudo divano, perché quello che era il mio letto è occupato da quella donna infernale! >


2 - < Interrompo qualcosa? > domandò una voce fin troppo familiare che li fece sussultare. Margaret si voltò di scatto e quasi il suo cuore non perse un battito alla vista di suo padre, Desmond, proprio lì, a pochi passi da loro, che li guardava con un leggero sorriso.
< Oh, be’... Ciao, papà > fece lei, quindi, curiosa di sapere come mai stesse rivolgendo loro la parola.
< Possiamo... Possiamo parlare? >


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Capitolo 11
*** Non avere paura di uno scontro: anche quando i pianeti collidono, dal caos nasce una stella ***


Non avere paura di uno scontro: anche quando i pianeti collidono, dal caos nasce una stella



You’re beautiful... You’re beautiful
You’re beautiful, it’s true
There must be an angel with a smile on her face,
When she thought up that I should be with you



Quella mattina del primo di aprile del 1997, Margaret si rigirava nel letto, pienamente sveglia, ma completamente priva della voglia di alzarsi. Stava per entrare nell’ultimo mese di gravidanza, e quel pancione, ormai così grosso da poter scoppiare, era diventato la scusa più consona e conveniente che la giovane strega utilizzasse per essere libera di non fare assolutamente niente.
Fred, d’altro canto, non perdeva occasione per dirle di riposare e di non fare sforzi, proibendole tassativamente quasi ogni attività che comportasse il camminare o semplicemente lo stare in piedi. Ciò, se da un lato poteva apparire snervante, da un certo punto di vista dava il pretesto alla ragazza di sentirsi autorizzata a scaricare tutto il lavoro ai suoi tre coinquilini, più esausti che mai.
In compenso, però, Meg aveva deciso di provare ad evitare di svegliare il suo povero fidanzato nel cuore della notte per comunicargli le sue sempre più assurde voglie, posticipandole alla mattina successiva.
Inevitabilmente, quest’opera caritatevole non aveva fatto altro che migliorare nettamente l’umore di Fred, che poteva farsi le sue meritatissime otto ore di sonno e svegliarsi fresco come una rosa.
Margaret guardò per un breve istante l’orologio, che segnava le nove, e decise, seppur a malincuore, che era arrivato il momento di alzarsi e di svegliare Abigail, che dormiva nella camera di George. Quindi, armandosi di tutta la volontà che possedeva, scese giù dal letto ed infilò le pantofole, impugnò la bacchetta che si trovava sul comodino e si avviò in direzione dell’altra stanza.
Vi entrò, e ovviamente non si sorprese di vedere la cugina spaparanzata malamente sul letto come un sacco di patate.
Le si avvicinò cautamente e, con sorprendente gentilezza, la scosse leggermente per un braccio, sperando che almeno quella mattina ciò bastasse. Vane speranze, naturalmente.
< Abbie... Sveglia, avanti... > le disse chinandosi leggermente affinché la sua voce risultasse più udibile. Abigail, però, non diede alcun segno di vita, cosa che portò Margaret a fare quello che faceva ogni mattina. Le puntò, infatti, la bacchetta contro il viso, poi rivolse gli occhi al soffitto e sospirò.
< Io non vorrei farlo, ma se tu mi costringi... Aguamenti > fece lei, scaturendo degli spruzzi d’acqua che, inevitabilmente, svegliarono di soprassalto la cugina, confusa. Strabuzzò gli occhi, poi alzò lo sguardo sulla ragazza in piedi accanto al letto e divenne viola dalla rabbia. Come al solito.
< Per le sottane di Morgana! Si può sapere perché fai questa cosa ogni schifosissima mattina?! Poi mi chiedono perché sono sempre incazzata! Insomma, mi svegli così, come vuoi che proceda la giornata?! >
< Almeno oggi, vedi di farla procedere in maniera quantomeno dignitosa! > l’ammonì Meg, divertita, sedendosi sul letto e gustandosi lo sguardo perplesso di Abigail.
< Perché? Cosa c’è oggi? > chiese questa, incuriosita.
< E’ il compleanno di Fred e George, l’hai dimenticato? >
< Aaah, già... è il compleanno di quella merdina di tuo cognato! In questi casi cos’è che si dice? Cento giorni di questi? Posso augurargliene tipo, ehm... zero? > commentò la ragazza, scoppiando poi a ridere di fronte all’espressione sconvolta ed esasperata della cugina.
< Abigail Darleen Thompson. Potresti, almeno per oggi, comportarti da strega civile quale, molto in fondo, sei? >
< Ci proverò, ma lo faccio solo per te e per il bambino! E per Fred... alla fine è anche il suo compleanno, poveri-... Dove diavolo sono le mie creme per il viso?! Le deve aver prese quel grandissimo idiota, ne sono sicura! > esclamò Abigail con la testa immersa nel cassetto del comodino, concentrata nella vana ricerca delle sue preziose creme. Margaret sospirò, esausta, e prese la giovane per i capelli, costringendola a guardarla in faccia.
< Le ho prese io quelle dannate creme, non George! Tu sei... sei... sei così prevenuta nei suoi confronti, e che palle! La vuoi smettere di portare avanti questa farsa?! Si vede lontano un miglio che ti piace, lo mangi con gli occhi! Le tue fantasie su di lui quasi le proietti sul muro quanto sono evidenti! E non cercare di negare, ti conosco meglio delle mie tasche! > quasi le urlò contro lei nel tentativo di metterle davanti agli occhi i fatti reali.

Abigail corrucciò il naso e poi si morse il labbro, segno che stava riflettendo su quelle parole. Dopo pochi istanti, si lasciò andare a peso morto sul letto, prendendo così a contemplare con convinzione il soffitto.
Meg sapeva bene che tutto ciò preannunciava una confessione. Era così da sempre.
< E se, mettiamo il caso, mi piacesse? Cosa cambierebbe? Okay, magari possiamo dire che ho tirato un po’ troppo per le lunghe quel discorso del buco della serratura, ma lo sai che a me piace litigare! Ho trovato il pretesto e ne ho approfittato! >
< Sto parlando con la signorina Thompson o con nonna Vittoria? > commentò Margaret, e questa sua considerazione non poté che far ridere la cugina.
< Ma parli proprio tu che sei il suo riflesso? Dai, stavo dicendo... Allora, supponiamo che, per assurdo, mi piacesse George. Ho detto supponiamo! Ormai è troppo tardi, Meg! Io... io non lo odio, almeno non ora. Forse fino a poco tempo fa sì, ma adesso litigare è più una routine, un’abitudine. Lui, invece... Lui mi detesta, si vede a chilometri di distanza. Se solo potesse, mi prenderebbe a sprangate e mi sotterrerebbe, e non gli darei torto. Sono davvero poche le persone che non mi odiano... > confessò Abigail, e in quell’ultima frase Meg non poté che scorgere un velo di tristezza. Subito dopo sentì le braccia della cugina serrarsi attorno al suo pancione e la faccia sprofondare contro esso, e ciò le ricordò quando era una bambina e faceva la stessa cosa per venir consolata da sua madre.
< Faccio schifo, sono una persona orribile... > la sentì mugolare, ed inevitabilmente le passò una mano tra i capelli, come per rassicurarla e ricordarle che non era vero.
< Gail, avanti, smettila. Sei una persona splendida che ha un carattere molto difficile ed un livello di temperamento pari allo zero, cosa c’è di male? Ognuno di noi ha il suo modo di fare, e chi ci ama lo accetta senza troppe difficoltà. Quanto a George, lui non è tipo che serba rancore. Due carinerie e passa tutto, fidati di chi lo conosce da una vita! >
< Sì, ma... dopo tutto lo schifo che abbiamo combinato... Voglio dire, tu e Fred siete... perfetti! > constatò Abigail, e a quelle parole Margaret non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere come una povera isterica.
< Perfetti? Io e lui? Fidati, Fred ed io litighiamo sempre! Sai che è successo due giorni dopo che sono venuta a vivere qui? Ci siamo lanciati addosso un intero servizio di piatti, e non sto scherzando! E devo forse ricordarti che la mira di un Battitore è infallibile? Però poi passa tutto, è così! >
< Hai detto piatti? Merlino... >
< Esattamente. Ma non è mai troppo tardi, non dimenticarlo. Questo pomeriggio io e Fred usciamo, tu approfittane per cercare un approccio civile, eh? Adesso alzati che devi aiutarmi a mettere qualche decorazione e a preparare la torta di compleanno! > esclamò Meg, autoritaria come suo solito, e fece per avviarsi fuori dalla camera, ma Abigail la trattenne per il polso e la costrinse a girarsi.
< Maggie... Grazie > le disse, allora, lasciandola piacevolmente spiazzata. Meg le rivolse un sorriso e scosse la testa, poi si voltò e si avviò nuovamente, scomparendo oltre la porta.


* * *


Fred Weasley, quel giorno, era stranamente euforico, e non perché fosse il suo diciannovesimo compleanno. In realtà, non riusciva a spiegarsi neanche lui il motivo di tutto quell’entusiasmo.
Quando, quella stessa mattina, la sua futura moglie l’aveva osservato mentre si vestiva canticchiando e gli aveva chiesto che cosa gli fosse preso, lui aveva risposto con un gran sorriso e dicendo solamente: < Ti amo da impazzire! >.
Poi, fresco come una rosa, si era precipitato giù in negozio e aveva aperto i battenti, riservando uno sguardo benevolo ad ogni cliente che varcava la soglia.
George Weasley, quel giorno, aveva una gran voglia di prendere a testate suo fratello Fred, e non perché non volesse vederlo così euforico. Semplicemente, lo riteneva inopportuno e snervante.
Quando, quella stessa mattina, questi si era apprestato a tirargli per diciannove volte le orecchie, lui l’aveva squadrato dalla testa ai piedi con fare terrorizzato e gli aveva domandato: < Ma da quale razza di problemi psichici sei afflitto?! >.
Poi, incazzato come un vichingo, aveva ovviamente maledetto per la miliardesima volta la donna che occupava impropriamente la sua stanza e si era diretto svogliatamente in negozio.
< Che bella giornata, eh? > domandò Fred al gemello, che non tardò a rivolgergli il più minaccioso tra i suoi sguardi.
< Bella giornata, dici?! E’ una merda! >
< Ti sei svegliato dalla parte sbagliata del letto, stamattina? >
< Fred... Io non ce l’ho un letto! Io dormo su quello pseudo divano, perché quello che era il mio letto è occupato da quella donna infernale! > esclamò George, esasperato, lasciando intravedere un lampo nei suoi occhi. Il fratello gli sorrise, poi gli poggiò una mano sulla spalla, noncurante del fatto che avrebbe potuto non rivederla mai più.
< E’ solo questo il problema? Cerca di instaurare con lei un rapporto civile, allora! Magari così quel letto potreste dividerlo, non so se mi spiego... > fece Fred ammiccando maliziosamente, cosa che fece indignare ancor di più il gemello, che lo squadrò con tanto d’occhi.
< Ma neanche se fosse l’ultima donna sulla Terra! > mentì spudoratamente lui, al che il fratello inarcò un sopracciglio, scettico.
< Ma smettila di fare il cretino, si vede perfettamente che ti piace! >
< Quella vipera acida e velenosa? Dovrei essere pazzo! > esclamò George, quasi come disgustato. Fred si batté una mano in faccia.
< Ricordi a che tipo di donna ho chiesto di passare l’intera esistenza con me, no? > contrattaccò, allora, lasciando spiazzato il fratello. Questi si voltò e gli diede le spalle, poi prese il modulo con il resoconto delle vendite del mese passato e fece finta di studiarlo con interesse.
< E’ diverso. Maggie è dolce... è affettuosa! Avrà mille difetti ma alla fine si fa amare da tutti! >
< Sì, ma anche sua cugina potrebbe essere così, non credi? Ha subito una delusione tremenda, e sta attraversando un periodo affatto semplice, devi provare a capirla. Conquistare la sua fiducia non è affatto semplice, ed è per questo che ti appare scontrosa o che so io. Siete solo partiti con il piede sbagliato, ed entrambi avete solo visto il lato peggiore dell’altro, fermandovi alle apparenze. Apparenze che in questo caso, poi, sono più sbagliate che mai! Lei non odia te, e tu di sicuro non odi lei: te lo leggo negli occhi. Adesso qui chiudiamo tutto e saliamo: ho la brutta sensazione che a Meg sia venuta qualcuna delle sue solite idee! > spiegò Fred, tranquillo. George, a quel punto, si girò nuovamente a guardarlo, e non poté fare a meno di sorridere.
Forse le sue parole non erano del tutto errate, e forse avrebbe anche dovuto tentare di capire meglio quella ragazza, che indubbiamente lo intrigava parecchio.
< Tentar non nuoce! > convenne, quindi, alla fine, poi gli diede una pacca sulla spalla ed andò ad avvertire i clienti che il negozio stava per chiudere.


* * *


< Hai finito di glassare quella bomba ipercalorica che osi chiamare torta? > urlò, dal bagno, Abigail alla cugina, intenta a definire gli ultimi particolari di quella che, in effetti, era una mega torta che avrebbe fatto schizzare alle stelle i livelli di glicemia di qualsiasi essere umano e non.
< Un secooondo... Ecco! Adesso sì! > rispose Meg, che dapprima fissò compiaciuta il suo operato e che poi, non appena sentì il rumore di passi provenire dalla parte opposta della porta d’ingresso, si apprestò molto velocemente a nascondere il tutto ed evitare, per l’appunto, che la sorpresa venisse rovinata.
Non appena Fred, che continuava ad essere euforico, varcò la soglia di casa, si ritrovò subito investito dalla sua fidanzata e, conseguentemente, dall’enorme pancione di cui dava orgogliosamente mostra.
< Ehi, mi uccidi! > fece lui, ridendo e lasciandosi sbaciucchiare a dovere.
< Auguri, stupidone! > gli sussurrò quindi lei sulle labbra. Lui la osservò, evidentemente perplesso.
< Ma me li hai già fatti gli auguri, no? > constatò allora Fred, al che Margaret assunse un’espressione pensierosa ed iniziò a rifletterci su.
< Già, ora che ci penso hai ragione. Okay, ritiro gli auguri! Auguri, George! > esclamò allora lei, andando ad abbracciare il suo migliore amico. Fred, c’era da aspettarselo, sgranò gli occhi, confuso, e rivolse lo sguardo ad Abigail, appoggiata allo stipite della porta, che scuoteva la testa, divertita.
Lei, sempre sghignazzando, si avvicinò al fidanzato di sua cugina e gli tirò un pugno sul braccio, facendogli gli auguri. Poi, lentamente, raggiunse George, intento a togliersi la giacca della divisa da lavoro.
Non appena la vide, si fermò di botto, e non poté che rimanere piacevolmente sconvolto da ciò che successe subito dopo.
< Be’, insomma, voglio dire... Buon compleanno, George > disse lei, contorcendosi i capelli e non trovando, almeno inizialmente, il coraggio di guardarlo negli occhi. Poi, ovviamente maledicendosi, alzò lo sguardo sul suo viso e gli rivolse un debole ma sincero sorriso. Il ragazzo, per prima cosa, rise tra sé, poi ricambiò il suo sguardo e le sorrise a sua volta.
< Sai... Sai una cosa? Sei più carina quando sorridi! Ti ringrazio, Gail! > le rispose lui, facendola arrossire violentemente; poi le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e si allontanò in direzione del divano, lasciandola lì, paralizzata e con espressione totalmente inebetita ed assente.


* * *


Margaret si chiuse la porta di casa alle spalle, e nello stesso istante si chiese se la loro non fosse stata una mossa azzardata. Alzò lo sguardo sul volto di Fred, che dalla sua espressione poteva chiaramente leggere l’evidente preoccupazione, e cercò nei suoi occhi una sorta di incoraggiamento, che anche stavolta non tardò ad arrivare.
Lui le sorrise e scosse piano la testa, come se avesse voluto dirle: “Non cambierai mai!”.
Le mise dolcemente una mano sul viso e l’altra sul pancione, poi le posò un bacio sulla fronte e, a seguire, sulle labbra.
< Non preoccuparti per loro, non si uccideranno. Saranno così bravi che quando torneremo li troveremo ancora vivi e vegeti! Ti fidi di me, no? > le sussurrò con un tono che avrebbe fatto tranquillizzare chiunque, al che lei non poté che sorridere ed annuire. Lui, allora, la prese per mano, ed insieme si avviarono per Diagon Alley.
La coppia, infatti, aveva deciso che era arrivato il momento di andare a fare compere per il bambino, e spendere, quindi, i soldi generosamente regalati dai parenti per l’occasione.
Durante gli ultimi mesi, Fred aveva più volte proposto di andare a fare un salto da “Mondo Bimbo & Magia”, il negozio che era stato loro consigliato da Dorian, il cugino di Meg, ma quest’ultima aveva sempre espresso un no categorico che non ammetteva alcuna replica, al che il ragazzo aveva, seppur a malincuore, deciso di lasciar perdere.
D’altra parte, però, non poteva biasimare la sua fidanzata e le sue, anche se rare, paure.
Margaret, difatti, non voleva fare acquisti frettolosi, a causa specialmente dell’imprevedibilità delle gravidanze. E non si riferiva solo al peggio, ma anche a cose di minor importanza.
Ricordava ancora nitidamente, per l’appunto, le mille volte in cui la madre le aveva raccontato di come, durante tutte le ecografie, le era stato detto che il bambino era un maschio. Alla fine, però, era nata Margaret, così tutti i completini azzurri erano finiti in uno scatolone, allo stesso modo dei bavaglini o delle coperte per la culla con ricamato sopra il nome “Alexander” (ovviamente ritornati utilissimi alla ragazza), mentre la cameretta, di un blu acceso, venne ridipinta di rosa da un corrucciatissimo Desmond.

Mentre camminavano, Meg strinse più decisamente la mano di Fred, poi alzò gli occhi al cielo e sospirò.
< Stamattina ho parlato con mia cugina > disse, allora, attirando immediatamente l’attenzione del ragazzo.
< Che le hai detto? > le chiese, incuriosito.
< Le ho detto che non è mai troppo tardi per mettere le cose a posto. E le ho detto anche che ci siamo lanciati i piatti... > fece lei, e all’ultima frase Fred non riuscì a trattenersi dallo sbarrare gli occhi.
< Noi... Noi cosa?! Che mi sono perso? Io non ti ho tirato addosso niente! Non lo farei mai... > commentò lui con voce quasi stridula e mettendo su un tenerissimo broncio. Meg non poté che ridere.
< E’ stata solo una piccola bugia per ricordarle che anche le coppie migliori possono litigare. E lo so che non me li lanceresti mai, i piatti, che ti credi? Quanto sei tenero, amore... > specificò lei, che non esitò a tirare le guance al suo fidanzato e ad alzarsi sulle punte per stampargli un bacio sulle labbra.
< Interrompo qualcosa? > domandò una voce fin troppo familiare che li fece sussultare. Margaret si voltò di scatto e quasi il suo cuore non perse un battito alla vista di suo padre, Desmond, proprio lì, a pochi passi da loro, che li guardava con un leggero sorriso.
< Oh, be’... Ciao, papà > fece lei, quindi, curiosa di sapere come mai stesse rivolgendo loro la parola.
< Possiamo... Possiamo parlare? > chiese allora lui, stranamente insicuro. I ragazzi rimasero spiazzati giusto per pochi istanti, poi annuirono. Desmond si avvicinò e sembrò soppesare le parole giuste da dire.
Dopo mesi durante i quali non si erano rivolti la parola, quel momento era, a tutte le ragioni, estremamente imbarazzante.
< Io... Insomma, volevo chiederti scusa, Maggie! E anche a te, Fred! Sono stato un completo idiota, mi sono lasciato trasportare dal nervosismo e... e dalla paura, se devo essere sincero. C’è una guerra, ed io ho avuto, ed ho tuttora, paura per voi, perché vi ho visti così giovani... ed ho completamente dimenticato com’ero io alla vostra età. E forse sarà anche stata la paura di sentirmi vecchio, non lo so! Insomma, ho solo quarantuno anni e mia figlia sta per sposarsi e per avere un bambino... Sapete, non è facile, alla mia età, accettare il fatto di star per diventare... nonno! Però, tu non sei più una bambina, vai per i diciannove, sei maggiorenne già da due anni... e sei cresciuta molto più in fretta di quanto avrei voluto. Svegliarmi la mattina e non sentire più le tue continue imprecazioni è stato un colpo, capisci bene... Ma prima o poi doveva succedere, sono stato solo un illuso a pensare che quel momento sarebbe arrivato tra molto più tempo. Spero solo che voi mi possiate perdonare... > disse, tra un’esitazione e l’altra e con enorme sacrificio, Desmond, che poi si chiuse in un dignitoso silenzio aspettando il “verdetto” di sua figlia e di quello che ormai stava per diventare a tutti gli effetti suo genero.
Meg si morse il labbro inferiore, come sempre, e chiuse gli occhi, respirando a fondo.
Era stata ferita nel profondo, si era sentita una nullità, una schifezza, e tutto per colpa di suo padre e del suo dannatissimo orgoglio, della sua incapacità di comprendere, o di accettare, che Fred era davvero il ragazzo giusto per lei, che l’amava, che la rispettava e che avrebbe dato la vita per proteggere lei e loro figlio.
Tuttavia, nonostante ciò, lo abbracciò di slancio, stupendolo, e cercò di mandare via quel bruciore agli occhi che solitamente precede le lacrime.
< Mi... mi sei mancato tanto, papà... > dovette ammettere, alla fine, mentre il padre rispondeva all’abbraccio e le accarezzava i capelli.
< Anche tu, Meg... Merlino, mi sento così in colpa per non esser stato presente, in questi mesi... > confessò lui, che realmente non si dava pace per aver rischiato di perdersi un momento così bello come la prima gravidanza della sua unica figlia.  
< Be’, Des! Com’è che si dice, solitamente? Meglio tardi che mai! > esclamò allegramente Fred, che si apprestò a dare una pacca sulla spalla a Desmond, che ricambiò il suo sorriso. Se c’era una cosa che adorava del suo futuro genero, era che questi pareva non riuscisse a serbare rancore.
< Come procede? > chiese alla figlia, poi, in riferimento alla gravidanza, e Margaret si riempì di gioia non appena egli posò la mano sul pancione per accarezzarlo.
< Va alla grandissima! Sta bene, è perfetto... e scalcia quasi in continuazione! Per fortuna che di notte si calma un po’, altrimenti non potrei proprio dormire > commentò lei, gli occhi un luccichio.
< Mamma mi ha detto che è maschio! Alexander George, eh? Fred, immagino tu abbia esultato per parecchio tempo, non è così? > fece suo padre, ricordando i vecchi tempi in cui credeva che sua moglie aspettasse un maschietto, facendo sorridere apertamente Fred, che ancora aveva impressi nella mente, così come Meg, i festeggiamenti post ecografia suoi e del fratello.
< E continua ad esultare anche adesso, se proprio vuoi saperlo! La mamma, invece? Come sta? Sono due settimane che non la sento! >
< Oh, be’... Come ti ho detto prima, si sente la tua mancanza... E, quindi, tua madre ha avuto la geniale idea di, diciamo... rimpiazzarti? Be’, di colmare il vuoto che hai lasciato con... con Terence... >
< E chi diavolo sarebbe Terence?! > domandarono Meg e Fred all’unisono, notevolmente perplessi.
< Un pappagallo, uno di quegli uccellacci infernali, ecco chi è! Dovreste vederlo, non fa che parlare, parlare e parlare ancora! E se ciò non fosse bastato, tua madre gli sta insegnando i migliori tra i tuoi raffinatissimi intercalari... >
< “Per le più schifosissime, dannatissime e maledettissime vesti di Merlino!” > esclamò Fred imitando la sua fidanzata in maniera più che perfetta, al che sia Meg che suo padre iniziarono a ridere, fermandosi solo dopo un po’.

I tre, poi, passeggiarono per una manciata di minuti, parlando del più e del meno e di tutto ciò che era successo in quei mesi di lontananza.
< Dove stavate andando? > chiese Desmond, infine, ai due.
< Dobbiamo comprare tutto ciò che serve al bambino... Culla, fasciatoio, carrozzina, seggiolone, vestiti, giocattoli e via dicendo. Qualcosa già l’abbiamo, però la roba importante manca. Stasera volete venire a cena da noi? È il compleanno di Fred e George, ne approfittiamo per passare una serata tutti insieme! Che ne pensi? > propose Meg, che sembrava entusiasta della sua stessa idea.
< Già, me n’ero dimenticato! Auguri Fred, perdonami. Comunque, penso che sia un’ottima idea! Anzi, vado subito a casa ed avverto la mamma, ne sarà felice! E poi, sono passati due mesi e ancora non ho salutato Abigail: non me la farà passare liscia! Ora vado, vi lascio alle vostre compere... A stasera! > si congedò Desmond, adesso con un peso in meno sullo stomaco, dopo aver abbracciato entrambi.
Margaret e Fred si avviarono per la via che conduceva al negozio, e lei capì che, tra le miliardi di cose che potevano accaderle in quel momento, quella di aver finalmente chiarito con suo padre era indubbiamente la migliore.
In quegli otto mesi aveva costantemente desiderato che lui fosse presente, che si interessasse a ciò che stava accadendo, ma le sue preghiere non erano state esaudite, almeno fino a pochi istanti prima.
Adesso, si disse lei, tutto avrebbe preso indubbiamente una svolta migliore.



* * *


Abigail vide la mano della cugina scomparire oltre la porta, ed un istante dopo, questa era chiusa. Respirò profondamente, consapevole del fatto che stava per affrontare il pomeriggio più lungo della sua vita.
Sentiva l’acqua della doccia scorrere, e sperò con tutta se stessa che quel rumore non terminasse mai. Più durava, e meno tempo avrebbe dovuto passare da sola con lui.
Ora che avevano smesso di darsele di santa ragione, cosa sarebbe successo? L’ignoto era ciò che le si parava davanti gli occhi, e l’ignoto era proprio quello che odiava.
Quella stessa mattina aveva dovuto fare i conti non solo con sua cugina, ma soprattutto con se stessa. Si era resa conto che non poteva più continuare a mentirsi, a non dare ascolto ai suoi pensieri, ai suoi desideri.
Aveva finalmente capito che doveva smetterla di ergere quell’inutile barriera davanti a sé, ed in principal modo che doveva necessariamente mettere da parte l’orgoglio e la testardaggine.
Stavolta, doveva essere forte in tal senso: lottando contro una parte della sua stessa personalità.
Lui le piaceva, e allora per quale ragione doveva continuare con quella stupida farsa? Era rimasta delusa dalla sua ultima esperienza, ma ciò non le dava il permesso di allontanare il resto del mondo e di crogiolarsi nei suoi tormenti.
Doveva reagire, e lei, in cuor suo, sapeva perfettamente quale fosse il primo passo da compiere.
Sentì l’acqua della doccia fermarsi, e nello stesso istante percepì un nodo stringerle lo stomaco. E allora capì di essere nervosa, agitata, di star vivendo quel tipo di ansia per la prima volta nella sua vita.
Ebbe la tentazione di sfruttare quegli ultimi istanti di solitudine per prendere la bacchetta ed uscire in fretta e furia da quella casa.
Ma le non era una codarda, e ormai era troppo tardi.
Sentì la porta del bagno cigolare, segno che doveva essere stata aperta, e poi chiudersi. Istintivamente, si girò di scatto, chiedendosi subito dopo perché l’avesse fatto.
George, in accappatoio e con i capelli bagnati, posò lo sguardo su di lei, come accortosi solo in quel momento di avere compagnia. Sgranò leggermente gli occhi, poi scosse la testa, come smarrito.
< Oh, be’... Scusa, non pensavo... > iniziò lui, ma lei lo interruppe con un cenno della mano.
< No, tranquillo! > lo rassicurò, e cercò in tutti i modi di evitare di arrossire per i pensieri che stavano prendendo forma nella sua testa.
“Oh cielo, dovrei smetterla di immaginare certe cose... Sono una brava ragazza, in fon-... No, stronzate, non lo sono.”
< Meg e Fred? Non ci sono? C’è troppo silenzio, in casa... > notò lui, guardandosi attorno e avendo probabilmente intuito il suo imbarazzo.
< Sono andati a comprare ciò che serve al bimbo, torneranno tra un paio d’ore > disse Abigail, cercando, nonostante tutto, di sfoggiare un tono sicuro e disinvolto.
“Se gli saltassi addosso, lui che farebbe? Posso sempre prova-... Abigail, piantala di fare la pervertita! Datti un contegno, per l’amor di Merlino!”
< Ah... Bene. Prendo la mia roba e vado a cambiarmi... > fece George, rendendosi conto del fatto che fossero soli, così scelse dall’armadio la biancheria, un paio di jeans ed un maglione e si fiondò nuovamente in bagno.

Abigail si sedette sul divano e, senza capire perché, si lasciò sfuggire un sorriso. Alzò gli occhi al soffitto ed iniziò a riflettere.
Finalmente, erano riusciti a portare avanti una conversazione, seppur molto breve, senza affatturarsi, e già poteva essere considerato un grande passo. Erano entrambi un po’ a disagio, ma era più che normale. Per una maggiore confidenza, ci sarebbe stato tempo a sufficienza.
“Adesso non fare cazzate, Darleen.”
Si alzò, incapace di continuare a star seduta, e decise di preparare della cioccolata calda.
“Brava, questo è proprio ciò che farebbe una persona civile che vuole ripartire con il piede giusto.”
Si mise ai fornelli e cercò di fare del suo meglio. Non era mai stata un’ottima cuoca, però amava guardare gli altri cucinare, soprattutto sua madre e Margaret, e queste attente osservazioni erano state sufficienti affinché imparasse a preparare qualcosa di dignitoso e non potenzialmente tossico.  
“Gli uomini vanno presi per la gola. Insomma, non nel senso di strozzarli... non sempre, almeno.”
Non appena quel pensiero le fu passato per la testa, non riuscì a trattenersi dal dare in una risata silenziosa.
Con la coda dell’occhio riservò uno sguardo alla finestra, oltre la quale poteva vedere, dall’alto, un bel po’ di gente camminare sui marciapiedi, e si chiese fino a quando tutto ciò sarebbe stato possibile. Con una guerra imminente, prima o poi le persone si sarebbero rifiutate persino di lasciare la propria casa anche solo per andare a fare la spesa.
In quei mesi, inoltre, aveva iniziato a capire che le preoccupazioni di sua madre non erano poi così tanto infondate. Ogni giorno, i giornali parlavano di persone scomparse o brutalmente assassinate, e la sensazione di non essere più al sicuro come un tempo aveva iniziato a pesarle fortemente.
Si era messa anche nei panni di sua madre, ed era proprio per questo che continuava a riempirla di lettere: voleva rassicurarla, ma soprattutto voleva sentirla vicina.
< Ehi, che stai facendo? > le domandò, curioso, George, appena uscito dal bagno, facendola sobbalzare.
< Non dirmi che ti ho spaventata! > fece, poi, avendo notato la sua precedente reazione.
< Ero sovrappensiero, e... non mi ero accorta che fossi di nuovo qui. Sto preparando un po’ di cioccolata calda, ti va? > disse Abigail, che nel frattempo stava versando il contenuto del pentolino in due tazze.
< Hai... L’hai preparata anche per me? Tu?! Wow, grazie! Io non l’avrei mai fatto... > esclamò lui, piacevolmente sorpreso, non trattenendosi, però, dalla voglia di stuzzicarla. Lei inarcò un sopracciglio e gli porse con fare minaccioso un cucchiaio.
< Scusa, ma non ho resistito. Be’, diciamo che ti devo una frecciatina, no? > commentò George, andandosi a sedere al tavolo. Lei fece lo stesso ed assunse un’espressione pensierosa.
< Saprò sfruttare questo vantaggio, stanne certo! > fece la ragazza, che subito dopo sorrise a causa del buon sapore del suo operato.
< Non avevo dubbi a riguardo, Abigail > la provocò lui, marcando l’ultima parola. Abituato ad assistere alle tremende sfuriate di Margaret, era curioso di sapere quale sarebbe stata la sua reazione.
Lei fissò i penetranti occhi grigi in quelli azzurri del ragazzo ed assunse un’espressione alquanto infastidita.
< Non chiamarmi con il mio nome di battesimo! >
< Bingo! Buon sangue non mente, eh?! >
< Detesto il mio primo nome... Preferisco di gran lunga il secondo, Darleen... > confessò Abigail, la quale aveva condotto per lunghi anni una guerra incessante con sua madre, criticandola aspramente per i suoi gusti nella scelta dei nomi.
< Ma non è male, dai! A me piace. Insomma... Ragazza carina, nome carino! È un abbinamento perfetto, non trovi? > le disse George, divertito poi nell’assistere alla reazione della giovane strega che aveva di fronte, la quale non tardò ad affondare il viso nella tazza per evitare che il suo imbarazzo trapelasse.
< Poco... Poco cambia, non devi usarlo comunque... > sussurrò, nervosa, percependo le orecchie infiammarsi e supponendo, dunque, di esser diventata di mille colori.
< Sono riuscito a far arrossire Abigail Thompson, non posso crederci! Come mai, Crostatina? >
“Perché mi piaci, coglione.”

< Io non sono arrossita! È solo un’irritazione cutanea > esclamò, sulla difensiva, maledicendo se stessa ed i suoi buoni propositi.
< Sì, ed io, in realtà, sono Morgana travestita da uomo. Bellezza, non puoi mentirmi! > insistette lui con fare furbo, al che lei ridusse gli occhi a fessure e divenne ancor più viola.
< Ti ho detto che non sono arrossita, per Salazar! > sibilò, battendo con decisione il cucchiaio sul tavolo. George indietreggiò con la sedia e la fissò, perplesso.
< Per... Per Salazar?! >
< Be’, e allora? Tutta la mia famiglia è stata Serpeverde, così come lo furono i miei nonni, i bisnonni e via dicendo > spiegò, irritandosi ancor di più di fronte all’espressione disgustata di George.
“Vuole proprio costringermi ad affatturarlo, eh? Vaffanculo.”
< Perché quella faccia? Che hai? > gli chiese, allora, cercando di mantenere il controllo. Non era semplice: l’avrebbe preso a schiaffi molto volentieri.
< Sei imparentata con i Black, ora ricordo! E pensare che ti credevo una così brava persona... > fece lui con tono teatrale, cosa che la fece rilassare parecchio. Sapeva che non la stava giudicando realmente, ed il modo in cui disse quella battuta ne era la prova lampante.
< Ehi! Io e Meg siamo cugine, l’hai dimenticato? > gli ricordò con un sorrisetto furbo che il ragazzo trovò, per i suoi gusti, estremamente adorabile.
< Meg è una traditrice, l’amiamo anche per questo >  commentò lui, ridendo immediatamente dopo, seguito a ruota da Abigail, che poi, tornata seria, scosse la testa, sospirando.
< Noi ci scherziamo, ma non è così semplice come sembra. La famiglia non la scegli, George. E famiglie come queste, te l’assicuro, fanno il lavaggio del cervello ai loro figli sin dalla nascita, mettendo nella loro testa idee assurde e ridicole, come quella della purezza di sangue, e riuscendo nell’intento, solitamente. Se sei fortunato, invece, riesci a ribellarti, e finalmente arriva il momento in cui ti diseredano. Sì, la madre di mia nonna Vittoria era una Black, così come lo era la non so cosa di mio nonno Paul. Ma se dai un’occhiata all’arazzo di quella famiglia di pazzi squilibrati, loro due non ci sono > rivelò la ragazza, sorridendo. George, che l’aveva seguita con estremo interesse, la guardò con fare interrogativo, sorpreso.
< Ma come...? >
< Ripudiati, no? Nostra nonna è sempre stata, come dire... davvero poco obbediente, ecco. Come ti ho detto, la famiglia non si sceglie, ma lei probabilmente l’avrebbe cambiata molto volentieri, così come mio nonno. Però lei è sempre stata su altri livelli, è innegabile. Il suo ingresso nell’Ordine è stato la ciliegina sulla torta: come puoi ben immaginare, la sua cara ed adorabile cugina Walburga non ha esitato un solo istante ad incenerire i loro nomi su quello stupido arazzo. Meg non te ne ha mai parlato? > spiegò lei, lasciandolo ancor più di stucco. Se da un lato avrebbe giurato di amare il modo in cui quella donna si esprimeva, dall’altro non riusciva proprio a capacitarsi di come tutto ciò fosse possibile. Era davvero così smemorato?
< Be’, insomma, no... non ricordo... forse! Non ho una memoria molto buona per queste cose. Adesso, però, dobbiamo festeggiare! > fece il ragazzo, euforico. Lei lo guardò di traverso.
< Si potrebbe sapere cosa? >
< Ma come?! Il tuo ingresso nel circolo dei traditori del proprio sangue, è ovvio! > specificò George, al che lei scoppiò a ridere fragorosamente. Egli pensò che quella risata fosse a dir poco incantevole, e avrebbe dato qualsiasi cosa per poter avere la possibilità di restare ad ascoltarla per ore ed ore.
Non capiva perché, ma lo metteva di buonumore, oltre che accendere in lui sensazioni contrastanti, ma pur sempre piacevoli.

Quando si fu calmata, lui puntò la bacchetta contro la radio, aumentandone il volume, e rivolse un sorriso beffardo alla giovane. Si alzò, sicuro di sé, e la raggiunse, porgendole la mano.
Lei posò gli occhi prima su questa e dopo sul suo volto, confusa, chiedendogli silenziosamente delle spiegazioni.
< Avanti, balliamo! Mancano solo tre mesi al matrimonio, ed io non ho intenzione di arrivarci impreparato! Bellezza, devo ricordarti che siamo i testimoni della sposa? > le disse, al che lei divenne nuovamente di mille colori e prese a boccheggiare, mentre il cervello aveva improvvisamente smesso di elaborare il solito enorme flusso di parole.
Dovevano ballare. Lei con lui. Lui con lei. Loro due, insieme. Sarebbero stati dannatamente vicini.
< Ehi, a cosa dobbiamo tutta questa timidezza? > insistette lui, estremamente divertito.
“Prova un po’ ad indovinare...”
< M-ma... ma è... è un... è un lento, George! > constatò lei con la voce tremula, sgranando gli occhi. Il ragazzo rise e la prese per mano, attirandola a sé.
< E allora? Che credi che balleremo, al matrimonio? Il Ballo della Strega e del Calderone1? Dai, lasciati andare un po’, so che ce la puoi fare > la prese un po’ in giro, quindi, prendendole le braccia e portandole attorno al suo collo, e posando poi le mani sui suoi fianchi. 
Iniziarono a ballare, lui soddisfatto e lei, che cercava in ogni modo di non guardarlo negli occhi, imbarazzata come non mai. Tutta quella situazione non faceva che risvegliare in lei i pensieri poco casti di parecchi minuti prima.
George le sollevò il mento con il pollice, costringendola a ricambiare il suo sguardo.
Abigail sentì il cuore iniziare a battere frenetico contro la gabbia toracica e quasi implorarla di lasciarlo andare, fuggire via, per esplodere altrove. Giudicava come odiosa quella strana atmosfera, ma al contempo si sentiva maledettamente bene e a suo agio, stretta a lui.
Aveva pensato, fino a poco tempo prima, che mai, proprio mai, gli avrebbe permesso di avvicinarsi così tanto a lei, di dare vita ad un contatto che adesso c’era, e capì, con ancora maggiore consapevolezza, di essere stata un’irrimediabile stupida proprio fino a quella stessa mattina.
< Che ti succede? > le domandò lui, stranito da quel silenzio, contemplando le sue iridi grigie.
“Certo che come rompi le palle tu, non le rompe nessuno! Non lo vedi che sono in difficoltà, razza di inopportuno?!”
< Pensavo. Hai un buon odore, sai? Non riesco a capire cosa sia... E’ molto piacevole, però. Hai anche delle mani morbidissime, e sono così delicate al tatto... Insomma, mi aspettavo fossero più pesanti, o più ruvide, non so se mi spiego. Invece, sono stupende, non me lo sarei mai immaginata! Hai anche un tocco molto piacevole, sai? È... bello. Sì, non dà fastidio, mentre ricordo che quello del mio ex ragazzo era molto, ehm... materiale. Ti ho già detto che mi piace il tuo profumo? Oh cielo, forse sto parlando troppo, forse dovrei stare zitta... > fece lei, meravigliandosi di se stessa e mordendosi il labbro per frenarsi dall’impulso di continuare a proferire verbo. Aveva appena capito di aver fatto la parte della logorroica, cosa che succedeva ogniqualvolta pensava di trovarsi in una situazione imbarazzante.
George, rimasto a bocca aperta, trasformò rapidamente la sua espressione incredula in un ampio sorriso. Però, per quanto ci provasse, non riusciva a nascondere il fatto di esser rimasto piacevolmente colpito, ed inevitabilmente cercò di fare caso al grado di morbidezza delle sue mani.
Pensava fosse impossibile potere sentir dire delle cose talmente carine tutte in una volta, specialmente da parte di un tipino come la cugina di sua cognata, che di certo non esternava tanto facilmente i suoi pensieri.
< Ti piace davvero il mio profumo? > le disse, allora, scrutandola con interesse. Lei incurvò le labbra e chiuse gli occhi, maledicendosi in anticipo per quello che stava per chiedergli.
< Posso... Posso annusarti? > fece Abigail in un sussurro, lasciando il giovane ancor più meravigliato. Senza aspettar risposta, posò la testa nell’incavo del suo collo e vi si soffermò per parecchi attimi per godere appieno di quella fragranza che avrebbe saputo riconoscere ovunque e che la faceva impazzire.
< Penso che profumi di un odore che mi piacerà sempre2... > bisbigliò, poi, portando una mano tra i suoi capelli ed accarezzandoli, e George si sentì scuotere da piacevoli brividi a causa delle labbra di lei che parlavano e si muovevano sulla sua pelle.
Sentiva crescere dentro di sé il sempre più ostinato impulso di baciarla, di annullarsi totalmente, di abbattere definitivamente quella barriera che pian piano stava crollando, che si stava sbriciolando tra le loro mani.
Erano arrivati ad un punto di non ritorno, ed entrambi avevano iniziato a capire che nulla avrebbe potuto evitarlo. Quella musica di sottofondo, poi, di sicuro non semplificava la situazione.

Non appena lei fu tornata a ricambiare il suo sguardo, lui avvicinò il viso al suo, poi prese a giocherellare con quei capelli che non poteva smettere di reputare estremamente soffici.
< Sei più piacevole di quanto immaginassi, sai? > soffiò lui, e lei sorrise. Alla fine, i suoi sforzi erano valsi a qualcosa.
< Neanche tu sei male, a dirla tutta... > rispose la ragazza, che sentiva la sua temperatura corporea aumentare man mano che la bocca di lui si faceva sempre più vicina. Poi, mossa dall’impulsività e da grande coraggio, si appese alle sue labbra, chiedendosi nello stesso istante cosa ci avesse aspettato a farlo.
Lui rispose al bacio con fin troppo entusiasmo, tanto che entrambi si ritrovarono a ridosso del divano, sul quale caddero qualche momento dopo.
Continuarono a baciarsi con maggiore trasporto, dimenticando i trascorsi, che in quegli istanti divennero sempre più insignificanti, ed iniziando a pregustare ciò che sembrava inevitabile accadesse.
Tuttavia, George, in un attimo di lucidità, interruppe quella serie infinita di baci e di carezze, soffermandosi a guardare Abigail per una manciata di secondi. Lei gli restituì uno sguardo perplesso, quasi scocciato, non riuscendo ad intuire le ragioni di quella reazione. Lui iniziò a scuotere la testa.
< Stiamo facendo un’enorme cazzata, forse > le sussurrò sulle labbra, non totalmente convinto.
< Lo so, ma voglio farla ugualmente > rispose lei, regalandogli un sorriso talmente dolce che lui non poté che riprendere a baciarla. Fece per sfilarle la maglietta, ma fu proprio in quel momento che si fermò di nuovo, stavolta più deciso di prima, cosa che fece sbuffare la ragazza.
< Non possiamo, Gail > disse, non comprendendo bene neanche lui il motivo del suo gesto. Si alzò e le porse una mano per permetterle di fare altrettanto.
Una volta che furono uno di fronte all’altra, George le sfiorò le labbra e vi posò un altro bacio, deciso a fare in modo che fosse l’ultimo.
Non sapeva perché stesse facendo tutto ciò, ma sentiva che era l’unica cosa giusta da fare.
< Tutto ciò... Tutto ciò non è mai successo... > le disse, quindi, ancora stavolta in un sussurro.
Lei trattenne il respiro, ed inevitabilmente percepì il nervosismo riprendere possesso di lei. Non riusciva a dare una spiegazione a quella stupida ed insensata decisione, ma non sarebbe riuscita ad accettarla e capirla comunque.
< Sono... confuso! Sì, confuso... Mi capisci? >
“Dico che non sei confuso, ma che sei una grandissima testa di cazzo, Weasley!”
< No, George, non ti capisco > rispose, quindi, Abigail, riuscendo a nascondere perfettamente la grande amarezza che le si era creata dentro. Poi, si allontanò da lui, decisa a chiudere lì quella faccenda e a stare un po’ da sola.
< Ehm, ho... sono stanca, vado a riposarmi un po’... > comunicò, quindi, sfrecciando poi in direzione della camera da letto e chiudendosi la porta alle spalle ancor prima che George potesse anche solo emettere alcun suono, mentre quella radio era sempre maledettamente accesa.

La ragazza si buttò sul letto a peso morto, cercando di frenarsi dall’impulso di prendere a testate il muro per il casino che aveva combinato.
< Non dovevo baciarlo, no... non ora... > mormorò tra sé, non riuscendo poi a non insultare mentalmente sia lui che se stessa.
Prese il libro che aveva sul comodino ed iniziò a sfogliarlo, perdendosi nella lettura per un’ora o due, nonostante non riuscisse a concentrarsi pienamente.
“Perché gli uomini devono rendere sempre tutto più difficile?!” fu quello che continuò a pensare senza sosta, affranta.
Poi, percependo la gola secca, si alzò ed entrò in cucina, tenendo lo sguardo basso per evitare di incrociarlo con quello del ragazzo disteso sul divano.
Si versò il più velocemente possibile un bicchiere d’acqua e lo bevve, intenzionata a dirigersi nuovamente nella stanza in cui era prima, ma, prima che potesse farlo, George, preso dall’istinto di infischiarsene dei suoi propositi e di baciarla di nuovo, l’afferrò per un braccio.
Lei si voltò, sorpresa, mentre un filo di speranza tornava a luccicare nei suoi occhi, e lui la guardò ininterrottamente, senza battere ciglio, indeciso sul da farsi.
Ma, proprio nel momento in cui era quasi arrivato ad una conclusione, la serratura della porta di ingresso scattò, facendoli sobbalzare.
< Eccoci tornati! Tutto bene? > domandò Margaret, raggiante, mentre Fred, carico di buste, arrancava verso il divano, dove le depositò malamente dalla prima all’ultima.
< Alla perfezione! È quella la roba per il pupo? Non dovevate prendere anche carrozzina e roba varia? > chiese George, fingendo disinvoltura.
< Ce le spediscono in negozio. Troppo pesanti! Povero me... > rispose Fred, esausto, al fratello, che si lasciò scappare una risata silenziosa.
< Abbie, dovevi vedere quante cose deliziose c’erano in quel negozio! Abbiamo preso dei completini assolutamente adorabili, una culla che si solleva da terra e dondola da sola per far addormentare il bambino, un box che gli impedisce di scavalcare la... come si chiama? Recinzione? Comunque, poi, abbiamo comprato un seggiolone che si pulisce da solo, dovresti vederlo! Poi... > fece Meg, che continuò a parlare all’infinito delle migliaia di cose che avevano scelto per il bambino.
Abigail, mentre veniva trascinata nell’altra stanza dalla cugina, rivolse uno sguardo a George, che lo ricambiò.
< Allora sono davvero un idiota... > si disse questi tra sé, amareggiato, trovando l’assenso del fratello.
< Wow, la tua perspicacia mi commuove! Adesso cos’altro scoprirai? Di che colore sono le tende di casa? >
< Vaffanculo, Fred! > commentò, ridendo, lanciando un cuscino in direzione del gemello. Questi fece per allontanarsi, ma George si ricordò di ciò che doveva chiedergli, così lo fermò.
< Fred! >
< Dimmi! Vuoi che stili una lista delle cose stupide che hai fatto in questi diciannove anni di vita? Insomma, come regalo di compleanno! >
< Davvero spiritoso. Senti, ma tu lo sapevi che Vittoria e Paul sono stati diseredati?! > gli domandò, incuriosito. Fred rise tra sé.
< Pff, ovvio! >
< Ed anche che Vittoria e Walburga erano cugine?! >
< Proprio così! >
< Mi stai prendendo in giro?! > chiese George, inquisitorio. Il fratello inarcò il sopracciglio.
< Meg ce l’avrà detto un miliardo di volte: dove sei stato in tutti questi anni?! > fece Fred, perplesso, e George lo guardò con tanto d’occhi.
Si gettò sul divano, cercando di sforzare la memoria, ma, nonostante ciò, i suoi tentativi furono vani: nella sua mente aleggiava soltanto il pensiero di un paio di occhi grigi che lo trafiggevano e del profumo di quei capelli biondi che gli inebriava le narici.



1: Il Ballo della Strega e del Calderone... l’insolazione mi gioca brutti scherzi!
2: di Margaret Mazzantini.


Angolo dell’autrice

So che dovrei tenere i miei pareri per me, ma amo George ed Abigail. Ma l’ho già detto che devo far passare loro le pene dell’Inferno (?), quindi ho dovuto fare quello che andava fatto (??)! Spero non mi picchierete.
Sì, insomma, sono un’autrice rovina-attimi zuccherosi e caramellosi, ma credetemi quando vi dico che ho provato una tristezza immonda quando l’ho fatto. ç_ç Vedrete nei prossimi capitoli come si evolverà la situazione!
D’altra parte, però, Desmond e Meg hanno chiarito *pepepepe*, e direi che era anche ora che ciò accadesse.
Bene, il titolo è di Charlie Chaplin, mentre la canzone di oggi è You’re Beautiful, di James Blunt.
Il prossimo aggiornamento avverrà domenica 30 giugno. Fino a sabato sarò a Torino, sperando che il concerto dei Muse non venga annullato e che quindi il mio non si riveli un viaggio a vuoto. Per sicurezza, preparo il lanciafiamme.
Bene, ringrazio chi segue, preferisce e ricorda (?) la storia ed in particolar modo le gentilissime Angel_Mary e JeckyCobain, che hanno recensito il capitolo precedente. :)
Un abbraccio,
Jules


Dal prossimo capitolo:

Chiuse le ante dell’armadio con un tonfo e si precipitò in cucina, dove Fred, George ed Abigail stavano prendendo il caffè.
I tre si voltarono nella sua direzione, preoccupati, ma Margaret non diede loro neanche il tempo di domandare cosa fosse successo.
< Voglio andare a scegliere il mio abito da sposa! > annunciò, facendo esplodere di felicità Abigail, la quale, negli ultimi mesi, aveva cercato di persuaderla in ogni modo affinché si convincesse a fare un bel giro per negozi.

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Capitolo 12
*** Amorevolezza e maternità quasi si escludono a vicenda: la vera maternità è coraggio virile ***


Amorevolezza e maternità quasi si escludono a vicenda: la vera maternità è coraggio virile


Oh ! Darling, if you leave me
I’ll never make it alone
Believe me when I tell you
Don’t ever leave me alone



Il mese di maggio era ormai avviato verso la propria metà, e stava portando con sé una piacevole e tiepida temperatura, nonostante le frequenti piogge.
In un angolo dell’appartamento al numero novantatré di Diagon Alley stava, in attesa di essere utilizzata, una deliziosa culla bianca, nuova di zecca, addobbata con veli e fiocchi azzurri di tutte le dimensioni. A guardarla da circa una ventina di minuti c’era Fred, il quale, svegliatosi pochi momenti prima, appena giunto in cucina si era imbambolato di fronte a quel lettino, montato con estremo amore e tanta cura proprio pochi giorni prima ed in attesa di una sistemazione definitiva.
Al suo interno vi immaginò suo figlio, beatamente addormentato, dopo una più che probabile nottata insonne passata a riscaldare biberon e a cambiare pannolini, ed inevitabilmente rise tra sé, pensando che quel momento si stava avvicinando sempre di più.
Ormai era questione di giorni, o anche di ore, prima che Alexander nascesse.
Concentrato, sistemò un fiocco che era stato fatto male, e si accorse della presenza di Margaret solo quando quest’ultima gli mise una mano sulla spalla per accarezzarlo.
Fred si voltò di scatto, allarmato, e fissò la sua fidanzata con occhi sgranati.
< Che è successo?! Ti si sono rotte le acque?! Presto, prendi il borsone! No, che stupido, devo prenderlo io, il borsone, non tu! Aspettami qui, non ti muovere, non fare niente, rimani dove sei! > quasi urlò lui, intenzionato ad avviarsi verso la camera da letto per prendere la borsa da portare in Clinica, anche se le sue gambe non riuscivano a compiere alcun movimento. Meg piegò la testa di lato e lo guardò con fare divertito, poi l’abbracciò e poggiò il viso contro il suo petto.
< Se dovessi rimanere impalato così anche quando dovrò partorire sul serio, allora siamo messi davvero male! > scherzò lei, facendo tirare un sospiro di sollievo al ragazzo. Questi rispose all’abbraccio e le baciò la fronte.
< Hai ragione, scusami. Quando arriverà il momento, sarò così bravo da farti dimenticare tutte le volte che mi sono lasciato prendere dal panico durante i falsi allarmi dell’ultima settimana, promesso! È che ultimamente sono ansioso, sai. Tu... Tu non hai paura? > fece lui, accarezzando il pancione della fidanzata, così grosso che sembrava potesse esplodere da un momento all’altro.
< No. O, meglio, non ne avrò fino a quando saprò che ci sei tu al mio fianco... > gli disse, stampandogli un bacio sulle labbra. Lui le sorrise, così lei ricambiò, serena, anche se, dentro di sé, non poteva non percepire un crescente senso di preoccupazione assalirla.
Era in ansia per quello che doveva succedere, ma allo stesso tempo non vedeva l’ora che suo figlio nascesse. Anche perché, dopo nove lunghi mesi, quel peso iniziava a rendersi abbastanza faticoso da portare.
< Sei... Sei sicura di non aver rotto le acque, giusto?! > chiese nuovamente conferma Fred, ma lo fece con un tono di voce così alto e stridulo che Abigail e George, che dormivano rispettivamente nella seconda camera da letto e sul divano, si presentarono sul posto, allarmati e, ovviamente, assonnati.
< Chi è che ha rotto le acque?! > domandarono i due all’unisono, grattandosi contemporaneamente la fronte e fissando Margaret con sguardi vacui. Questa scoppiò a ridere e scosse la testa.
< Buongiorno anche a voi, ragazzi! Nessuno ha rotto le acque, tranquilli! > li rassicurò lei, che si avviò subito dopo in direzione della camera da letto per scegliere l’abbigliamento da indossare quel giorno.

Nell’istante in cui si trovò dinanzi l’armadio, fu inevitabile per lei pensare al fatto di non aver ancora comprato il suo abito da sposa, nonostante mancasse solo un mese e mezzo al matrimonio.
La gravidanza, difatti, l’aveva distolta dall’intento di andare a dare un’occhiata ai vestiti, principalmente per l’amarezza che le avrebbe portato la consapevolezza di non poterne provare neanche uno per via del pancione.
Adesso, però, sentiva il bisogno, l’esigenza, il desiderio crescente di entrare in un negozio di abiti da sposa e, se fosse stato il caso, anche di sceglierne uno, pur non provandolo e, quindi, commettendo una totale follia.
Chiuse le ante dell’armadio con un tonfo e si precipitò in cucina, dove Fred, George ed Abigail stavano prendendo il caffè. I tre si voltarono nella sua direzione, preoccupati, ma Margaret non diede loro neanche il tempo di domandare cosa fosse successo.
< Voglio andare a scegliere il mio abito da sposa! > annunciò, facendo esplodere di felicità Abigail, la quale, negli ultimi mesi, aveva cercato di persuaderla in ogni modo affinché si convincesse a fare un bel giro per negozi.
Fred, contrariamente, non ebbe la stessa reazione. Fissò basito la fidanzata per diversi istanti, poi posò la tazzina del caffè nel lavabo e si passò una mano tra i capelli, affatto entusiasta.
< No, Meg. Non è il caso > disse, lasciando interdette le due ragazze.
< E perché mai? > gli chiese, dunque, Meg, curiosa di sapere fino a che punto potesse arrivare la mente del suo futuro marito.
< Perché potresti avere le doglie da un momento all’altro, visto che oggi è il 13 maggio, mentre la data del parto era prevista per l’8! >
< Non era certo, Fred! E, comunque, all’ultima visita mio zio mi ha detto che posso stare tranquilla: qualche altro giorno se lo prenderà ancora! >
< Non è detto, Meg! E se dovessi sentirti male in mezzo alla città?! >
< Ci sarebbero Abbie e George con me, non sarei sola! > specificò Margaret, e a quelle parole George, preso alla sprovvista, rimase sbalordito.
< Che c’entro io?! > domandò, quindi, incuriosito. La ragazza sollevò le sopracciglia.
< Sei il mio testimone, l’hai già dimenticato?! >
< Per le mutande di Merlino, è vero! E ciò significa che dovrei accompagnarti! E consigliarti! Fred, fratello, smettila di fare la mammina apprensiva e falle fare ciò che vuole, ci siamo noi con lei! > fece George, entusiasta al pensiero di dover aiutare la sua migliore amica nella scelta dell’abito. Il gemello lo fissò torvo.
< Ti stai trasformando in una donna! Fate ciò che volete, razza di testardi... >
< Va bene! > disse Meg, lasciando Fred sconvolto ancor di più. Gli si avvicinò e gli stampò un bacio sulle labbra, come se avesse voluto rassicurarlo, poi gli fece l’occhiolino e tornò in camera da letto.
Lui scosse la testa, rassegnato: qualsiasi cosa facesse, con lei era sempre una battaglia persa.


* * *


Londra era estremamente trafficata, così come ogni giorno, e quel cielo stranamente limpido era un ulteriore invito a passeggiare per le strade sovraffollate della capitale.
Margaret, nonostante i nove mesi di gravidanza, camminava alla solita rapidità impressionante, costringendo le altre due persone che erano con lei a velocizzare il passo per poterle stare dietro.
Durante il tragitto, aveva continuamente ribadito le caratteristiche che l’abito perfetto per lei avrebbe dovuto avere, facendo disperare George ed Abigail, esausti dopo soli dieci minuti.
< Deve essere... sexy! Niente gonne ampie, niente pizzo, niente tulle e niente brillanti o decorazioni troppo vistose! Non voglio sembrare una bomboniera! > affermò Meg con convinzione. Sua cugina alzò gli occhi al cielo, tentando di mantenere la calma.
< Maggie, non credi sia troppo rischioso puntare su un vestito superaderente? Insomma, adesso non puoi provarlo, comprare una roba del genere è quasi come un suicidio! > disse, allora, cercando di far recuperare un minimo di razionalità alla futura sposa. Questa si rabbuiò, consapevole del fatto che la ragazza avesse ragione, ma troppo orgogliosa per ammetterlo. Meglio puntare sul senso di colpa, pensò lei.
< Dici così perché sono ingrassata di dodici chili, non è vero? E pensi che non ce la farò mai a perderli entro i primi di luglio! Pensate che sia grassa, eh?! Che vada assomigliando sempre di più ad un bignè! > esclamò, lasciando esterrefatto, in primo luogo, George, che si era tenuto in disparte proprio per evitare possibili accuse e ripercussioni.
< Io non ho proprio detto nulla! Perché voi donne vi divertite così tanto a tirarmi sempre in mezzo?! >
< Tu stanne fuori! Meg, stai dicendo cose assurde, quindi cerca di mantenere la calma. Nessuno qui ha mai detto che tu assomigli ad un bignè o a qualsiasi altra cosa, dunque, per favore, piantala! Ti ho solo dato un parere, tu poi fa’ quello che vuoi! > affermò Abigail, risoluta, lasciando spiazzata la cugina, che sgranò gli occhi per la sorpresa. L’altra, però, le sorrise, benevola, e la prese a braccetto, invitandola a proseguire. George, dietro di loro, appariva sempre più desideroso di tornarsene a casa: quelle due gli facevano decisamente paura.
Camminarono per un’altra manciata di minuti, fino a quando di fronte ai loro occhi non si parò la visione di una vetrina con dei meravigliosi abiti da sposa di ogni genere. Margaret trattenne il respiro, poi posò la mano sulla maniglia e spinse la porta d’ingresso del negozio, emozionata.
< Meg, tu da’ un’occhiata per conto tuo qui, io ed Abbie facciamo un giro più in là, magari c’è qualcosa che ti può interessare > propose George, ricevendo risposta positiva dalla cognata, che aveva già iniziato ad esaminare i vestiti, facendo smorfie perlopiù disgustate.

Abigail e George si guardarono, stanchi ancor prima di aver iniziato, e si avviarono verso la sala adiacente alla prima, dove erano esposti ancora altri abiti.
Cominciarono ad osservare gli articoli disponibili, scambiandosi ogni tanto occhiate sconsolate a causa degli scarsi risultati che quella ricerca sembrava riservare loro.
< Di questo che te ne pare? Non è male! > domandò il ragazzo, mostrando alla sua accompagnatrice il vestito che aveva appena pescato dallo stand. Questa piegò la testa di lato, poi contrasse il viso in una smorfia.
< E’ bello, ma è pieno di pizzo e di volant, ed hai sentito quello che ha detto prima di entrare, no? A volte è insopportabile... > commentò, sconfitta, chiudendo gli occhi nel tentativo di recuperare un po’ di pazienza. La piccola discussione con la cugina l’aveva snervata parecchio.
< Ah, e quindi questi si chiamano volant?! Wow... > fece lui, più a se stesso che alla sua interlocutrice, ma quest’ultima non riuscì a trattenersi dal dare in una leggera risata.
< Già, dimenticavo che voi uomini non siete tanto bravi in queste cose! > scherzò lei, scuotendo la testa. George alzò gli occhi su di lei, e le sorrise in un modo differente dal solito, quasi con complicità, cosa che la lasciò colpita all’istante. Con la mente viaggiò subito fino al momento in cui si erano baciati, più di un mese prima, ripercorrendo le sensazioni che aveva provato, e sentendo inevitabilmente un fastidiosissimo sfarfallio nello stomaco.
< Meno male che ci sei tu, allora > le disse lui, sempre con quel sorriso stampato sul volto. Abigail distolse lo sguardo, pensierosa, e lo puntò nuovamente in direzione dello stand. Poggiò una mano su un altro abito, intenzionata a dargli un’occhiata, ma prima che potesse farlo George mise la propria su quella di lei, al che questa volse gli occhi grigi su di lui, stranita.
< Gail, credo che noi due abbiamo una discussione in sospeso > affermò il ragazzo, lasciandola ancor più confusa. Chiuse le palpebre più volte, cercando di trovare una spiegazione a quella frase.
< Non capisco di cosa tu stia parlando... > fece lei, sincera. Lui sorrise di nuovo, e strinse ancor di più la sua mano.
< Mi riferisco a ciò che è successo il mese scorso. Credo che dovremmo parlarne meglio, tu ed io, non trovi? > le disse, allora, ed Abigail venne presa dall’istinto di schiaffeggiarsi per non aver avuto la lucidità di pensare subito a questo.
< Avevi detto che eri confuso. Mi avevi chiesto di far finta che nulla fosse accaduto, e così ho fatto. Perché adesso tiri fuori questo argomento? >
< Ricordo perfettamente ciò che ti ho detto quella volta, ma adesso ci ho riflettuto, e... Senti, quest’ultimo mese non è stato affatto semplice, per me. Ogni istante in cui ti ho guardata, in cui abbiamo parlato, riso insieme, non ha potuto che risvegliare in me il ricordo di quel dannatissimo bacio, e di tutto il casino che è successo prima. Capisci, prima dimostri in tutto e per tutto di odiarmi, e poi mi baci: è stato abbastanza scombussolante, non è semplice da spiegare... >
< George, io non... io non ti ho mai odiato! Casomai ero arrabbiata, furiosa, offesa anche... ma non sono mai arrivata a provare nei tuoi confronti odio o qualcosa di anche lontanamente simile. Non immagini quanta fatica mi stia costando dirti questa cosa, però è la verità. Anzi, se proprio vuoi saperlo, io credo di... di essermi affezionata a te, in un modo o nell’altro. Mi sono resa conto che è molto più bello sentirti parlare, o fare qualche stupida battuta, piuttosto che litigare... > ammise, infine, Abigail, lasciando George a bocca aperta. In quei mesi, egli aveva pensato che l’unica cosa certa di quella donna fosse che non avrebbe mai rinunciato al proprio orgoglio neanche per un istante. Dopo ciò che aveva sentito, però, ogni sua convinzione parve sbriciolarsi tra le sue stesse mani.

Fece per avvicinarsi di più a lei, ma in quello stesso momento Abigail portò lo sguardo sul vestito sul quale entrambi stavano posando le mani. George se ne accorse, così alzò gli occhi al cielo, seccato. La ragazza non parve accorgersene, così prese l’abito e lo guardò, non facendo caso all’espressione tinta di disappunto del suo accompagnatore.
< L’abbiamo... L’abbiamo trovato. Di semplice raso, nessuna di tutte quelle cose che odia, scollato, spalle scoperte, sexy al punto giusto, longilineo, nessuna balza imbarazzante. Vediamo che ne pensa, eh? >
< Posso essere sincero? Non mi piace. Nulla di particolare > commentò George, a cui quell’abito stava antipatico per ben altri motivi. In fondo, era per colpa sua se i suoi piani erano appena andati in fumo. Lei contorse le labbra in una smorfia e sospirò.
< Non convince molto neanche me, credo che non la valorizzerebbe abbastanza. Farglielo vedere però non costa nulla: c’è sempre la speranza che non le piaccia! >
I due testimoni si avviarono in direzione della stanza adiacente, intenti a cercare Margaret, che non fu molto difficile da trovare. Con quel pancione, non rischiava di passare inosservata.
La raggiunsero, ma fin dall’inizio la cugina comprese che c’era qualcosa di strano, in lei: dava loro le spalle, immobile, e chissà da quanto tempo doveva essere in quella posizione.
< Maggie, ne abbiamo trovato uno che potrebbe piacerti! Meg?! Ehi, Zuccherino, ci sei? > le disse George, che solo dopo si accorse che la cognata era rimasta paralizzata e con sguardo rapito di fronte ad uno degli abiti della vecchia collezione. I due le si misero accanto, fissando anche loro l’oggetto dell’attenzione sconsiderata della giovane Stevens.
Quell’abito era l’opposto di ciò che la ragazza stava cercando: il corpetto era di raso, lo scollo a cuore, e presentava delle fasce che sembravano richiamare l’antico stile greco classicheggiante; la gonna era ampia, rigorosamente in tulle, decorata con degli splendidi fiori in pizzo sul lato inferiore.
< E’ meraviglioso... > affermarono Abigail e George all’unisono, trovando il consenso di Meg.
< E’... Ragazzi, è per me... è il mio abito! Solo che... >
< Cosa? Qual è il problema? È assolutamente perfetto! >
< Lo so, Abbie, ma è stato prenotato da un’altra persona... Ed è l’ultimo. E’ persino una 42, la mia taglia, ti rendi conto? > spiegò la ragazza, sconfortata. Distolse lo sguardo dall’oggetto dei suoi desideri e continuò nella ricerca, desolata.
I due testimoni si rivolsero uno sguardo carico di significato, ed immediatamente seppero quale fosse la cosa giusta da fare. Si guardarono intorno, in cerca di una commessa, e quando la trovarono si incamminarono nella sua direzione, decisi ad ottenere ciò che volevano.
< Mi scusi, potremmo scambiare due parole con lei? > le chiese gentilmente Abigail, ricevendo risposta positiva, al che diede mostra di uno dei sorrisi più falsi del suo repertorio. George, che non si fidava affatto dei buoni propositi della ragazza, la batté sul tempo, prendendo parola ancor prima che lei potesse anche solo pensare a cosa dire.
< La vede quella ragazza lì in fondo, quella incinta? Bene, è la fidanzata di mio fratello, tra pochi mesi si sposano, ed è rimasta incantata da quell’abito, che, a quanto ci è stato riferito, è stato già venduto. Siamo sicuri non si possa fare qualcosa? > disse alla giovane commessa con un tono di voce decisamente seducente, tanto che sia questa che Abigail diedero immediatamente in espressioni perse e sognanti.
< Oh, be’... Vede, io non posso fare nulla, però posso... posso farvi parlare con il direttore, se volete >.
< Sarebbe splendido, ma chérie! > assentì di nuovo George, e la commessa, giusto un po’ stordita, si allontanò, inciampando nel momento stesso in cui il ragazzo le fece l’occhiolino. Questi si voltò, ghignante, in direzione della compagna, che scuoteva la testa, ridendo tra sé.
< Troppo, troppo semplice. Nessuna donna può resistere al mio fascino, è certificato! >
< Mi dicono che non sei per niente vanitoso, eh? > commentò Abigail, ironica, e lui le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ancora compiaciuto di se stesso.
< Però adesso tocca a te, bellezza! Il direttore è un uomo: il mio innegabile splendore, stavolta, non può servire a nulla! >
< Ne sei proprio sicuro? Oh, eccolo lì. Ehi, non è niente male! > fece lei, dandosi una sistemata, e non notando che il viso di George si era immediatamente rabbuiato a causa di quello che aveva appena sentito. Non capiva il perché, ma quell’uomo già gli stava antipatico.

Questi li raggiunse, e sul volto aveva stampata un’espressione più che curiosa. Strinse la mano ad entrambi, e prima che potesse aprir bocca, Abigail partì all’attacco, sfoggiando un sorriso radioso.
< Credo che la sua dipendente le abbia spiegato per quale ragione vogliamo parlarle, no? Vede, mia cugina tiene davvero molto a quell’abito, e sarebbe davve-... > iniziò lei, ma venne subito interrotta dal direttore del negozio, cosa che la fece diventare viola dall’indignazione.
< Mi dispiace interromperla, signorina, ma penso proprio di non potervi aiutare. Quell’abito è già stato venduto, ed è l’ultimo, e... >
< Lo so che è già stato venduto, altrimenti per quale ragione avrei dovuto scomodarla?! Mia cugina è incinta, non so se comprende, e sarei disposta a pagare anche il doppio del prezzo pur di riuscire a comprare quel vestito! >
< Se devo essere sincero, non mi importa affatto. Quello che deve capire, è che... Oh, scusatemi un attimo, devo rispondere ad una chiamata importante. Con permesso... > disse quell’uomo, allontanandosi e prendendo un aggeggio che i due ragazzi non avevano mai visto prima in vita loro.
< Stupido Babbano... > commentò George, corrucciato, mentre Abigail stava per dare in escandescenze. Si portò le mani ai capelli, furiosa, e chiuse gli occhi, tentando di recuperare la calma.
< Testa di rapa! Vediamo se non gli importa se lo spedisco in Groenlandia a forza di calci in culo! Se solo mi interrompe un’altra volta, gli infliggo un Cruciatus tanto potente da farglielo ricordare per tutta la vita! > esclamò, adirata come poche volte negli ultimi mesi, impaurendo persino il suo compagno, che cercò di tranquillizzarla.
< Buon sangue non mente, eh?! Avanti, non fare così. Dobbiamo pensare a come volgere la cosa dalla nostra parte, invece > le disse, pensieroso. La ragazza rifletté per qualche secondo, fino a quando il suo sguardo perso nel vuoto non si illuminò di consapevolezza.
< George... tu sei un mago... ed io sono una strega. Dovevamo pensarci subito, siamo stati due idioti! Non è ancora troppo tardi, però. Basta, ehm... confondergli un poco le idee, non so se mi spiego... > gli sussurrò, al che il giovane spalancò gli occhi e sorrise, diabolico.
< Thompson, devo proprio dirtelo: amo il modo in cui ragioni! C’è quel pizzico di losca furbizia che non guasta! >
< Tutto merito di nonna Vittoria, ovviamente > ammise lei, facendo ridere il suo interlocutore. Entrambi, però, tornarono seri non appena videro che il direttore stava per dirigersi nuovamente da loro con sguardo più che mai ipocrita.
< Bene, dove eravamo rimasti?! Ah, sì! Nulla da fare, ve lo ripeto: l’abito è già venduto, dovrete sceglierne un altro. Intesi? >
< Ne è proprio sicuro? > fece Abigail, stringendo la mano a George; quest’ultimo non esitò, quindi, a puntare la bacchetta contro l’uomo che stava loro di fronte, ovviamente con molta discrezione, cosicché nessuno potesse accorgersene. Sussurrò a fior di labbra la parola “Confundo”, ed immediatamente dopo il direttore assunse un’aria un po’ persa e spaesata. Fissò i due ragazzi, stranito.
< Cosa... Cosa stavo dicendo?! > domandò loro, ed Abigail non se lo fece ripetere due volte.
< Ha detto che ci vende l’abito, l’ha già dimenticato? >
< E dato che appartiene alla vecchia collezione, ci ha anche assicurato che ci sarebbe stato uno sconto del 50%. Compresi nel prezzo ovviamente anche il velo, le calze, la lingerie... e le scarpe, una 37! > aggiunse George, lasciando la ragazza a bocca aperta. Quell’insopportabile uomo annuì e sorrise apertamente.
< Ma certo! Ora ricordo! Vi faccio prendere immediatamente l’abito e tutto il resto. Intanto, venite con me, suvvia! > disse loro, prendendoli a braccetto e conducendoli alla cassa, dove li lasciò.
< Con lo sconto, sono £1.300... e le scarpe ve le regalo io! Ecco a voi! > fece, qualche minuto dopo, incassando le sterline e porgendo l’enorme busta ai due ragazzi, enormemente soddisfatti.
< Alla prossima, spero di rivedervi presto! >
< Contaci... > sussurrarono loro all’unisono mentre si allontanavano, scambiandosi un’occhiata complice.

Raggiunsero Margaret, ancora alla disperata ricerca di qualcosa di dignitoso, che appena li vide con quell’acquisto in mano si paralizzò.
< Ma cosa...? >
< Non chiederci spiegazioni, perché non te ne daremo, ma qui dentro c’è proprio quell’abito, con tanto di accessori. Non ringraziarci, non ce n’è bisogno! > le disse Abigail, sorridente, lasciando spiazzata ancor di più la cugina. Questa si portò una mano alla bocca, mentre posava lo sguardo, incredulo, prima sull’uno e poi sull’altra.
< Merlino... Non ho parole... Io... Oh, cielo! Quanto... Quanto devo darvi?! >
< Assolutamente niente, Zuccherino! Regalo dei testimoni della sposa per il matrimonio! > esclamò George, al che il viso della futura sposa fu inondato da un fiume di lacrime. Si gettò sui due, gioiosa, e li abbracciò, non riuscendo a trovare alcuna parola che potesse esprimere tutta la riconoscenza che provava nei loro confronti. Li strinse con quanta più forza riuscì a trovare, grata di avere persone così splendide al suo fianco, sempre pronte a sostenerla.
Sciolse l’abbraccio, e rise tra sé nel constatare che George si era commosso ed aveva gli occhi lucidi. Abigail gli diede una pacca sulla spalla, poi gli arruffò i capelli.
< Ehilà, allora l’affascinante Weasley sa piangere! > commentò, cercando di stuzzicarlo. Questi si asciugò gli occhi, dando poco rilievo alla cosa, ed aspettò che Margaret iniziasse a percorrere la strada per tornare a Diagon Alley prima di rivolgersi alla ragazza.
< Sono stato geniale, eh?! >
< A dir poco. Altro che “pizzico di losca furbizia che non guasta”: qui stiamo parlando di vera e propria psicologia criminale! Avremmo pagato chissà quanto, altrimenti... >
< A proposito... Mi devi £650. Anzi, 130 galeoni. Quando puoi, non c’è fretta! >
< Eh?! Oh, sì, sicuro! Ricordamelo, solitamente dimentico tutto... o quasi... > disse Abigail, diventando rossa e nascondendo il viso tra i capelli. Impresa abbastanza difficile a causa del taglio corto. George se ne accorse, così le sorrise in modo comprensivo e le cinse le spalle; poi, si avviarono anche loro dietro Meg, esausti e desiderosi più che mai di arrivare a casa.


* * *


Erano quasi le quattro del pomeriggio, e Margaret aveva deciso di andare a riposarsi un po’, rassicurando tutti dicendo che si trattava soltanto di stanchezza.
Attorno il tavolo della cucina, Fred, con l’aiuto di George ed Abigail, continuava a fare previsioni e calcoli riguardo le spese già effettuate e quelle a venire.
Il piano era cosparso di fogli di pergamena e di piume che svolazzavano da una parte all’altra, intente a scrivere ciò che veniva loro dettato dai tre ragazzi, prevedibilmente sull’orlo di una crisi di nervi.
Fred, con le mani ai capelli ed i gomiti poggiati sul tavolo, ricapitolava insistentemente tutto quello che avevano già preso in considerazione, sperando in un’illuminazione improvvisa e salvifica.
Si voltò verso il gemello, anche lui impegnato a spremersi le meningi, e si disse che avrebbe dovuto santificarlo per la pazienza e la disponibilità che aveva dimostrato, in particolar modo in quegli ultimi mesi.
< Allora, ricapitolando di nuovo! > prese la parola Abigail, facendo sobbalzare gli altri due, che erano sul punto di crollare giù dalla sedia.
< Sì! Bene. Allora. Per quanto riguarda le spese per il matrimonio... > fece Fred, che subito dopo si perse tra la miriade di fogli sparsi un po’ ovunque. Quando ne riemerse, sospirò, preparandosi al peggio, ed iniziò a leggere con attenzione.
< Siamo messi abbastanza bene: abbiamo la location, il catering, la torta, gli abiti, le decorazioni ed i fiori, mentre settimana prossima si vanno a comprare le fedi. Niente da fare con le Sorelle Stravagarie, Abbie? >
< Esatto. John ci ha provato, ma a quanto pare gli hanno detto di avere un altro impegno, per quel giorno. Però, tranquillo, ho rimediato qualcun altro! >
< Oh, davvero? Vale a dire? > si interessò George, curioso. Lei sorrise, compiaciuta di se stessa, e sospirò, sognante.
< Ho chiesto gentilmente ad un mio caro amico di venire a suonare con la sua band, e lui ovviamente ha accettato! > comunicò, quindi, raggiante, ma la sua espressione felice si tramutò in una lievemente irritata non appena si accorse del sorrisetto malizioso di George.
< Cosa intendi con “chiesto gentilmente”? I tuoi occhi persi nei ricordi lasciano intendere ogni cosa, sai? Anche più del necessario! > commentò lui, che dovette sforzarsi parecchio per trattenersi dal ridere non appena vide le guance di lei infiammarsi ad una tale velocità.
< Non lo vedo dai tempi della scuola, che ti credi? Sempre lì a pensare male! Comunque, ha fondato una specie di band, si chiama The Illegitimate Sons of Merlin, o una roba del genere... > specificò lei, trucidando George con quanta più energia riuscisse ad immettere in quello sguardo. Fred annuì per qualche istante, convinto.
< Perfetto, ti ringrazio. Per quanto riguarda la casa, invece, i lavori sono terminati, mentre dovremmo iniziare a pensare a come disporre l’arredame-... > iniziò, ma si bloccò nell’istante in cui vide che Margaret era appoggiata, immobile e con espressione vuota, allo stipite della porta.
< Amore, che c’è? > le domandò, allora, mentre anche George ed Abigail spostavano la loro attenzione su di lei, che non riuscì a rispondere. La cugina piegò la testa di lato ed aggrottò le sopracciglia.
< Maggie... Stai bene? >
< Mi si sono rotte le acque > comunicò Meg in un sussurro, incapace di muoversi a causa della paura di ciò che stava per accadere.


Angolo dell'autrice

Ma quanto sono cattiva? Mwuhauahuh. Vi lascio sulle spine fino a sabato prossimo. :D
Onestamente, non ho molto da aggiungere, probabilmente anche a causa della depressione post-concerto in cui mi trovo immersa dalla punta dei piedi a quella dei capelli e dalla quale probabilmente mi riprenderò solo quando potrò vederli di nuovo *si rotola per terra disperata* (i Muse nocciono gravemente alla mia salute psichica).
Lascio a voi i commenti su George e Abigail (sempre se sarete così buoni da lasciarmene).
Il titolo è di Marina Cvetaeva, mentre la canzone è Oh ! Darling, dei Beatles.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate. In fondo trovate il disegno dell’abito fatto da JeckyCobain (che ringrazio <3).
Un abbraccio,
Jules in crisi depressiva


Dal prossimo capitolo:

< Non ce la faccio! >
< Meg, non manca molto, dai! > ci provò Fred, attirando su di sé le occhiatacce della componente femminile della sala parto.
< TU STA’ ZITTO, MERLINO MALEDETTO! > urlò Meg ancora più forte, riservandogli occhiate di fuoco e stritolando più insistentemente la sua mano. Il ragazzo, spiazzato, decise che avrebbe fatto decisamente meglio a chiudere definitivamente il becco, scelta super appoggiata da Abigail, che gli fece cenno con il dito di non fiatare e di limitarsi a fungere da sostegno morale.


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Capitolo 13
*** Un bambino rende completamente idioti dei bravi genitori che forse senza di lui sarebbero stati dei semplici imbecilli – Parte 1 ***


Un bambino rende completamente idioti dei bravi genitori che forse senza di lui sarebbero stati dei semplici imbecilli – Parte 1

 

No I won't be afraid, no I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me
So darling, darling, stand by me,
Oh, stand by me
Oh, stand, stand by me, stand by me



< Maggie... Sai bene? >
< Mi si sono rotte le acque > comunicò Meg in un sussurro, incapace di muoversi a causa della paura di ciò che stava per accadere. Fred, in un primo istante, parve rifletterci su, poi scosse la testa, ma al contempo il respiro sembrava gli si fosse bloccato.
< No. Insomma, no. Non... Non è possibile, no? È solo un falso allarme, no? N-No? >
< No! > urlarono insieme George ed Abigail, facendo risvegliare Fred dallo stato di negazionismo in cui si trovava. Questi, infatti, dapprima strabuzzò gli occhi, poi si passò una mano sulla fronte e fece per alzarsi dalla sedia, nonostante le gambe molli sembravano impedirglielo.
< Non... Non mi sento tanto bene... > disse lui, prima di cadere rovinosamente a terra. Margaret diede in un verso terrorizzato, poi guardò, sconvolta, il suo fidanzato, svenuto, mentre le prime doglie facevano sentire il loro arrivo.
< E’ un... un deficiente! > urlò la ragazza, aggrappata ancora allo stipite della porta, come se avesse avuto paura di cadere in un fosso. George si precipitò immediatamente in direzione di suo fratello per fargli riprendere conoscenza, mentre Abigail raggiunse la cugina e le prese il volto tra le mani.
< Maggie, ascoltami! Andrà tutto bene! > cercò di convincerla lei, ma ciò non sembrò persuaderla.
< No, non ce la posso fare > fece Meg, quindi, che dovette mordersi il labbro a causa del dolore provocato da nuove contrazioni.
< Margaret, devi darmi retta, dannazione! Non devi aver paura. Poco... anzi, pochissimo tempo e finirà tutto, sarai sgonfia e finalmente avrai tuo figlio tra le braccia! Ti resteremo vicini, non sarai sola! Fidati di me, avanti! > continuò ad incoraggiarla la cugina, ma la ragazza era paralizzata.
Temeva di non essere abbastanza forte, di non poter affrontare il parto, che qualcosa andasse storto.
Tutti quei pensieri iniziarono ad affluire nella sua mente probabilmente per la prima volta in quei nove mesi. Era sempre stata sicura che, non appena fosse arrivato il momento, avrebbe saputo come comportarsi, che il suo carattere e la sua determinazione non l’avrebbero mai abbandonata, neanche in quell’occasione. Ma adesso ogni certezza sembrava sgretolarsi tra le sue mani, crollare come un muro che fino a quell’istante era parso di cemento.
Fred, rinvenuto, la raggiunse, e le sollevò il mento con il pollice in modo tale da far incontrare i loro occhi, quelli di lui ora divenuti sicuri e fiduciosi, quelli di lei in cerca di rassicurazioni.
Posò le labbra sulle sue in un bacio che voleva trasmetterle quella forza che in quel momento le mancava, poi le carezzò la guancia ed appoggiò la fronte contro la sua.
< “Non avrò paura fino a quando saprò che ci sei tu al mio fianco”. Ehi, bellezza, hai forse cambiato idea? > le domandò, retorico, tenendo lo sguardo fisso in quello di lei.
< E... E se qualcosa dovesse andare storto?! E se... se non dovessi farcela? Se... > iniziò Meg, ma Fred le posò l’indice sulle labbra. Non voleva sentirle dire una cosa del genere, perché sapeva perfettamente che non avrebbe retto al pensiero di non poter più rivedere lei, i suoi occhi, il suo sorriso. Doveva dimostrarsi forte, perché questo era l’unico modo affinché fosse forte anche lei.
< Non lo dire mai più, intesi? Andrà tutto per il meglio, e non l’affronterai da sola, te lo prometto. E poi, perdonami: ti vanti tanto di essere forte, coraggiosa, e tutte queste robe qui, e alla fine te la fai sotto? Avanti, devi far capire a quel piccoletto che quella che comanda sei tu, o no? > fece lui, quindi, aspettando una sua risposta e sorridendo.
Lei respirò a fondo, un po’ confortata, poi annuì lentamente, cercando di farsi forza. Comprese che le parole che le venivano dette in quegli istanti non potevano essere più vere, che tutto dipendeva da lei e da quanto coraggio sarebbe riuscita a raccogliere.
Annuì in modo deciso, cercando di resistere alle successive doglie e a quell’insopportabile dolore.
Fred, dapprima, chiese a George, che si avviò all’istante, di avvertire i loro genitori, poi corse a prendere il borsone in camera da letto e, dopo aver sorretto Meg con l’aiuto di Abigail, si Smaterializzò insieme alle due ragazze.

I tre riapparvero di fronte l’ingresso della Clinica e si avviarono rapidamente in direzione dell’Accettazione, dove un giovane mago stava discutendo in modo concitato con una strega dai capelli rossi, sulla quarantina. Quando quest’ultima intravide Margaret, sfoggiò un’enorme sorriso, che si tramutò in un’espressione preoccupata non appena iniziò ad intuire ciò che stava accadendo.
< Maggie, tesoro caro, che succede? > chiese Annabel Stevens in Russel alla nipote non appena questa le fu abbastanza vicina. La ragazza respirò a fondo, cercando anche stavolta di resistere al dolore sempre più frequente, prima di rispondere alla zia.
< Sto... Sto per partorire! > rispose, quindi, al che la donna chiamò subito dei Medimaghi e li invitò ad accompagnare la ragazza da suo marito, Landon, sotto gli sguardi terrorizzati del fidanzato e della cugina, che furono invitati a prendere posto pochi metri più in là. Dopo una quindicina di minuti, vennero raggiunti da Annabel, sommersa dal lavoro come non mai.
< Anne, sicuramente ti sembrerà una domanda idiota, ma... che dobbiamo fare? > domandò subito Fred, abbastanza perplesso, ricevendo un caldo e dolce sorriso dalla zia di Meg.
< Non preoccuparti, intesi? Landon le starà facendo un’ultima ecografia per accertarsi dello stato di salute del bambino, e subito dopo la ricovereremo in attesa che la dilatazione sia completa >.
< E quanto ci vorrà, all’incirca? > chiese Abigail, riuscendo a celare il nervosismo e l’ansia in maniera quasi impeccabile.
< Questo non lo so. Potrebbe volerci mezz’ora, così come potremmo dover anche aspettare altre dodici ore. Oh, eccoli di ritorno! > esclamò la strega, riferendosi ai due ragazzi che precedentemente avevano portato via Margaret. < Gaylord, Maximilian, dovreste condurre questo giovane alla stanza della signorina Stevens, per piacere! Abigail, tu vai pure? >
< Be’, io... forse è il caso che aspetti George e gli altri, no? Insomma, arriveranno confusi e preoccupati, no? > constatò Abigail, torcendosi le dita delle mani. Lanciò uno sguardo carico di tensione a Fred, che annuì silenziosamente e si allontanò con i due Medimaghi, pensando a tutto e a niente.
Non sapeva a cosa andavano incontro, a ciò che sarebbe successo, a come avrebbero reagito a tutto questo, e non si riferiva solo al parto in sé, ma soprattutto al dopo, ai primi giorni da genitori, alle responsabilità che avrebbero dovuto prendersi.
Aveva sempre sentito gli altri dire che l’arrivo di un figlio stravolge la vita, la cambia totalmente, e non ci aveva mai creduto. O, almeno, ciò non era successo fino a qualche mese prima, quando aveva sperimentato sulla sua stessa pelle cosa significasse essere in procinto di diventare genitore, e, inevitabilmente, anche lui si trovava cambiato, in un certo qual modo, non sapeva se positivamente o meno. Era più attento, più riflessivo di un tempo, perché aveva iniziato a capire che non poteva più pensare solo alle sue esigenze, ma anche a quelle di altre due persone.
Continuava a camminare, ma aveva l’impressione che le sue gambe si muovessero da sole, che fossero pilotate da qualcosa di esterno. Sentiva il cuore battergli furiosamente contro il petto e salirgli su fino alla gola, creando quella spiacevole sensazione d’ansia che aveva provato davvero pochissime volte nel corso di tutta la sua breve esistenza.
Giunse al terzo piano dell’edificio ed iniziò a percorrere il lungo e deserto corridoio, sperando di vedere presto quella porta.
Desiderava anche vedere la cara nonna Julia, così comprensiva e gentile. Lei sì che riusciva a trovare le parole adatte per ogni momento. Sarebbe stata capace di tranquillizzarlo, di infondergli sicurezza, di sollevare quell’enorme peso che aleggiava sul suo stomaco. Peccato che quello fosse proprio il suo giorno libero, e dunque l’avrebbe vista solamente insieme a tutti gli altri, ed allora, pensò, non sarebbe stato proprio il caso di dar mostra di queste più che naturali debolezze.
< Eccoci qui, siamo arrivati! Se le serve qualcosa, siamo nella stanza di fronte > lo informò uno dei due ragazzi, lasciandolo solo di fronte l’ingresso della stanza numero 119.

In quel momento, Fred prese un lungo respiro, tentando in ogni modo di recuperare il suo buonumore e la sua capacità di alleggerire le situazioni in qualsiasi occasione.
Bussò due volte, poi abbassò la maniglia della porta ed entrò nella stanza, trovandovi la sua ragazza distesa a letto ad aspettarlo con un leggero sorriso ad incresparle le labbra. Le si avvicinò e si sedette sul bordo del materasso, prendendole la mano e posandole un bacio sulla fronte.
< Come stai? > le chiese, scostandole i capelli dal viso. Lei fece una smorfia e scrollò le spalle, rassegnata.
< Sono stata decisamente meglio, in passato, sì, però non fa niente. Le contrazioni sono molto più frequenti, ogni tre o cinque minuti, ed anche più intense e dolorose... mio zio mi ha detto che non ci vorrà molto, al massimo poche orette. Merlino, questa camicia da notte mi fa sembrare enorme! > disse Meg, stringendo la mano di Fred a causa dell’arrivo di una nuova contrazione. Lui restò in silenzio per una trentina di secondi, fino a quando non fu passata, poi posò una mano sul pancione per accarezzarlo. Lei, dopo un po’, sospirò e gli rivolse un sorriso.
< Penso che... che tutto questo un po’ mi mancherà... > ammise, quindi, al che lui la fissò con tanto d’occhi, sorpreso, ed accennò una risata.
< Cambi idea velocemente, eh? Non preoccuparti, Stevens: possiamo sempre farne qualche altro, per me è tutt’altro che un problema! > scherzò, allora, ricevendo un’occhiataccia da parte della fidanzata.
< Ah-ah, davvero spiritoso. Sul serio, credo che, almeno all’inizio, proverò una sorta di... nostalgia, non so se mi spiego. È che l’ho tenuto con me per così tanto tempo che mi dispiace separarmene così. Sì, adesso potrò stringerlo, guardarlo, coccolarlo, ma... sarà tutto così diverso. Oh, accidenti! > spiegò lei, interrompendosi a causa di un’altra doglia, poco più intensa di quella precedente.
< Su, respira... > fece Fred, impallidito di colpo, stringendole anche stavolta la mano. Quando anche questa fu passata, Meg poggiò nuovamente la testa sul cuscino e scosse la testa, un briciolo divertita a causa della reazione del suo ragazzo. Questi mise il broncio, un po’ contrariato.
< Ti sembra il momento di sghignazzare? > domandò, risentito. Lei gli rivolse uno sguardo comprensivo e gli accarezzò il viso, tirandogli poi una guancia.
< Fred, avanti: sto per partorire, ti sembra il caso di sentirti male? Avanti, ai corsi pre-parto sei stato così bra-... be’, in effetti neanche lì te la sei cavata tanto bene... > constatò Meg, che ricordava perfettamente l’imbranataggine della quale il suo fidanzato aveva dato mostra durante tutta la durata di quelli che lui amava definire “corsi schifosamente infernali”.
Fred sbuffò: si era ripromesso di eliminare dalla sua mente il ricordo di quei disastrosi pomeriggi passati a ridicolizzarsi miseramente, ma ciò era diventata un’impresa impossibile, dato che la sua adorabile quasi consorte non faceva altro che indirizzargli battutine fastidiose dalla mattina alla sera. Solitamente, rispondeva in maniera ancor più provocatoria, ed ecco che si avviavano battibecchi senza fine, alimentati da quel filo di ironia pungente di cui entrambi erano fin troppo ben provvisti.
Stavolta, però, sarà stato il recuperato buon senso, sarà stata la preoccupazione sempre crescente, sta di fatto che Fred lasciò correre, limitandosi a sorridere in maniera convinta, più a sé stesso che alla compagna.
< Stavolta sarò perfetto > disse, sicuro delle sue parole, e subito dopo sentì le dita di Margaret intrecciarsi con decisione alle sue, come se avessero desiderato non lasciarle mai più.
< Lo sei sempre stato > sussurrò lei, guardandolo con le lacrime agli occhi e donandogli un sorriso carico di dolcezza e amore. In quel momento, entrambi compresero che quello sarebbe stato il giorno più bello di tutta la loro vita.



* * *


< George, va’ ad avvertire... tutti! > gli aveva detto il fratello, cercando di rimanere calmo, così George si era precipitato il più velocemente possibile oltre la porta di ingresso e si era diretto al Paiolo Magico per tornare nella Londra Babbana.
< Ehi, Weasley! Come mai così di fretta? Non prendi niente? > gli chiese Tom, il barista, incuriosito dal suo comportamento. Il ragazzo si fermò di colpo e si guardò attorno, cercando di riordinare le idee.
< No, io... mia cognata sta partorendo! > comunicò, e subito dopo si accorse di non sapere per quale motivo lo fece. Tom lo fissò con tanto d’occhi e batté con forza un boccale di Burrobirra sul bancone.
< Accidenti, felicitazioni! > esclamò, ma non ebbe il tempo di terminare la frase che già George era fuori dal locale, pronto a Smaterializzarsi.
Riapparve nei pressi del villaggio di Ottery St. Catchpole, a pochi metri dalla Tana e da Casa Stevens. Percorse a passo svelto la distanza che lo separava dalle due abitazioni, e fortuna volle che Desmond e Gloria fossero già in giardino, intenti a discutere di alcune questioni riguardanti l’Ordine e a versarsi dell’Acquaviola. Quando la donna intravide George, gli rivolse un gran sorriso e lo salutò vivacemente con la mano.
< Ciao, caro! Stai bene? > gli chiese, ma la sua allegria venne smorzata dall’espressione stravolta del ragazzo, ancor più confuso di prima.
< George, c’è qualche problema? > domandò allora Desmond, preoccupato, avvicinandosi al cancello di ingresso.
< Margaret! Le si sono rotte le acque! > quasi urlò il giovane, lasciando spiazzati i genitori della cognata. Gloria iniziò a strillare e si portò entrambe le mani alla bocca, mentre Desmond corse immediatamente in casa, dove i suoi genitori e quelli della moglie stavano prendendo un tè.
Dall’interno dell’abitazione iniziarono ad echeggiare affermazioni come “per gli slip più luridi di Salazar”, “Morgana vendicatrice e maledetta”, “santissimo Merlino”, e chi più ne ha più ne metta, mentre la porta di ingresso della Tana si apriva e lasciava passare una Molly Weasley più agitata che mai.
< Santo cielo, Gloria, cos’è succe-... George, tesoro! State tutti bene?! >
< Mamma, Maggie sta per partorire! > comunicò il ragazzo alla madre, che impallidì all’istante.
< Ma co-... Arthur! ARTHUR! > fece Molly, precipitandosi immediatamente dentro per dare la notizia al marito; subito dopo si sentì il rumore di alcuni piatti infrangersi sul pavimento.
< Wow... > commentò George tra sé, trovando tutta quella situazione a tratti persino comica.
< Svelti, su, andiamo, veloci! > disse Vittoria, seguita dal marito e dai consuoceri, esortando tutti quanti a Smaterializzarsi il più velocemente possibile.
Quella flotta di gente si ritrovò in un batter d’occhio di fronte la Clinica e vi entrò immediatamente dopo, guidata da George. Non appena questi intravide Abigail, in lontananza, non poté che sentirsi notevolmente rilassato. Le fece cenno con la mano in modo tale da farsi notare e, quando ciò avvenne, la ragazza tirò un sospiro di sollievo e lo raggiunse rapidamente, più tranquilla.
< Finalmente ce l’avete fatta! Ciao zia, zio, e... insomma, tutti quanti. Siamo arrivati circa mezz’ora fa. Meg adesso è in sala travaglio, Fred le sta facendo compagnia in stanza, io sono rimasta qui ad aspettarvi. Potrebbe partorire a momenti, sarà meglio affrettarci se volete vederla... >
< Perfetto! Cos’aspettiamo, allora? > fece George, euforizzato dalla presenza della cugina della cognata. Questa stava per condurli al terzo piano, quando Annabel, di ritorno, li fermò all’istante, impedendo loro di proseguire. Desmond guardò la sorella in modo abbastanza contrariato.
< Mi dispiace, ma non posso lasciarvi passare tutti quanti >.
< Annie, stiamo parlando di mia figlia! >
< Lo so, Des, ma non posso: ho queste disposizioni. Posso lasciar passare solo due persone, quindi mettetevi d’accordo. Gli altri possono restare qui, vi faremo spostare al terzo piano non appena Meg sarà entrata in sala parto > comunicò la donna con tono deciso, lasciando l’ansioso gruppetto a quella ardua decisione. George guardò Abigail fisso negli occhi, comprendendo che c’era una sola cosa da fare.
< Una di queste due persone deve sicuramente essere Abbie > affermò, dunque, convinto di ciò che stava facendo. La ragazza spalancò la bocca, esterrefatta.
< Prego?! Cosa?! >
< Meg vuole che tu e Fred assistiate al parto, quindi ne hai il diritto > spiegò, allora, con estrema semplicità. Lei scosse la testa, affatto convinta.
< No, non se ne parla. Spetta ai suoi genitori, io non c’entro niente... >
< Sì che c’entri, Gail! Andrete tu e Gloria, noi aspetteremo. Veloci, su! > si intromise Desmond, rivolgendo uno sguardo complice alla moglie, che non ce la faceva più a restare ancora ferma lì: voleva vedere sua figlia, abbracciarla, rassicurarla, dirle che sarebbe andato tutto per il meglio e che non doveva aver paura, che doveva continuare ad essere forte, come sempre.
Aveva vissuto quella gravidanza quasi come se fosse stata la sua, con trasporto e sentimento, e non poteva non stare al suo fianco proprio in quegli ultimi istanti così importanti.

Lei e la nipote si avviarono molto velocemente e con il cuore in gola in direzione del terzo piano e, una volta che l’ebbero raggiunto, si guardarono intorno in cerca della stanza. Nel momento in cui ebbe intravisto in lontananza il numero 119, strattonò la manica di Abigail, ed entrambe vi si diressero.
Bussarono alla porta, e prima che qualcuno potesse rispondere, erano già entrate e sfoggiavano espressioni emozionate e tese allo stesso tempo.
Fred sentì un improvviso senso di sollievo: finalmente non era più solo. Non aveva idea di come comportarsi, ed il fatto che adesso ci fosse anche Gloria era, per lui, quasi un motivo di gioia. Avrebbe potuto aiutarlo e consigliarlo, e già questo gli bastava.
Margaret, lottando ancora contro le sempre più ravvicinate contrazioni, rivolse loro un enorme sorriso, mentre Landon, suo zio, monitorava le condizioni del bambino.
< Oh, tesoro mio! > esclamò Gloria sull’orlo delle lacrime, avvicinandosi alla figlia ed abbracciandola, per quanto ciò fosse possibile. Si sedette sulla sedia vicina, mentre Abigail rimase in piedi di fronte la porta e continuò a fissare la cugina con gli occhi lucidi.
< Come stai? > le chiese, dandosi immediatamente della stupida: con le contrazioni ogni due minuti, era già tanto che non maledicesse chiunque le fosse vicino in quel momento. Meg scrollò le spalle, stringendo a più non posso la mano ormai distrutta di Fred, il quale, chissà per quale grande miracolo divino, era ancora perfettamente saldo sulle sue gambe. Le tre donne si chiesero quanto tempo avrebbero dovuto aspettare prima di vederlo perdere i sensi miseramente.
< Non vedo l’ora che finisca... > ammise la ragazza, ed anche quelle parole le costarono un enorme sforzo. La madre le passò una mano tra i capelli, comprensiva, e cercò di rassicurarla.
< Ormai non manca molto, vedrai. Devi resistere solo un altro po’, e poi... finalmente potrai stringere il tuo piccolino tra le braccia! >
< Lo so, ed è... proprio... per questo... > fece Meg, cercando di resistere al dolore, invano. Rimasero tutti in silenzio durante tutta la durata di quella nuova doglia, fino a quando la ragazza non prese un lungo respiro e si poggiò contro lo schienale del letto.
< Come... Come ti sei sentita, quando hai partorito? Com’è stato? > domandò, allora, a Gloria, rendendosi conto solo in quell’istante di non averlo mai fatto nel corso di quei lunghi nove mesi. La donna sorrise, un po’ spiazzata, tentando di trovare le parole giuste per parlare di quell’esperienza.
< Oh, be’... è stato tremendo, devo ammetterlo, ma... nell’istante in cui ti ho vista, devi credermi: per me non è esistito più nulla. Ricordo tutto distintamente, come se fosse accaduto ieri. Ho ancora impressa nella mente l’immagine del tuo visino buffo, di quelle ciocche di capelli castano rame, e di quegli enormi occhioni verdi che mi fissavano quasi con interesse e curiosità. Quel momento è stato così intenso e pieno di felicità da cancellare tutto il dolore e la stanchezza... > raccontò, infine, accarezzando il volto della giovane figlia. Questa le rivolse un sorriso, smorzato dall’arrivo di una contrazione ancora più forte delle precedenti.
< Non... Non ce la faccio... > riuscì a dire con grande fatica, stringendo i denti. Landon, rimasto in disparte fino ad allora per effettuare i controlli di routine, si avviò verso la porta e la aprì, dirigendosi fuori.
< Gaylord, va’ a chiamare Annabel, Suzanne e Mirabelle! Maximilian, tu porta la signorina in sala parto > disse, rivolto ai due ragazzi che precedentemente avevano condotto Fred lì. Subito dopo, il dottore si rivolse alla nipote, terrorizzata e sollevata allo stesso tempo, e le sorrise, incoraggiante.
< Bene, Maggie: ci siamo! Vediamo di farlo nascere, questo bel bambino! Io devo far partorire un’altra ragazza, a te ci pensa la zia. In bocca al lupo, tesoro! > la salutò, dopodiché diede una pacca sulla spalla a Fred, che cercava di non lasciarsi travolgere dal panico, e si allontanò velocemente, lasciando la ragazza ed i suoi visitatori nelle più che ottime mani di Maximilian, che non tardò a fare l’occhiolino ad Abigail.

Fred si sentiva talmente confuso da non riuscire a capire cosa stesse succedendo o dove stessero andando, tanto che parve meravigliato quando si accorse di essere arrivato in sala parto e di indossare un camice ed una cuffia in testa. Cercò con lo sguardo Abigail, decisamente più a suo agio, che gli fece cenno di stare calmo e tranquillo, mentre la sua mano era intrecciata saldamente a quella di Meg, che lo fissava con fare quasi minaccioso.
Il ragazzo cercò di mantenere il controllo facendo dei lunghi respiri, ma proprio nel momento in cui sembrava esserci riuscito, ecco che nella sala entrarono Annabel e le due Medimaghe precedentemente nominate da Landon, seguite dall’onnipresente Gaylord.
< Allora, Meg, ascolta: devi fare dei lunghi respiri, e quando ti sentirai pronta, dovrai iniziare a spingere, okay? > disse Annabel alla nipote con un tono così calmo da lasciare spiazzati Abigail e Fred. Faceva quel lavoro da quasi vent’anni, era più che normale che, per lei, far nascere un bambino fosse una cosa più che abituale.
< Sì... Santo cielo! > esclamò Margaret, che, immediatamente dopo, cacciò un urlo così forte da perforare i timpani. Successivamente, iniziò a spingere, cercando di respirare con regolarità, ma tutta la pratica che aveva fatto in quei mesi parve risultare totalmente inutile. Vedeva tutta quella gente attorno a lei che la incitava, Abigail che le ricordava i metodi di respirazione, Fred che continuava a stringerle la mano e che la incoraggiava, e mai come in quell’istante desiderò di essere completamente sola, assistita solamente da sua zia, l’unica che sapeva realmente cosa stesse facendo. Passarono i minuti, e lei continuò a spingere e ad urlare dal dolore, ma Alexander sembrava non avesse alcuna intenzione di uscire.
< Basta! Non posso! > strillò, disperata, mentre le forze continuavano ad abbandonarla sempre più velocemente. Mirabelle, una delle assistenti di Annabel, andava avanti spronandola più animatamente degli altri.
< Sì che puoi, avanti! Finora sei stata bravissima, adesso continua a spingere e a respirare! >
< Non ce la faccio! >
< Meg, non manca molto, dai! > ci provò Fred, attirando su di sé le occhiatacce della componente femminile della sala parto.
< TU STA’ ZITTO, MERLINO MALEDETTO! > urlò Meg ancora più forte, riservandogli occhiate di fuoco e stritolando più insistentemente la sua mano.
Il ragazzo, spiazzato, decise che avrebbe fatto decisamente meglio a chiudere definitivamente il becco, scelta super appoggiata da Abigail, che gli fece cenno con il dito di non fiatare e di limitarsi a fungere da sostegno morale. O, almeno, è quello che avrebbe dovuto fare.
Infatti, qualche istante dopo, Margaret percepì la stretta del suo fidanzato allentarsi sempre di più, fino a quando il rumore di un pesante tonfo non fece comprendere a tutti i presenti che il ragazzo doveva essere appena svenuto.
< No! Non di nuovo! > si lamentò Meg, sentendosi però profondamente in colpa per il tono che aveva utilizzato precedentemente, continuando poi ad urlare e spingere con ancora più energia.
< Gaylord, Maximilian, portatelo fuori! Abigail, va’ a dire a Gloria di cambiarsi e sostituirlo! > ordinò Annabel, che ormai aveva perso il conto di tutte quelle volte in cui un futuro papà era svenuto nel bel mezzo di un parto, arrivando alla scontata conclusione che gli uomini, certe cose, non possono proprio reggerle. Era per questo che sosteneva costantemente che suo marito, in una vita precedente, doveva necessariamente essere stato una donna: non poteva esserci altra spiegazione.
I due ragazzi presero immediatamente di peso Fred e lo portarono nella sala d’attesa, dove l’ansioso gruppetto di parenti aspettava di avere qualche notizia. Inutile dire che George, nel momento in cui si accorse che il fratello era privo di conoscenza, si allontanò all’istante per poter dare liberamente sfogo ad una fragorosissima risata.
< Be’... è l’emozione! > spiegò Maximilian, che si era ritrovato di fronte le espressioni sconvolte di tutta quella gente.
< Lui non è il primo: ci capita quasi ogni giorno! > li confortò Gaylord, adagiando il ragazzo su una fila di sedie.
< Come procede?! > chiesero all’unisono, preoccupati, Desmond e Gloria non appena videro arrivare anche Abigail. Questa scrollò le spalle e sospirò, rassegnata.
< Se la sta cavando bene, ma ancora della testa del bambino neanche l’ombra! Ci vorrà ancora un po’. Zia, cambiati: entri tu al posto di Fred > comunicò la ragazza, al che Gloria saltò in piedi e corse a chiedere un camice.

Nel frattempo, Meg continuava a seguire le indicazioni della zia, che la esortava a respirare ancora più a fondo e a spingere più piano in modo tale da recuperare un po’ di energia per gli sforzi finali.
Il fatto che non ci fosse più Fred accanto a lei l’aveva sconfortata e fatta sentire incredibilmente sola, sensazione che svanì improvvisamente nell’istante in cui vide ritornare sua cugina in compagnia di sua madre, che aveva desiderato sin dall’inizio di starle accanto in un momento tanto delicato. Le si avvicinò e le prese la mano, poi si guardarono fisse negli occhi per dei secondi che parvero decenni. Meg tornò a rivolgere la sua attenzione alla zia, segretamente confortata anche lei dalla presenza della cognata.
La ragazza riprese a spingere e respirare con maggiore regolarità, continuando così per un’altra decina di minuti, fino a quando, finalmente, non sentì Suzanne pronunciare la tanto agognata frase.
< Vedo la testa! Ci siamo! > comunicò, ed Annabel per poco non si lasciò scappare un “finalmente!”.
< Perfetto! Meg, so che sei stanca, ma ti chiedo solo un ultimissimo sforzo! >
< Ce la posso fare! > esclamò la ragazza, consapevole che quelli erano davvero gli ultimi faticosi momenti che precedevano una felicità immensa. Continuò a spingere utilizzando le energie che le restavano, urlando e lasciandosi guidare dalle voci delle persone attorno a lei, fino a quando un meraviglioso pianto non surclassò ogni altro rumore, diventando l’unica cosa di reale valore.
Margaret si lasciò andare contro il cuscino ed iniziò a ridere, gioiosa, tra le infinite lacrime che sgorgavano sul suo viso.
Suo figlio, il suo piccolo e splendido bambino era appena nato, e nulla avrebbe potuto rovinare quell’istante. Si era fatto aspettare, ma alla fine eccolo lì, vita allo stato puro, frutto di un amore intenso e profondo, di quello stesso amore che aveva dato la forza ad una giovane strega appena diciannovenne di affrontare un evento come quello.
Si sentì vuota e riempita allo stesso tempo, e credette che non fosse possibile provare un’emozione più bella di quella. Tutto era sparito: il dolore, la stanchezza, il mondo attorno a lei. C’erano solo lei e suo figlio, e questo le bastava per farle comprendere che nulla al mondo poteva suonare in modo più dolce della parola mamma.
Solo un po’ di tempo dopo si rese conto che, accanto a lei, anche sua madre ed Abigail stavano piangendo, condividendo e partecipando alla sua felicità, e ciò poté solo contribuire a riempire il suo cuore di gioia.
< Chi vuole tagliare il cordone?! > domandò Annabel, molto più rilassata e tranquilla. La neo-mamma sorrise dolcemente alle due donne che le avevano fatto compagnia durante quel viaggio finale, ma capì che la cosa giusta da fare era soltanto una.
< Chiamate Fred > disse con un filo di voce e con gli occhi ancora lucidi. Non le importava se fosse svenuto, se fosse stato un completo imbranato, se non avesse trovato le parole giuste al momento giusto: era l’uomo della sua vita, e voleva renderlo partecipe di quella gioia infinita.


Angolo dell’autrice

Sono in ritardo di una settimana, e chiedo perdono, ma l’estate è l’estate e le vacanze sono vacanze, mettiamoci in mezzo pure il viaggio a Valencia e siamo al completo.
Comunque, come avrete intuito, il capitolo, che è stato un vero e proprio parto, è stato diviso in due: era troppo, troppo lungo e pesante da leggere tutto insieme.
Finalmente abbiamo visto una Margaret meno decisa e alla ricerca di rassicurazioni, cosa accaduta, se non sbaglio, solo un’unica altra volta. Insomma, è un essere umano, e come tale ha, a parte i mille difetti, anche le sue debolezze.
Fred, be’... non ho resistito, la scena del suo svenimento in sala parto mi ha tormentata fino a quando non ho deciso di inserirla nel capitolo. Spero mi perdonerai, Freddie.
-No.
Perfetto. La parte finale mi soddisfa particolarmente, perché... non lo so, però mi intenerisce tanto.
Aggiornerò sabato prossimo... credo (e spero).
Il titolo (modificato/accorciato/eccetera) è di Georges Courteline, mentre la canzone è Stand By Me, di Ben E. King.
Per i sostenitori della “Georbie”, nel prossimo capitolo ci saranno dei momenti molto George/Abigail. Non dico nient’altro.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate. Come sempre, spero (invano, a quanto pare) in qualche recensione *occhi da cane bastonato e labbro tremulo*.
Un abbraccio,

Jules


Dal prossimo capitolo:

Sentì le guance e le orecchie infiammarsi, ma i suoi occhi continuavano ad allargarsi sempre di più di fronte al sorrisetto compiaciuto di George.
< Perché hai smesso? > chiese semplicemente lui, avvicinandosi e sfoggiando uno sguardo incuriosito.
< Perché... be’, mi vergogno > confessò lei, abbassando gradualmente il tono di voce. George sorrise ancor di più e piegò il capo in modo tale da osservarla da un’angolazione differente.

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Capitolo 14
*** Un bambino rende completamente idioti dei bravi genitori che forse senza di lui sarebbero stati dei semplici imbecilli – Parte 2 ***


Un bambino rende completamente idioti dei bravi genitori che forse senza di lui sarebbero stati dei semplici imbecilli – Parte 2


I could spend my life in this sweet surrender
And just stay here lost in this moment forever
Well, every moment spent with you is a moment I treasure
I don't wanna close my eyes, I don't wanna fall asleep
'Cause I'd miss you, babe, and I don't wanna miss a thing



Quando Fred iniziò a riprendere i sensi, si ritrovò in sala d’attesa, disteso su una fila di sedie e con la testa, dolorante, poggiata sulle gambe di sua madre, che gli accarezzava i capelli.
Ricordò solo di aver iniziato a percepire un ronzio indistinto, dove le urla della sua fidanzata e degli altri presenti si erano mischiate in maniera confusa, mentre la vista aveva cominciato a divenire meno chiara, fino a quando, pochi secondi dopo, tutto era divenuto nero e silenzioso.
Tenne gli occhi chiusi per un po’, deciso ad origliare la conversazione e capire cosa fosse accaduto.
< Povero il mio bambino! > commentò Molly, che lanciò immediatamente un’occhiata truce a George, che non riusciva a smettere di sghignazzare. Era sicuro sin dall’inizio del fatto che suo fratello non avrebbe retto l’emozione, e ovviamente aveva avuto ragione.
< Svenuto, gente! Per la seconda volta in un giorno! Mi dispiace di essermela persa, quella scena: me la farò raccontare da Abbie per filo e per segno, prima o poi! > commentò, sognante, imitando comicamente il modo in cui il gemello aveva perso i sensi quello stesso pomeriggio, a casa, facendo inevitabilmente sorridere i presenti nonostante quel nervosismo che aleggiava nell’aria.
“Georgie, ho la vaga impressione che, alla prossima riunione di famiglia, qualcuno, accidentalmente, potrebbe raccontare di come, quella volta, sei rimasto in mutande fuori dal negozio. In pieno giorno. Nel bel mezzo degli acquisti natalizi del mondo magico” pensò Fred, pregustando fin da subito il dolce sapore della vendetta. Desmond scosse il capo, memore dei piccoli incidenti che interessarono anche lui il giorno della nascita di sua figlia.  
< Il povero Fred non è né il primo, né l’ultimo: io svenni per ben tre volte, tutte quante in sala parto. Gloria non me l’ha mai perdonato! > confessò, gli occhi fissi sul pavimento per l’imbarazzo.
“Ah-Ah, Des: sei stato smascherato! Se ce ne sarà ragione, saprò come ricattarti, vecchio mio!”
< Quando è nato mio figlio Nicholas, invece, Paul ha... vomitato fuori dalla finestra. Ed io che pensavo si fosse abituato, soprattutto dopo che ha visto nascere Regina e Gloria! > raccontò Vittoria, un po’ schifata nel ricordare quell’episodio. Il marito spalancò occhi e bocca.
< Ma tesoro! Ti sembra il caso?! >
< E allora?! Che c’è di male? Tutti solitamente svengono, almeno tu sei stato innovativo! > commentò la donna, notevolmente ironica.
“Sto per sentirmi male...”
< Eh no, Vittoria cara! Anche Dawson è stato abbastanza originale, quando è nato Desmond! Pensa che ha frignato per tutta la durata del parto, commentando ogni tanto con frasi come: “Merlino, che dolore! Aiuto, che sofferenza atroce!”. Ah, tu senti il dolore?! Tu?! Ma ti faccio piangere io, adesso! > fece Julia, al che il marito ebbe la stessa identica reazione del consuocero, solo un po’ più accentuata a causa delle frasi finali aggiunte dalla tenera e dolce consorte.
< Be’, se è per questo, avreste dovuto vedere cos’è successo quando io e Arthur abbiamo scoperto che aspettavamo due gemelli! > disse Molly, allora, facendo impallidire il marito.
< Cara, ti prego... >
“Papà, non mi dirai che anche tu...”
< E’ svenuto addosso al dottore, e ci sono volute due ore e mezza per fargli riprendere conoscenza! > disse una voce fastidiosa e pungente come poche.
“Cosa?! Allora non sono io quello ridicolo! Aspetta, ma quella era la voce di...”
< Muriel, ti ringrazio infinitamente... >
“No! Non è possibile! Non zia Muriel! Non proprio oggi! George, fa’ qualcosa, qualunque cosa! Uccidila, su! Lo progettavamo da tempo, e adesso ne abbiamo pure l’occasione, perché non ne approfitti?! Toglietela di torno!”  

Fred capì che era giunto il momento di riaprire gli occhi e di inserirsi appieno in quella conversazione: se quella vecchia megera avesse detto qualcosa nei riguardi di Margaret, l’avrebbe trasformata in un copriteiera.
Fu in quell’istante che si ricordò di una cosa fondamentale: Meg era ancora in sala parto, e lui era fuori.
Non aveva idea di cosa stesse succedendo, di come se la stesse cavando, di come si sentisse. Voleva correre subito da lei, prenderle di nuovo la mano e stringerla così forte da farle capire che lui era lì per sostenerla, per sorreggerla nel momento in cui avesse detto che non ce l’avrebbe fatta, per ricordarle che non era vero, che era coraggiosa e stracolma di forza di volontà, quella che aveva sempre dimostrato.
Si mise a sedere e scattò in piedi immediatamente, pronto a dirigersi nuovamente in quella sala, ma venne bloccato da Desmond, che aveva capito fin da subito le sue intenzioni.
< Fred, non puoi rientrare: c’è Gloria, adesso > gli disse, risoluto. Fred inarcò il sopracciglio e lo fissò in maniera curiosa.
< Des, stiamo parlando di mia moglie e di mio figlio, non posso restare qui fuori come un idiota > affermò, quindi, con ovvietà, facendo sorridere il futuro suocero, che gli mise una mano sulla spalla e lo fece sedere nuovamente.
< Lo so, ma è toccato a tutti noi, almeno una volta, fare la parte degli imbecilli: oggi è il tuo momento, goditelo! > fece, cercando in un certo qual modo di consolarlo, tentativo riuscito per metà. Il ragazzo si poggiò contro lo schienale e sospirò, evidentemente in ansia. Nonna Julia gli accarezzò i capelli e gli sorrise.
< Suvvia, tesoro, Maggie è in buone mani: mia figlia fa questo lavoro da quasi vent’anni, e le sue assistenti sono estremamente qualificate... ed adorabili, aggiungerei! Andrà tutto per il meglio, vedrai > lo rassicurò lei, ricevendo uno sguardo benevolo in risposta. Stravedeva per quella donna: sapeva sempre trovare le parole giuste nel momento adatto, ed il suo ottimismo, il suo buonumore, la sua dolcezza la rendevano una nonna a dir poco perfetta, e non solo per i suoi nipoti. Non c’era da meravigliarsi che tutti la amassero: era una cosa inevitabile.
Finalmente calò il silenzio per diversi minuti, durante i quali ognuno si perse nei propri pensieri. A distruggere e frantumare quel momento di ritrovato equilibrio ci pensò la cara ed altrettanto amata – sì, come no – zia Muriel, più fuori luogo che mai.
< Quella ragazza non mi piace, non mi piace per niente: ha i capelli troppo lunghi, la vita troppo stretta e le caviglie troppo secche! > commentò, al che Fred alzò gli occhi al cielo – o meglio, al soffitto –, infastidito da quella presenza, mentre George gli si sedette accanto, ghignante.
< Che diavolo ci fai lei qui? E per quale ragione non l’hai ancora eliminata? > chiese il primo al fratello, che lo guardò con la tipica espressione da “e secondo te non ci ho provato?”.
< L’abbiamo incontrata giù, era venuta a fare visita a non so chi, e mamma ha avuto la brillante idea di dirle che Meg stava per partorire! Puoi immaginare i suoi occhietti diabolici in quel momento. Ma tranquillo, Vittoria l’ha quasi affatturata > spiegò il secondo; in effetti, la nonna materna di Margaret sembrava davvero provare una certa ostilità nei confronti di Muriel, o almeno così suggerivano le occhiatacce malevole che costantemente le riservava.
< Vecchi dissapori! > aggiunse Desmond in un sussurro.

Fred rimase in silenzio per un po’, riflettendo, pensando, elaborando nella sua testa ciò che stava accadendo proprio in quegli istanti, non riuscendo tuttavia a produrre un quadro della situazione.
Si alzò, incapace di rimanere fermo, e cominciò a fare avanti e indietro per il corridoio, sperando, in tal modo, di smorzare il nervosismo. Tentativo vano, naturalmente.
Desiderò ardentemente di essere stato un po’ più attento e meno imbranato durante quei corsi del cavolo: almeno avrebbe imparato per davvero quelle maledettissime tecniche di respirazione, e adesso non avrebbe rischiato di andare in ipoventilazione.
Continuò a camminare per un’altra decina di minuti, osservato con attenzione e comprensività dagli altri presenti, più tranquilli ma pur sempre tesi, fino a quando dei passi non attirarono la sua attenzione e quella dei suoi parenti e di quelli della sua fidanzata.
Abigail aveva un sorriso enorme piazzato sul volto e gli occhi lucidi, cosa che fece tirare un sospiro di sollievo ai più, ma non a Fred. Quelle parole voleva sentirle, voleva constatare che fossero vere, e non riusciva a pensare ad altro che a quello.
La ragazza si tolse la cuffia e liberò i capelli, poi si avvicinò al cugino acquisito e gli tirò un pugno sul braccio.
< Ehi, dolcezza: c’è qualcuno che vorrebbe conoscerti > gli sussurrò, dato che, dopo tutti quegli strilli, la sua voce aveva deciso di prendersi una vacanza. Fred fece una leggerissima risata isterica, poi, senza lasciarselo ripetere due volte, si avviò in direzione della sala parto, mentre Abigail si andava a sedere accanto a George, stanca, e poggiava la testa sul suo petto, lasciandosi cingere le spalle.

Nel momento in cui Fred mise piede nella sala, sentì il suo cuore perdere un battito.
C’era Margaret, stremata, che nonostante tutto continuava a piangere di gioia e a sorridere, prima a lui e poi al bambino, che Annabel teneva in braccio in attesa del suo arrivo, mentre Gloria assisteva alla scena, anche lei in lacrime.
Il ragazzo si avvicinò con cautela, quasi come spaventato, ma ogni paura fu svanita nell’istante in cui ebbe tagliato il cordone. Guardò Alexander quasi come rapito, come se non avesse mai visto nulla di più bello al mondo. Annabel lo mise in braccio a Meg, che continuava a versare fiumi di lacrime di felicità, mentre Fred si avvicinava ancora, deciso a non perdersi neanche un attimo di quella meravigliosa magia. Accarezzò i capelli della sua ragazza, spostando continuamente gli occhi dal suo viso a quello del bambino, cercando di ritrovare le parole ormai perdute. Sentiva di voler dire miliardi di cose, ma qualcosa più forte della sua volontà gli impediva di farlo. Ci pensò Meg, per lui.
< Vi amo... > sussurrò, infatti, intrecciando le dita con quelle di lui e contemplando quel piccolo miracolo. Fred si asciugò gli occhi, diventati lucidi, e sfiorò quella piccola manina che non aveva smesso di muoversi ed agitarsi.
< Infinitamente... > concluse lui con la voce rotta dall’emozione. Rimasero così per una manciata di secondi, fino a quando Annabel non riprese il bambino e fece cenno a Fred e a Gloria di uscire.
< Adesso lo laviamo e lo visitiamo, questo bel pulcino! > esclamò, sempre più euforica, rivolgendosi poi al ragazzo. < Avrete tutto il tempo, tra un po’, non preoccuparti > lo rassicurò, dunque, rivolgendogli un sorriso benevolo, che lui ricambiò.
Volse un ultimo sguardo a suo figlio e a Meg, e mai come in quel momento ebbe la sensazione di essere la persona più fortunata dell’Universo.


* * *


Erano passate diverse ore, e la sera aveva fatto il suo arrivo. Fred era tornato a casa a farsi una doccia, poi, sulla via di ritorno per la Clinica, aveva deciso di comprare dei fiori per Margaret.
Studiò le diverse varietà per qualche secondo, poi venne attratto quasi istintivamente dalle orchidee, e comprese sin da subito per quale ragione: erano gli stessi fiori che le aveva regalato il giorno in cui le aveva chiesto di sposarlo, e non potevano che avere un valore speciale ed importante, per lui. Inoltre, non molto tempo prima, entrambi si erano accorti che, nel sentiero che conduceva alla loro futura casa, crescevano delle splendide piante di orchidee, tanto che, di comune accordo, avevano preso la decisione di dare il nome di “Villa Orchidea” a quella splendida dimora che li avrebbe accolti in seguito al matrimonio.
Chiese al fioraio di comporre un mazzo di orchidee bianche e ortensie azzurre, e una volta che l’ebbe acquistato continuò dritto per la sua strada, mentre nella sua testa sentiva rimbombare il meraviglioso suono del pianto di suo figlio e della risata cristallina della sua fidanzata.
Arrivato in Clinica, salutò calorosamente i vari parenti, tornati anch’essi dopo un veloce salto alle rispettive abitazioni, e chiese ad Annabel se fosse finalmente possibile vedere la neo-mamma ed il nuovo arrivato. Questa lo condusse fino alla stanza dove Margaret era stata ricoverata, promettendogli che non avrebbe fatto entrare nessun altro fino a quando non l’avessero deciso loro.
Fred rimase per qualche secondo in attesa di fronte la porta, così come aveva fatto quella stessa mattina, ma stavolta molto più sollevato.
Entrò, emozionato, e scorse la sua futura moglie distesa sull’unico letto presente in quella stanza, mentre teneva tra le braccia un piccolo fagotto, parlandogli e rivolgendogli degli splendidi sorrisi.
Lei si accorse della sua presenza solo quando sentì i suoi passi farsi più vicini, così alzò lo sguardo, e gli occhi, se possibile, le si illuminarono ancor di più.
< Ehi, amore, guarda chi c’è: è arrivato papà, non sei contento? > disse al bambino, felice. Poi, guardò di nuovo Fred e, soprattutto, le sue gambe molli e tremanti, facendogli cenno di sedersi accanto a lei. Non voleva di certo che svenisse anche in quell’occasione.

Lui fece ciò che gli era stato suggerito, le diede un bacio sulla fronte e si concentrò a contemplare suo figlio, rendendosi conto solo in quell’istante di quanto gli somigliasse.
Aveva un dolce visino tondo, roseo e paffutello, ed indossava una delle adorabili tutine azzurre che Gloria e Desmond avevano comprato pochi giorni prima. I ciuffi di capelli erano rigorosamente di color rosso fuoco, mentre gli occhi erano grandi e azzurri, e scrutavano Fred con interesse.
Aveva aspettato nove lunghi mesi per vederlo, per scoprire la fisionomia del suo volto, e finalmente il grande giorno era arrivato. Si accorse che era proprio come lo aveva immaginato, con quel piccolo nasino all’insù e quelle guanciotte così tenere da volerle divorare di baci.
Voleva prenderlo in braccio, capire cosa si provasse stringendo non un bambino qualsiasi, ma il proprio figlio, ma allo stesso tempo si sentiva terribilmente goffo ed impacciato, ed aveva paura di non sapersela cavare almeno dignitosamente.
Guardava Meg, che sembrava avesse un dono di natura per queste cose: era perfettamente a suo agio, rilassata, senza più alcuna preoccupazione, almeno al momento. Ma, d’altronde, era più che normale. Per lei, il peggio era passato, e adesso era tempo di godersi appieno questi attimi in tutta serenità.
Come sempre, ella parve leggergli nel pensiero, e solo in quell’istante si accorse dei fiori che lui le aveva portato.
< Ma... sono per me? > chiese, commossa, cosa che lo lasciò piacevolmente spiazzato.
< Sì, ma se non li vuoi posso sempre darli a mio fratello, almeno così la smetterà di dirmi che lo trascuro > scherzò lui senza neanche pensarci due volte, al che lei, dopo pochi secondi di silenzio, iniziò a ridere, indicandogli al contempo il vaso dove avrebbe potuto mettere la composizione floreale. Una volta riuscita a ritornare seria, gli strinse un braccio e lo guardò con affetto.
< Mi mancavano, sai? > ammise con sincerità, ma lui non parve capirla, così si spiegò meglio. < Le tue battute. Insomma, nelle ultime settimane eri diventato un po’, come dire? Noioso, ecco! Con i tuoi “prepara il borsone per l’ospedale”, “riposati e non ti muovere”, “sei sicura di star bene”, e tutto il resto. Adesso sembri... tornato in te! Sai, per me sei perfetto così, e non devi aver paura di apparire sciocco, imbranato o non so cosa: cercherò sempre di capirti > confessò, dunque, e ciò apparve agli occhi del ragazzo quasi come un incoraggiamento a sciogliersi e tranquillizzarsi. Le sorrise e le diede un bacio sulle labbra, poi tornò a porre la sua attenzione al bambino, che continuava ad esaminarlo con curiosità.
< Posso... Posso prenderlo? > domandò Fred a Margaret, che, divertita, scosse la testa.
< Cavoli, è tuo figlio: certo che puoi! > affermò con ovvietà, sistemandogli poi il piccolo tra le braccia.
Al primo contatto, Fred si sentì percorso da una sorta di scarica elettrica. Lui ed il suo ometto si scambiarono degli sguardi lunghissimi, durante i quali comprese che la sua vita era completa per davvero. Percepì gli occhi inumidirsi di nuovo, e dovette sforzarsi al massimo per provare ad evitare che Meg se ne accorgesse, tentativo miseramente fallito. Tuttavia, e ciò lo sorprese molto, lei non disse niente, ma si limitò ad asciugare delle nuove lacrime, causate dall’emozione che assistere a quella scena le provocava.
Fred aveva quasi dimenticato di respirare, ma non gli importava, e nulla ebbe realmente più senso nell’istante in cui Alexander chiuse in un pugno la sua piccola manina attorno al suo pollice, e non sembrò assolutamente propenso a lasciarlo.
Il ragazzo rise tra sé, commosso, infischiandosene dell’espressione da rincoglionito che aveva assunto, e finalmente strinse suo figlio con una naturalezza che non pensava di possedere.
Tenendo ben saldo il bambino, si alzò dalla sedia e si mise a sedere sul letto, al fianco di Margaret, per poter abbracciare entrambi e lasciarsi pervadere appieno da quell’immenso senso di pienezza.
Non erano più una coppia: adesso, erano una famiglia, e lui l’aveva compreso fin da subito, da quando, poche ore prima, era entrato in sala parto ed aveva visto per la prima volta insieme le sue due principali fonti di felicità.
< Nessuno potrà mai dividerci > affermò lui con sicurezza, accarezzando i capelli di lei e dando un bacio sulla fronte di Alexander, che adesso rivolgeva tutta la sua attenzione alla sua mamma, che traboccava amore da ogni poro.
< Lo so > annuì lei, convinta. C’era una guerra, ma chi se ne importava? Di sicuro non loro due. Per pensare a cose come quella, ci sarebbe stato fin troppo tempo, ma quello non era il momento: nulla avrebbe potuto distruggere la gioia di quegli attimi.

Disturbarla, invece, be’... quello era piuttosto possibile. Infatti, la gestione ed il controllo dell’allegra combriccola al piano di sotto doveva sicuramente essere sfuggita dalle mani di Annabel e dei suoi assistenti, dato che, in men che non si dica, una ciurma composta da una decina di persone aveva fatto vittoriosamente il suo ingresso nella stanza.
Molly fu la prima a scattare in avanti, quasi in lacrime per l’emozione.
< Oh, il mio primo, dolce nipotino! > esclamò, guardandolo con occhi illuminati dalla gioia. Tutti gli altri si avvicinarono, sfoggiando ovviamente espressioni incuriosite e oltremodo felici.
< Somiglia tantissimo a Fred appena nato, non trovi? > fece Arthur, trovando il forte disappunto di Desmond, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere, neanche fosse stato figlio suo.
< Nah, ma che dici! Il naso e la bocca hanno la stessa forma di quelli di Meg, non lo vedi? > constatò, orgoglioso del fatto che suo nipote fosse venuto fuori un capolavoro.
< Sì, ma la forma del viso, il colore degli occhi e dei capelli sono indubbiamente quelli di Fred! > aggiunse Molly con convinzione, al che i due neo-genitori si scambiarono delle occhiate divertite. In poche parole, erano gli unici che non si curavano affatto di sapere a chi somigliasse di più o di meno.
< No, suvvia: guardate le orecchie! Sono identiche a quelle di mia nipote! > si intromise Vittoria, che sembrava quasi essersi sciolta come neve al sole alla vista del suo pronipote. Il marito ed i consuoceri annuirono vigorosamente, mentre Gloria cercava di riportare l’ordine dicendo che era ancora troppo presto affinché si potesse capire a chi il bambino assomigliasse per davvero.
< Bene, gente, fate largo! Fate passare lo splendido, meraviglioso, incantevole padrino del pargolo e la sua adorabile accompagnatrice! Suvvia, brutti ingrati, fatemi vedere il mio nipotino! > si introdusse George, avanzando con fare teatrale e trascinandosi dietro Abigail, che lo guardava in maniera truce. Non appena vide Alexander, il ragazzo si ammutolì e si portò una mano al petto. Meg rise: adorava le sceneggiate tragicomiche del suo migliore amico, e mai come in quelle ore ne aveva quasi sentito la mancanza.
George, però, era davvero rimasto rapito dall’espressione così buffa di quella futura peste in miniatura, e poté giurare di essersi persino emozionato.
Abigail, invece, guardò il bambino, che si era appena addormentato, con uno sguardo pieno di dolcezza, così Fred si alzò e glielo posò tra le braccia, lasciandola stupita.
< Oh, cielo... E’ dolcissimo, sembra fatto di porcellana! E i ciuffi di capelli sono... >
< Rossi, naturalmente! Immancabile marchio Weasley! Fratello, è... semplicemente meraviglioso > aggiunse George, che contemplava il bambino da sopra la spalla di Abbie. Ovviamente, non aveva tardato a cingerle la vita con un braccio. Prevedibilissimo.
La cosa non prevedibile, invece, fu il fatto che lei non lo scansò, e, anzi, gli avrebbe persino accarezzato la mano, se non avesse dovuto stare attenta al bambino.
I due neo-genitori se ne accorsero all’istante, e Fred non si lasciò sfuggire l’occasione di mettere un po’ di scompiglio.
< Ovvio, è mio figlio! Piuttosto, voi due quando ne fate uno? Insomma, stasera avrete la casa libera, non ci avete pensato? > li stuzzicò, al che la ragazza divenne viola per l’imbarazzo, mentre il gemello mise su un ghigno diabolico degno del suo nome.
< Scommettiamo che ne faccio uno ancora più bello del tuo? > rispose a tono, quindi, e tutti gli altri parenti iniziarono a guardarsi attorno, imbarazzati, tentando di apparire disinvolti.
< Pff, voglio proprio vedere! > commentò Fred, così il fratello gli rivolse un sorriso eloquente.
< Ah, sì? Bene, Abbie, andiamo: abbiamo molto da fare! >
< George, insomma... piantala! > fece Abigail, che in quell’istante desiderò come non mai che il pavimento si aprisse e la risucchiasse.
A salvarla da quella situazione affatto comoda ci pensò Annabel, più furiosa che mai, che spalancò la porta senza tante cerimonie.
La donna puntò il dito contro Desmond, suo fratello, che sbarrò gli occhi, fingendo di non essere lui il colpevole di ciò che stava accadendo.
< Tu! Quante volte ti ho detto che la legge è uguale per tutti?! >
< Ma sei mia sorella, suvvia! >
< Sono anche il primario di questa Clinica, dove devi stare alle mie regole! Tutti fuori, avanti, lasciate in pace quei due poveretti! Avranno o no il diritto di stare da soli con loro figlio?! Via! > fece lei, invitandoli a velocizzare i saluti e tutto il resto.
Abigail diede il bambino a Fred e, dopo aver abbracciato lui e Margaret, aspettò George sull’uscio. Questi diede un bacio sulla guancia alla cognata, una carezza al piccolo ed una pacca sulla spalla al fratello, poi raggiunse la ragazza e la prese per mano.
< Ci vediamo domani! > dissero all’unisono alla neo-mamma e al neo-papà, che scossero la testa, divertiti.

Uscirono in silenzio dalla Clinica e, dopo essersi congedati anche da tutti gli altri, si Smaterializzarono per tornare a Diagon Alley.
Una volta arrivati a casa, ad aspettarli c’erano dei piatti da lavare ed una catasta di fogli ancora sparsi sul tavolo, fermi immobili dove erano stati lasciati.
Abigail gettò la borsa e la giacca sul divano, ed insieme a George iniziò a dare una sistemata un po’ ovunque.
A differenza dell’altra ed unica volta che erano rimasti soli in quell’appartamento, si sentiva notevolmente più rilassata, forse in quanto non aveva più bisogno di fare bella figura o di impressionarlo. L’ascia di guerra era stata bella che seppellita, ed era pienamente felice di ciò. Così felice che, senza accorgersene, aveva iniziato a cantare sottovoce, tanto che il ragazzo aveva interrotto quello che stava facendo e si era fermato a guardarla ed ascoltarla.
Lei, sentendosi osservata, si zittì all’istante e si voltò, e poté notare che il suo timore era stato confermato. Sentì le guance e le orecchie infiammarsi, ma i suoi occhi continuavano ad allargarsi sempre di più di fronte al sorrisetto compiaciuto di George.
< Perché hai smesso? > chiese semplicemente lui, avvicinandosi e sfoggiando uno sguardo incuriosito.
< Perché... be’, mi vergogno > confessò lei, abbassando gradualmente il tono di voce. George sorrise ancor di più e piegò il capo in modo tale da osservarla da un’angolazione differente.
< Ehi, mi prendi in giro? Sei brava! Continua, dai! > la incoraggiò, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lei abbassò gli occhi al pavimento e, dopo una strenua lotta contro se stessa, iniziò a cantare, prima quasi in un sussurro e poi in modo sempre più udibile. Il ragazzo rimase impressionato, e poté persino giurare di aver sentito un certo calore riscaldargli il cuore.
< Contento, adesso? > disse lei una volta che ebbe finito, e George, automaticamente, la strinse a sé, permettendole di affondare il viso contro il suo petto.
< Sei assolutamente adorabile > le sussurrò, accarezzandole la schiena e godendosi quel profumo che aveva scoperto fosse di papavero. Lei alzò finalmente lo sguardo su di lui, e si sorprese nel constatare che quegli occhi azzurri la stavano osservando quasi con tenerezza. Pensò, contemporaneamente, che poche erano state le volte in cui si era trovata così bene come tra le sue braccia; avrebbe giurato di aver sentito di nuovo, dopo l’ultima volta che erano stati così vicini, quelle farfalle nello stomaco, quella sensazione di serenità e di pienezza che le era mancata così tanto, ma della quale mai come in quel momento sentiva di aver bisogno. Si lasciò baciare la fronte ed i capelli, e si sentì al sicuro, protetta, proprio grazie a quel contatto.
< Ho avuto paura, George... > confessò, allora, perché qualcosa le suggeriva che lui avrebbe cercato di capirla in ogni modo possibile. < Quando ho assistito al parto, intendo. Temevo che qualcosa potesse andare storto, e queste robe qui, ma allo stesso tempo ho... ho capito una cosa fondamentale. Ho realizzato di voler fare proprio questo lavoro. Nel momento in cui è nato Alexander ho avuto come la sensazione che non potesse esserci cosa più gratificante di far nascere una nuova vita > spiegò, quindi, lasciandolo piacevolmente stupito.
< Tesoro, è... una cosa splendida! Devi iscriverti immediatamente ai corsi di specializzazione, intesi? > le disse, sorridendo ancor più di prima nonostante gli occhi stanchi ed assonnati. Lei ricambiò il sorriso ed annuì, ma nel frattempo la sua testa non faceva altro che riproporle tutte quelle parole ed informazioni.
“Mi ha chiamato tesoro... Ha detto che sono adorabile... Oh cielo, ha detto anche che vorrebbe che io e lui facessimo un bambino! Morgana maledetta...”
< Sei molto stanco, forse è il caso di andare a dormire... > riuscì a spiccicare, non senza un po’ di fatica, lei, al che George, seppur a malincuore, dovette darle ragione.

Aveva lasciato le sue mani e si era gettato sul divano, esausto, osservandola con la coda dell’occhio mentre entrava in camera e lo lasciava solo.
Cercò di prendere sonno, purtroppo con scarsi risultati, e sobbalzò nel momento in cui la porta della sua vecchia stanza si aprì per lasciare passare nuovamente Abigail, che si fermò sull’uscio, un po’ incerta, cercando di trovare il coraggio per dire ciò che le era frullato in testa.
< Non... Non stai scomodo, lì? > gli chiese, diventando viola come una melanzana. Lui si mise a sedere e si grattò la testa, confuso.
< Be’, ho dormito su materassi migliori, in effetti > constatò, non riuscendo tuttavia ad intuire dove lei stesse andando a parare.
< Sì, infatti... be’, se vuoi... > aggiunse la ragazza, a tratti divertita, tornando in camera e sistemandosi a letto. Dopo una giornata come quella, non vedeva proprio l’ora.
Stava per addormentarsi, quando sentì il materasso abbassarsi di un po’, e subito dopo si ritrovò stretta in un tiepido e rilassante abbraccio. Percepì il suo respiro accarezzarle i capelli, e dopo tanto tempo non si sentì più sola, ma parte di qualcosa, anche se indefinito e ancora senza forma.
< Stanotte finalmente riuscirò a dormire degnamente... anche se, confesso, in questo istante dormire è esattamente l’unica cosa che non vorrei fare > ammise lui, che si sciolse al suono della risata della ragazza che teneva tra le braccia. Respirò a fondo il suo profumo, e sorrise nel constatare che si era lasciata travolgere dal sonno quasi di colpo, mentre a lui, probabilmente, toccava l’ennesima, ma stavolta splendida, notte insonne. Sì, perché sarebbe rimasto sveglio a guardarla anche per ore, per poi salutarla al mattino nello stesso istante in cui avesse aperto gli occhi. Voleva conquistarla, colpirla, e non si sarebbe dato pace fino a quando non avesse raggiunto il suo intento. Ciò che lui non poteva sapere, era che ci era quasi riuscito.
“Questa donna sarà la mia rovina!” pensò, ma guardando quel viso non poté che constatare che, nonostante tutto, mai una rovina aveva assunto un sapore più dolce di quello.


Angolo dell’autrice

Sì, sono di nuovo in ritardo, ma tanto i capitoli pronti sono pochissimi, quindi mi sa che dovrete iniziare ad abituarvi alla mia assenza. L’ispirazione va e viene, ahimè.
Credo di non avere molto da aggiungere, in fin dei conti il capitolo è molto chiaro, no?
Il titolo è, ovviamente, lo stesso della scorsa volta, mentre la canzone è I Don’t Wanna Miss A Thing, degli Aerosmith.
Ringrazio chi segue/ricorda/preferisce la storia, spero che il nuovo capitolo vi piaccia. :)
Un abbraccio,
Jules


Dal prossimo capitolo:

Già da un primo sguardo, il ragazzo riconobbe Errol, il gufo della sua famiglia. Aprì le ante della finestra e lo lasciò entrare, dopodiché prese la lettera che questo portava con sé e, prima di aprirla, la osservò con curiosità. Alzò lo sguardo su Margaret, preoccupata che fosse accaduto qualcosa, e scrollò le spalle.
< E’ di mia madre. Accidenti, non ci vede da quattro giorni ed è già entrata in crisi, ma poteva almeno aspettare doma-... > disse lui con ironia, ma si bloccò all’istante nel momento in cui, dopo aver aperto la lettera, ebbe posato gli occhi sul pezzo di pergamena.

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Capitolo 15
*** Il fatto di trovarci al buio non significa che la stanza sia vuota, ma solo che bisogna aspettare che si accenda la luce ***


Il fatto di trovarci al buio non significa che la stanza sia vuota, ma solo che bisogna aspettare che si accenda la luce


When your day is long and the night 
The night is yours alone
When you're sure you've had enough of this life, well hang on
Don't let yourself go 
Everybody cries and everybody hurts sometimes



Il mese di maggio era volato, lasciando il posto a quello di giugno, ormai anch’esso agli sgoccioli. Le temperature stavano iniziando ad alzarsi, ma la pioggia, come sempre, era una costante fissa.
In quella notte di fine mese, Margaret era sveglia e alle prese con l’ennesimo pannolino da cambiare ed un nuovo pianto da placare, nonostante gli occhi le stessero implorando pietà.
Mancavano pochi giorni al matrimonio, ma lei era completamente distrutta. Alexander alternava notti di riposo ad altre più frequenti di capricci, concedendo ai due neo-genitori attimi di tregua abbastanza sporadici.
Fred stava cercando di fare del suo meglio per aiutare la sua fidanzata, ed i risultati iniziavano a farsi vedere. Nel senso che anche il povero neo-papà si era dato al vagabondaggio notturno nei meandri più desolati della cucina, riducendo drasticamente le ore di sonno.
D’altra parte, gli altri due abitanti dell’appartamento, George e Abigail, erano più riposati che mai, complice anche il fatto che la giovane, ogni tanto, fosse così buona da dividere il suo comodo letto con il ragazzo, fino a poco tempo prima relegato al divano, a patto che questi non osasse neanche lontanamente allungare le mani. Le conseguenze di un gesto simile avrebbero potuto rivelarsi a dir poco tragiche.
In quella notte del 23 giugno, tanto per cambiare, Fred stava preparando il biberon, mentre Meg cercava disperatamente di venire a capo di quel giochetto infernale quale era la chiusura di un pannolino. In quel mese, c’è da dire che era migliorata parecchio, grazie anche alla guida “Come diventare una mamma-strega perfetta in dieci semplici mosse” che George, tra le risate di tutti i presenti, le aveva regalato per il compleanno. Tuttavia, la stanchezza iniziava a farsi sentire, ed anche fare una cosa semplice come quella poteva apparire come un’impresa.
< Oh, Merlino, finalmente! > esclamò la ragazza, riuscita nell’intento, non ricevendo alcuna risposta. Prese in braccio il bambino, che ancora piangeva, seppur meno di prima, e si voltò, trovando Fred seduto sulla sedia e con la testa penzolante da un lato. Lei sorrise, stanca, e gli fece una carezza sul viso; dopodiché, prese il biberon dal piano cucina e si sedette anche lei, dando poi da mangiare a suo figlio.
Non ce la faceva quasi più, ma non poteva che definirsi felice di ciò che, pian piano, lei ed il suo futuro marito stavano costruendo.
Mancavano solo dieci giorni alle nozze, e tutto procedeva nel migliore dei modi: nonostante le notti insonni ed il poco riposo, nulla avrebbe potuto distruggere quell’armonia.
Una decina di minuti dopo, Fred schiuse un po’ gli occhi, e si accorse solo in quell’istante di essersi addormentato. Si passò una mano fra i capelli, già scompigliati, e rivolse un sorriso a Margaret; sorriso che si trasformò immediatamente in un sonoro sbadiglio, mentre lo stomaco di lei iniziava a brontolare per la fame.
< Ci siamo ridotti malissimo, accidenti > commentò lui, alzatosi per andare a prendere ciò che restava della torta alle nocciole preparata quel pomeriggio da Abigail, che tra l’altro aveva anche iniziato i corsi di specializzazione al San Mungo. Ne porse una fetta a Meg e riprese posto di fronte a lei, addentando la sua.
< Ci vorrebbe una bella vacanza > constatò lei, un po’ affranta. Avevano deciso di rimandare il viaggio di nozze a data da stabilire, possibilmente a Guerra finita, se mai fosse finita realmente. Inoltre, il bambino era troppo piccolo, e non se la sentivano di lasciarlo a George o a chicchessia, dunque si erano ritrovati d’accordo nella difficile decisione di rinunciare, al momento, ad un po’ di meritato riposo.
< Ci vorrebbe, sì. Dai, giuro che tra un anno preciso ti porto a... Dov’è che vuoi andare? > fece Fred, che adesso aveva preso in braccio Alexander per provare a farlo addormentare. Meg parve rifletterci su, poi scrollò le spalle e scosse la testa.
< Non saprei... Decideremo a tempo debito! Adesso, piuttosto, dovremmo pensare a riposarci, dato che tra nove giorni arrivano i miei parenti e tra dieci ci sposiamo > .
< A proposito dei tuoi parenti: dove li mettiamo? > domandò lui, ricordatosi di quella questione spinosa.
< Mio zio Nicholas, sua moglie e le bambine staranno dai miei, mia zia Regina da nonna Vittoria, che però si è rifiutata categoricamente di ospitare anche John ed Andrew, dato che l’ultima volta hanno dato fuoco ad una delle camere da letto, quindi loro verranno qui, così come la fidanzata di John, Anastasia. Potrebbero stare... >
< Nelle camere al secondo piano. A condizione che facciano giuramento di restare lontani dalla Stanza Esperimenti, ovviamente > concluse Fred per lei, alludendo poi alla stanza che lui ed il fratello avevano destinato alla sperimentazione di nuovi prodotti. L’unica pecca, forse, era l’eccessiva vicinanza allo studio di Margaret, adiacente alla stanza in questione, ed il ragazzo stava già iniziando a prepararsi psicologicamente alle sfuriate della sua futura moglie se mai qualche rumore di troppo l’avesse disturbata. Lei parve convinta.
< Sì, ottima idea! Io, invece, dormirò con Abigail nella sua stanza, mentre tu... >
< A pian terreno, nel salone, con George. La nostra camera dovrà aspettare un po’ di più... >  terminò anche stavolta lui lanciandole un sorrisino malizioso, che lei ricambiò.
Tuttavia, non ebbe tempo di rispondere: un gufo era appena planato contro la loro finestra, sbattendoci addosso con un pesante tonfo.

Fred si alzò, stranito, mentre teneva ancora stretto a sé il bambino, e sia lui che Meg si chiesero chi mai potesse scrivere loro alle tre di notte.
Già da un primo sguardo, il ragazzo riconobbe Errol, il gufo della sua famiglia. Aprì le ante della finestra e lo lasciò entrare, dopodiché prese la lettera che questo portava con sé e, prima di aprirla, la osservò con curiosità. Alzò lo sguardo su Margaret, preoccupata che fosse accaduto qualcosa, e scrollò le spalle.
< E’ di mia madre. Accidenti, non ci vede da quattro giorni ed è già entrata in crisi, ma poteva almeno aspettare doma-... > disse lui con ironia, ma si bloccò all’istante nel momento in cui, dopo aver aperto la lettera, ebbe posato gli occhi sul pezzo di pergamena. La grafia di sua madre era stranamente disordinata, stavolta, e ciò che lesse lo lasciò senza parole. Era tutto così assurdo, così sconcertante. Sentiva lo sguardo allarmato della sua fidanzata puntato su di lui, e sapeva di star adottando un comportamento sbagliato nei suoi confronti lasciandola lì, senza alcuna risposta. Ma non ce la faceva.
< Fred, cosa... cos’è successo? > gli chiese lei, allora, a bassa voce per evitare di svegliare di nuovo Alexander. Fred ricambiò il suo sguardo.
< Bill... è stato ferito da Fenrir Greyback. Santo cielo... > si costrinse a dirle, infine, lasciandola di stucco. Lei si portò le mani di fronte la bocca, mentre la sua espressione trasudava orrore da ogni lato.
< Come... Come diavolo è successo?! > disse, poi, la voce terrorizzata in un sussurro.
< Non ne ho idea, mamma mi ha soltanto detto che quando è stato attaccato era ad Hogwarts insieme ad altri dell’Ordine per cercare di frenare dei... dei Mangiamorte. Mi chiedo come accidenti siano riusciti ad entrare al Castello... > spiegò il ragazzo, lasciando cadere la lettera per terra ed abbandonandosi su una sedia, incapace di ordinare le idee.
La Guerra stava facendo sentire la sua presenza da parecchio tempo, ma mai come in quell’istante essa era parsa a Fred così nitida e reale. Suo fratello era stato ferito da un lupo mannaro, e chissà quali conseguenze ciò avrebbe comportato.
In quei mesi, era stato in grado di rassicurare Margaret e le sue paure, ma adesso, invece, si sentiva impotente, vulnerabile, esposto ad ogni tipo di rischio ancor più di prima. Aveva suo figlio stretto a sé, cosa che gli mise ancor più angoscia, in quanto gli fece ricordare che non doveva proteggere solo se stesso, ma anche un bambino piccolo ed indifeso, ed il pensiero di poter fallire lo attanagliava in maniera intollerabile e a tratti lo faceva sentire quasi inutile ed irrimediabilmente solo.
Cambiò idea nel momento in cui poté percepire le braccia di Margaret serrarsi attorno al suo collo e la testa di lei poggiarsi sulla sua spalla, mentre l’odore dei suoi capelli disordinati gli sfiorava piacevolmente il viso. Riuscì a distinguere solo la metà di quelle parole sussurrate al suo orecchio: frasi semplici, concise, ma rassicuranti, profonde, piene di significato, vere. Lei c’era sempre stata, e glielo aveva dimostrato in quei diciannove lunghi anni. Si erano sempre ritrovati l’uno nell’altra, completandosi e migliorandosi, ricordandosi a vicenda che ogni problema lo avrebbero affrontato insieme, uniti, e promettendosi che nessuno sarebbe mai stato abbandonato, neanche quando tutto fosse apparso perduto.
Così, anche questa volta lei era rimasta lì, al suo fianco, per trasmettergli quel calore così familiare che lo faceva sentire vivo e che riusciva ad infondergli quella fiducia che precedentemente aveva percepito quasi come svanire nell’aria. Volse lo sguardo su di lei e non riuscì a non trovarla bellissima, nonostante le borse sotto gli occhi e quell’insolito pallore sulle guance.
< La cosa migliore che abbia mai fatto in vita mia è stata quella di innamorarmi di te, lo sai? > bisbigliò lui, più sereno di prima, facendola quasi commuovere. Le diede un bacio sulle labbra, poi le porse Alexander e si alzò, intenzionato ad avvertire George dell’accaduto, ma proprio in quell’istante si sentì bussare qualcuno alla porta di ingresso.

I due si scambiarono sguardi carichi di tensione: dopo aver ricevuto quella notizia, per loro era impensabile restare totalmente calmi.
Margaret andò a posare il bambino in camera da letto, nella sua culla, e tornò in cucina con la bacchetta sfoderata, mentre Fred prese ad avanzare lentamente, anch’egli con la bacchetta salda in pugno.  
< Parola d’ordine! > fece questi forte e chiaro, la voce decisa e affatto incerta.
< Whisky Incendiario! > rispose una voce ben conosciuta che non poté che rincuorarli. Fred aprì la porta, trovandosi di fronte Lee Jordan, zuppo dalla testa ai piedi a causa della pioggia, ed inevitabilmente si sciolse in un enorme sorriso.
< Ehilà, vecchio mio! Non sapevo che i testimoni di nozze avessero il permesso di presentarsi a casa dei propri amici in piena notte! > scherzò lui, invitandolo ad entrare, ma non ricevendo alcuna risposta: in effetti, l’ex compagno di scuola si stava sottoponendo ad uno degli abbracci stritolatori che Margaret tendeva a dispensare ogniqualvolta qualcosa alleggerisse le sue ansie.
< Oh cielo, Lee! Sei fradicio! Suvvia, dammi quella giacca che ci penso io > iniziò lei, ma il ragazzo la batté sul tempo asciugando tutti i suoi indumenti con un sol colpo di bacchetta.
< Stai proprio diventando una mammina apprensiva, eh? Il piccolo dorme? > fece lui, rivolgendole un sorriso comprensivo, mentre Fred gli faceva cenno di prendere una sedia ed accomodarsi.
< Si è addormentato poco prima che arrivassi tu! È cresciuto tantissimo dall’ultima volta che l’hai visto! Avanti, cosa posso offrirti? Vuoi un tè, una cioccolata, un cappuccino, una fetta di torta? Oppure... >
< Ehi, Maggie, calma! Sono solo di passaggio, non devi scomodarti! > la interruppe Lee, ma Margaret non voleva darsi per vinta, così mise immediatamente la teiera sul fuoco, ignorando tranquillamente le lamentele del giovane. Fred, d’altra parte, non riusciva a vederci chiaro in quella situazione: il suo amico era sempre stato attento e rispettoso della privacy altrui, e non era proprio tipo di venire a far visita a qualcuno ad una tarda ora come quella. Lo scrutò con curiosità per qualche istante, non riuscendo ad ignorare il suo sguardo teso e perso nel vuoto, ma decise che fosse il caso di apparire il più disinvolto possibile.
< Bene, Lee: a cosa dobbiamo questa piacevolissima visita? Non credevo di mancarti così tanto! > disse, quindi, non perdendo il suo tono ironico. Lee, però, se in un primo istante sorrise, subito dopo sospirò, triste e rassegnato.
< Porto notizie, vecchio mio, e purtroppo non sono affatto buone > ammise, quindi, ricevendo in risposta delle espressioni stupite.
< Hai saputo di tuo fratello, no? > continuò, allora, al che Fred annuì silenziosamente, invitandolo a continuare. Reggeva a stento il pensiero che a Bill fosse potuta accadere una cosa simile, e non aveva proprio voglia di discutere di nuovo dell’argomento.
< C’è di positivo che Greyback non fosse trasformato, non so se questo lo sai... >
< No, non lo sapevo > rispose Fred, che iniziava a sentirsi quasi un po’ sollevato grazie a quella notizia. Tuttavia, dallo sguardo basso dell’amico riuscì a comprendere che doveva esserci dell’altro, e che quindi la sua visita non era destinata a dare delucidazioni riguardo lo stato di salute di suo fratello.
Restarono in silenzio per una manciata di interminabili secondi, durante i quali si poteva percepire in maniera ancor più distinta tutta l’ansia e la preoccupazione che quella situazione stava portando con sé.
< Silente è morto > comunicò, infine, e subito dopo il rumore di una tazza che si infrangeva contro il pavimento riecheggiò per tutta la cucina.


* * *


Don't be afraid
What your mind conceals
You should make a stand
Stand up for what you believe


 

Il sole splendeva come non mai, in quella mattina di fine giugno, ed illuminava tutto ciò su cui i suoi raggi si posassero. Hogwarts non era mai parsa così maestosa e malinconica allo stesso tempo, mentre il Lago Nero, nonostante tutto, sembrava avesse acquisito un fascino inspiegabile.
Margaret pensò che quella fosse una giornata terribile per un funerale: era eccessivamente in contrasto con tutti quegli avvenimenti che si erano susseguiti in così poco tempo. Lei era sempre stata ferma nella convinzione un po’ assurda che il tempo dovesse rispecchiare fedelmente lo stato d’animo di una persona, e ciò, quella volta, non stava accadendo.
La tristezza aleggiava nell’aria, e allora perché quel sole doveva essere così accecante? La malinconia regnava sovrana, ma non era sola: era accompagnata dalla paura.
Tutti avevano compreso che, senza Silente, tutto sarebbe stato diverso, sarebbe cambiato in peggio. Lui era una garanzia, era ciò che li faceva sentire un po’ più sicuri, a tratti quasi protetti.
Adesso che non c’era più, invece, avrebbero dovuto fare i conti in prima persona con qualcosa di nettamente più forte e più grande di tutti loro, e chissà se ce l’avrebbero fatta.
La funzione era appena terminata, ed i presenti stavano iniziando ad abbandonare i loro posti.
Fred, con Alexander in braccio, si alzò, porgendo la mano a Meg per permetterle di fare altrettanto, mentre George ed Abigail, seduti qualche fila più avanti, venivano loro incontro. Così come la cugina, anche lei aveva gli occhi arrossati dal pianto. A differenza di Meg, però, questo non era il suo primo funerale: ricordava ancora nitidamente quello di suo padre, qualche anno prima, e quanto fosse stato straziante e doloroso.
Senza scambiarsi nemmeno una parola, i quattro si incamminarono per il parco, decisi a trovare un qualsiasi pretesto che facesse loro dirigere i pensieri da un’altra parte.
Incrociarono i loro sguardi con quelli sconfortati delle loro famiglie, degli studenti di Hogwarts, degli altri membri dell’Ordine, e ciò non fece altro che alimentare il loro desiderio, già di per sé sfrenato, di andare via, lontani da quel posto.
Giunti alla grande quercia, Margaret si sedette sul prato, sotto di essa, venendo subito imitata dagli altri tre, che come lei si appoggiarono al tronco dell’albero. Fred prese la mano della sua ragazza e la strinse, mentre il bambino iniziava a svegliarsi solo in quell’istante da un lungo – e provvidenziale, per i genitori – sonno. George, invece, poggiò il capo sulla spalla di Abigail, che si lasciò abbracciare senza opporre alcuna resistenza.
Rimasero senza parlare per parecchi minuti, il silenzio rotto soltanto dal rumore di cinque respiri che viaggiavano a ritmi differenti, dando vita ad uno strano equilibrio.
< E’ proprio qui sotto che mi hai baciata per la prima volta, te lo ricordi? > constatò infine Meg, rivolgendosi al suo fidanzato, che inevitabilmente sorrise.
< Naturale, Pasticcino. Eri davvero furiosa, quel pomeriggio, e in qualche modo dovevo pur rimediare, no? > rispose lui, memore di quel loro litigio epocale di un anno e mezzo prima e dei suoi tentativi disperati di chiederle perdono. Meg annuì, anche lei lievemente sorridente, prendendo in braccio Alexander, che la guardava con quell’espressione buffa, quasi identica a quella del padre. D’altronde, tutti concordavano sul fatto che quel bambino fosse la fotocopia di Fred, eccezion fatta per qualche particolare, tanto che anche i parenti di Meg dovettero ricredersi ed arrendersi di fronte all’evidenza.
< Sono cambiate così tante cose che sembra sia passata un’eternità, da quel giorno... > continuò lei, stavolta pensierosa, rendendosi conto solo in quell’istante che mancasse solo una settimana al loro matrimonio, cosa che contribuì ad aumentare la sua ansia.

Piombò di nuovo il silenzio, mentre una lieve brezza iniziava ad alleggerire la temperatura medio - alta di quella mattinata.
Gli studenti passeggiavano per il parco, alcuni ancora scossi, altri più sereni, mentre in lontananza alcuni membri dell’Ordine continuavano a parlare e a scambiarsi più informazioni possibili sugli avvenimenti degli ultimi giorni.
Desmond e Gloria, abbracciati, stavano ancora osservando il Lago Nero, portando alla mente tutti i ricordi che quel luogo aveva conservato per loro e per tantissimi altri, mentre Molly riservava tutte le sue attenzioni a Bill, ancora non in condizioni ottimali, ma sempre in costante miglioramento.
< Sarà tutto diverso, adesso, no? Saremo tutti ancora più a rischio... > commentò Abigail con estrema calma, come se la situazione non la preoccupasse affatto. La realtà, e George lo sapeva, era che voleva apparire forte e sicura, mentre dentro stava rischiando di esplodere a causa di tutte quelle emozioni. A quella domanda, nessuno di loro inizialmente riuscì a rispondere, fino a quando Fred non sospirò e non capì una cosa fondamentale.
< No. Finché resteremo tutti uniti, nulla sarà diverso. Ci proteggeremo l’un l’altro, e faremo in modo che le nostre vite continuino ad essere le stesse, per quanto ciò sia possibile. Questa guerra noi la vinceremo, in un modo o nell’altro. Io ci credo, e voi? > disse, quindi, rivolgendo loro un grande sorriso di incoraggiamento che venne accolto positivamente.
< Sì > risposero loro all’unisono, convinti che, se l’avessero voluto, ce l’avrebbero fatta.
Rimasero seduti sotto la quercia per non seppero mai quanto: forse pochi istanti, o forse minuti, o forse ancora ore. L’importante, però, è che in quel lasso di tempo, non importa quanto sia durato, quei quattro ragazzi iniziarono a sentirsi più uniti e più sicuri dei loro mezzi, delle loro potenzialità, fino ad arrivare alla conclusione che, insieme, potevano realmente divenire invincibili.

 

“And tonight we can truly say together we're invincible
 

Angolo dell'autrice

Dai, stavolta non sono poi così tanto in ritardo. 
Bene, come avrete capito, siamo giunti agli istanti immediatamente successivi alla morte di Silente. Non potevo tralasciare un evento così importante, anche perché finalmente i nostri protagonisti sentono che qualcosa, inevitabilmente, sta per cambiare. 
Il titolo del capitolo è di Massimo Gramellini, mentre le canzoni stavolta sono ben due! Quella che apre la prima parte del capitolo è Everybody Hurts, dei R.E.M., mentre quella che apre la seconda parte e che chiude il capitolo è Invincible, dei miei amatissimi, veneratissimi, bellissimi (?) e adoratissimi Muse. 
Ringrazio chi segue/preferisce/ricorda la storia, e soprattutto Angel_Mary, che ha recensito il capitolo precedente. 
A presto (credo e spero).
Jules

Dal prossimo capitolo:

< Bene! > iniziò, facendo seguire a quella parola un lungo silenzio, rotto infine da nuove risate divertite. Una volta che fu riuscita a ritrovare un minimo di contegno, si sedette a gambe incrociate sul tavolo di quella camera/salone e cercò di iniziare un discorso che avesse quantomeno un po’ di senso.
< E alla fine, domani ti sposi, vecchia mia! >
< A quanto pare... > commentò Meg, ironica, beccandosi il quadernetto in piena faccia.
< Per Salazar, non vedevo l’ora di farlo! > ammise Abigail, attirando su di sé le occhiatacce della cugina, ma non preoccupandosene affatto, così continuò. < Comunque, da domani sarai la nuova signora Weasley, e ciò significa che, teoricamente, dovresti iniziare a fare la brava ragazza e tutte queste stronzate qui. Dal punto di vista pratico, invece, sappiamo tutti che non lo farai mai. Insomma, sarebbe come vedere John non lasciare le mutande in giro per il bagno o Andrew non fare il terzo grado a tutti i miei fidanzati: assolutamente impossibile >.

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Capitolo 16
*** La vita è ciò che ti succede mentre sei impegnato in altri progetti ***


La vita è ciò che ti succede mentre sei impegnato in altri progetti



I just don't care if it's real
That won't change how it feels
No it doesn't change
You can't resist making me feel
Eternally missed


La notte di un semplice 2 luglio, in quella villa sulla costa del Devon, non era mai stata così sprizzante di euforia come accadde nell’anno 1997, perché tutti, ovviamente, sapevano che quella, in fondo, non era affatto una sera come le altre.
Durante tutto il pomeriggio, Villa Orchidea era stata scenario di numerosi via-vai, di abbracci di riconciliazione, di saluti emozionati, di concitate preparazioni e ultimi ritocchi prima del grande evento del giorno successivo, mentre adesso era stata provvidenzialmente divisa tra i suoi proprietari per favorire lo svolgimento dei rispettivi addii al celibato e nubilato.
Così, mentre al pian terreno un folto gruppo di aitanti uomini era immerso nelle classiche discussioni tipicamente maschili, al secondo piano una altrettanto numerosa combriccola di giovani donzelle si lasciava trascinare dagli infiniti litri di alcool che la stessa futura sposa, da gran signora, aveva richiesto per l’occasione. Ma che brava ragazza.
Al contempo, il primo piano era stato denominato “Zona della Tregua”, dove i vari presenti, all’occorrenza, potevano trovare un buon rifugio e assicurarsi la salvezza. Inutile dire che, fino a quel momento, la parte di casa in questione non era stata sfruttata proprio da nessuno.
In una delle due camere da letto del secondo piano, appositamente resa più grande grazie ad un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile e, conseguentemente, anche più simile ad un locale, poco più di una quindicina di giovani donne ridevano senza sosta, tutte abbastanza brille.
C’erano Flor, Inés, Isabel, Leonor e Mercedes, le cinque ragazze con cui Margaret aveva fatto amicizia durante gli anni alla Scuola di Magia spagnola – giunte fino in Inghilterra per non perdersi il matrimonio della loro grande amica – che, accasciate su un bel po’ di sedie, davano mostra di tutta la loro ubriachezza; c’era Hermione, almeno lei sobria, ma che, stranamente, se la stava spassando alla grande; c’erano Cassandra, Angelina, Alicia e Katie che, stonatissime, cercavano di intonare con scarsissimi risultati la marcia nuziale; c’era Fleur, che aveva mandato tutto il suo contegno francese a farsi benedire, così come c’erano Anastasia, la fidanzata di John, Verity, la nuova commessa del negozio di Fred e George, e Giselle, la ragazza di Dorian, stese a terra a piangere dalle risate.
Per ultime, c’erano Abigail e Margaret, in condizioni più pietose che mai, e c’era anche Ginny, all’apparenza sobria, che si avviava, cercando di mantenere l’equilibrio, verso le due ragazze appena citate. Prese il braccio della cognata e lo sollevò in segno di trionfo, esclamando in modo solenne: < Gente, la sposa è ubriaca! >
< Non è vero! > protestò la suddetta, scoppiando a ridere nell’immediato, seguita a ruota prima dalla cugina e poi da tutta la compagnia.

Abigail si alzò e, sotto gli occhi curiosi delle presenti, prese un quadernetto dal cassetto del comò. Lo aprì, sfogliando rapidamente le pagine, fino a quando non giunse a quella che la interessava, dove erano cosparse delle annotazioni qua e là, così si schiarì la voce e richiese l’attenzione delle ragazze.
< Bene! > iniziò, facendo seguire a quella parola un lungo silenzio, rotto infine da nuove risate divertite. Una volta che fu riuscita a ritrovare un minimo di contegno, si sedette a gambe incrociate sul tavolo di quella camera/salone e cercò di iniziare un discorso che avesse quantomeno un po’ di senso.
< E alla fine, domani ti sposi, vecchia mia! >
< A quanto pare... > commentò Meg, ironica, beccandosi il quadernetto in piena faccia.
< Per Salazar, non vedevo l’ora di farlo! > ammise Abigail, attirando su di sé le occhiatacce della cugina, ma non preoccupandosene affatto, così continuò. < Comunque, da domani sarai la nuova signora Weasley, e ciò significa che, teoricamente, dovresti iniziare a fare la brava ragazza e tutte queste stronzate qui. Dal punto di vista pratico, invece, sappiamo tutti che non lo farai mai. Insomma, sarebbe come vedere John non lasciare le mutande in giro per il bagno o Andrew non fare il terzo grado a tutti i miei fidanzati: assolutamente impossibile >.
< Oh, espera un momentito, por favor! Andrés es tu hermano? > la interruppe Mercedes con fare sognante, facendo svolazzare la sua lunga chioma castana. Abigail sollevò il sopracciglio, infastidita, e volse lo sguardo attorno a sé, in cerca di una traduzione.
< E questa che vuole? Soldi? > domandò a Meg, che scosse la testa, ridendo.
< Ti ha soltanto chiesto se Andrew è tuo fratello. Sai, hanno flirtato abbastanza, questo pomeriggio... > riuscì a strascicare lei, al che la cugina divenne viola per l’indignazione.
“Quella. Mio fratello. Cristo.” fu l’unico pensiero che la sua mente riuscì ad elaborare in quell’istante. A parte gli insulti in tutte le lingue da lei conosciute, dialetto romano compreso1.
< Farò finta di non aver sentito. Comunque, come stavo dicendo, sarebbe impossibile vederti fare la mogliettina modello e adorabile. E, se proprio vuoi saperlo, ti preferiamo nettamente nelle vesti della vipera acida e insopportabile. Sì, insomma, sei molto più credibile così, quindi ti preghiamo di non farti intenerire eccessivamente da quegli irresistibili occhi azzurri, mia cara. Adesso, la mia comunicazione di servizio è terminata, e spero di riuscire, domani, a tirare fuori un discorso un po’ più decente. Per concludere, visto che questa è la tua ultima notte di libertà, hai diritto ad esprimere un desiderio > concluse Abigail, soddisfatta di essere riuscita a portare a termine più di una frase nello stato in cui si trovava, sotto gli occhi stupefatti di Meg, che iniziò a pensare a cosa poter chiedere. Fissò lo sguardo in quello della cugina, ed immediatamente la richiesta nacque spontanea, quasi come se fosse stata ovvia. Buttò giù l’ennesimo bicchiere di Whisky Incendiario, ed un sorriso compiaciuto le si impresse sulle labbra.
< Vorrei... Vorrei che tu andassi al piano di sotto e... baciassi George > disse, infine, lasciando Abbie a bocca spalancata, mentre tutte le altre ragazze iniziavano a bisbigliare tra di loro e a ridacchiare, incredule.
< Meg, io... non posso >.
< E perché mai? Vi riempite di occhiate dolci tutto il santo giorno, sarebbe pure ora! > si introdusse Ginny, che ovviamente era euforica al pensiero di poter avere anche lei come cognata.
< Io... non gliel’ho ancora detta, quella cosa, e mi sento una schifezza > ammise l’altra, scoraggiata, mentre un velo di tristezza coprì anche gli occhi di Meg.
< E allora va’ a parlargli, avanti. Ormai devi dirglielo, mancano solo due... Merlino, due giorni. Solo due... > commentò lei, rivolgendo alla cugina uno sguardo malinconico, che fu di incoraggiamento a quest’ultima per alzarsi dal tavolo ed oltrepassare la porta, diretta alla rampa di scale.

Il salone al pian terreno, così come la camera da letto del secondo piano, era stato reso ancor più spazioso grazie ad un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, tanto da poter accogliere nel maggiore del comfort una dozzina di ragazzi. Strano a dirsi, ma benché anche qui l’alcool non mancasse, non poteva di certo essere paragonato alle quantità industriali presenti qualche piano più su, e c’è anche da dire che i presenti sembravano reggere quel Whisky Incendiario in maniera molto più disinvolta delle signore.
Fred, da buon festeggiato, se così si può definire, continuava a riempire i bicchieri di tutti, stando attento, invece, a non esagerare con il proprio: voleva rimanere abbastanza lucido da godersi lo spettacolo imbarazzante che di lì a poco era sicuro si sarebbe svolto.
A fargli compagnia, c’erano George, stranamente sobrio, così come John ed Andrew, fratelli di Abigail, decisi a cavare il maggior numero di informazioni sulla sorella, e Dorian e Lancelot, altri due cugini di Meg; ma c’erano anche Lee, immancabile testimone dello sposo, e Oliver Baston, in tutto il suo splendore, con Frank, che ormai era quasi ad un passo dal fare coppia fissa con Cassandra, e Ron, Bill e Charlie, tornato dalla Romania qualche giorno prima per non perdersi il matrimonio dei suoi fratelli.
Naturalmente, mancava Percy, che non si faceva vivo da secoli. Anche se cercava di non darlo a vedere, a Fred questa cosa un po’ dispiaceva.
< Amico mio, ti dico una cosa: mia cugina sarà pure una rompiballe, ma è proprio il tipo di rompiballe che chiunque sia sano di mente vorrebbe sposare > iniziò Andrew, rivolto a Fred, dopo una lunga discussione di gruppo durata una buona ora. Il ragazzo era disposto ad ascoltare con interesse, così John prese la parola.
< Insomma, è vero: è così orgogliosa che non ti chiederà mai neanche uno zellino, e questa è una grande cosa, immagino. Dal punto di vista economico, con lei stai facendo un vero e proprio investimento: è così furba che riuscirebbe persino a farsi triplicare lo stipendio. E poi, nonostante il caratteraccio, è sempre disponibile, e sa anche essere dolce ed affettuosa. Per non parlare, poi, della sua lealtà incorruttibile: non ti tradirebbe mai, in tutti i sensi. Ottimo affare, amico mio! > commentò questi con convinzione, al che Fred annuì e sorrise, constatando che era tutto vero, mentre buona parte dei presenti iniziava a dare i primi segni di una leggera ubriachezza, contribuendo ad alimentare il sempre più alto vociare.
< Lo so, Jay, e mi fa piacere non essere l’unico a pensarlo! > disse il giovane, rivolgendo un’occhiata divertita a George, a cui era venuta in mente una domanda da porre all’altra coppia di gemelli presente in quella stanza.
< E Abigail, invece? Anche lei sarebbe da sposare? > chiese, quindi, godendosi il rapido mutamento di espressione dei due fratelli Thompson, rimasti evidentemente spiazzati. John si sistemò meglio sulla poltrona e si scolò rapidamente un bicchiere di Whisky, mentre Andrew pensava a cosa poter dire, improvvisamente a disagio: era pur sempre di sua sorella che si stava parlando.
Si passò una mano fra i capelli castani e sorrise in maniera impercettibile, dedicando poi tutta la sua attenzione a George, ancora in attesa di una risposta da parte sua o di John, che nel frattempo si era alzato per andare un attimo al bagno. Approfittando dell’assenza dell’altro, Andrew si sporse un po’ in avanti, così George fece altrettanto.
< Ho visto come la guardi, così come ho visto come lei osserva te. Ci mette un’attenzione ed una concentrazione mai vista in vita mia prima d’ora, e non so se esserne felice o se provare fastidio. Da un lato sono geloso, perché temo che qualcuno mi porti via la mia sorellina, ed ho anche paura, perché non voglio che soffra di nuovo, ma d’altra parte sento che mi posso fidare di te, e quindi anche lei può farlo. Mi stai simpatico, amico mio, e sai perché? Perché quando Abbie ti parla, i suoi occhi brillano, ed è in quel momento che capisco che in te potrebbe finalmente aver trovato ciò che ha sempre cercato. E sì, anche lei è il tipo di rompiballe che consiglierei a chiunque di sposare, e tu lo sapevi già da te > disse sinceramente, lasciando sorpreso l’altro, che non si aspettava una risposta tanto schietta e senza giri di parole. Andrew gli diede una pacca sulla spalla e, subito dopo, si servì da bere, mentre il fratello ritornava nel salone e cercava di capire se realmente c’era del tenero tra Abigail e George.
Circa una ventina di minuti dopo, George sentì qualcosa picchiettargli la nuca, così si voltò e si accorse che era un pezzetto di pergamena. Cercando di non farsi notare dagli altri, lo spiegò e gli rivolse una rapida lettura.


Devo parlarti. Non far capire nulla a Jay e Drew.
Abbie


Istintivamente, sorrise leggermente, volgendo poi una velocissima occhiata alla porta socchiusa del salone, dal cui spiraglio poté giurare di aver intravisto un paio di grandi occhi grigi richiamare la sua attenzione.
Con una scusa, si congedò dal resto dei presenti, dirigendosi poi verso la porta. Una volta che l’ebbe oltrepassata, la richiuse, e non si sorprese di ritrovarsi il viso di Abigail a pochi centimetri dal suo.
< Andiamo al piano di sopra > gli disse semplicemente, avviandosi in direzione della rampa di scale. Notando che barcollava, George la raggiunse velocemente e cercò di sorreggerla, lasciandosi però sfuggire una risata sommessa.
< Lascia, faccio io! > si lamentò lei mentre, con il suo aiuto, continuava a salire i gradini. Il ragazzo scosse la testa, divertito.
< Ma ti sei vista? Sei ubriaca fradicia! > constatò lui, che sapeva fin dall’inizio che sarebbe andata a finire così. Conosceva Margaret troppo bene, e da lei non ci si poteva di certo aspettare qualcosa di diverso. Il fatto che Abigail l’avesse assecondata in tutto e per tutto era a dir poco evidente.
< Stronzate, sto bene > ribatté lei una volta che ebbe raggiunto il piano superiore e si fu seduta per terra, contro il muro. Lui, quindi, le si inginocchiò di fronte e la fissò con interesse. Nonostante fosse in quelle condizioni, non riusciva a non trovarla estremamente deliziosa.
< Non lo metto assolutamente in dubbio, mia cara. Ci vuole molto di più di qualche litro di Whisky per mettere fuori gioco Abigail Darleen Thompson > disse, strappandole un enorme sorriso. Le prese una mano, notando quanto fosse piccola se messa a confronto con la sua, e vi poggiò un bacio sul palmo.
< Come procede, su? > le chiese, poi, ricevendo uno sguardo eloquente in risposta.
< Come vuoi che vada? Diciassette donne ubriache che fanno cose, ovviamente, da donne ubriache. E non sarebbe neanche tanto male avere uno spogliarellista, quindi se vuoi accomodarti... > rispose lei, facendolo sorridere, poi sospirò e riprese. < Poi c’è quella tipa lì, Mercedes, che Maggie afferma di aver visto flirtare spudoratamente con mio fratello Andrew. Quanto la detesto... > spiegò la ragazza, puntando lo sguardo sul muro di fronte.
< Sei soltanto gelosa, direi che è normalissimo > le fece notare George, iniziando a giocare con i suoi capelli. Lei sbuffò, contrariata, e lo fissò dritto negli occhi, ricavando quanta più lucidità le fosse possibile in quel momento.
< Non sopporto l’idea che mio fratello faccia l’idiota con quella lì. È un’oca! >
< Dovresti sopportarla, invece >.
< E perché? >
< Be’, tu di certo non sei un’oca, ma mi sembra che anche noi due flirtiamo spudoratamente, o sbaglio? > fece lui, al che cadde un improvviso silenzio, inframmezzato soltanto dal suono dei loro respiri. Abigail parve rifletterci per qualche minuto, gli occhi fissi sul pavimento, fino a quando le parole non le uscirono dalla bocca quasi automaticamente.
< E’ diverso... >
< Perché? >
< Perché mi sono innamorata di te > ammise, più a se stessa che al suo interlocutore, tanto che il suo sguardo era ancora perso nel nulla, a differenza di quello di George, piantato sulla sua nuca.

Delicatamente, le sollevò il viso, cosicché i loro occhi si incontrassero, e fu una frazione di secondo prima che lui la baciasse, che facesse incontrare le loro labbra attraverso quel semplicissimo gesto, lo stesso gesto che, in cuor suo, sapeva di dover compiere molto tempo prima, ignorando quello stato di confusione che, pochi mesi prima, gli aveva suggerito di non farlo.
Le prese il viso tra le mani, sentendo quelle di lei poggiarsi sulle sue e, successivamente, stringerle intensamente, quasi come se avesse avuto paura di lasciarle.
Una volta che ebbe interrotto quel bacio, Abigail lo fissò dritto negli occhi e capì che doveva necessariamente dirgli ciò che aveva tenuto nascosto durante quell’ultimo mese.
< Dopodomani parto > sussurrò, mentre un nodo di tristezza le si stringeva in gola. George rimase impassibile, ma nella sua testa iniziarono ad accavallarsi numerosi, forse troppi, pensieri, tanto che l’unica cosa che riuscì a dire fu: < Dove? >
< Belfast, in Irlanda. Devo completare il periodo di specializzazione lì, e non so quanto tempo ci vorrà... forse mesi, forse anni. Non lo so... > spiegò lei, affondando poi il viso contro la sua maglietta, ricevendo un abbraccio del quale sentiva di aver assolutamente bisogno. Sapeva che poteva tranquillamente rifiutarsi di partire, ma ciò avrebbe significato anche rinunciare alla carriera che sentiva più giusta per lei, e non sapeva se davvero fosse disposta ad una cosa simile.
< Dai, non... non sarà una cosa definitiva, no? Finirai e... tornerai, non importa quando... > cercò di rassicurarla lui, anche se quella notizia sembrava fargli più male che a lei. Lei annuì, anche se un po’ incerta, e gli si strinse di più.
< Lo so, però... c’è una guerra, e saremo lontani, e starò così in ansia per te, per voi... >
< Non ci accadrà nulla, vedrai. Quando tornerai, saremo ancora tutti vivi e vegeti, te lo prometto... >
< Non fare promesse che non puoi mantenere, George... > lo ammonì Abigail, scostando il viso e puntando nuovamente i suoi occhi grigi su quelli azzurri di lui. Il bacio che seguì fu totalmente diverso da quello precedente: era salato, come le lacrime che rigavano il viso di lei, e allo stesso tempo amaro, come la consapevolezza dell’imminente separazione che li attendeva.
Lei si alzò, tendendogli la mano, e lo abbracciò di nuovo, congedandosi.
< Adesso vai, però, che altrimenti qualcuno potrebbe insospettirsi troppo > gli disse, sorridendogli. Lui le diede un pizzicotto sulla guancia e annuì. Le baciò la fronte, e una volta che ebbe messo piede sul primo gradino, si voltò nuovamente verso di lei e ricambiò quel sorriso di prima.
< Vedi di stare lontana dal Whisky, che per oggi hai già bevuto abbastanza, eh? E di’ alla sposa di darsi una controllatina: domani ci serve perfettamente integra! > scherzò, anche se dentro stava morendo, e si avviò immediatamente al piano di sotto. Abigail rise tra sé, silenziosa, e si diresse al secondo piano, pensando che l’amarezza, forse, era momentaneamente da mettere da parte, ma non ne era tanto convinta.
< Ed ecco la nostra eroina! > la prese in giro la cugina, lanciandole contro un cuscino non appena ebbe messo piede in quella camera. Prese posto su una poltrona e vi ci sprofondò: ci sarebbe stata un’altra occasione per pensare.



1: Be’, Abigail ha vissuto a Roma per diversi anni, magari qualcosa del dialetto locale l’avrà pur imparata, no? E poi, non riesco a non immaginarla mentre urla in dialetto romano contro Mercedes. Sì, insomma, rientrerebbe perfettamente nel personaggio.


Angolo dell’autrice

Tre settimane D: Chiedo perdono!
Okay, finalmente Abigail ha mostrato i suoi reali sentimenti, ma c’è anche una brutta notizia, come avrete visto: deve partire.
Insomma, mi pare di avervi già detto che avevo intenzione di far passargliene passare di tutti i colori, a quei due poveretti, ed ecco mantenuta la promessa. La storia però è ancora lunga, quindi chissà cosa succederà più avanti... ;)
Non ho molto da aggiungere, sul serio. C’è troppo caldo per fare dei discorsi che abbiano un minimo di senso.
Il titolo del capitolo è del grande John Lennon, mentre la canzone in apertura è Eternally Missed, dei Muse.
Ringrazio chi segue/preferisce/ricorda la storia. :)
Un bacio,
Jules


Dal prossimo capitolo:

< Buongiorno bellezze! Il grande giorno è arrivato! > esclamò, ignorando le lamentele delle due ragazze. Scostò le lenzuola e le tirò entrambe a sedere, valutando poi i danni che quell’addio al nubilato aveva procurato. Dopo cinque minuti di ispezione, scosse la testa ed appellò due tazze contenenti un miscuglio all’apparenza poco raccomandabile, poi le invitò a berlo.
< Che roba è? > chiese Abigail, disgustata, dopo averne ingurgitato un sorso.
< Qualcosa per rimettervi in piedi, mi pare ovvio! Avete un aspetto terribile! Quante volte i vostri bei visini hanno avuto un incontro ravvicinato con il cesso, questa notte? >
< Tre > risposero all’unisono le due ragazze, continuando a mandare giù quella roba. Gloria alzò gli occhi al soffitto, mentre con un colpo di bacchetta faceva in modo che la stanza si mettesse in ordine.

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Capitolo 17
*** Something old, something new, something borrowed, something blue ***


Something old, something new, something borrowed, something blue


Something old, something new,
Something borrowed, something blue.
I've still got memories to cherish.
Just a word, just a sigh
Just I love you 'til I die,
I've still got memories to cherish.



Quella mattina, Margaret avrebbe fatto molto volentieri a meno di alzarsi dal letto. Si pentì immediatamente di aver bevuto così tanto, la sera prima: la testa era diventata pesante e dolente, e di sicuro le poche ore di sonno non erano state sufficientemente di aiuto per fare in modo che quella sgradevole sensazione di nausea scomparisse.
Con il viso affondato nel cuscino, poteva sentire perfettamente sua cugina mormorare frasi sconnesse e senza alcun senso, e per un attimo invidiò la sua straordinaria capacità di addormentarsi di colpo in qualsiasi circostanza.
Non aveva proprio il coraggio di guardare l’orologio: sapeva che di lì a pochi momenti qualcuno sarebbe venuto a svegliarle, ma sperava che quel momento arrivasse il più tardi possibile. Purtroppo per lei, non fu affatto così.
Passarono solo due minuti scarsi prima che Gloria Stevens spalancasse la porta senza tante cerimonie e scostasse le tende per far risplendere la camera della luce del sole.
< Buongiorno bellezze! Il grande giorno è arrivato! > esclamò, ignorando le lamentele delle due ragazze. Scostò le lenzuola e le tirò entrambe a sedere, valutando poi i danni che quell’addio al nubilato aveva procurato. Dopo cinque minuti di ispezione, scosse la testa ed appellò due tazze contenenti un miscuglio all’apparenza poco raccomandabile, poi le invitò a berlo.
< Che roba è? > chiese Abigail, disgustata, dopo averne ingurgitato un sorso.
< Qualcosa per rimettervi in piedi, mi pare ovvio! Avete un aspetto terribile! Quante volte i vostri bei visini hanno avuto un incontro ravvicinato con il cesso, questa notte? >
< Tre > risposero all’unisono le due ragazze, continuando a mandare giù quella roba. Gloria alzò gli occhi al soffitto, mentre con un colpo di bacchetta faceva in modo che la stanza si mettesse in ordine.
Una volta che Margaret ebbe terminato di bere quell’intruglio, incrociò le gambe e cercò di schiarirsi le idee. L’unica cosa di cui era sicura, in quel momento, era che quello sarebbe stato il giorno del suo matrimonio, e per un istante percepì un tuffo al cuore. Era passato solo un anno da quando lei e Fred avevano deciso di compiere il grande passo, ma durante quel lasso di tempo erano accadute così tante cose che aveva l’impressione che fosse passata un’eternità.
< Allora, capo: qual è il programma del giorno? > domandò a sua madre una volta che anche questa si fu seduta sul letto. Lei trasse un profondo respiro e fece un elenco mentale delle cose da fare, ed infine si rivolse alla figlia.
< Bene. I ragazzi stanno ancora dormendo in salone, ma fortunatamente sembrano essersi ridotti molto meglio rispetto a voi due > iniziò, e le due giovani poterono intuire un accenno di rimprovero nella voce della donna che stava loro di fronte. < Alexander è con papà, che verrà qui un’ora prima della cerimonia, con Arthur. Molly starà per arrivare, mentre il parrucchiere sarà qui tra una mezz’ora. Ho già svegliato le altre ragazze, anche loro in condizioni pietose, e ho già provveduto a dar loro quella roba lì. Tua madre, Abbie, arriverà a momenti. Per il resto, gli invitati arriveranno Merlino solo sa quando, ma dubito fortemente che i nonni non saranno qui al massimo tra tre ore > concluse Gloria, sperando di non aver dimenticato nulla. Subito dopo, incitò la figlia e la nipote a farsi una doccia e andò ad accogliere Molly e Regina, arrivate proprio in quel momento.

Circa mezz’ora dopo, la camera da letto era gremita di una dozzina di donne dai sedici anni in su, tutte “addobbate” da creme per il viso, pinze nei capelli e dalle più ridicole pantofole presenti sul mercato, mentre un parrucchiere più che mai confuso osservava con estremo interesse i lunghi capelli bagnati di Margaret, indeciso sul da farsi.
Il silenzio che aleggiava nella stanza venne rotto dal rumore di una porta spalancata e del flash di una macchina fotografica, azionato da dei diabolici Andrew e John Thompson e George Weasley, tutti e tre rigorosamente in mutande per la felicità di quel vasto pubblico femminile.
< Drew, di questa voglio una gigantografia da appendere fuori dal negozio! Attirerò il doppio dei clienti, ne sono sicuro! E poi, guarda le loro espressioni sconvolte: sono magnifiche! Ragazze, con quegli accappatoi e quelle creme gialle in faccia siete deliziose come dei bignè andati a male! > fece George, ghignante, scatenando le urla isteriche, furiose ed indignate di tutte quelle donne. E del parrucchiere, anche, dato che quello scherzetto gli aveva fatto perdere l’ispirazione.
< George Weasley, non osare! > esclamarono all’unisono Molly, Gloria, Meg, Ginny, Hermione e Abigail, più minacciose che mai, mentre quest’ultima avanzava puntando il dito contro i tre ragazzi. Andrew, per tutta risposta, scattò un’altra foto, scatenando le ire della sorella, che li mandò fuori dalla camera a calci nel sedere.
< VI SPACCO LA FACCIA > urlò nella loro direzione mentre li rispediva fino alla rampa di scale.
< Quanto sei ripetitiva... > commentarono i tre, infischiandosene di preservare la loro stessa salute. Tuttavia, Abigail pensò che non fosse proprio il caso di commettere un plurimo omicidio proprio il giorno del matrimonio di sua cugina, anche perché ciò avrebbe avuto come conseguenza la sparizione improvvisa di uno dei testimoni, dunque decise di lasciar correre e di continuare ad inveire contro di loro.
< Andate a sistemarvi, dannazione! Che fine ha fatto lo sposo?! >
< Dorme! >
< Come un angioletto! >
< Morgana maledetta, svegliatelo! > ordinò lei, tornando poi in camera e trovandovi una situazione decisamente più tranquilla di quella precedente, e notando anche che il parrucchiere si era finalmente messo all’opera. Una volta che ebbe finito acconciatura e trucco, Margaret sembrava veramente se stessa: il viso era luminoso come prima della sbornia, gli occhi erano stati messi in risalto e, quindi, parevano ancor più grandi, e le guance erano tornate rosee e sprizzanti di allegria. I capelli erano raccolti in un’elaborata acconciatura, adornata da dei fiori bianchi e dalla tiara di diamanti regalata da Fred quel Natale.
< Wow... > sussurrarono le donne presenti, colpite da quel lavoro complesso, e subito dopo si misero a turno per farsi dare una sistemata da quel pover’uomo, che quel giorno fece proprio miracoli, tanto che pesino Abigail, nonostante il taglio corto e poco gestibile, riuscì ad avere un’acconciatura degna della testimone della sposa.
Al termine di due estenuanti ore di lavoro, finalmente, erano tutte presentabili, così il parrucchiere fu liberissimo di darsela a gambe.
A quel punto, le quattro damigelle (la dodicenne Blanche era appena arrivata), così come Katie, Ginny, Hermione e Anastasia, si andarono a cambiare nell’altra camera, mentre Abigail indossava l’abito da cerimonia e Margaret si faceva aiutare da Gloria, Molly e Regina ad infilarsi nel suo vestito da sposa.

Una volta che il corpetto fu ben allacciato, un presentimento terribile pervase la giovane Stevens, che abbassò lentamente gli occhi sulla scollatura, decisamente più abbondante dell’ultima volta in cui aveva provato quell’abito.
< Oh, cazzo! >
< Margaret Eleanor Stevens, un po’ di contegno! > esclamò sua madre, tuttavia troppo concentrata su quel piccolo problemino per essere realmente indignata.
< E adesso che faccio?! > domandò, gli occhi sgranati che passavano in rassegna i volti delle quattro donne che le facevano compagnia in quel momento. Abigail, ad un tratto, scoppiò a ridere.
< A Fred non dispiacerà affatto, fossi in te non mi farei troppi problemi! > constatò, quindi, beccandosi subito un’occhiata torva da parte della cugina.
< Mi sento a disagio, capisci? Insomma, sono... >
< Enormi! Accidenti, da quando hai delle tette così grosse?! > si intromise George, che era appena entrato in camera senza degnarsi di bussare e teneva fissi gli occhi sgranati sulla scollatura della cognata, che divenne viola dalla rabbia.
< GEORGE! > urlarono le cinque donne in direzione del ragazzo, che distolse immediatamente lo sguardo e si colorò di rosso per l’imbarazzo.
< Ehm, sì, scusate, è che non me l’aspettavo, sapete... sì, meglio se sto zitto. Volevo solo dirvi che Des e papà sono arrivati, ed anche Vittoria, Julia, Paul e Dawson > disse, tenendo per sicurezza gli occhi il più bassi possibile. Abigail cercò più che poté di reprimere una risata.
< Okay, e mio figlio dove diavolo è? È pur sempre lui la causa di queste due cose enormi! > domandò Meg, un po’ meno irritata di prima, ma pur sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
< Che non dispiaceranno affatto a mio fratello, per la cronaca. Il pupo è con le tue nonne, che se lo stanno sbaciucchiando a dovere. Ora, con permesso, io andrei a dare una mano a quella povera gente al piano di sotto. Signore... > si congedò, con un mezzo inchino ironico, George, che poi, sulla soglia della camera, si rivolse ad Abigail e le mimò con le labbra un “sei bellissima”, prima di dirigersi al pian terreno.
Regina, d’altra parte, osservò attentamente l’abito della nipote, cercando di capire cosa si potesse fare per rendere quella scollatura un po’ meno appariscente, e subito dopo si mise al lavoro con la bacchetta. Alla fine, nonostante il corpetto fosse stato allentato, il tutto continuava ad essere decisamente evidente, ma nel complesso era abbastanza accettabile.
Meg decise di non volersi guardare allo specchio fino all’ultimo istante, quando avrebbe avuto addosso anche il velo ed il suo bouquet di rose rosse. Dunque, si sedette sul letto, mentre Abigail, così come gli altri testimoni, andava ad accogliere i primi invitati, e sua madre, Molly e sua zia andavano ad indossare i loro abiti.

Iniziò a pensare a quanto aveva aspettato quel giorno, a quanto ci aveva fantasticato su, e non solo nell’ultimo anno; a quante volte aveva sperato che tutto andasse per il meglio, che stessero tutti bene, mentre la Guerra, e tutto ciò che essa comportava, prometteva il contrario.
Ma lei, nonostante gli attimi di debolezza, non aveva mai smesso di avere fiducia, di sentire la speranza scorrerle nelle vene, ed in cuor suo sapeva che ciò non sarebbe stato possibile se al suo fianco non avesse avuto Fred, l’uomo a cui aveva deciso di regalare il suo passato, il suo presente e soprattutto il suo futuro, l’unico che l’avesse mai capita realmente e che fosse mai stato capace di darle qualcosa in cui credere, anche quando ogni cosa sembrava stesse per andare in frantumi. Sentiva che la sua vita era legata in maniera indissolubile a quella di lui, che ne dipendeva, che ne traeva sostentamento, ma non in maniera parassitica: era un mutuo soccorso, un continuo dare e ricevere, un non sentirsi mai soli, abbandonati a se stessi. Erano diversi, ma al medesimo istante erano anche la stessa identica cosa. Affini come due migliori amici, diversi come due amanti, e forse era proprio questo che faceva in modo che quel puzzle fosse completo, che non ci fosse alcun pezzo mancante.
Si lasciò trasportare dai suoi pensieri fino a quando non udì la porta chiudersi alle sue spalle, così si voltò e si trovò davanti sua madre, elegantissima ed estremamente bella nel suo lungo abito color argento. Questa le si sedette accanto, e solo allora Meg si accorse dell’album di fotografie che teneva in mano.
< Siamo nostalgici, eh? Credo proprio che questo vestito me lo presterai > scherzò la ragazza, facendo sorridere Gloria, che con un sospiro aprì la prima pagina dell’album. Sua figlia fece un enorme sorriso stupito non appena si accorse di cosa si trattava.
< Ma sono le foto del matrimonio tuo e di papà! >
< Proprio così. Le hai viste solo una volta, non è vero? >
< Avevo sei anni, già. Non me le ricordo neanche più! > ammise Meg, al che Gloria sorrise di nuovo. In un primo istante, guardarono le foto in silenzio, esaminando ogni saluto, ogni espressione felice, ogni singolo sorriso, e ad entrambe vennero i brividi al pensiero che fossero già passati ben vent’anni.
Margaret pensava che sua madre fosse bellissima, e solo in un secondo momento si accorse di quanto fosse simile a lei. Era tanto giovane da sembrarle quasi indifesa, nonostante quella luce che le brillava negli occhi, quella stessa luce che gli altri ritrovavano anche nel suo sguardo, ma che lei non aveva mai creduto di possedere.
In quelle foto, Gloria indossava un semplice abito bianco che ricadeva morbido dalla vita in giù, e le stava splendidamente. I capelli erano sciolti e vaporosi, ed incorniciavano perfettamente quel viso dolce e sprizzante di felicità. Nella storia della famiglia Wilson, probabilmente era la prima volta che un suo componente decidesse di presentarsi al proprio matrimonio sfoggiando una tale semplicità, e non c’era poi tanto da meravigliarsi che a farlo fosse stata proprio lei.
Desmond, d’altra parte, in ogni diapositiva non poteva fare a meno di sfoggiare la sua bellezza, ai tempi ancora acerba, ma pur sempre presente. Elegantissimo e vanesio nel suo smoking color carta da zucchero, non riusciva a frenare le mani dal toccarsi continuamente i capelli, e a nulla erano serviti i rimproveri di una giovanissima nonna Julia dai capelli super rossi, esasperata dalle manie di protagonismo del suo figlio maggiore.
Madre e figlia continuarono a sfogliare l’album in silenzio, fino a quando non arrivarono alla foto che Gloria aveva avuto intenzione sin dall’inizio di farle vedere.
< Ma qui ci siete tutti! Merlino, ma quanti eravate? >
< Be’, un bel po’. La vedi lei, accanto alla nonna? Era Athena, sua sorella, e questi sono suo marito e suo figlio > iniziò, indicando una donna sulla quarantina dai capelli scuri e gli occhi azzurri, identica a Vittoria, sorridente al suo fianco. < Qui, invece, ci sono i membri originari dell’Ordine: Dedalus, Emmeline, Marlene, Dorcas, Benjy, i Bones, Sturgis, Elphias, Kingsley, Hestia, Frank e Alice Paciock, Sirius, Malocchio, Remus, Lily e James Potter e... oh, Fabian e Gideon Prewett, i fratelli di Molly. Per un periodo hanno fatto una corte spietata a me e mia sorella, e puoi solo immaginare quanto ci divertivamo a dar loro false speranze. Volevo bene a tutti loro, sai. Il pensiero che buona parte di questa gente sia morta, e che nel mucchio potevo e potrei finirci anche io, o la mia famiglia, mi fa... riflettere > continuò, lasciando che il silenzio seguisse le sue parole. Margaret le prese una mano e la strinse tra le sue, e mai come in quell’istante si sentì così vicina a sua madre tanto da capire appieno cosa stesse provando.
La paura di perdere qualcuno a lei caro l’aveva attanagliata sin dall’inizio della Guerra, ma mai si era soffermata a pensare che sua madre, questa stessa paura, non solo l’aveva vissuta, ma l’aveva anche vista realizzarsi davanti ai suoi occhi. Aveva perso buona parte dei suoi amici, così come Molly aveva perso due fratelli e sua nonna una sorella, e non voleva immaginare il dolore che queste perdite avevano portato con sé.
Continuò ad indugiare sui volti della fotografia, e percepì un nodo stringerle lo stomaco alla vista di suo zio Matthew, talmente simile ad Abigail e così felice accanto a sua moglie e a due piccoli e pestiferi Andrew e John. Un’altra vita stroncata da qualcosa che nessuno di loro era stato in grado di controllare.
Un’altra cosa, però, attirò l’attenzione di Margaret, e stavolta si trattava di qualcosa di decisamente più piacevole. Sua madre e Molly Weasley erano l’una accanto all’altra e, sotto gli sguardi divertiti dei rispettivi mariti, si toccavano la pancia a vicenda. Mentre una lampadina sembrava accendersi nella sua testa, voltò la fotografia cercando di risalirne alla data, che una volta trovata recitava: 30 agosto 1977. E lei era nata il 19 maggio dell’anno dopo.
Alzò gli occhi sul volto della madre, sul quale si apriva un sorriso ancora più grande del suo.
< Aspetta un attimo. Ma tu eri... Voglio dire, voi... eravate entrambe incinte! > esclamò Meg, sentendosi estremamente stupida: come aveva fatto a non pensarci prima?
< La tua perspicacia mi commuove, tesoro > commentò ironicamente Gloria, dandole un pizzicotto sul braccio.

Continuarono a sfogliare l’album per un altro po’, ridendo dell’abbigliamento ridicolo di alcuni invitati o di questa e quell’altra cosa, fino a quando non vennero interrotte da qualcuno che bussava in maniera fin troppo entusiastica alla porta.
Senza aspettare un invito ad entrare, le nonne della sposa si precipitarono nella camera da letto, frenandosi appena in tempo dall’impulso di gettarsi addosso alla nipote. Mentre Julia la andava ad abbracciare, Vittoria rimase a debita distanza, ma non riuscì a nascondere in tempo che i suoi occhi si stessero inumidendo.
< Ho... Ho bisogno di un momento > bisbigliò, ma prima che riuscisse anche solo a muovere un passo la consuocera la tirò in mezzo a quell’interminabile abbraccio. Una volta che le due anziane signore si furono date un contegno, osservarono per bene Meg e procedettero con l’interrogatorio.
< Vediamo un po’... Qualcosa di nuovo? > iniziò Julia, al che la nipote comprese immediatamente dove si stava andando a parare. Con un gran sorriso, fece una giravolta.
< L’abito! >
< Qualcosa di regalato? > continuò Vittoria, e questa scenetta riportò alla mente di Gloria ciò che accadde il giorno del suo matrimonio, e all’ora di ritardo che tutta questa tiritera aveva avuto come conseguenza.
< La tiara e la collana! > rispose Meg, che trovava tutta quella situazione estremamente divertente.
< Qualcosa di blu? > si introdusse sua madre, così Margaret sollevò l’abito per mostrare la gamba sinistra.
< La giarrettiera, naturalmente! >
< Qualcosa di vecchio? E qualcosa di prestato? > concluse Julia, ma qui la ragazza sbarrò gli occhi, ricordandosi solo in quell’istante di non aver provveduto a quei due piccoli particolari. Tuttavia, le sue nonne le sorrisero amabilmente. Vittoria tirò fuori dalla borsa una spilla d’argento a forma di farfalla e cosparsa da piccole perle bianche: era molto antica, ma al tempo stesso bellissima. La appuntò al corpetto dell’abito di Meg, mentre un lieve pizzicore iniziava ad interessarle nuovamente gli occhi.
< Ecco qualcosa di vecchio. Questa spilla ha compiuto viaggi interminabili, e probabilmente è nata insieme alla famiglia Black stessa. Viene tramandata da secoli dalle nonne alle nipoti, cambiando cognome e appartenenza. Adesso è tua, e magari un giorno, quando sarai vecchia e in fase di raggrinzimento come me, la darai alla figlia di tuo figlio, e ti ricorderai di questa tua nostalgica nonna e di quanto ti ha voluto bene, anche se... anche se spesso non è riuscita a dimostrartelo come avrebbe voluto > concluse, e alle ultime parole percepì la voce incrinarsi, tanto che dovette sforzarsi di non piangere quando Margaret l’abbracciò di slancio, ricordandole che, nonostante la ben nota impazienza, le aveva sempre dimostrato ogni cosa. Una volta che la liberò dalla stretta, si voltò a guardare sua madre e l’altra nonna, anche loro commosse, e disse con semplicità: < Bene, ma adesso mi manca qualcosa di prestato! >
Non ebbe neanche il tempo di batter ciglio, che già Gloria le stava porgendo un paio di orecchini di diamanti, gli stessi che, a suo tempo, aveva indossato per il suo matrimonio. Li mise, ed in quell’istante si sentì come se ogni cosa fosse al suo posto.
Qualcun altro bussò di nuovo alla porta, ma questa volta aspettò un invito prima di entrare.
Quando Desmond aprì la porta, nonostante si fosse preparato psicologicamente poco prima, percepì un tuffo al cuore. Rimase in silenzio per qualche secondo, contemplando e studiando quegli occhi così identici ai suoi, dopodiché fece un grande sorriso e sospirò.
< Non vi smentite mai, voi quattro: siete sempre in ritardo! Dolcezza, Fred sta iniziando a pensare che tu abbia deciso di abbandonarlo sull’altare! > disse, scherzoso, ma le sue parole fecero allarmare le donne presenti nella stanza, che iniziarono a guardarsi intorno in cerca di un orologio. Notando che erano solo le due e mezza, Gloria lanciò un cuscino contro il marito, che non fu abbastanza veloce nel pararsi e che, dunque, se lo beccò in pieno viso.
< Davvero spiritoso, Desmond James Stevens! Manca ancora mezz’ora, e lo sanno tutti che la sposa ha diritto ad un’ora di ritardo, no? >
< Oh, ma certo, mia cara Gloria Demetra Wilson, ma sai... non credo che gli invitati gradirebbero, tu che dici? > commentò lui, facendo l’occhiolino alla figlia e lanciandole il bouquet di rose rosse che aveva dimenticato nell’altra stanza. Dopodiché, si mise a sedere sul letto e prese a rigirarsi le dita, così Gloria, Julia e Vittoria, capendo di essere di troppo, salutarono Meg e si diressero alla volta della spiaggia di fronte la villa, ormai gremita di più di un centinaio di invitati e perfettamente organizzata e decorata per l’occasione.

Desmond prese l’album di fotografie e se lo rigirò tra le mani, mentre un lieve sorriso gli si apriva sul viso. Quel 30 agosto del 1977 non poteva neanche lontanamente immaginare che quasi vent’anni dopo sarebbe stata sua figlia a compiere il grande passo, mentre lui avrebbe avuto come unico compito quello di restare a guardare la sua unigenita metter su la sua famiglia, facendolo sentire irrimediabilmente vecchio.
< Come ti senti? > le chiese, ricevendo in risposta uno sguardo abbastanza eloquente.
< Oh, io sto benissimo, papà! Tu ed il tuo colorito verdognolo, invece? Ce la farai ad arrivare a stasera senza aver prima vomitato addosso a mamma o alla nonna? > fece lei di rimando, gustandosi l’espressione contrariata di suo padre, che pareva stesse cercando le parole adatte per fare un bel discorso. Prese a sfogliare l’album di fotografie, e sorrise apertamente quando si ritrovò a guardare una foto che immortalava lui e Gloria abbracciati, così giovani e pieni di speranze.
< E’ impressionante quanto vi somigliate, tu e lei > constatò, e Meg non poté che dargli ragione, ma anche riflettere sul fatto che questa somiglianza fosse soltanto fisica. Caratterialmente, infatti, lei e suo padre erano più simili di quanto si potesse immaginare.
< Com’è stare insieme per... vent’anni? > domandò lei istintivamente, senza una ragione precisa.
< Hai dimenticato di mettere in conto anche quattro anni passati da migliori amici e sei da fidanzati, mia cara. Sì, sono trent’anni che sopporto tua madre e che lei sopporta me, precisamente dal nostro primo giorno ad Hogwarts. Ci incontrammo per la prima volta sull’Espresso, e devo ammettere che non fu una presentazione del tutto amichevole. Ero molto imbranato, e per sbaglio le inciampai addosso con il baule. All’apparenza sembrava una ragazzina del tutto innocua, con quei capelli ricci e lunghissimi e quegli enormi occhi azzurri, ma quel suo sguardo infuriato sembrava volermi fulminare. Però, quando le chiesi scusa, mi rivolse un sorriso più grande della sua faccia, e mi chiese se mi andava di sedermi al suo stesso scompartimento. Compresi che era una dei figli dei Wilson prima ancora che mi dicesse che sua sorella Regina frequentava il quinto anno ed era tra i Serpeverde. Be’, sai, guardava tutti con una certa superiorità... tutti, tranne me. Quando venne Smistata in Corvonero rimasero tutti un po’ spiazzati, ma io no, perché capii fin dalle prime parole che ci fummo scambiati che aveva qualcosa di diverso rispetto al resto della sua famiglia – bravissime persone, per carità, ma troppa puzza sotto il naso – e che era dotata di un’intelligenza e di un’acutezza straordinarie > iniziò a raccontare Desmond, e ad ogni parola gli occhi sembravano brillargli di una luce speciale. Margaret lo ascoltò in silenzio.
< Da quel momento in poi, feci in modo di parlare con quella ragazzina ogni santo giorno. Avevo paura di sembrarle troppo invadente, ma a lei faceva piacere che volessi vederla così spesso. Senza accorgercene, finimmo per passeggiare ogni pomeriggio insieme, per aiutarci con i compiti e le ricerche, per intrufolarci nella Sala Comune dell’altro, per, in poche parole, diventare migliori amici. Ora, tu e Fred vi conoscete da diciannove anni, siete cresciuti insieme, ne avete passate di ogni tipo, e dunque sai meglio di me come funzionano queste cose. Eccetto rare eccezioni, come te e George, ad esempio, credo che un’amicizia così stretta tra un uomo e una donna finirà sempre per tramutarsi in qualcos’altro > si fermò un attimo, scrutando il viso della figlia, che sembrava iniziare a comprendere quale fosse il filo conduttore di tutto quel discorso. Così, riprese. < Quello a cui voglio arrivare è che tu, Maggie, sai benissimo com’è stare con una persona per vent’anni, e questo matrimonio non è l’inizio di una vita insieme, ma soltanto il suo proseguimento. Fin da quando eravate piccoli, una parte di me mi ha sempre detto che sarebbe andata a finire così, e a quanto pare non si sbagliava. Diventare marito e moglie non cambierà assolutamente nulla. Ci saranno i momenti difficili, come ci sono già stati anche prima, ma quale coppia non ne ha? Ricordo ancora quando tua madre, offesa a morte per chissà quali ragioni, ti prese con sé e se ne andò dai Weasley per una settimana, vietando a Molly di farmi entrare. Eravamo sposati da poco più di un anno, ed è stato davvero tremendo, però poi è tornato tutto come prima. Be’, sai bene com’è fatta tua madre... > spiegò, e Meg, annuendo, tornò con la mente a qualche mese prima, quando aveva scoperto di essere incinta ed era scappata via di casa senza dare spiegazioni a nessuno, facendo preoccupare a morte Fred, che l’aveva cercata per ogni dove e che, una volta che l’ebbe ritrovata, sembrava abbastanza propenso a farle un predicozzo epico. Mai come in quel momento aveva ringraziato la sua innata capacità di farlo intenerire puntandogli addosso soltanto un paio d’occhi pentiti.
Ripensò a tutte le volte che avevano litigato, qualche volta per gelosia, qualche altra volta per delle stupide incomprensioni, ma constatò allo stesso tempo che poi, ogni cosa, si era sempre messa a posto, e che l’affetto che provavano l’uno per l’altra, e viceversa, era sempre stato più forte di ogni dissapore.

Meg e Desmond guardarono l’orologio, che segnava le tre in punto, e capirono che era arrivato il momento di andare. Tuttavia, prima di fare qualsiasi altra cosa, Margaret si rivolse nuovamente a suo padre e, rivolgendogli un grande sorriso, gli disse: < Sono costretta a farti notare che non mi hai ancora risposto: com’è dopo venti, o meglio, trent’anni? >
< Esattamente come il primo giorno > le rispose lui, ricambiando quel sorriso furbo. La aiutò ad indossare il velo e le porse nuovamente il bouquet, così Meg decise che finalmente poteva rimirarsi allo specchio. Non appena vide la sua immagine riflessa, trattenne il respiro, e dovette raccogliere tutte le forze che aveva per evitare che le lacrime iniziassero a fuoriuscire e quindi le rovinassero il trucco.
< Come... Come sto? > chiese a suo padre, diventato abbastanza emotivo – e anche rincoglionito, a dirla tutta – dal giorno della nascita del suo primo nipotino.
< Sei splendida > la rassicurò, sforzandosi di non commuoversi, e le tese la mano, che lei non esitò a prendere.
Ad aspettare fuori dalla porta, c’erano Angelina, Alicia, Cassandra e Blanche, le quattro damigelle, che, in quegli adorabili vestiti azzurri, appena videro Meg rischiarono anche loro di scoppiare in lacrime. Naturalmente, la precedettero, e Margaret sapeva già che la loro comparsa tra gli invitati avrebbe certamente rassicurato Fred, suggerendogli che la sposa stava per arrivare.
Desmond aiutò la figlia a scendere giù per le rampe di scale che conducevano al pianterreno, e quando vi furono giunti si soffermarono di fronte la porta di ingresso, consapevoli che, una volta che questa fosse stata varcata, la cerimonia non poteva fare altro che cominciare.
< Pronta? > le chiese lui, che stava per affrontare l’ultimo compito che gli spettava, ovvero accompagnarla all’altare. Margaret chiuse gli occhi per un istante ed annuì.
< Io sono nata pronta > affermò lei con sicurezza, e immediatamente dopo la mano di suo padre si posò sulla maniglia.


Angolo dell’autrice

Agosto. Non aggiorno da agosto. Merito il linciaggio, dovrei vergognarmi, ma giuro: ho le mie buone motivazioni! Da un lato la scuola guida, dall’altro lato la maturità, mettiamoci pure la quasi totale perdita di ispirazione per questa storia e siamo al completo. ç_ç
Non ho più neanche il tempo di dormire e respirare, sono distrutta, e per di più mancano 110 giorni agli esami, a breve dovrò iniziare a lavorare alla tesina... Oh cielo, non ce la faccio più, qualcuno mi salvi dal delirio.
Comunque, tornando alla storia... E’ il tanto atteso giorno delle nozze, in questo capitolo mi sono più focalizzata su Meg, perché... be’, perché è la sposa, e sappiamo bene che ai matrimoni si danno più attenzioni alla sposa, o sbaglio?
Allora, il titolo fa riferimento al classico “Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, ecc...”, e la canzone si intitola proprio Something Old, Something New, ed è dei The Fantastics, l’ho trovata molto carina! :)
Inoltre, mi sento di dedicare il capitolo ad una mia amica e lettrice che purtroppo non sta passando un bel periodo, nella speranza di averla fatta distrarre almeno un po’, per quanto ciò mi sia possibile.
Ti sono vicina, my dear.  

Allora, dato che è da parecchio tempo che non pubblico, vi ringrazio tutti singolarmente.

Angel_Mary, Beatris Humble, bridilepo, Brigida_WeasleyTwins, brunettes, ChiaraColfer95, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, Marianne_13, maryanne armstrong, Meissa Antares, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Spark_, Strix, Trillian_97, valepassion95, Vivi_AB, Wanttofly_, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;
EmmaDiggory15, JeckyCobain, Jilliana, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley, Meissa Antares, Trillian_97, Vivi_AB , che l’hanno inserita tra le preferite;
Leeyum_isMyBatman, maryanne armstrong, The grace of The Valar , che la ricordano;
Angel_Mary e Trillian_97 , che hanno recensito il capitolo precedente.

Suggerimenti e consigli per rendere più interessante la storia sono sempre bene accetti, così come le critiche costruttive, i pareri personali e qualsiasi altra cosa, e se volete fare due chiacchiere sono a disposizione. :)
Non so quando aggiornerò nuovamente, è inutile fare promesse se poi rischio di non mantenerle, ma nel frattempo spero di trovare qualche recensione, mi fareste davvero felice. :)

Un abbraccio enorme,
Jules

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Capitolo 18
*** Il 'per sempre' è composto da molti 'adesso' ***


Il “per sempre” è composto da molti “adesso”


And now it's clear as this promise
That we're making two reflections into one
Cause it's like you're my mirror
My mirror staring back at me, staring back at me


Fred, quel primo pomeriggio, era particolarmente, estremamente nervoso. Si era svegliato di soprassalto, agitato come non mai, e da quel momento in poi aveva avuto un solo ed unico pensiero: stava per sposarsi. Se, pochi anni prima, qualcuno glielo avesse detto, avrebbe certamente considerato quella persona pazza e delirante. Eppure, il momento era arrivato, ed era stato proprio lui a volerlo: era stato lui ad aver chiesto a Margaret di compiere il grande passo, così come era stato lui quello che per due mesi interi aveva riflettuto su come esporla, quella proposta, arrivando persino a preparare e stracciare centinaia di discorsi per riuscire a trovare quello finale, che tuttavia non l’aveva mai convinto del tutto, nonostante la sua ragazza fosse parsa entusiasta e commossa grazie alle sue stesse parole. Erano cambiate così tante cose che era diventato impossibile elencarle tutte.
Dopo aver indossato il suo smoking grigio scuro e tentato di dare una sistemata ai capelli, aveva deciso di smorzare l’ansia dell’attesa gettandosi letteralmente tra la folla che popolava la spiaggia di fronte Villa Orchidea, ottenendo l’effetto contrario. I continui complimenti dei presenti, con l’aggiunta delle lamentele di zia Muriel (< Ci scommetto il cappello che ti abbandonerà sull’altare, quella lì! >), non avevano fatto altro che renderlo più paranoico, tant’è che George e Lee, snervati da quella visione, avevano iniziato a ronzargli attorno come due mosche nel tentativo di distrarlo.
Poi, una volta che ebbero terminato di accogliere gli invitati, anche Abigail, Ginny, Hermione e Ron si erano uniti a loro.

< Per piacere, nessun commento su quanto gli stia bene la cravatta: gli procurerebbe una crisi di identità > commentò George non appena li vide arrivare. Stava giocando con Alexander, che intanto allungava le manine paffute in direzione di Fred, reclamando la sua attenzione.
< La mamma e Meg sono delle autentiche dittatrici. Queste donne mi uccideranno... > borbottò Fred, prendendo in braccio suo figlio e facendogli il solletico. George, a quel punto, sorrise eloquentemente ed esordì: < Sarà proprio per questo che, quando mi sposerò io, infliggerò alla mamma un bell’Incantesimo Petrificus finché non sarà tutto finito1. Ed anche a tua moglie, per sicurezza >.
Tutti scoppiarono a ridere, mentre il piccolo Alexander prese a fissarli con un cipiglio incuriosito. Tutt’un tratto, però, Abigail si incupì.
< Vostra zia mi odia. Muriel, mi pare > disse, al che Fred e George cercarono di reprimere una nuova risata.
< A te che ha detto? Io ho le braccia troppo esili, secondo lei > fece Ginny, come se fosse una cosa abituale, e in effetti lo era sul serio.
< Io, invece, avrei i capelli e gli occhi di colori non coordinati tra di loro > aggiunse Hermione, facendo sghignazzare Lee, che disse: < A me, invece, ha detto che dovrei abbronzarmi di meno! >
< E vi lamentate? A me ha detto che ho il naso storto! > esclamò Abigail, adesso un po’ stridula.
< Non prenderla sul personale, Abbie. Lei fa così con tutti, indistintamente > commentò Ron, anche lui vittima delle parole gentili della cara zietta.
Risero di nuovo, stavolta cercando con lo sguardo Muriel, ma ciò che Fred vide fu Gloria Stevens, seguita da Julia e Vittoria, uscire dal portone principale e dirigersi in direzione degli altri invitati, che stavano prendendo posto nelle file di sedie nei pressi dell’arco nuziale, decorato da un’infinità di fiori dai mille colori, attorno ai quali svolazzava una moltitudine di farfalle.
Poco più in là erano stati allestiti dei tendoni verde Tiffany, sotto i quali erano stati situati i tavoli per la cena, composizioni floreali e decorazioni di ogni tipo, e già da qualche ora i camerieri erano indaffarati nel mettere a posto gli ultimi dettagli ed iniziavano a servire le prime bevande ad alcuni invitati, assetati per via dell’alta temperatura di quel 3 luglio.
< Ho visto mio zio entrare in casa giusto qualche minuto fa, credo voglia parlare un po’ con Meg > spiegò Abigail con tranquillità di fronte allo sguardo interrogativo di Fred, ma il suo viso si tramutò in una maschera di ghiaccio non appena vide Andrew parlare e relazionarsi in maniera fin troppo allegra con Mercedes.
< Qualcosa da bere, signorina? > le chiese uno dei camerieri, al che lei annuì con vigore.
< Sì, tesoro. Un fottutissimo Brandy, grazie! > disse, senza staccare il suo sguardo omicida di dosso a suo fratello e alla sua nuova fiamma. Tuttavia, mentre iniziava a bere, due mani le si posarono di fronte agli occhi, così si voltò di scatto e, non appena si accorse a chi appartenevano, il suo volto si aprì in un sorriso enorme.
< Dominic! > esclamò, gettandosi al collo di un ragazzo dai capelli castano chiaro. Di fronte a quella scena, George divenne viola.

< Uno anche per me, grazie > disse, in un tono decisamente piatto, al cameriere.
< Cosa? > chiese questi, che si era distratto un momento.
< Quello che ha preso la signorina >.
< Il fottutissimo Brandy? Non preferirebbe un dannatissimo Whisky, o del maledettissimo Rum? >
< Fred, ma questo qui lo paghi per prendermi per il culo? >  

< Sarai pure più bella di prima, ma non ti ho ancora perdonata per quell’Eccezionale in Trasfigurazione! > disse Dominic ad Abigail, ricordando i non lontani tempi della scuola.
< Noto con piacere che ti rode ancora di aver preso un voto più basso del mio! Sei venuto per suonare? > gli chiese lei, notando solo in quell’istante la chitarra che il ragazzo portava con sé. Questi annuì.
< Sì, e devo proprio andare, gli altri mi stanno aspettando più in là >.
< Lascia almeno che ti presenti, non sai nemmeno... > iniziò la ragazza, ma George la interruppe.
< Tesoro, non vedi che va di fretta? Ci sarà tutto il tempo per questi convenevoli, più tardi > disse, quindi, prendendole la mano in modo tale che il ragazzo potesse notarlo e rivolgendogli uno sguardo eloquente, al che Dominic, un po’ imbarazzato, sorrise e si avviò. Abigail sospirò, mandò giù il resto del suo Brandy e, sorridendo, scosse la testa.
< Non sono neanche le tre, non dovresti iniziare a bere fin da ora > le fece notare George, che con il suo bicchiere in mano era davvero poco credibile. Lei si voltò nella sua direzione, fissandolo per qualche secondo e inarcando il sopracciglio destro. Poi, posò la mano sulla sua cravatta e la strattonò, avvicinandolo a sé e baciandolo subito dopo.
Non le importava se gli occhi di una buona parte degli invitati si fossero spostati su di loro. Che guardassero pure, pensò, e non se ne curò affatto: voleva soltanto sentire le labbra di quel ragazzo ed il loro sapore sulle sue, esattamente come era accaduto la sera prima. L’alcool appena ingerito aveva semplicemente dato la spinta che al momento mancava, quella stessa spinta che, diverse ore prima, l’aveva portata a dichiarargli i suoi sentimenti, a ridosso di quella scala, e che era stata complice segreta di uno dei baci più belli della sua vita.
Fred rimase a bocca aperta, così come Ginny, mentre Ron iniziò a commentare: < Miseriaccia, tutto ciò è ingiusto. Le più carine se le prendono sempre loro due >, indicando Fred e George, e ricevendo un’occhiata torva da parte di Hermione.
< Voi due. Prima vi odiate, e adesso? Accidenti, l’avevo detto a Margaret che non sarebbe finita bene! > scherzò Fred, ricevendo in risposta un gestaccio da parte del fratello, ancora impegnato a baciare Abigail. Quando ebbero finito, la sua espressione sognante era tutt’altro che rassicurante.
< Bella giornata, eh? > fece, infatti, guardandosi intorno con un sorriso ebete stampato in faccia, ignorando totalmente i volti diventati pallidi di Andrew e John.
< Ah, quanto è dolce la vendetta! > esclamò lei, che, volendo fare le cose proprio per bene, diede una sonora pacca sul sedere al suo accompagnatore, al che John frantumò il bicchiere che aveva in mano, Andrew si strozzò con l’Acquaviola e Regina, che aveva assistito alla scena da qualche metro più in là, divenne rossa per l’imbarazzo, iniziando a negare che quella fosse sua figlia.
< I miei occhi! Cos’hanno visto! I miei poveri occhi! Merlino, aiuto! Qualcuno me li cavi! > iniziò Fred, strizzando gli occhi e coprendo quelli di suo figlio, ma a fine frase non riuscì più a trattenersi, scoppiando in una fragorosa risata che contagiò anche gli altri.
Si calmarono solo nel momento in cui le quattro damigelle, eccitatissime e più sorridenti che mai, sfrecciarono sotto il portico e si posizionarono vicino all’ingresso, in attesa. Così, Ron ed Hermione andarono a prendere posto tra gli invitati, George con Abigail e Lee con Ginny occuparono i posti riservati ai testimoni e Fred, che adesso iniziava a sentire nuovamente un leggero nervosismo, affidò il bambino a suo padre e raggiunse l’arco nuziale, ricevendo fischi di approvazione da Bill e Charlie, sghignazzanti. Subito dopo, rivolse un grande sorriso a sua madre e a Gloria, sedute in prima fila, entrambe pronte a scoppiare in lacrime da un momento all’altro.
Fissò gli occhi sul portone di casa, e dovette trattenere il fiato nell’istante in cui lo vide aprirsi.

La prima figura ad uscire fu quella di Desmond, che, più biondo che mai a causa dei raggi riflessi del sole, teneva per mano sua figlia, che ancora non si decideva a farsi vedere. Dopo qualche secondo, finalmente, uscì, al che tutti gli invitati si alzarono in piedi, scambiandosi mormorii entusiasti e sporgendo le teste di qua e di là per poter guardare meglio la sposa.
Non appena fu partita la marcia nuziale, Margaret, seguita dalle quattro damigelle, iniziò ad avanzare sul tappeto rosso adagiato sulla sabbia, all’occasione livellata e resa solita come il cemento in modo tale che le scarpe non affondassero e che i vestiti non si sporcassero. Teneva stretto il braccio di suo padre, e volse lo sguardo attorno a sé, sorridendo radiosa a tutti gli invitati, fino a quando non posò gli occhi su Fred, che, improvvisamente, fu preso da una voglia matta di ridere. Tuttavia, non lo fece, dato che probabilmente il cerimoniere non l’avrebbe presa tanto bene. Cercò di restare tranquillo, ma Margaret, ai suoi occhi, era uno splendore: avanzava verso l’arco nuziale con eleganza e con una leggerezza tale che sembrava stesse fluttuando, con quel vestito che le stava di incanto, e quei gioielli che la facevano brillare come un diamante, mentre il suo sguardo emanava una luce capace di trasferirgli un’allegria a tratti incontrollabile. Lei se ne accorse immediatamente, così lo guardò in maniera divertita, comprendendo già da quell’istante che non ce l’avrebbero fatta a rimanere seri per tutta la durata della cerimonia. Entrambi sperarono con tutte le loro forze che i singhiozzi delle loro madri, già iniziati, fossero così rumorosi da coprire i loro sghignazzamenti.
La marcia nuziale terminò nell’esatto momento in cui Margaret arrivò all’arco nuziale, dove si separò da suo padre. Questi strinse la mano a Fred e, senza riuscire a trattenersi, guardandolo benevolmente gli disse: < Avrei dovuto dirtelo prima, ma meglio tardi che mai: se tu le spezzi il cuore, io ti spezzo le gambe >.
< Ehm, lo... lo terrò presente, grazie per avermelo ricordato! > rispose Fred con tranquillità, al che Desmond scosse la testa, sorridente, e diede un bacio sulla fronte alla figlia. Poi, mentre i presenti ridevano ancora per lo scambio di battute di poco prima, si sedette accanto a sua moglie, e Fred, d’altra parte, prese la mano di Meg e la baciò.
< Il trucco fa miracoli, Stevens: sembri quasi innocua > le sussurrò, ma anche questo fu ben udibile dagli invitati, che risero di nuovo.
< Attento, potrebbe sciogliersi da un momento all’altro > contrattaccò lei sfoggiando un mirabile ghigno beffardo, mentre gli occhi di lui caddero istintivamente sulla scollatura della ragazza. La guardò di nuovo e le rivolse un’espressione interrogativa, alla quale lei rispose scuotendo leggermente la testa. Il mago che doveva ufficiare la cerimonia, stanco di quel teatrino, si schiarì la voce, così da attirare finalmente l’attenzione.
< Signore e signori, oggi siamo qui riuniti per unire in matrimonio questi due giovani, desiderosi di renderci partecipi della loro felicità > iniziò, ma fu subito interrotto dai due sposi, che non riuscirono a trattenersi dal dire: < Che cosa commovente! >
< Non credevo di essere tanto sentimentale, sai? > commentò Fred, così Meg mise su un’espressione pensierosa e lo scrutò.
< Sì, in effetti mi chiedo ancora dove sia la fregatura > rispose lei, che con la coda dell’occhio notò che Abigail e George stavano ridendo silenziosamente.
< Mi faccio la stessa identica domanda ormai da anni. Sai, credo che noi due abbiamo tantissime cose in comune! Che ne diresti di conoscerci meglio? Dimmi quando sei libera, magari ti passo a prendere e ti offro qualcosa da bere! Conosco un posto molto... >
< Signor Weasley, signorina Stevens... Io starei cercando di sposarvi! Posso continuare, o ne avete ancora per molto? > sbottò il cerimoniere, richiamando la loro attenzione. I due ragazzi annuirono in silenzio, diventando paonazzi, ma la cerimonia poté riprendere solo dopo qualche minuto, poiché Margaret era appena stata colpita da un attacco di ridarella isterico che aveva coinvolto più della metà dei presenti. Dopo qualche profondo respiro ed un bicchiere d’acqua per la sposa, il mago poté riprendere da dove era stato interrotto.
< Merlino, dammi la forza > sospirò, poi continuò. < Vuoi tu, Frederick... ma dove sono gli anelli?! > chiese, stupefatto, al che Lee sobbalzò e portò i due anelli d’oro, leggermente imbarazzato.
“Morgana, sono uno peggio dell’altro...” pensò il mago, scrutando molto velocemente i quattro testimoni e, subito dopo, gli sposi.
< Vuoi tu, Frederick Gideon Weasley, prendere come tua sposa Margaret Sadie Eleanor Stevens, e promettere di amarla, rispettarla e sostenerla, nella buona e nella cattiva sorte, tutti i giorni della tua vita? >
< Mi scusi, ma credo si sia dimenticato di aggiungere anche un bel “sopportarla” > disse Fred, sfilando un anello dal cuscinetto, così Meg lo guardò torva e gli tirò un pugno sul braccio.
< Mi hai rubato la battuta! > si lamentò, sfoggiando un’espressione risentita, che si trasformò subito in un sorriso quando le infilò la fede.
< Lo voglio, ovviamente > fece lui, senza distogliere gli occhi da quelli di Margaret.
< E vuoi tu, Margaret Sadie Eleanor Stevens, prendere come tuo sposo Frederick Gideon Weasley, e promettere di amarlo, rispettarlo e soppor-, ehm, sostenerlo, nella buona e nella cattiva sorte, tutti i giorni della tua vita? >
< Lo voglio > rispose lei quasi in un sussurro, dato che la voce aveva iniziato a tremarle per l’emozione, così come le sue mani, che ci impiegarono qualche secondo in più per mettere l’anello al dito di lui. Il cerimoniere, con i nervi a fior di pelle, sollevò gli occhi al cielo, esausto.
< Ce l’abbiamo fatta, finalmente. Signore e signori, dichiaro quest’uomo e questa donna marito e moglie > disse, infine, sollevando la bacchetta sopra i due ragazzi, che, con il sottofondo degli applausi fragorosi degli invitati, e sotto una pioggia di petali di rose bianche e riso, si esibirono in un casquet degno di nota, che si concluse con tanto di bacio mozzafiato.
Si guardarono attorno, radiosi, e furono subito investiti da Molly e Gloria, che ancora piangevano.
< Le mie due piccole, adorabili pesti! > singhiozzò Molly, stritolando i due novelli sposi in uno dei suoi abbracci.
< Ehi, mamma, falli respirare: non vorrai ucciderli proprio oggi! > si intromise George, anche lui sorridente, mentre Abigail, al suo fianco, mostrava due occhioni arrossati e felici.
< E’ stata la cerimonia più divertente e allo stesso tempo commovente a cui abbia mai assistito > commentò la ragazza, abbracciando subito dopo la cugina e ricordandole per almeno un centinaio di volte quanto fosse bella quel giorno. Fred e Meg furono letteralmente assaliti da parenti e amici entusiasti, che non vedevano l’ora di congratularsi con loro e, soprattutto, con la sposa, che appena fu riuscita a trovare un attimo di tranquillità iniziò a guardarsi intorno, sospettosa.
< Dov’è finito il mio bambino? > domandò, al che in pochi secondi le sue nonne, anche loro con gli occhi arrossati, le portarono Alexander, che non vedeva l’ora di farsi mangiare di baci dalla sua mamma.

Parecchie foto e qualche ora dopo, gli sposi e gli invitati presero posto ai loro tavoli, gustando l’ottima cena che il servizio catering aveva preparato. Margaret fece addirittura il bis un bel paio di volte, probabilmente incitata dallo stesso Fred, che trovava a dir poco superflua la lotta che sua moglie stava portando avanti per riuscire a perdere gli ultimi due chiletti messi su durante la gravidanza. Alexander, d’altra parte, era incredibilmente tranquillo, e accettava di buon grado di farsi coccolare e di giocare con tutti, agitando le manine in direzione di chiunque passasse di lì per farsi prendere in braccio. Qualche tavolo più in là stavano seduti i quattro testimoni, che dovevano aver bevuto parecchi bicchieri di vino, o almeno così suggerivano le loro guance di un colore tendente al rosso. In un angolo dell’ampio spazio delimitato dal gazebo, la band di Dominic, The Ilegitimate Sons of Merlin, deliziava i presenti con una performance niente male di pezzi inediti e cover di altri artisti. Le occhiatacce di George, naturalmente, avevano distolto il ragazzo dall’ammiccare continuamente in direzione di Abigail, estremamente divertita a causa di quella situazione. Fred, però, notò che lei e suo fratello non si erano più scambiati nulla di più di qualche semplice abbraccio.
< Abigail ha baciato George davanti a tutti gli invitati, prima che tu arrivassi > disse a Meg, che quasi non si strozzò con il vino.
< Prego?! >
< Mi hai sentito benissimo, Pasticcino! E gli ha anche dato una pacca sulle chiappe, se proprio vuoi saperlo > aggiunse, gustandosi l’espressione sconvolta di sua moglie, che si riprese poco dopo e mise su un ghigno divertito.
< Avrei pagato pur di vedere le facce di Jay e Drew in quel momento! > commentò lei, immaginando già la scena. Fred rise tra sé e annuì.
< John ha frantumato un bicchiere > raccontò, ed entrambi scoppiarono a ridere, attirando su di loro lo sguardo incuriosito di Alex, tranquillissimo nel suo passeggino. Restarono in silenzio per un po’, guardandosi attorno e rivolgendo enormi sorrisi a tutti gli invitati, ma i loro occhi cadevano sempre su Abigail e George, che adesso si tenevano per mano da sotto il tavolo. Meg sospirò e posò lo sguardo sul suo bicchiere quasi vuoto.
< E pensare che fino a poco tempo fa si odiavano... Sono così carini, adesso. Credo che Gail si sia innamorata... > commentò, pensierosa, e percepì la mano di Fred stringere la sua.
< Anche George lo è, secondo me. Insomma, lui con noi non lo ammetterà mai, lo sai... Ma è sempre così euforico, e... si esalta per ogni cosa! È una gioia per gli occhi! > fece lui, versandole altro vino, e nel frattempo i camerieri iniziarono a portare via i piatti.
< Fred, stavo pensando... Quando credi di esserti innamorato di me? > domandò Margaret qualche minuto dopo, così Fred si fece pensieroso, mentre un leggero sorriso gli incurvava gli angoli della bocca.
< Quando, dici? Credo che i nostri invitati vorrebbero sentirla, questa storia. Tu che ne pensi? > disse, e prima che Margaret potesse bloccarlo, si era già lanciato in direzione della band, che smise all’istante di suonare. In quello stesso momento, tutti i presenti si voltarono in quella direzione, incuriositi.
< Ehi, cosa diavolo sarebbe questo coso? > chiese il ragazzo, colpendo in maniera diffidente il microfono con l’indice.
< E’ un aggeggio Babbano, serve per amplificare la voce > gli spiegò Dominic, divertito. Fred fissò nuovamente il microfono e, alla fine, scrollò le spalle.
< Parenti, amici, gente che i nostri genitori ci hanno costretti ad invitare... > fece una breve pausa, intercettando lo sguardo maligno di zia Muriel, < ...buonasera! Speriamo vi stiate divertendo, e vi invitiamo a non ingozzarvi troppo: sarebbe alquanto imbarazzante vedervi rotolare per la pista da ballo. Ora, mi scuso con Dom e con il resto della discendenza illegittima di Merlino per l’interruzione, ma la mia cara e adorabile consorte mi ha appena fatto una domanda abbastanza particolare, a cui voglio rispondere pubblicamente. Maggie, mi dispiace, ma non avresti dovuto vietarmi di scrivere le promesse matrimoniali, sapevi che prima o poi mi sarei vendicato, in qualche modo. E non provare a nasconderti sotto il tavolo, con quel vestito è già un miracolo se riesci a camminare > disse Fred, sorridendo in direzione di Margaret, divenuta rossa per l’imbarazzo ora che tutti la stavano fissando. Si vergognava al pensiero che i loro fatti divenissero di dominio pubblico, e forse era stato proprio per questo che era stata contraria fin dal principio alle promesse matrimoniali, che Fred, invece, aveva insistito tanto per fare, ricevendo ogni singola volta un secco rifiuto. Adesso, però, nessuno avrebbe potuto fermarlo, ed era convinto che alla ragazza, alla fine, la cosa non sarebbe dispiaciuta così come pensava.

< Meg mi ha chiesto di dirle quando credo di essermi innamorato di lei > riprese Fred, e dai tavoli degli invitati si levò un “oooh!” carico di meraviglia e sognante.
Sorridendo a causa di quella reazione generale, continuò. < Bene, vi racconterò una storia, ma per farlo dovremo tornare indietro fino all’anno 1984. C’erano una volta tre ragazzini pestiferi di soli sei anni. I due maschietti si chiamavano Fred e George, mentre la graziosissima bambina si chiamava Margaret. Questi tre ragazzini giocavano sempre insieme, e si volevano tanto, forse troppo, bene. Nonostante ciò, Fred e George erano molto dispettosi, ma Fred lo era ancora di più, e così si divertiva a fare innervosire la povera Maggie, rubandole le caramelle o facendole scherzi di continuo. Un pomeriggio di inverno, però, ci fu una terribile tempesta, ed i tre piccoli ed assolutamente innocui bambini si rifugiarono nel salotto di Casa Stevens, e stettero seduti sul divano di fronte al camino per ore, avvolti in pesanti coperte di lana. Quando George si fu addormentato, la piccola Margaret si voltò verso l’altro bambino e l’abbracciò forte, dandogli un enorme bacio sulla guancia. Non parlarono per una buona mezz’ora, fino a quando Meg non disse qualcosa che il piccolo Fred non riuscì più a dimenticare. Lei amava quelle fiabe Babbane, come... come si chiamano? La Bella Assopita, o Biancarosa e i sette gnomi... >
< Bella Addormentata, Fred! Ed è Biancaneve, e sono nani, non gnomi > lo corresse Hermione, ridendo, da uno dei tavoli. Fred le sorrise e le fece un cenno di approvazione.
< Tempestiva come sempre, Hermione! Grazie per la correzione! Cosa stavo dicendo? Ah, sì. Lei adorava tutta quella roba lì, dove c’era sempre quel tizio con le sue ridicole calzamaglie, un certo Principe Azzurro o che so io. Così, quel pomeriggio, con quella sua vocina acuta e adorabile gli disse: “Sei strano, Fred, ma è una cosa bella. Mi fai sempre dispetti, e mi rubi la cioccolata, e tu sai quanto mi piace la cioccolata, e per questo non dovresti farlo. E mi tiri i capelli, e anche se non mi fai mai male mi dà fastidio lo stesso. Però sei anche dolce, e mi difendi quando ne ho bisogno, e anche se non mi dici mai che mi vuoi bene, me lo dimostri sempre. Non assomigli affatto al Principe Azzurro di quelle fiabe che mi racconta la mamma, ma sai una cosa? Quel principe è proprio un cretino! Cosa ci trovano tutte, in lui? È un rammollito, e con tutti quei capelli biondi sembra una femmina! E poi, a me, i biondi non piacciono neanche! Be’, il mio papà è biondo, ma è il mio papà, quindi è bello per forza. Ma io non lo voglio, un principe idiota. Io voglio qualcuno come te, Freddie... Qualcuno che mi faccia arrabbiare, così poi fare pace è più bello.” > Fred si fermò un attimo, e guardandosi attorno poté constatare che tutta la fazione femminile sfoggiava degli occhi a cuoricino; Margaret, che ricordava perfettamente quell’episodio, riusciva a stento a trattenersi dall’istinto di nascondersi dietro la pianta più vicina, mentre sua madre, Gloria, si portò una mano al cuore, pensando a quanto avessero riso lei e suo marito, quel pomeriggio di tredici anni prima, origliando quel discorso alquanto bizzarro ma tenero al tempo stesso.
< Direi che non tutte le bambine di sei anni fanno discorsi simili, eh? È stata una delle cose più assurde che io abbia mai sentito in vita mia, e forse è proprio per questo che, già a quel tempo, mi colpì così tanto. Nello stesso istante in cui Meg finiva di parlare, un Fred Weasley in miniatura si diceva che, quella bambina, non l’avrebbe mai lasciata scappare via da lui. All’età di sei anni, certe cose non le capisci, ma adesso che ci ripenso, be’... è proprio da allora che sono innamorato di te, Pasticcino. Come vedi, da quel giorno sono passati, mese più, mese meno, tredici anni, e siamo ancora qui. Auguri a noi, bellezza > terminò Fred, ricevendo uno scroscio di applausi interminabili, il cui volume non fece che aumentare nello stesso istante in cui Margaret raggiunse suo marito e lo abbracciò. In fondo, non era stato così male, si disse.
< E tu, invece? Quando credi di esserti innamorata di me? > le sussurrò lui all’orecchio, facendola arrossire. Fino a poco tempo prima, probabilmente non avrebbe saputo trovare una risposta, ma essa adesso le si presentava così nitida e chiara che era proprio impossibile ignorarla.
< Ogni giorno, mi innamoro di te. Ogni secondo sempre di più, fin da quando eravamo bambini. Mi innamoro quando al mattino mi svegli odorandomi i capelli; mi innamoro quando, abbracciandomi, mi sussurri che andrà tutto bene; mi innamoro quando, con gli occhi chiusi, baci le mie dita; mi innamoro quando ti vedo sorridere mentre dormi; mi innamoro quando strofini il tuo naso contro la mia guancia; mi innamoro quando torni da lavoro e fai finta di non avere fame per non scomodarmi, e puntualmente il brontolio del tuo stomaco ti tradisce; mi innamoro quando mi fai ridere come non ho mai riso in vita mia; mi innamoro quando giochi con nostro figlio, non facendogli mancare mai neanche una carezza; mi innamoro quando balliamo e ti scusi continuamente, imbarazzato, perché mi pesti i piedi; mi innamoro quando i miei occhi incontrano i tuoi; mi innamoro quando le nostre labbra si sfiorano; mi innamoro quando mi prendi per mano, e il mio cuore inizia a battere forte, esattamente come il primo giorno. Semplicemente, mi innamoro continuamente di te perché sarebbe impossibile non farlo > bisbigliò Meg, la voce tremante a causa dell’emozione. Guardò suo marito negli occhi, notando con sorpresa la sua leggera ma scorgibile commozione, e gli carezzò dolcemente una guancia con la mano, che venne immediatamente presa da quella di lui, che ancora non riusciva a ritrovare le parole, limitandosi a rivolgere alla ragazza un sorriso immensamente grande.
La strinse nuovamente a sé, baciandola, capendo che in quell’istante le parole non sarebbero servite né tantomeno bastate, perché non esisteva parola al mondo che avesse potuto realmente esprimere il suo amore per quella donna e l’emozione di quel momento. Sciogliendo l’abbraccio, volse lo sguardo in direzione di sua madre e Gloria, che, naturalmente, erano diventate a tutti gli effetti due fontane, e nemmeno Arthur e Desmond riuscirono a far recuperare loro un minimo di contegno.

I quattro testimoni colsero l’occasione per abbandonare i loro tavoli e raggiungere gli sposi, che rivolsero loro degli sguardi diffidenti. Abigail prese il microfono e fece un gran sorriso, neanche avesse appena ricevuto il premio “Miglior Strega dell’Anno”.    
< Scusate l’intrusione, ma dobbiamo dire una cosa importante. Innanzitutto, vorrei rinnovare i miei migliori auguri a Fred e Maggie: siete splendidi, ve lo dico con il cuore, e vi meritate tutto il bene possibile; in questi cinque mesi, con me, siete stati ospitali, infinitamente gentili e adorabili, e non potrò mai ringraziarvi abbastanza > iniziò, abbracciando con lo sguardo i due sposi, che le sorrisero. Lee si fece avanti e le strappò il microfono dalle mani, attirando su di sé le occhiate assassine della giovane.
< Davvero carini, sì. Adesso, però, abbiamo una sorpresa per voi! >
< Ci sarebbe, in realtà, un regalo last minute da parte nostra > si intromise Ginny, che in risposta ricevette delle espressioni interrogative.
< Ladies and Gentlemen, ecco a voi... Willow! > esclamò George, e non appena schioccò le dita, una piccola elfa domestica si Materializzò davanti a loro. Aveva dei grandi occhi color ambra che si guardavano intorno con fare benevolo, cosa che la rendeva a tratti adorabile. George poté notare con la coda dell’occhio che Hermione, in lontananza, aveva iniziato a puntare la forchetta contro il tavolo. Probabilmente, tempo due minuti e sarebbe corsa a prendere le spille del C.R.E.P.A.
< Cucina, si occupa delle faccende domestiche e, all’occorrenza, fa anche da babysitter! Così tu, Meg, quando tornerai da lavoro non dovrai occuparti della casa, e tu, Fred, finalmente potrai chiedere da mangiare a tutte le ore del giorno e della notte senza rischiare una cuscinata in piena faccia >.
Margaret scrutò incuriosita l’elfa, mentre quest’ultima la fissava con espressione adorante, tant’è che la ragazza ben presto si sentì in difficoltà. Infine, le porse una mano, che Willow, quasi sul punto di scoppiare in lacrime per la contentezza, non esitò a stringere.  
< Assolutamente deliziosa! Credo proprio che Alexander stravedrà per te! >
< Willow ama i bambini! Willow ha accudito anche quattro gemelli tutti insieme! > squittì Willow, felicissima, facendo un profondo inchino ai suoi nuovi padroni ed ai testimoni e saltellando in mezzo agli invitati per andare a vedere Alex, momentaneamente affidato a Molly ed Arthur Weasley.
< Finalmente avrò i miei spuntini notturni > commentò Fred a mezza voce per non farsi sentire da Meg, con scarsi risultati, dato che ricevette un’occhiata torva da parte di quest’ultima.
Fred e Meg ringraziarono i loro testimoni, poi invitarono tutti i presenti ad abbandonare i loro tavoli per assistere al taglio della torta, eccentrica come era naturale che fosse. Quando tornarono sotto il gazebo, i tavoli erano spariti, e il loro posto era stato occupato da una grande pista da ballo, circondata da comodi divanetti colorati, tra i quali si aggiravano i camerieri con il loro immancabile rifornimento di bevande.
Gli sposi si recarono al centro della pista ed aprirono le danze su un lento, venendo poi seguiti dai testimoni e, poco dopo, dalla maggior parte degli invitati.
< Close your eyes... Let me tell you all the reasons why think you’re one of a kind…2 > iniziò ad intonare Dominic, mentre Fred e Margaret ballavano stretti l’uno all’altra, scambiandosi sguardi d’intesa.
< Sei stupenda > le sussurrò lui all’orecchio, sorridendo poi di fronte al rossore sul suo viso.
< Sì, anche tu non sei male > scherzò lei, facendogli l’occhiolino e lasciandosi stampare un bacio sulle labbra.
< You’re an angel dressed in armor... You’re the fair in every fight... >
< Guardali > mormorò Meg, volgendo una rapida occhiata ad Abigail e George, che volteggiavano allegramente a poca distanza da loro, sui volti stampate delle espressioni di pura gioia.
< Li adoro. Certo, mi piacevano di più quando se le davano di santa ragione, però anche così non sono male > commentò Fred, sorridendo ancor più apertamente non appena sua moglie gli dedicò uno sguardo tutt’altro che benevolo, che scomparve nello stesso istante in cui la strinse un po’ di più.
< It’s your beauty that betrays you... Your smile gives you away... Cause you’re made of strength and mercy... > continuò la band, accompagnando ogni loro passo ed ogni loro sorriso con quelle note.
Il lento fu seguito da canzoni più movimentate, cosa che rese particolarmente entusiasta la maggior parte dei presenti, che dopo un bel quantitativo di bevande alcoliche avevano voglia di scatenarsi e dare il meglio di sé.

< Ballare con questo abito è un incubo! > esclamò Meg una mezz’ora dopo, fermandosi per bere un bicchiere di Idromele. Fred la imitò.
< Ti suggerirei di toglierlo, ma non mi va che tutte queste persone vedano le grazie di mia moglie. Anche se credo che sarebbe l’occasione giusta per far prendere un colpo a zia Muriel > scherzò lui, ricevendo un’occhiataccia da sua madre, che, danzando, stava passando accanto a loro proprio in quell’istante.
< Guarda un po’ chi c’è! Oliver! > chiamò Fred, al che Oliver Baston li raggiunse in un secondo, rivolgendo un gran sorriso a Margaret.
< Voi due non vi conoscete, no? Meg, ti presento Oliver Baston, gioca come riserva nel... >
< Puddlemere United, lo so. Lieta di averti conosciuto, finalmente. Da come ti descriveva Fred, mi sei sempre parso più simile ad una leggenda metropolitana piuttosto che ad un essere umano. Sono contenta di sapere che esisti realmente > disse Margaret, e chiunque la conoscesse bene sapeva che questo era il suo modo preferito per iniziare una conversazione. Oliver le strinse la mano che gli porgeva.
< Tuo marito e tuo cognato, invece, mi hanno parlato moltissimo di quanto tu sia brava come Battitrice! Mai pensato di intraprendere questa strada? > le chiese a bruciapelo, al che lei arrossì, un po’ imbarazzata.
< Be’, non sono poi tutto questo talento, loro due tendono sempre ad esaltarmi, sai come sono fatti. Ci avevo pensato, in effetti, ma mi ritengo più attratta da quegli ambiti che richiedono uno sforzo mentale piuttosto che fisico. Anche se, confesso, non mi dispiacerebbe affatto riprendere mazza e manico di scopa, una volta ogni tanto. Sai com’è, la gravidanza non ti permette molte cose... > spiegò, quindi, giusto prima di voltarsi verso l’uomo che le aveva picchiettato la spalla.
< Mi sembrava strano che ancora non mi avessi chiesto un ballo! > disse, abbracciandolo. Nicholas Wilson era un uomo sui trentasette anni, abbastanza alto e fisicamente ben piazzato. I capelli erano scuri, mentre gli occhi erano incredibilmente azzurri, come quelli di tutta la famiglia Wilson. Diede un pizzicotto sulla guancia alla nipote e si rivolse a Fred.
< Spero non ti dispiaccia se ti rubo questo splendore per qualche minuto! Se vuoi, puoi ballare con Alexis, mia moglie, però sta’ attento: morde > gli disse con un tono molto allegro, indicando una donna biondissima e dagli splendidi lineamenti che teneva in braccio una bambina di circa un anno, anche lei dai capelli molto chiari.

< Jamie è bellissima, e Blanche ti somiglia moltissimo! > disse Meg a suo zio, tornando in pista. Lui sorrise.
< Blanche ha proprio un bel caratterino, dovresti vedere. Potreste perfino giocarvela per il premio “La più velenosa dell’anno”. Mia madre sarà veramente orgogliosa quando saprà che anche questa sua nipote l’ha presa come esempio! > commentò lui, lanciando un’occhiata divertita a Vittoria e Paul, che ballavano come due ventenni. Poi, guardò Abigail, che era avvinghiata a George in quello che doveva essere un lento, ma che in pratica era un abbraccio particolarmente entusiastico. Ballavano ininterrottamente da quando era partita la musica.
< Il tuo amico mi sembra fin troppo felice, appiccicato all’altra mia nipotina preferita > scherzò Nicholas, inviando un bacio con la mano ad Abigail, che fece finta di svenire per l’emozione. Risero entrambi.
< Fossi in te, mi preoccuperei più di lei che di lui. George è innocuo, in confronto. Piuttosto, come va lì, in Germania? >
< Non c’è male, direi. Siamo un po’ più tranquilli, sicuramente, anche se l’ombra della Guerra tormenta anche noi. Come va il lavoro? >
< Sono ancora in maternità, rientro a lavoro tra due settimane. Cassandra, una mia collega, mi ha detto che c’è stato tantissimo da fare, date anche tutte le sparizioni sospette degli ultimi tempi. Sarà un duro colpo, ritornare, però il dovere è dovere! > spiegò Margaret, sorridendo. Lei e suo zio ballarono anche la canzone seguente, ma ben presto anche altra gente venne a reclamare l’attenzione della sposa, così Nicholas andò a ballare con sua sorella Gloria, mentre Meg si fece trascinare un po’ ovunque per la pista da suo cugino Andrew, che pareva un tantino corrucciato. Margaret scoccò un’occhiata ad Abigail, ancora stretta a George, e si rischiarò di consapevolezza.
< Non ho potuto fare a meno di constatare che hai fatto colpo, Drew > iniziò lei, guardando con la coda dell’occhio Mercedes, che come sempre si stava lasciando andare un po’ troppo con l’alcool. Ricordava che, ai tempi della scuola e delle feste non autorizzate, erano sempre state loro due quelle a ridursi peggio a fine serata. Andrew fece un mezzo sorriso.
< Fascino inglese, che ci vuoi fare? L’ho sempre detto, io: le donne non resistono ad un bel made in Britain! > affermò lui in modo solenne, facendo l’occhiolino al gruppo di ragazze spagnole sedute sui divanetti nei pressi della pista da ballo; ragazze che, a quel punto, scoppiarono in risolini isterici e presero a tormentarsi convulsamente i capelli. Meg sospirò.
< Mercedes sarebbe capace di farsi sposare ancor prima che tu te ne possa rendere conto. È pericolosa, e le piace ingannare, quindi sta’ molto attento > lo mise all’erta lei, al che Andrew guardò di nuovo la ragazza di cui stavano parlando, e non poté non notare un qualcosa di poco rassicurante nella sua espressione. Scosse la testa e tornò a guardare la cugina, che lo fissava in maniera eloquente.
< Amore mio, ti dico una cosa: se mai mi sposerò, probabilmente lo farò dopo che tu avrai assistito al matrimonio di tutti i tuoi figli. Sono ben allenato, so schivare questi pericoli. Piuttosto, sapresti dirmi perché cazzo mia sorella non mi parla?! > domandò, stavolta, cercando Abigail con lo sguardo, ma non trovandola. Meg sollevò un sopracciglio.
< Sai, raggio di sole, se la smettessi di sbaciucchiare quella mangiatrice di uomini proprio davanti ai suoi occhi, forse potrebbe anche decidere di rivolgerti la parola >.
< Adesso è lei che fa l’offesa? Cosa dovrei dire io, piuttosto, che l’ho vista palpeggiare tuo cognato per tutta la sera? E chissà dove sono finiti, dato che sono spariti! >
< Sicuro che siano spariti? Guardati un po’ intorno... > fece Meg, trattenendosi dal ridere quando Andrew si girò di scatto e notò che sua sorella e George stavano prendendo da bere e chiacchieravano allegramente con Nicholas e Alexis. Il ragazzo divenne viola.
< Lascio stare Mercedes, allora? >
< Ti consiglio di sì, se hai un po’ di amor proprio. E comunque, ho sempre un po’ di amiche inglesi che potrebbero piacerti > disse lei con una strizzatina d’occhio, al che il cugino le diede un bacio sulla guancia e si diresse verso la sua folla di ammiratrici, che molto probabilmente ben presto avrebbero cercato di affatturarlo.
Margaret, nel frattempo, ballò con suo padre, con Arthur, con Frank, con i suoi due nonni, con Oliver, con Lee, con i suoi cugini Dorian e Lancelot, con suo zio Landon e con tutti i fratelli Weasley, tanto che alla fine i suoi piedi le imploravano pietà. Fred, d’altra parte, non era messo tanto meglio, dato che tutta la componente femminile della sua parentela e di quella di Margaret, nonne Vittoria e Julia comprese, gli aveva chiesto un ballo. Se a ciò si aggiungevano le sue vecchie compagne di scuola e qualche amica di Meg, era davvero la fine. Quando ebbe finito di ballare con Abigail, si guardò intorno e disse a gran voce: < Adesso posso stare un po’ con mia moglie? >
Tutti risero, ma lasciarono passare la sposa, che lo prese per mano e lo condusse nuovamente al centro della sala per un altro lento.
Qualche canzone dopo, arrivò il momento del lancio del bouquet, che atterrò tra le braccia di Abigail ancor prima che questa potesse anche soltanto vederlo partire.
La festa si concluse con uno splendido spettacolo di fuochi d’artificio, e pian piano gli invitati si congedarono e si avviarono per tornare alle loro abitazioni.
Gli ultimi ad andare furono i genitori degli sposi, la cui euforia non era sfumata neanche per un solo istante.

Mentre il servizio catering portava via le attrezzature, Willow mise a letto Alexander, e George ed Abigail approfittarono della distrazione di Fred e Meg, seduti e abbracciati in riva al mare, per sgattaiolare dentro casa.
Giunti in una delle camere al primo piano, Abigail si gettò sul letto e scalciò via le scarpe, esausta.
< Mi rifiuto di indossare nuovamente dei tacchi così alti per almeno due mesi. Questi matrimoni uccidono... > commentò, mentre George si sedeva sul bordo del materasso e le accarezzava i capelli, sciogliendo l’acconciatura.
< Ma almeno stavolta non sei stata costretta ad alzarti in punta di piedi per baciarmi > le ricordò lui, incrociando il suo sguardo e stringendole la mano.
< Non ce ne sarà bisogno neanche adesso > sussurrò lei, al che lui afferrò l’invito e si spinse sul letto, dando inizio ad una scia di baci la cui intensità ben presto divenne inversamente proporzionale al numero di vestiti rimasti loro addosso, fino a quando questi non furono scomparsi del tutto.
Nello stesso momento, due sagome si facevano strada fino al portone d’ingresso, varcato da Margaret in braccio al suo novello sposo, che continuò a trasportarla fino alla loro camera da letto, dove entrambi ebbero la convinzione che quella sarebbe stata una notte da non dimenticare.

I can see you lookin' back at me
Keep your eyes on me
Baby, keep your eyes on me


1: Come tutti sappiamo, nel libro è Fred, al matrimonio di Bill e Fleur, a fare questa battuta. Il matrimonio però è il suo (e a quello di Bill lui sarà già sposato, dunque non avrebbe avuto senso), quindi l’ho fatta dire a George... non potevo eliminarla, è fantastica!
2: La canzone su cui Fred e Meg ballano il primo lento è Close your eyes, di Michael Bublé, e mi è stata richiesta da una mia amica, che ci teneva particolarmente.


Angolo dell’autrice

Sono in ritardo? Oppure non lo sono? Be’, in teoria non ho detto nulla sulla data di pubblicazione, ma in pratica due mesi sono tanti, e faccio schifo, e dovrei vergognarmi, e fanculo me, fanculo la scuola, fanculo la maturità, fanculo Virginia Woolf che mi guarda minacciosa dalla pagina F157 del libro di letteratura inglese. Ma, lasciando perdere le mie crisi isteriche e andando oltre...
I piccioncini si sono sposati, yuppie! Insomma, non mi sono smentita e, anche stavolta, vi ho “regalato” cascate assassine e diabetiche di zucchero. Alle quali hanno contribuito anche George ed Abbie, tra l’altro... Questi due mi fanno sciogliere, non ci posso fare niente. *w*
Allora, ci sono parti del capitolo che mi soddisfano particolarmente e altre che invece mi fanno storcere il naso, quindi aspetto con ansia un parere da parte vostra, se vorrete darmelo. :)
Il titolo del capitolo, come potrete ben vedere, riprende quello della storia, ed è di Emily Dickinson, mentre la canzone in apertura è Mirrors, di quel gran figo di Justin Timberlake.
Ringrazio:
Angel_Mary, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, Brigida_WeasleyTwins, brunettes, ChiaraColfer95, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, FranChan, hufflerin, invisiblegirl__, JeckyCobain, maryanne armstrong, Meissa Antares, Perla_Bartolini, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;
EmmaDiggory15, FedeSerecanie, JeckyCobain, Jilliana, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley, Meissa Antares, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Zarael , che l’hanno inserita tra le preferite;
Azazel_, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, maryanne armstrong, Perla_Bartolini , che la ricordano;
Angel_Mary,  Meissa Antares, Trillian_97 e IpseDixit, che hanno recensito il capitolo precedente. <3
Anche se in ritardo, io ed il mio mega uovo della Lindt vi facciamo gli auguri di Pasqua e vi auguriamo un buon 25 aprile e 1 maggio. <3
Un abbraccione,

Jules, i quintali di caffè che la fanno andare avanti e la tesina di cui attualmente esiste solo 1/6 del totale (noncelapossofareaiuto)


Dal prossimo capitolo:

Lui, quella luce intensa ed accecante, l’aveva inseguita, correndo a perdifiato per quel sentiero ripido e tortuoso, e per un glorioso momento gli era parsa talmente vicina da credere che ormai l’avesse raggiunta, persino sfiorata. Ma era stata tutta un’illusione. Quella luce si era spenta, lasciandolo confuso, al buio, senza bussola. E, naturalmente, non riusciva a smettere di pensare che una parte di quella colpa fosse anche e soprattutto sua.

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Capitolo 19
*** Ci sono abbracci che sentirai addosso per una vita intera, e di cui avrai nostalgia per sempre ***


Ci sono abbracci che sentirai addosso per una vita intera, e di cui avrai nostalgia per sempre
 

Now Take a look at me now 
'Cause that's just an empty space
But to wait for you is all I can do
And that's what I've got to face
Take a good look at me now
'Cause I'll still be standing here
And you coming back to me is against all odds
It's the chance I've got to take


Fred Weasley era sveglio da circa un’ora, quella mattina, e teneva il volto affossato sul cuscino, mentre la luce del sole entrava dalla finestra della camera da letto e gli riscaldava la schiena. Al suo fianco, Margaret russava tranquillamente, ignorando di essere proprio lei la causa del risveglio anticipato di suo marito. Questi, lasciandosi guidare da un istinto vendicativo, si girò sul fianco e le si avvicinò, accarezzandole la spalla e baciandole il collo. Quando vide che sul suo viso iniziava ad accennarsi un sorriso, le diede uno spintone, buttandola giù dal letto e facendola atterrare sul vestito da sposa, malamente gettato sul pavimento quella stessa notte.
La ragazza saltò in piedi con uno scatto ed iniziò a guardarsi attorno, spaventata, impugnando immediatamente la bacchetta poggiata sul comodino. Non appena si accorse che era stato proprio Fred a svegliarla in tal modo, per un istante parve che il fumo stesse per uscirle dalle narici.
< Ma buongiorno, amore! > le disse lui, rivolgendole un ghigno beffardo che la fece infuriare ancora di più: d’altronde, pareva proprio si fosse specializzato in quest’arte.
Nonostante Meg avesse voluto affatturarlo seduta stante, si costrinse a posare la bacchetta al suo posto; subito dopo, afferrò con una velocità impressionante il cuscino, apprestandosi a guardare Fred con un luccichio negli occhi.
< L’hai voluto tu > soffiò, prima di saltargli addosso e riempirlo di cuscinate assassine. Tuttavia, le sue intenzioni non andarono a buon fine, in quanto il ragazzo, ben presto, riuscì a strapparle il cuscino dalle mani e a bloccarla sotto il suo peso. Le spostò i capelli dal viso e le posò un bacio sul naso, giocando con la bretella del reggiseno.
< Hai appena attaccato un povero uomo indifeso, Stevens. Sai cosa significa? > le domandò, sorridendole in maniera eloquente. Lei non ebbe neanche il tempo di rispondere: stava già iniziando a ridere e a scalciare a causa del solletico, che soffriva terribilmente, come lui aveva avuto modo di constatare nel corso di quei diciannove lunghi anni. Cercò di prendergli le mani e bloccarlo, ma ogni tentativo era vano: era talmente scossa dalle risate da non riuscire a fare più nulla.
< No, Fred! No. No! Il solletico no, ti prego! > urlò lei, che adesso cercava di combattere anche contro il singhiozzo. Lui rise a sua volta.
< Te la sei cercata, Pasticcino! >
< Smettila! Fred, no! Basta. Fred, ti ho detto... Oh, così va molto meglio... > commentò Margaret, dato che Fred aveva appena smesso di sottoporla a quella tortura e adesso aveva iniziato a baciarle la pancia, salendo poi più su fino alle spalle e al collo, mentre le sue mani erano occupate a togliere di mezzo i pochi indumenti rimasti addosso. Lei chiuse gli occhi, perdendosi in quel piacevole oblio.

***

Abigail non riusciva a riprendere sonno. Fissava il soffitto, mentre George, ancora addormentato, era stretto a lei, con il capo posato sul suo petto e le braccia circondate attorno ai suoi fianchi. Continuava ad accarezzargli i capelli; quei capelli che, nel ricordo di quella notte, ancora vedeva sfiorare il suo viso, mentre la bocca di lui era troppo impegnata a lasciare baci che le bruciavano la pelle. Credeva di poter vedere di nuovo quelle mani che la sfioravano, i suoi occhi che la accarezzavano con dolcezza mentre consumavano avidamente quella notte d’amore, e soprattutto pensava di poter sentir risuonare nelle orecchie quel “ti amo”, che lui le aveva sussurrato poco prima di addormentarsi e che altro non aveva fatto che rendere più amara quella partenza che minacciava di separarli.
Non si era mai sentita così viva come in quelle ultime ventiquattro ore. Aveva cercato di imprimere ogni immagine nella sua memoria, in modo tale da sentirsi meno sola una volta lontana da lì. Sentiva che il tempo era trascorso troppo velocemente, e non faceva altro che rimpiangerne quello sprecato.
Mentre contemplava la spruzzata di lentiggini sul viso del ragazzo che le dormiva addosso, non riuscì a pensare ad altro che all’ingiustizia di tutta quella situazione. Aveva finalmente ritrovato la serenità che aveva perso, era riuscita ad innamorarsi di nuovo, stavolta di qualcuno disposto ad ascoltarla per davvero, e proprio quando ogni pezzo del mosaico sembrava stesse andando correttamente al proprio posto, ecco che l’imprevisto di turno rovinava tutto, polverizzava il pavimento sotto i suoi piedi.
Doveva partire, ma non era più così sicura di volerlo fare per davvero. Non riusciva a sopportare il pensiero che di lì a poche ore avrebbe dovuto salutare quelle tre persone che l’avevano accolta a braccia aperte e che avevano fatto in modo che lei fosse nuovamente felice, nonostante sapesse perfettamente che terminato il corso avrebbe fatto di tutto pur di ritornare nuovamente lì. Ma c’era anche la Guerra, e con essa la paura di non poter più rivedere quegli occhi tanto familiari, così comprensivi; quegli stessi occhi che la fissavano, assonnati e curiosi, in attesa che lei si accorgesse di loro.
< A cosa stai pensando? > le chiese George, facendola sobbalzare. Lei gli posò una mano sul viso e con l’altra continuò ad accarezzargli i capelli. Rimase in silenzio per parecchi secondi, forse anche qualche minuto, fino a quando non si decise ad incrociare il suo sguardo, ancora più insospettito.
< Non voglio più partire > bisbigliò, sentendo la sua voce tremare pericolosamente. Il ragazzo si staccò da lei e si sollevo un po’, in modo tale da poterla guardare meglio. Notò che aveva gli occhi lucidi, mentre la mano che prima gli accarezzava i capelli adesso aveva iniziato a torturare il lenzuolo. L’abbracciò di nuovo, poggiando la fronte contro la sua ed accarezzandole una guancia con il pollice.
< Invece, è importante che tu parta, Abbie. Farai quel dannato corso, non importa quanto tempo ci vorrà, e poi tornerai qui... Io non vado da nessuna parte, te lo prometto > le sussurrò, al che le lacrime, nonostante lo sforzo di trattenerle, presero a rigarle il volto.
< Non... Non voglio perdere anche te... > riuscì a dire Abigail, stringendosi ancora più forte a lui, quasi come se avesse avuto paura che qualcuno glielo stesse per portare via da un momento all’altro. George le baciò il viso più volte, esattamente nei punti che erano stati bagnati dal pianto, poi si soffermò sulle sue labbra, tornando a fissarla negli occhi.
< Non succederà, intesi? > mormorò lui, strappandole un debole sorriso che lo rincuorò.
< Devi giurarmi che ti terrai fuori dai guai e che eviterai ogni pericolo mortale > affermò Abigail con un certo cipiglio minaccioso. Lui annuì.
< Ci proverò, mia oscura signora > scherzò, per poi baciarla e stringerle entrambe le mani nelle sue. Prima che potessero anche solo riprendere fiato, però, un urlo, che somigliava tanto ad un “NO!”, echeggiò da una stanza vicina. Entrambi si misero a sedere di scatto sul letto e si scambiarono sguardi ansiosi.
< Che cos’è stato? > domandò Abigail, impugnando la bacchetta. George la imitò.
< Proveniva dalla camera di Fred e Meg > constatò quest’ultimo, scendendo giù dal letto ed infilandosi una vestaglia. La ragazza lo imitò e si avviò per il corridoio, fermandosi di fronte alla camera da letto di sua cugina. Con la bacchetta ben levata, aprì di scatto la porta, pentendosene immediatamente dopo. Ben presto, per la casa risuonarono le voci di tre persone diverse.
< MORGANA MALEDETTA! > strillò Abigail, portandosi una mano davanti agli occhi: aveva visto abbastanza.
< AAAH! > gridò Fred, stordito e confuso.
< NON SI BUSSA?! > urlò Margaret, diventata rosso pomodoro per la vergogna. Si infilò una vestaglia appena in tempo, perché George si apprestò anch’egli ad entrare in camera, perplesso.
< Ma che cazz... >
< Scusate, scusate! Pensavamo fosse successo qualcosa, ci siamo preoccupati! > tentò di giustificarsi Abigail, che ancora si rifiutava di aprire gli occhi, imbarazzatissima; il trauma procurato dall’aver visto sua cugina e suo marito in atteggiamenti molto intimi l’avrebbe tormentata per diverso tempo, ne era sicura.
George, intuendo cosa fosse appena successo, scoppiò a ridere come un matto, mentre suo fratello lo guardava torvo e si sistemava meglio le lenzuola addosso. In un batter di ciglia, anche Willow, con in braccio un furente Alexander, si unì a loro, perplessa.
< Willow ha sentito delle urla, padrona, ed è venuta a controllare che i signori stessero bene! > comunicò, gli occhi ambrati che sporgevano sempre di più. Meg fece un sorriso e prese il bambino.
< Tutto bene, Willow, grazie. Solo un piccolo inconveniente, non preoccuparti > la rassicurò, lanciando occhiate di fuoco a sua cugina, che abbassò immediatamente lo sguardo al pavimento.
< Willow ha preparato la colazione, padrona, prima che il padroncino si svegliasse! > aggiunse la piccola elfa, adorante. Fred cercò di reprimere una risata alla vista dell’espressione sbalordita di sua moglie.
< Sei stata gentilissima, grazie. Cinque minuti e siamo giù > le disse il ragazzo, riuscendo a rimanere serio. Willow fece quattro inchini ed uscì dalla stanza, felice che i suoi nuovi padroni le fossero riconoscenti. Margaret, divertita, fissò George, che aveva appena richiuso la porta.
< Ma dove l’hai trovata? È adorabile > gli chiese, stupefatta, al che il cognato scrollò le spalle e si sedette sul bordo del materasso, contemplando il soffitto.
< Non lo saprai mai... A meno che non vogliate raccontarmi che cosa stavate facendo prima che Abigail irrompesse in camera vostra > rispose, ghignante, beccandosi una scarpa in piena faccia. Nonostante tutto, però, Meg sorrise: George non sarebbe cambiato mai.

 
***

La colazione era terminata da un pezzo, e Abigail, tra enormi sforzi, aveva preparato tutti i suoi bagagli. Era nel salone, di fronte al camino, e cercava le parole giuste da dire alle tre persone che, in quel momento, erano con lei in quella stanza. Margaret aveva gli occhi lucidi, e cercava di non darlo a vedere vagando attorno a sé con lo sguardo, mentre Alexander si agitava e cercava di acchiapparle alcune ciocche di capelli, che in seguito alla gravidanza avevano smesso di essere mossi come un tempo; Fred le cingeva la vita, sorridendo in maniera comprensiva ad Abigail, quasi come se avesse voluto rassicurarla; George, invece, non riusciva a guardarla.
Teneva gli occhi fissi sul pavimento, pensieroso, e ogni tanto li spostava alla finestra, oltre la quale il sole splendeva più accecante che mai, riscaldando la temperatura. Si sentiva una schifezza, ma non c’era proprio nulla che poteva fare. Sapeva di dover mascherare il suo stato d’animo dietro al classico sorriso, e così avrebbe fatto, non importava quanta fatica questa messa in scena gli fosse costata.
< Be’... Credo che... Sì, devo andare > disse Abigail, rendendosi conto che più tempo passava, più diventava difficile dire addio. Sua cugina, senza esitare, la raggiunse e la strinse in un abbraccio, ed il volto di entrambe ben presto fu completamente rigato dalle lacrime.
< Sta’ attenta, d’accordo? >
< Anche tu. Tieni gli occhi aperti > rispose la più giovane delle due, sciogliendo l’abbraccio e dando un bacio ad Alexander, che le rivolse un sorriso enorme ed iniziò a tendere le manine verso la sua faccia, nella speranza di prenderla. Fred l’abbracciò a sua volta, ricordandole che si sarebbero rivisti ancor prima di quanto potessero immaginare, al che lei annuì. Poi, fu George ad avvicinarlesi.
Si guardarono per qualche istante, poi lei gli si gettò tra le braccia, lasciandosi stringere e sussurrare frasi all’orecchio, ma era così concentrata nell’estrapolare tutta la bellezza di quell’abbraccio per farla sua da riuscire a cogliere solo una piccola parte di quelle parole. Con un nodo stretto in gola, incrociò il suo sguardo, cercandovi la forza per affrontare quella partenza. Si alzò in punta di piedi e lo baciò, lasciandosi asciugare le guance. Posò la testa nell’incavo tra il collo e la spalla di lui e inalò a pieni polmoni il suo profumo, nella speranza che esso rimanesse impresso nelle sue narici, pronto a farle compagnia insieme al ricordo di quegli occhi azzurri che la fissavano intensamente, che volevano farle sapere che il loro proprietario sarebbe rimasto con lei, benché non fisicamente.
< Mi mancherai > bisbigliò lui, in modo tale che nessuno potesse sentirlo, a parte lei, che annuì e si apprestò ad asciugare delle nuove lacrime.
< Anche tu > affermò, accarezzandogli il viso e lasciandolo andare. George l’aiutò a sistemare le valigie all’interno del camino, poi si allontanò, non volendo trattenerla ancora più a lungo. Sapeva che ogni secondo in più trascorso portava con sé solo altra sofferenza. Abigail prese un po’ di Polvere Volante ed entrò anch’ella nel camino, accennando un lieve sorriso.
< Vi scriverò il prima possibile! > li rassicurò, ma nessuno ebbe il tempo di risponderle: le fiamme verdi l’avevano già avvolta, facendola sparire alla stessa velocità con la quale, pochi mesi prima, si era presentata nelle loro vite.
Senza proferire parola, né tantomeno guardare nessuno, George si diresse a grandi passi fuori, sbattendo con forza la porta di ingresso. Si fermò soltanto quando, finalmente, ebbe raggiunto la riva, gettandosi senza tanti complimenti sulla sabbia bagnata. Si passò una mano tra i capelli, stringendoli, poi chiuse gli occhi e rivolse il viso verso l’alto, mentre il sole continuava a battere sempre più forte. Trovava che tutto fosse così assurdo, così insensato. Era diventato tutto estremamente stupido, e non poteva essere altrimenti; o almeno, non ora che lei se n’era andata. Ma era stato lui stesso a convincerla a partire, a non rinunciare al suo sogno, nonostante sapesse, in quel momento, di sacrificare a tal scopo il suo, di desiderio. Quel desiderio che, da qualche mese, non faceva altro che tormentarlo, procurandogli nient’altro che una tremenda confusione.
Era lei, il suo desiderio. Gli era parsa inafferrabile, irraggiungibile, protetta da quella barriera che lei stessa si era costruita attorno, crollata alla prima scossa di terremoto. Era stato attratto fin da subito da quella sfida all’apparenza impossibile, e si era ripromesso che avrebbe fatto qualunque cosa pur di vincerla.
Perché, si sa, gli uomini vogliono solo ciò che difficilmente possono avere. Alcuni si crogiolano nella loro stessa disperazione, rischiando di impazzire, trincerandosi dietro le solite mille scuse pur di giustificare il loro fallimento, mascherando la loro miseria; gli altri, quelli più volenterosi, si rimboccano le maniche, pur sapendo che cadranno tante volte, perché ogni ostacolo può essere superato, se solo si diventa abbastanza forti da non perdere la speranza.
Lui, quella luce intensa ed accecante, l’aveva inseguita, correndo a perdifiato per quel sentiero ripido e tortuoso, e per un glorioso momento gli era parsa talmente vicina da credere che ormai l’avesse raggiunta, persino sfiorata. Ma era stata tutta un’illusione. Quella luce si era spenta, lasciandolo confuso, al buio, senza bussola. E, naturalmente, non riusciva a smettere di pensare che una parte di quella colpa fosse anche e soprattutto sua.
“Te ne stai pentendo, ammettilo... Sei proprio un egoista, George...” gli sussurrò la sua coscienza, la cui voce, in quell’occasione, era terribilmente simile a quella di sua sorella.
< Non è vero > borbottò tra sé, prendendo una manciata di sabbia e passandosela da una mano all’altra, corrucciato.

< Che cosa non è vero? > gli domandò una voce femminile, quella volta fin troppo gentile. Si voltò, e notò che Margaret era proprio dietro di lui, e gli rivolgeva un sorriso dolce e comprensivo. Le porse una mano e l’aiutò a sedersi, poi lasciò che si sistemasse meglio le pieghe della gonna del vestito, mentre lui fissava il suo sguardo verso l’orizzonte, sentendo un nodo stringergli lo stomaco.
Qualche minuto dopo, sua cognata gli prese una mano tra le sue, cosa che lo costrinse a voltarsi nella sua direzione. Rimase spiazzato nel constatare che aveva gli occhi lucidi, ma nonostante ciò non sembrava affatto intenzionata a piangere. Quando parlò, infatti, la sua voce era tranquilla e ferma.
< So come ti senti > gli disse, al che lui le sorrise e le diede un pizzicotto sulla guancia.
< Lo so. Solo che... Non so come dirtelo > ammise, sospirando, così Meg l’abbracciò e, una volta che l’ebbe lasciato andare, gli poggiò la testa sulla spalla, lasciandogli cingere le sue.
< Sono la tua migliore amica, e se non riesci a dirlo a me, o a Fred, allora vuol dire che questa è una cosa che devi tenerti per te > spiegò saggiamente la ragazza, sorridendogli. Lui annuì, ma subito dopo sospirò nuovamente.
< Sono un egoista > disse in tono grave, ricevendo un’occhiata incuriosita e scettica allo stesso tempo.
< Stronzate. Se al mondo ci dovesse essere una persona meno egoista di te, allora mi farebbe molto piacere conoscerla > fece lei, ma lui scosse rapido la testa.
< Sì, sono un egoista. Me l’ha detto la mia Ginny-Coscienza >.
< La tua... La tua cosa?! >
< La mia coscienza, che mi ha appena parlato con la voce di mia sorella. Solitamente ha la tua voce, ma a quanto pare la Meg-Coscienza è entrata in sciopero: non le ho dato ascolto fin troppe volte, deve essersi stufata, e non me la sento di darle torto > rispose George, sollevato nel sentire il suono della risata divertita di Margaret. Questa gli diede un bacio sulla guancia e gli tirò un pugno sul braccio.
< Credo che stavolta sia proprio il caso di ignorarla, sai? Sei solo un po’ giù, è normale sentirsi così. Magari per adesso ce l’hai un po’ con te stesso, o anche con lei, ma ti passerà, fidati di me... e poi, Abbie tornerà presto, ne sono sicura. Dovrà soltanto terminare quel corso... Non resisterà per troppo tempo senza di noi, ci bombarderà di gufi > tentò di rassicurarlo, mentre cercava, invano, di sistemargli i capelli, eccessivamente arruffati. Lui arricciò il naso e le sorrise di nuovo.
< Hai ragione. È che... mi sono così affezionato, capisci? Per un attimo mi è parso di rivivere la stessa situazione di dieci anni fa, quando tu lasciasti l’Inghilterra > iniziò a spiegare, e Margaret ebbe un sussulto. Se esisteva un giorno della sua vita che avrebbe voluto eliminare, era proprio quello. Nonostante fosse passato un decennio, e nonostante lei fosse di nuovo lì, il ricordo di quella separazione le faceva bruciare il petto così intensamente che sembrava fosse trascorso soltanto un giorno. Annuì, invitandolo a continuare e chiudendo gli occhi, che stavano incominciando ad arrossarsi. George distolse lo sguardo da lei e tornò a fissare il mare, così limpido da fargli venir voglia di tuffarvisi.
< Ma naturalmente non può essere la stessa cosa, no... Mi sono sentito così diverso, quando ci siamo salutati. Troppo diverso, in effetti. Mi ha strappato un pezzetto di anima e se l’è portato con sé, e probabilmente non potrò mai più riaverlo indietro, anche se dovesse tornare. Sarà per sempre suo, qualunque cosa accada, e ho il presentimento che lei l’abbia capito. È furba, lei. È buona, sì, ed anche molto dolce, quando vuole... ma è anche così furba, e astuta, ed intelligente. Intuisce tutto al volo. Chiunque, anche non conoscendovi, capirebbe che siete cugine. Così diverse nell’aspetto, ma così simili dentro. A volte mi davi sui nervi, perché avrei voluto capirla come riuscivi a farlo tu > ammise, ridacchiando alla fine. Meg scosse la testa, ridendo anch’ella, poi si guardò intorno e si avvicinò a George, invitandolo a tendere l’orecchio nella sua direzione.
< Ti dirò una cosa: qualche volta, la Legilimanzia fa miracoli > sussurrò, lasciandolo di stucco. Boccheggiò per qualche istante, gli occhi sbarrati ed un’impressione incredula stampata sul viso, mentre Meg si mordeva le labbra, compiaciuta di se stessa.
< Tu... Aspetta... Tu usi... Spiegati meglio, Stevens! > sbottò il ragazzo, infine, cercando di ricomporsi. Meg si sistemò meglio sulla sabbia e fece un sorrisetto soddisfatto.
< I miei familiari hanno sempre provato ad insegnarmi tutto quello che sapevano, semplice. Mamma è un’Auror, quindi grazie a lei ho imparato moltissimi incantesimi di difesa, ma anche d’attacco; papà, invece, è un buon oratore, sa convincere la gente, e io adoravo ascoltarlo; nonna Julia è un’ottima pozionista, e si divertiva a spiegarmi la composizione di questo veleno o di quell’altro antidoto, e intanto io continuavo ad immagazzinare informazioni; nonno Paul e nonno Dawson mi hanno fatto appassionare al Quidditch, tant’è che uno dei due mi comprò anche la mia prima scopa giocattolo; e poi c’è nonna Vittoria, che da buona Legilimens ha pensato che fosse un’ottima idea insegnarmi qualche trucchetto conveniente > confessò in tutta sincerità, lasciando George ancora più basito.
< E Fred lo sa? > le domandò, curioso. Lei arrossì violentemente, ma si ricompose subito.
< Assolutamente no. Anche lui ha i suoi segreti, quindi non mi sento minimamente in colpa custodendo il mio > rispose, piccata.
< Ma è sleale! > commentò, sconvolto, al che lei scoppiò a ridere.
< Mi credi davvero capace di usarla su di lui? Non sono poi così brava, e inoltre non potrei mai farlo, sarebbe ingiusto. Però capisco quasi sempre se mente o dice la verità. Be’, ovviamente non quando sono furiosa: in quelle situazioni mi risulta piuttosto difficile. Con Abigail è diverso, invece. È più una cosa involontaria, non lo faccio di proposito. Lei lo sa, infatti ci ha già fatto l’abitudine, ma dice sempre che prima o poi chiederà a nostra nonna di insegnarle qualche fondamento di Occlumanzia > disse Meg, scostandosi i capelli dal viso. Percepiva gli occhi di George addosso, ma la cosa non la infastidiva minimamente. Sapeva che suo cognato non avrebbe detto niente a nessuno, nonostante la tentazione fosse forte.

Sentirono dei passi avvicinarsi, così si voltarono e videro che Fred, con in braccio Alex, li stava per raggiungere. Si sedette accanto a sua moglie e, con un gran sorriso, guardò suo fratello.
< Stai bene? > gli chiese, al che l’altro annuì e si alzò, mentre Margaret lanciava un’occhiata disperata ai suoi pantaloni sporchi di sabbia, ringraziando mentalmente la buona stella che aveva convinto i loro testimoni di nozze a procurarle un elfo domestico.
< Meglio di prima sicuramente > ammise, dando un pizzicotto sulla guancia della ragazza e dirigendosi verso casa, lasciandoli soli. Margaret prese il bambino e, sotto le occhiate divertite di Fred, incominciò a spupazzarlo dalla testa ai piedi.
< Ma tu lo sai che sei l’amore della tua mamma, vero? Lo sai che sei il bambino più bello del mondo, sì? > gli disse con una vocina talmente acuta da farlo ridere ancora più forte, contagiando i suoi genitori. Fred abbracciò Margaret e le diede un bacio sulla fronte, poi rivolse uno sguardo incuriosito a suo figlio, che lo ricambiò all’istante.
< Sono quasi sicuro di averlo visto far levitare di pochi centimetri una Cioccorana, mentre tu e George eravate fuori > fece lui, pensieroso. Meg sbarrò gli occhi e lo guardò, stranita.
< Ma è troppo piccolo per dare segni di magia, no? Sarebbe ammirevole! >
< E’ quello che ho pensato io... Ma devo aver visto male. Sai, il caldo... > commentò, fissando avidamente l’acqua limpida e pulita del mare. Sua moglie parve leggergli nel pensiero (senza ricorrere alla Legilimanzia, però).
< Vado a mettermi il costume > disse, alzandosi ed offrendogli una mano. Lui la guardò e sorrise.
< Signora Weasley, lo sa che ha appena avuto un’idea geniale? >
< Io sono geniale. Ecco perché mi hai sposata > ribatté lei con semplicità, facendogli l’occhiolino e precedendolo, sempre con Alexander in braccio. Fred rimase indietro per qualche secondo e la fissò allontanarsi, mentre un ghigno compiaciuto gli affiorava sulle labbra.
< Ho promesso di sopportarti per tutta la vita... non farmene pentire > bisbigliò, divertito, ma non abbastanza piano da non farsi sentire. Il gestaccio e la linguaccia che ricevette in risposta erano garanzia del fatto che la sua deliziosa neo-consorte avesse afferrato perfettamente ciò che aveva appena detto. La seguì, ancora scuotendo la testa, e, non appena l’ebbe raggiunta, le cinse la vita e la baciò. La lasciò andare soltanto nel momento in cui furono giunti di fronte al portone di casa.
< Pensi davvero che un giorno te ne potresti pentire? > gli chiese Meg, estremamente seria. Lui le rispose con un altro ampio sorriso, rincuorandola. Giocò con i suoi capelli scompigliati, poi le si avvicinò all’orecchio e le posò un bacio anche lì.
< No > le sussurrò, sincero, e guardando quegli occhi verdi capì che sarebbe stato impossibile affermare il contrario.


Angolo dell’autrice

Okay, okay, okay. Sono tornata! Okay, va bene, vi devo delle spiegazioni, ma giuro che stavolta io non c’entro assolutameeeente niente. Mi ero ripromessa di pubblicare immediatamente dopo la Maturità, e invece BOOM, il pc è morto. Proprio così. Il bambino è rimasto al centro riparazioni per tre mesi e mezzo e io non avevo una beata copia di niente da nessuna parte... ma adesso è tornato a casa, ed è questo l’importante. <3
Spero di esser ritornata con un capitolo degno di questo nome, davvero. Non voglio deludere nessuno e spero sia stato all’altezza delle aspettative, a maggior ragione se avete dovuto aspettare tutto questo tempo. Mi sento terribilmente in colpa. D:
Santo cielo, quasi non ricordo più come si scrivono le note a fine capitolo, mi sento totalmente spaesata! Ma a nessuno interessano i miei drammi esistenziali, quindi non voglio tediarvi eccessivamente :’) come sempre vi ricordo che accetto qualsiasi critica costruttiva, qualsiasi appunto, qualsiasi suggerimento e così via, qualsiasi cosa possa aiutare a migliorarmi e soprattutto a migliorare la storia e renderla più vicina a voi. :)
Ora, è il momento di svelare il solito arcano (?): il titolo è di Marisina Vescio, mentre la canzone in apertura è, come avrete ben intuito, Against all Odds di Phil Collins.
Detto questo mi tocca proprio andare, l’Università è appena iniziata e c’è già tanto, tanto da studiare!
Ringrazio:
Angel_Mary, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, ChiaraColfer95, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, FranChan, Frederique Black, hufflerin, JeckyCobain, maryanne armstrong, Meissa Antares, Perla_Bartolini, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, FedeSerecanie, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, kariwhite003, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley, Meissa Antares, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, xleez_, Zarael, __Malandrina , che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Perla_Bartolini , che l’hanno inserita tra le ricordate;

Angel_Mary, Meissa Antares e Trillian_97 , che hanno recensito il capitolo precedente. <3

Infine vorrei ringraziare anche xleez_ che ha segnalato la prima storia, I have finally realised I need your love (un titolo più breve non lo potevo scegliere, ma no… amo complicarmi l’esistenza, sempre), per l’inserimento tra le storie scelte del sito, provocandomi un mezzo infarto ed un attacco isterico incredibile di ridarella. Ogni tanto fa bene :D
Di nuovo un ringraziamento a tutti, state certi che non dovrete aspettare di nuovo sei mesi per il prossimo capitolo (di cui però non posso darvi un’anticipazione dato che ancora attende ansiosamente di essere ricopiato sul pc. Lo farò presto, promesso!). (:
Mi siete mancati a dismisura.

Love you all,
Jules

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Capitolo 20
*** Niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata ***


Niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è dissennata
 

'Cos my family don't seem so familiar
And my enemies all know my name
And when you hear me tap on your window
You better get on your knees and pray
Panic is on the way

Le lancette dell’orologio continuavano a ticchettare, segnando i secondi, i minuti, le ore che passavano, ma per Margaret il tempo era come se si fosse fermato, come se non avesse alcuna intenzione di scorrere. Seduta al tavolo della cucina della Tana, tormentava con sguardo assente una ciocca di capelli che, ribelle, era sfuggita al controllo dell’elastico che teneva ferma una lunga treccia, mentre il suo viso diveniva più pallido ad ogni istante. Non riusciva a pensare a niente, se non a quanto avrebbe voluto essere con Fred in quel momento, e a quanto detestasse rimanere esclusa dalle faccende dell’Ordine. Non avere notizie l’angosciava, così come il ricordo di quella stupida discussione avuta con suo marito quello stesso pomeriggio. Perché avevano litigato?, si chiedeva, e mai come in quell’occasione avrebbe desiderato tornare indietro anche solo di poche ore.

< Non ti sei ancora ripresa del tutto, Meg! Non è il caso che tu affronti la missione, correresti solo un rischio inutile! > aveva provato a convincerla Fred, incredibilmente calmo nonostante la crescente irritazione. A quel punto, Margaret si era portata le mani ai capelli e aveva sospirato.
< Sono passati due mesi e mezzo dal parto, sto benissimo, te lo assicuro. Adesso, per favore, la smetti con questa tua smania di proteggermi?! >
< “Smania di proteggerti”?! Dici sul serio?! Lo faccio per il tuo bene! > aveva sbottato lui, gli occhi sgranati a causa dell’indignazione, chiedendosi perché sua moglie dovesse ostinarsi per forza a non capire.
< Fred, faccio parte dell’Ordine tanto quanto ne fai parte tu, ho il diritto e soprattutto il dovere di rendermi utile, non credi?! > aveva alzato il tono di voce Margaret, camminando su e giù per la sala da pranzo.
< Santo cielo, Margaret! Perché devi essere sempre così testarda?! > anche Fred aveva iniziato ad urlare, sbattendo con forza un pugno sulla superficie legnosa del tavolo.


Una carezza sul viso da parte di Molly Weasley la ridestò dai suoi pensieri, e istintivamente volse gli occhi alla finestra che dava sul giardino, pregando di vedere arrivare qualcuno. Purtroppo, le sue aspettative vennero ancora deluse: fuori, regnava la calma. D’altro canto, Alexander iniziò a piangere, ma Ginny fu più veloce di Meg a prenderlo in braccio e a cullarlo nel tentativo di calmarlo. La più grande delle due ragazze, d’altra parte, continuava a torcersi le mani, nervosa, cercando di non dare troppa attenzione al senso di nausea che le attanagliava lo stomaco. Si sentiva tremendamente in colpa per quello che era successo quello stesso pomeriggio, ma al tempo stesso avrebbe desiderato essere lì con gli altri, pronta ad intervenire nel caso ce ne fosse stato di bisogno. Odiava sentirsi impotente, sapere di non poter fare nulla, se non attendere delle risposte che mai arrivavano, o sperare di poter tirare presto quel tanto agognato quanto mai inafferrabile sospiro di sollievo.
Guardò sua suocera, pallida almeno quanto lei, che cercava disperatamente qualcosa fuori posto da mettere in ordine pur di non restare con le mani in mano, e dunque sola con i suoi pensieri; e poi guardò sua cognata, che stava riversando tutte le sue attenzioni sull’adorato nipotino, ma che non riusciva a nascondere l’evidente preoccupazione, come testimoniava il piede che batteva sul pavimento.
Margaret si alzò e prese a camminare per la stanza, irrequieta, facendo dei lunghi e forzati respiri, poiché sembrava che i suoi polmoni non riuscissero più a trarne di spontanei. Improvvisamente, però, un rumore proveniente dall’esterno ruppe l’apparente e più che mai falsa quiete, facendo scattare le teste delle tre donne alla porta di ingresso. Meg si diresse spedita verso il giardino, ma ciò che trovò fu soltanto una lattina arrugginita: la Passaporta, ma non le due persone che avrebbero dovuto prenderla.
< Dovrebbe essere quella di Ron e Tonks > commentò Ginny con voce inespressiva, mentre sua madre, annuendo lentamente, le prendeva Alexander, ormai addormentatosi, dalle braccia, dirigendosi nuovamente dentro casa. La giovane e Margaret, invece, rimasero fuori, attendendo in silenzio.

Passarono altri tre minuti prima che la seconda Passaporta, stavolta una scarpa da tennis, comparisse nel giardino della Tana, ma anche questa non portava con sé nessuno. Meg poté giurare di aver sentito il suo cuore fermarsi: era quella che Fred avrebbe dovuto prendere.
Senza dire una parola, corse verso il bagno di casa, sbattendosi la porta alle spalle e chiudendosi dentro. Aprì il rubinetto e si sciacquò il viso con l’acqua ghiacciata, poggiando poi con forza le mani sul lavabo, mentre il senso di nausea non faceva altro che aumentare a dismisura. L’immagine riflessa allo specchio non sembrava nemmeno la sua, ma quella di una donna stravolta dal terrore e dall’angoscia. Si lasciò cadere contro la parete del bagno, sedendosi sulle fredde mattonelle del pavimento, tenendosi la testa tra le mani e in mezzo alle gambe, mordendosi una mano per impedirsi di urlare. Sentiva di essere invecchiata di almeno dieci anni in sole due ore. Che fine aveva fatto suo marito? Perché non era ancora tornato? Cosa avrebbe dovuto fare lei? Erano tutte domande alle quali non sapeva trovare alcuna risposta.
Provò a trarre dei profondi respiri, ma ad ogni inalazione sentiva come un enorme vuoto lacerarle l’anima. Si sentiva sola, terribilmente sola, ma una parte di lei voleva restare in quella solitudine: nessuna consolazione sarebbe stata possibile.
Provò a rialzarsi più e più volte, assistendo al fallimento di ogni tentativo, ricadendo nuovamente su se stessa e rannicchiandosi ancor di più contro la parete e sul freddo pavimento. L’angoscia l’aveva paralizzata, ma questo atteggiamento non era da lei, e lei lo sapeva. Si stava comportando come una persona debole, e lei non lo era mai stata, ma non aveva scuse. Fred aveva sempre ammirato la donna forte, testarda, coraggiosa che era in lei, e lei adesso che faceva? Si comportava come una stupida ragazzina, si rispose. Ce l’aveva con se stessa, perché avrebbe dovuto mantenere la calma, perché non avrebbe dovuto permettere al panico di impossessarsi di lei. Perché non doveva essere la paura a prevalere su di lei, ma doveva essere lei a dominare sulla paura. Questo era sempre stato il suo imperativo categorico, che, tuttavia, per troppe volte negli ultimi tempi non aveva rispettato, e forse fu proprio la consapevolezza di ciò a darle il coraggio di rialzarsi: era giunto il tempo di ripristinare se stessa.
Si avvicinò nuovamente al lavandino e si sciacquò una seconda volta il viso, e anche stavolta osservò il suo riflesso. Non vide più il ritratto dell’angoscia, ma se stessa, quella vera, ed un paio d’occhi verdi che ardevano di nuovo.
< Sii forte, Margaret > disse alla sua copia allo specchio, per poi darle le spalle e dirigersi fuori dal bagno.

Scese al pianterreno, da un lato sperando che qualcuno fosse ritornato dalla missione, dall’altro immaginando di ritrovare la stessa quiete angosciosa ed angosciante di poco prima. Si rese conto di quanto la sua mente avesse sbagliato nel momento esatto in cui ebbe posato il piede sull’ultimissimo gradino. La casa non era più immersa in quel silenzio assordante di una mezz’ora prima, e sebbene vi fosse pur sempre una certa e relativa calma, ella capì fin da subito che doveva esserci qualcosa che non andava.
Il suo presentimento trovò conferma quando, entrando in salotto, ciò che mai avrebbe voluto vedere in vita sua le si parò di fronte agli occhi: George, il suo George, il suo migliore amico da un’intera esistenza, era disteso sul divano, svenuto e con il volto ricoperto di sangue. Margaret sentì le vene del suo corpo raggelarsi.
Meccanicamente i suoi piedi mossero diversi passi in direzione del sofà su cui era sdraiato suo cognato, fino a quando le gambe non cedettero e lei non cadde in ginocchio accanto a lui. La sua mano destra ne prese una del ragazzo, stringendola forte, mentre l’altra prese ad accarezzargli il volto ed i capelli, incurante del sangue che le sporcava le dita, soffermandosi su quel foro presente dove fino a quello stesso pomeriggio Meg era sicura, certa, vi fosse un orecchio. Che ne era stato?
< Oh George, tesoro… > sussurrò lei, meravigliandosi che, nonostante tutto, la sua voce suonasse perfettamente ferma e sicura, mentre dentro di lei la sua anima era nel più totale trambusto. Continuò a carezzargli i ciuffi di capelli rossi, pensando che avrebbe volentieri continuato a compiere lo stesso gesto ripetitivo per ore, dal momento che la priorità assoluta, in quell’istante, era prendersi cura di George, indifeso ed inerme di fronte a lei ed a tutti loro. Cercava di mettere tutta se stessa e tutta la sua concentrazione in quel semplice gesto, in quanto pareva essere l’unica cosa capace di tenere impegnata la sua mente, che altrimenti sarebbe corsa immediatamente a Fred ed alla preoccupazione asfissiante di non sapere dove fosse. Era così assorta da non rendersi nemmeno conto della presenza di Molly, Ginny e di Harry nella stanza.
Ben presto, però, una mano le afferrò il braccio con forza, costringendola ad alzarsi e distogliendola dal suo intento: era la mano di Lupin, che l’aveva spinta dal lato opposto del salotto, non lasciandola più andare e, se ciò fosse stato possibile, rafforzando ancor di più la presa. La giovane lo guardò con tanto d’occhi, sollevando entrambe le sopracciglia.
< Remus, anch’io sono contenta di vederti vivo e vegeto, ma mi sembra un po’ esagerata come reazione, tu che ne pensi? Ah, per la cronaca, mi stai bloccando la circolazione sanguigna > fece Margaret, non riuscendo a trattenersi, ma l’uomo non sembrò darle ascolto, tenendola ancora stretta per un braccio.
< Cosa dissi a Margaret Stevens nell’estate del 1995, poco prima che lei ritornasse in Inghilterra? > ordinò Lupin, inchiodandola con lo sguardo, gelido. Lei cercò di divincolarsi con uno strattone.
< Tu sei impazzito! Mio marito è lì fuori e tu pensi che io possa avervi traditi! Tu sei uscito fuori di testa, cazzo! > si lamentò lei, indignata, non sortendo alcun effetto nel suo interlocutore.
< Le parole esatte, Margaret > insistette lui, al che ella fu costretta a rispondere, sebbene con non poca riluttanza.
< “Non possiamo quasi più fidarci neanche di noi stessi”. Sei contento, adesso?! >
< Sollevato è la parola giusta. Perdonami, ma ho dovuto farlo. Qualcuno ci ha traditi, sapevano del trasferimento. Ti ho fatto male? > disse Lupin, liberandole il braccio e conducendola in cucina, dove Hagrid era sprofondato su una sedia.
< Mi hai quasi amputato un arto, nulla di cui preoccuparsi eccessivamente, ma grazie > fece Meg, dando un’occhiata all’orologio. < Come facevano a sapere che avremmo trasferito Harry stanotte? > continuò, cercando invano di ignorare il ticchettio che scandiva lentamente i secondi, ricordandole che Fred non era lì.
< È quello che mi domando da quando sono arrivato >.
< Come… Come si è conciato così? > chiese Meg dopo un istante di silenzio. Lo sguardo di Lupin si fece ancora più grave.
< Sectumsempra… è stato Piton > rispose lui, e a quel punto Margaret non poté più sopportare oltre. Scattò in direzione del giardino, e la porta di ingresso avrebbe provocato un gran frastuono se Lupin non avesse deciso di seguire la giovane, evitando che quella sbattesse.
< Maggie, che cosa vuoi fare?! > le urlò, accelerando il passo per raggiungerla. Lei si voltò, furente e con gli occhi ridotti a fessure.
< Vado a cercare quel lurido verme che ha ridotto così il mio migliore amico, è il minimo che possa fare, non credi?! > ribatté la ragazza, sciogliendo la treccia e raccogliendo i capelli in una coda. Nella sua testa c’era spazio per un unico pensiero: vendicare George. Adesso che sapeva chi fosse il responsabile di ciò che era accaduto comprese che non avrebbe avuto pace fino a quando non l’avesse avuto tra le mani. Era accecata dall’odio e dall’apprensione, e quando Lupin le poggiò le mani sulle spalle con quel fare paternalistico che tanto mal sopportava, fu molto vicina a scagliargli contro una fattura che di sicuro avrebbe ricordato per tutta la vita.
< Meg, calmati, ti prego. È assolutamente inutile > cercò di convincerla, ottenendo il risultato opposto.
< Anche la vita di un ragazzo di diciannove anni è inutile?! > urlò Margaret, mentre le lacrime iniziavano a riempirle gli occhi.
< George è vivo, Meg! È ferito gravemente, ma è vivo, non devi dimenticarlo! >
< Ma poteva morire! Quella maledizione poteva ucciderlo, per poco non lo ha preso in piena faccia, ci hai pensato a questo? Ed io, misericordia, dovrei rimanere a guardare, senza far niente, mentre mio fratello è mezzo morto su un fottuto divano e senza un… senza un orecchio, cazzo, ancora non ci credo! Come diavolo faccio a mantenere la calma?! > sbottò Meg, in un crescendo che rese la sua voce così acuta da essere abbastanza vicina a diventare un ultrasuono. Lupin la abbracciò, accarezzandole la schiena e sospirando, sconfortato.
< Hai ragione, Meg… eccome se ne hai. Ma adesso ascoltami: George starà bene, si riprenderà… Sì, rimarrà senza un orecchio, ma almeno è vivo, e la cosa migliore che tu possa fare adesso per lui è tornare dentro e stargli accanto. Vendicarlo sarebbe inutile, ormai è successo… e non credo che riusciresti a trovare Piton così facilmente, soprattutto stanotte >.
< E Fred… dove sarà finito? Sono così in pena per lui… >
< Arriverà, abbi fede. Adesso torna da tuo figlio e da tuo cognato, hanno bisogno di te più di chiunque altro. Rimarrò io qui ad aspettare, tu vai… > le sussurrò lui, tenendola stretta qualche secondo in più prima di lasciarla andare, riflettendo inconsciamente su quanto fosse dannatamente simile a Gloria. In questo brevissimo lasso di tempo, Margaret comprese che lei e Lupin erano più vicini di quanto avesse immaginato fino a quel momento: entrambi avevano una famiglia, entrambi attendevano più o meno pazientemente e con infinita apprensione il ritorno di qualcuno, e lei sapeva che quell’uomo era in ansia per Tonks almeno quanto lei lo era per Fred.

Rientrò in casa, e una volta in cucina si avvicinò al box nel quale avevano sistemato Alexander, che adesso le rivolgeva quel sorriso sdentato che tanto amava e che aveva il potere di alleviare qualsiasi dispiacere. Sollevò un istante il bambino e gli posò un bacio sulla testolina rossa, per poi dirigersi in salotto ad accertarsi delle condizioni di suo cognato.
< Si è ripreso? > domandò a Ginny, la prima persona nella quale si imbatté una volta entrata nella stanza. Questa fece un segno di diniego con il capo, al che Margaret si avvicinò al divano sul quale era disteso George e, dopo aver accarezzato nuovamente i capelli del ragazzo, aiutò la suocera, nonché madrina, a curare la ferita. Sapeva perfettamente di non essere abbastanza brava con queste cose, anche in virtù del fatto che la visione del sangue le aveva sempre suscitato un certo (forte) disgusto, e quindi non poté che sorprendersi di essere ancora in piedi e per lo più stabile sulle sue gambe. Si disse che probabilmente l’esperienza del parto era stata utile a superare questa sorta di fobia, e nell’immediato i suoi pensieri furono tutti rivolti ad Abigail, che invece sembrava avesse un talento innato per queste cose.
Poteva tranquillamente ricordare alcuni di quei pomeriggi di almeno tredici anni prima, quando erano bambine e la sua bionda cugina, all’apparenza amorevole nei suoi vestitini color pastello, sadicamente si divertiva a dissezionare rospi, lucertole e poveri animaletti vari, mentre Margaret, be’… lei restava nel suo angolino a vomitare serenamente.
Queste immagini inquietanti della sua infanzia le passarono di fronte agli occhi mentre con estrema calma e cura fasciava la testa di George, rendendosi conto però di quanto fosse relativamente sbagliato che fosse lei a fare tutto questo e non proprio Abigail, che in quel preciso istante si trovava da qualche parte a Belfast, in Irlanda, all’oscuro di tutto, ignara di ciò che era appena accaduto al suo “raggio di sole”, come lei stessa lo aveva appellato in una delle lettere che gli aveva inviato in quelle prime settimane di assenza. Lettere alle quali George, fino a quel momento, non aveva ancora risposto.
Meg fu distolta dai suoi pensieri da un rumore che, proveniente dal giardino, le fece saltare il cuore in gola.
< Fa’ che sia… > iniziò in un sussurro, ma la voce di Harry, rientrato dal cortile, mandò in frantumi le sue già poche speranze.
< Hermione e Kingsley > annunciò, evitando, Meg pensò di proposito, lo sguardo proprio di quest’ultima, che cercò con tutte le sue forze di mascherare la delusione che minacciava di dipingerlesi in volto. Adesso non le importava di vedere arrivare nessuno se non suo marito, e sebbene si sentisse un po’ egoista, non poteva fare a meno di sperare che il prossimo a varcare quella soglia fosse Fred, sano e salvo e finalmente al sicuro.

Tornò ad occuparsi di George, ancora privo di conoscenza, ma un improvviso trambusto, che questa volta arrivava dalla cucina, la costrinse a svestire nuovamente gli “abiti” provvisori da infermiera che così poco le si addicevano per prestare attenzione a ciò che stava avendo luogo a pochi metri da lei.
< Ti dimostrerò chi sono, Kingsley, solo dopo aver visto mio figlio! Adesso fatti indietro, se ci tieni alla pelle!1 > urlò la voce adirata di Arthur Weasley, che immediatamente si fece largo in salotto, seguito a ruota da Fred, pallido ma fortunatamente illeso. Margaret sentì scoppiarle il cuore, trovandosi molto prossima a piangere per il sollievo.
Non aveva mai provato prima di allora il peso di tutta quell’angoscia addosso: l’angoscia dell’attesa, di non sapere dove siano le persone che ami, della consapevolezza di trovarti nell’assurda condizione di non poter fare assolutamente nulla se non sperare ed avere fede, ma difficilmente e quasi mai questo può bastare.
Senza accorgersene si ritrovò stretta nell’abbraccio di suo marito, un abbraccio che ebbe il potere di sciogliere il nodo che le stringeva la gola e di far dissolvere il peso che le gravava sullo stomaco, ma durò poco: una frazione infinitesimale di secondo, probabilmente, dal momento che, come era giusto che fosse, Fred si approssimò immediatamente al sofà, osservando senza parole e con enorme preoccupazione il gemello. Questi, però, finalmente iniziò a dar segni di vita, aprendo lentamente gli occhi, forse disturbato dal rumore.
“Però, che tempismo…” pensò istintivamente Meg, mentre un mezzo sorriso si andava formando lentamente sulle sue labbra. Un moto di improvvisa felicità le riscaldò le viscere, e quasi non ebbe un mancamento a causa di tutte quelle forti emozioni provate in così poco tempo, tanto che fu costretta ad allontanarsi e a dirigersi in cortile, dove si fermò a respirare per diversi minuti l’aria fresca di quella strana notte d’estate, fino a quando i lamenti di Alexander dalla cucina non la costrinsero a rientrare.

Andò dritta al box e prese in braccio suo figlio per stringerlo forte a sé e cullarlo tra le sue braccia.
< Shh, amore. Papà è tornato > sussurrò al bambino, percependo al tempo stesso una mano familiare scioglierle ed accarezzarle i capelli.
< E non è mai stato così felice di vedervi come questa notte > disse dolcemente Fred, cingendole la vita, al che lei si voltò e poggiò il viso contro il suo petto, lasciandosi stringere.
< Sono state le ore più lunghe della mia vita… Ho pensato al peggio più di una volta > confessò Meg, lottando contro le lacrime che rischiavano di uscire.
< Ho pensato a te continuamente, al litigio di questo pomeriggio, e mi sono sentito così in colpa… Io odio litigare con te, e non perché alla fine riesci sempre ad ottenere la ragione anche quando non ne hai, ma perché mi lascia un grande peso dentro. Continuavo a ripetermi: “e se succedesse qualcosa e l’ultima cosa che abbiamo fatto fosse stata avere una discussione?”. È stato snervante. Penso che dovremmo smetterla di perdere tempo litigando e che dovremmo impiegare quello così recuperato per fare l’amore, non trovi anche tu, Pasticcino? > fece Fred, sorridendo tra i capelli di sua moglie, che sbuffò divertita.
< Ma non ti basta mai, eh? Direi che ne facciamo parecchio anche concedendoci qualche bella e sana discussione ogni tanto, o sbaglio? > puntualizzò Meg, facendolo sorridere ancor più apertamente.
< Che ci vuoi fare, sarò pure diventato papà, ma non dimenticare che ho ancora gli ormoni di un ventenne! >
< E probabilmente continuerai ad averli anche quando sarai un affascinante quarantenne con la pancetta e la barbetta… e lo sai quanto mi piace la barba, fa tanto “bello e dannato”! > commentò lei, iniziando a ridere come non faceva da diversi giorni e coinvolgendo anche lui, che per contro la strinse ancor di più a sé.
< Dovresti stare con tuo fratello, è lui adesso che ha più bisogno di te > riprese Margaret, stavolta seria, sciogliendo l’abbraccio e posando un Alexander ormai addormentato nel box. Fred sollevò un sopracciglio e la osservò con quella che lui stesso aveva denominato “espressione alla Stevens”.
< Non credo che qualcuno che abbia impellente bisogno di me mi dica: “va’ da lei, idiota, o anche tu ti ritroverai ben presto senza un orecchio”. Tu che dici? >
< Dico che entrambi dovremmo stare con lui, adesso > concluse Meg, prendendolo per mano e conducendolo in salotto, dove George li stava aspettando sfoggiando un sorrisino dispettoso.
< Ma guarda un po’ chi c’è! L’adorabile infermierina! > commentò il ragazzo, ghignando, al che la cognata si tinse di viola.
< E tu come fai a saperlo?! > chiese lei, contrariata, osservando l’indice dell’amico indicare la sua maglietta.
< Sei sporca di sangue, proprio lì >. Meg fu dunque costretta a guardare la macchia di sangue stampata sulla sua t-shirt, ricordandosi solo in quel momento di aver lavato le mani ma non il resto, sforzandosi di ricacciare indietro il puntualissimo conato di vomito suscitato dal disgusto per quella visione.
< Taci > si lamentò, sedendosi per terra accanto al divano e continuando, < Questa è la prima ed ultimissima volta che rimango fuori da una missione. Punto primo, perché faccio parte dell’Ordine tanto quanto voi; punto secondo, perché voglio tenervi d’occhio, dal momento che pare abbiate bisogno di una baby-sitter! Non vi ho sotto controllo per poche ore, e che succede? Uno perde un orecchio e l’altro viene quasi dato per disperso! >
< Ci sono altri punti? Due mi sembrano pochi > fece Fred, sedendosi accanto a lei ed iniziando a giocare con una ciocca dei suoi capelli. La ragazza parve pensarci un attimo e poi riprese.
< Sì, ce n’è un altro. So che non c’entra niente, ma puzzate come due capre giapponesi che hanno appena terminato la maratona di New York! >
< La mara-che?! > chiesero all’unisono i due ragazzi, ma lei si limitò a sorridere, così George si sollevò ancor di più e le puntò un dito contro.
< Punto quarto, sei simpatica e comprensiva come un’orticaria nelle parti basse il 31 dicembre. Sai com’è, orticaria a capodanno, orticaria tutto l’anno >.
< Ti voglio bene, George > gli disse lei, stringendogli entrambe le mani.
< Oh, mia piccola, dolce orticaria, ti voglio bene anch’io > rispose George, e poco dopo tutti e tre iniziarono a ridere, lasciando andar via tutta la tensione di quella interminabile giornata.
Risero di cuore per nessuna ragione in particolare, ma semplicemente per il piacere di farlo, fino a quando, però, non furono interrotti dai passi di Arthur e Molly Weasley che entravano in salotto, seguiti da tutti gli altri, sui cui volti si leggevano espressioni che non permettevano fraintendimenti.
< Cos’è successo? > chiese Fred, intuendo che qualcosa non andava.
< Malocchio. Morto1 > rispose gravemente il signor Weasley, e d’un tratto i sorrisi scomparvero dai volti dei tre.
< Non è possibile > sussurrò Meg, perché, in effetti, com’era potuto accadere che Malocchio Moody fosse morto? Era impossibile, inaccettabile che questa fosse la verità, eppure ogni cosa sembrava dare una conferma a quelle parole. Malocchio non era arrivato, non era lì con loro. Ron, Tonks, Bill e Fleur erano tornati, lui no. Dopo Silente, anche Moody li aveva lasciati, e loro si erano ritrovati, di nuovo, maledettamente impreparati a questo.
< A Malocchio1 > brindarono tutti, prima che Lupin e Bill andassero via per cercare il corpo del caduto. Meg si alzò, stanca, e porse la mano a Fred affinché questi potesse imitarla. Si diressero nella vecchia camera dei gemelli, dove sarebbero rimasti per quella notte: sarebbero tornati a casa l’indomani, con più calma.

Fred sistemò Alex nella culla, ma Meg prese piuma e pergamena e si acciambellò sul pavimento, iniziando a scrivere sotto lo sguardo stupito del marito.
< A chi scrivi? > le domandò, curioso, immaginando però la risposta.
< Abbie > disse difatti la giovane, grattandosi il mento con la piuma.
< Non fare troppo tardi, sei distrutta > fece lui con dolcezza, ricevendo in cambio un sorriso.
Margaret continuò a scrivere per una decina di minuti; non appena ebbe finito, imbustò la lettera e scrisse l’indirizzo, poi la poggiò sul davanzale della finestra.
< Domani mattina ricordami di spedirla, Purè di patate > disse Meg tra uno sbadiglio e l’altro, infilandosi a letto e stringendosi a lui. Questi la guardò negli occhi e le stampò un bacio sulle labbra.
< È dopo giornate e dopo notizie come queste che penso… no, lasciamo perdere. Promettimi soltanto che, qualunque cosa accada, non ti dimenticherai mai che ti amo, intesi? >
< Intesi. E lo stesso vale per me, lo sai. Buonanotte amore > sussurrò Meg, baciandolo e subito dopo poggiando la testa e la mano destra su di lui.
< Buonanotte anche a te, dolcezza > rispose Fred, tenendola stretta a sé. Poco dopo, si addormentarono, e per ogni pensiero e problema ci sarebbe stato tempo l’indomani.

 
***

Ottery St. Catchpole, 27.07.1997

Abigail, tesoro mio,
Meraviglioso, splendido fiore, come stai? Come puoi ben intuire, ti scrivo dalla cara collina di Ottery St. Catchpole, ma non dalla casa dei miei genitori: siamo giusto accanto, alla Tana, dove passeremo la notte, o almeno quello che ne resta. Poco cambia, però, dato che ti sarai chiesta perché siamo qui e non nella nostra tranquilla dimora sulla costa del Devonshire.
Purtroppo, non posso darti le spiegazioni che meriteresti, ma in quanto membro dell’Ordine avrai saputo di ciò che andava fatto questa sera. Sono successe tante, troppe cose, e ritengo di dover essere io ad informarti prima che possa farlo qualcun altro (anche se credo che il diretto interessato non ne abbia così tanta voglia). Immagino ti sia seduta, e ti invito a rimanerlo per un po’.
George è rimasto ferito nella missione. Non starò qui a raccontarti i dettagli (avremo modo di parlarne una volta che sarai tornata, spero presto), ma ha perso un orecchio. Sì, sono seria, non ti sto prendendo in giro. Proprio così, un orecchio. Ha perso molto sangue, ed è rimasto privo di conoscenza per diverso tempo, ma fortunatamente si è risvegliato. Credo che domani potremo portarlo con noi a casa, dove mi occuperò io di lui, e quando io e Fred saremo a lavoro ci sarà comunque Willow… povera creatura, sarà in ansia per noi non vedendoci tornare.
Fred sta bene, anche se ho più volte pensato al peggio, ma sai bene che l’ansia può giocare brutti scherzi. Vorrei davvero dirti come mi sono sentita in quegli istanti, ma non ce la faccio. È stata una prova di forza interiore estenuante che preferirei con tutto il cuore non ripetere, ma comprendo bene che siamo ancora soltanto all’inizio di questo terribile incubo.
Ti ho già detto che sono tornata a lavoro una decina di giorni fa… oh Gail, si respira già un’aria così diversa… Non che non me lo aspettassi, ma è stato così scombussolante ritrovarmi catapultata in quella realtà così cambiata ed avvertire quel sentore di imminente panico aleggiare nell’aria.
E tu, piuttosto? Come procedono i corsi?
Comunque, mia cara, per concludere voglio parlare di qualcosa di infinitamente più bello. Ieri pomeriggio i miei genitori sono venuti a trovarci (a trovare il loro amatissimo nipotino, in effetti) e mia madre mi ha raccontato che giusto quella mattina tua madre le aveva accennato che tuo fratello John e Anastasia hanno intenzione di sposarsi il prossimo gennaio! Tu ovviamente lo saprai, ma volevo esprimerti tutta la mia felicità di fronte a questa splendida notizia. È confortante vedere come un po’ d’amore riesca ancora a resistere e a manifestarsi… John e Anastasia, io ho sposato Fred, tu stai con George, tra cinque giorni mio cognato Bill sposerà Fleur, e poi Cassandra e Frank, quei due imbranati… Non so, penso solo che siano cose che alleviano almeno un po’ tutti questi dispiaceri.
Adesso devo proprio andare, è stata una giornata fin troppo lunga ed io sono esausta.
Spero di ricevere presto tue notizie, incrociando le dita affinché tu possa tornare presto.
Ci manchi, Abbie.
Un abbraccio, tesoro. Ti voglio bene, sempre.

Tua Maggie


< Un orecchio?! Ha davvero perso un orecchio?! Per le vesti più consunte di Morgana! > esclamò Abigail, sconvolta, leggendo la lettera che quel pomeriggio era stata portata da Lele, il gufo di sua cugina Margaret. La sua compagna di stanza, Savannah, mezza Veela, più nordica di un vichingo, le puntò gli occhi addosso, curiosa.
< Chi è che ha perso un orecchio? >
< Il mio… chiamiamolo ragazzo > rispose, sgomenta, mentre la nuova amica prese a guardarla con apprensione.
< Sta bene, no? >
< Sì, o almeno così dicono… > fece Abigail, continuando a scorrere la lettera e chiedendosi come diavolo fosse potuto accadere. Percepì lo stomaco chiudersi, ma al medesimo tempo la rassicurava sapere che era in buone mani e che si sarebbero tutti presi cura di lui. Certo era, però, che il desiderio malsano di sapere di più era davvero tanto.
Finì di leggere quelle parole scritte sul pezzo di pergamena che teneva in mano, ed il suo volto si aprì in un involontario sorriso una volta giunta alla parte in cui Meg parlava del matrimonio di John. Quando suo fratello glielo aveva detto, diversi giorni prima, era scoppiata in lacrime per la felicità, ed in cuor suo sperò di essere di ritorno in Inghilterra, di lì a gennaio, per poter partecipare al grande evento non da sola, ma con George al suo fianco.
Le mancava, eccome se le mancava, ne erano testimonianza le lettere che gli aveva scritto, piene di amore e nostalgia, lettere che però non avevano ricevuto alcuna risposta. Margaret le raccontò più di una volta di come lui si chiudesse in camera o sul retro del negozio interi pomeriggi, dopo averle ricevute. E allora perché non le rispondeva? Cercava di non darlo a vedere, ma un po’ questo comportamento la faceva stare male. Lei aveva bisogno di lui, così come lui aveva bisogno di lei, e allora per quale assurda ragione si ostinava a tacere?

Abigail prese la borsa con i libri ed uscì dalla stanza, il morale sotto i piedi. Avrebbe scritto a sua cugina dopo la lezione, o durante, dato che avrebbe faticato parecchio a seguirla: la sua mente era totalmente ed irrimediabilmente altrove.
Le avrebbe raccontato del suo stato d’animo, di come non facesse altro che pensare a lui ed ai suoi occhi azzurri ed al suo profumo, e di come, nonostante ciò, i corsi ed i primi esami fossero andati alla grandissima, cosa di cui andava particolarmente orgogliosa, perché nulla poteva fermarla. Abigail Thompson ce la faceva sempre, a prescindere da ogni cosa. E poi avrebbe detto a Meg della “follia Babbana” che aveva fatto, un tatuaggio sopra il seno, incitata da Savannah, che ne aveva uno sul braccio sinistro; le avrebbe detto che finalmente, dopo tanto tempo, sua madre aveva accettato di rifarsi una vita e che adesso aveva un mezzo fidanzato, un certo William Elfman, anche lui vedovo, che sebbene non potesse proprio reggere il confronto con la buon’anima di Matthew Thompson, non era poi così male, ed era anche simpatico; le avrebbe detto che l’Ordine le aveva affidato un lavoro da svolgere, ma anche che per ragioni di sicurezza non avrebbe potuto svelarle i dettagli adesso, per posta. Avrebbero avuto modo di discuterne faccia a faccia prima di quanto potessero immaginare. Infine, le avrebbe chiesto di salutarle tutti, ed in particolare George, e di dirgli che le mancava, che ogni giorno senza di lui durava un’eternità ed era di una pesantezza infinita, e che gli dedicava ogni singolo traguardo che, una volta raggiunto, la avvicinava temporalmente sempre di più al momento in cui avrebbe potuto fiondarsi di nuovo tra le sue braccia.


1: le battute così segnate sono quelle realmente pronunciate dai personaggi nel libro.

Angolo dell’autrice

Toc Toc. Ehm, certo che sono sempre più imperdonabile, eh. Ma comunque... HI GUYS! Ebbene sì, Jules La Ritardataria (penso che da domani obbligherò tutti i miei amici a chiamarmi così) è qui e prima di Natale (e della terribile sessione invernale) per augurarvi buone feste con un nuovo capitolo. :D
Che dire? Come avrete visto mi sono riallacciata alla storia originale con la questione del trasferimento di Harry alla Tana, questione che naturalmente non poteva essere tralasciata. Avrete capito che da questo momento in poi le cose si complicheranno e lo vedrete ancora meglio nel prossimo capitolo, d’altronde stiamo entrando nel vivo della Guerra e di conseguenza non potrà più esserci quella spensieratezza quasi totale dell’altra storia o dei capitoli precedenti a questo (nonostante, comunque, gli spunti per alleggerire il tutto non possono non esserci, stiamo pur sempre parlando di Fred e George e compagnia bella, sappiamo con chi abbiamo a che fare).
Ho preferito focalizzarmi sui pensieri e sullo stato d’animo di Meg, sulle sue reazioni, e devo dire che stranamente, almeno per una volta, mi sento abbastanza soddisfatta, perché penso sia uscito fuori davvero quello che volevo emergesse da questo personaggio in una situazione del genere. Una Margaret inizialmente angosciata che, in un momento di ritrovata lucidità, si ricorda finalmente della vera se stessa e se ne riappropria. Ma non aggiungo altro su questo punto, lascio a voi ulteriori commenti o riflessioni, che mi interessano sempre tantissimo. :)
Poi, non abbiamo assolutamente perso Abigail, che è sempre presente in un modo o nell’altro e non ha alcuna intenzione di abbandonarci.
Scusate per il nome del gufo di Margaret, l’adorabile Lele, so che per un gufo è terribile ma è saltato fuori dopo una serie di improbabili associazioni che non c’entravano niente (il mio cervello mi gioca brutti scherzi qualche volta) e mi è sembrato il minore dei mali, perché fidatevi che le alternative erano infinitamente peggiori (Platone, tanto per citarne una). Ah, ho anche aumentato le dimensioni del carattere... ci stavo perdendo la vista anch'io D: appena possibile provvederò a sistemare anche i capitoli precedenti!
Stavolta per il titolo del capitolo ho deciso di fare un bel salto (abbastanza lungo) nel passato che mi ha portata dritta sino a Seneca, mentre la canzone in apertura è Gas Panic!, piccolo e sottovalutato capolavoro dei miei amatissimi Oasis.
Prima di procedere con i ringraziamenti, vi dico sin da adesso che non potrò pubblicare un nuovo capitolo prima della metà/fine di febbraio, la sessione d’esami è sempre più vicina e ciò che al momento mi attende non è una bella pagina da scrivere ma una spietatissima full immersion nei miei libri/mattoni universitari. :D Ma appena mi libero e prima che inizi il nuovo semestre mi metto sotto e cerco di portare avanti questa storia il più possibile, promesso!   

Bene, adesso posso ringraziare:


Angel_Mary, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares, Perla_Bartolini, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, KariWhite, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, xleez_, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Perla_Bartolini , che l’hanno inserita tra le ricordate;

Angel_Mary e Meissa Antares, che hanno recensito il capitolo precedente.

Che altro dovrei dire? Forse ho già detto troppo, come sempre, ma davvero non so come ringraziarvi. Questa storia (insieme alla prima) va avanti ormai da non so quanto tempo, forse due anni e mezzo, e sapere che da qualche altra parte, chissà dove, qualcuno legge e apprezza e continua a seguirti è davvero qualcosa di bellissimo che ti fa venir voglia di proseguire e scrivere ancora (il problema è che, ahimè, spesso manca il tempo). Non so da quale mostro presente dentro di me venga fuori tutto questo sentimentalismo, ma grazie nuovamente di cuore a tutti.
Come sempre, attendo ansiosamente e con curiosità un vostro parere, sapete che accetto sempre qualsiasi giudizio positivo o negativo che sia e prendo in esame tutti, ma proprio tutti i consigli che ricevo, perché tutto ciò che aiuta a migliorarsi è sempre utile.
Nel frattempo vi faccio i miei migliori auguri di buon Natale e buon anno nuovo, che possa essere migliore per tutti (anche perché, per quanto mi riguarda, ad eccezione di un meraviglioso mese di settembre, questo 2014 può essere riassunto in tre semplicissime parole: mai ‘na gioia).

Love you all, guys. Vi abbraccio forte forte forte!
Jules

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Capitolo 21
*** Non esiste circostanza, né destino, né fato che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato ***


 

Capitolo 21





 
Non esiste circostanza, né destino, né fato
che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato


 
Take the time to make some sense of what you want to say
And cast your words away upon the waves
Sail them home with acquiesce on a ship of hope today
And as they land upon the shore tell them not to fear no more
Say it loud and sing it proud today



Non era passato neanche un mese dal loro matrimonio, eppure eccoli lì, Fred e Margaret, sotto un altro sole cocente, quello del primo di agosto, nei loro scomodi abiti da cerimonia. La giovane mamma non aveva neanche avuto il tempo di riprendere fiato che già era stata costretta a catapultarsi nuovamente su quei dannati tacchi alti, assassini per una donna che, tra le altre cose, doveva avere a che fare con un bambino di quasi tre mesi e con un altro un po’ più cresciuto che si era ritrovata ad avere come marito. Perché solo un bambino dispettoso, o in alternativa uno stronzetto di prima categoria – alle otto del mattino, il giorno delle nozze del proprio fratello – avrebbe potuto avere la brillante idea di nasconderle tutti i suoi vestiti eleganti solo per il piacere di vederla dare in escandescenze, con il risultato di averli fatti arrivare in ritardo di un’ora buona.
E adesso era lì, accanto a lei e con loro figlio in braccio, e la scrutava con quel sorrisino malizioso che, in altre circostanze, avrebbe fatto far festa agli ormoni, già instabili a causa della precedente gravidanza, della moglie, ma che in quel caso ebbe un effetto totalmente opposto.
«Continua a guardarmi così e ti tiro un ceffone che ti ricorderai per tutta la vita, è una promessa» sibilò lei a denti stretti, passeggiando per il giardino della Tana. O almeno provandoci, dato che l’aderenza di quell’abito le impediva parecchie cose – come muovere dignitosamente le gambe, ad esempio. Fred le cinse la vita con decisione ed accelerò il passo, gustandosi l’immagine di Margaret che, una volta tanto, stentava a stargli dietro.
«Sei assolutamente deliziosa, e devo dire che la mia è stata una mossa geniale» commentò lui, alludendo a ciò che aveva fatto quella mattina.
Perché sì, le aveva fatto sparire i vestiti, ma non tutti: aveva deciso di non nasconderne uno, di diversi centimetri più corto ed attillato di quello che la ragazza aveva pensato di indossare, molto più comodo e raffinato. Così, con addosso quel tubino rosso e arancio e quelle scarpe chilometriche, Meg non aveva la sensazione di essere al matrimonio di suo cognato, ma pronta a recarsi all’addio al nubilato di qualche amica particolarmente allegra.
«È stata una mossa perfida, Frederick. Non è affatto un vestito adatto all’occasione, e per di più non mi sento minimamente a mio agio» si lamentò la giovane, mettendo il broncio ed osservando gli altri invitati che ballavano. Lui le sistemò dietro l’orecchio una ciocca ribelle sfuggita all’acconciatura e le baciò la guancia.
«Potevi Appellare gli altri, non te lo avrei impedito.»
«Non fare il finto tonto, avresti continuato a farli Evanescere ogni volta che avessi tentato di provarli, come quella volta che… non posso continuare, c’è un minore in ascolto, ma sai benissimo a cosa mi riferisco!»
«Veramente no» le sussurrò all’orecchio, al tempo stesso cercando di impedire ad Alexander di tirargli i capelli. Margaret si guardò intorno e sbuffò.
«Più tardi ti rinfrescherò la memoria» disse, lasciandosi sfuggire un sorriso che, nonostante fosse stato represso sul nascere, non sfuggì al ragazzo, che la prese per mano e si incamminò con lei in direzione degli altri.


Il sole splendeva più luminoso che mai, ed il caldo di quella giornata era asfissiante; gli invitati ridevano e chiacchieravano con estrema serenità, e chiunque, com’era naturale che fosse, era rimasto ammaliato dalla bellezza della sposa, più radiosa che mai nel suo abito bianco. Era la felicità fatta persona, e non smetteva di dispensare sorrisi ad ognuno dei presenti, tanto che Meg per un attimo ebbe a pensare che la neo-cognata avesse sbattuto la testa da qualche parte.
La cerimonia era stata splendida e commovente, come avevano dimostrato le lacrime di Molly Weasley e Madame Delacour, che ovviamente non avevano cercato in alcun modo di trattenersi e darsi un contegno.
Quando Fred e Margaret raggiunsero George, questi, che stava prendendo da bere insieme ad Harry e Ron, a stento trattenne una risata.
«Tutto bene, Zuccherino?»
«Una meraviglia…» commentò sarcastica la cognata, cercando di coprire il copribile. «Oh, Harry, come ci si sente ad essere un finto Weasley per un giorno?» riprese, rivolgendosi al ragazzo, che aveva assunto le sembianze di un Babbano del villaggio dai capelli rossi.
«Abbastanza stretti, in effetti» rispose, alludendo alle dimensioni leggermente ridotte dell’abito da cerimonia. Meg gli diede una pacca sulla spalla ed annuì lentamente con il capo.
«A chi lo dici» disse, pestando il piede di Fred, che si affogò con ciò che stava bevendo.
«Non avevi… Non avevi ancora visto nostro figlio, vero?» chiese questi, cercando di riprendersi e con finta disinvoltura, ad Harry, che scosse la testa, osservando Alexander e sorridendo.
«L’ho visto di sfuggita l’altra sera, ma non per più di qualche secondo. Congratulazioni, è bellissimo!»
«Ed è identico a te, miseriaccia, si nota sempre di più!» commentò Ron, lanciando nel frattempo un’occhiataccia a Viktor Krum dall’altra parte del tendone.
«Se non lo avessi partorito personalmente e se non avessi sofferto le pene dell’inferno per farlo uscire fuori, sospetterei di non essere sua madre. Somiglia più a mio padre che a me!» si lamentò la neo signora Weasley, prendendo in braccio suo figlio, per poi rivolgersi nuovamente a Harry. «Ci è dispiaciuto che tu non fossi presente al nostro matrimonio, ci avrebbe fatto piacere averti con noi, ma a quanto pare non è stato possibile anticipare la missione.»
«Oh Meg, non preoccuparti, davvero. Mi sarebbe piaciuto, ma sarebbe stato troppo pericoloso affrettare le cose, per cui sta’ tranquilla» la rassicurò il ragazzo, tornando a guardarsi intorno in cerca di qualcuno.
Si congedò poco dopo, imitato da Ron, che a sua volta si diresse verso Hermione, poco distante nella pista da ballo, mentre Margaret andava a chiacchierare con Gloria e Desmond, che parevano euforici ed impazienti di comunicarle qualcosa.
Quando, una decina di minuti dopo, fu tornata da suo marito e dal fratello di quest’ultimo, intenti a discutere di Quidditch con degli amici di Bill, dava mostra di un’espressione a dir poco sconvolta.
«Ma che…» iniziò il primo, ma venne interrotto da un cenno della mano di lei.
«Non ho intenzione di parlarne adesso. Dopo. Merlino vendicatore, sto per vomitare» commentò, non dicendo però cosa le suscitasse tanto disgusto. I gemelli si guardarono, scrollando le spalle, poi George porse la mano a Margaret, facendo un mezzo inchino.
«Potrei avere l’onore di questo ballo, Zuccherino?» le chiese, ricevendo un’occhiata sbalordita in risposta.
«George Weasley che mi chiede di ballare? Potrei svenire per l’emozione! Chiedi a mio marito, non vorrei che si ingelosisse» rispose la ragazza, lanciando uno sguardo divertito a Fred, che lo ricambiò.
«Tienimela d’occhio, Lobo Solitario. È fin troppo sexy con quel vestito, forse ho esagerato» fece Fred, trattenendo le risate alla vista dell’espressione omicida di sua moglie, che veniva trascinata in pista da George.

Dopo qualche secondo di silenzio, Meg tirò una guancia al suo migliore amico e fece un mezzo sorriso.
«Lobo Solitario, eh? Carino come soprannome! Lo dirò ad Abigail, così forse la smetterà di chiamarti “raggio di sole”.»
«L’hai sentita?» domandò lui, imbarazzato, guardando altrove. Meg alzò gli occhi al cielo, incredula.
«Ovvio che l’ho sentita, le ho raccontato tutto. Era preoccupatissima, in due giorni mi saranno arrivate almeno cinque lettere da parte sua in cui mi chiedeva delle tue condizioni, e come darle torto… ci hai fatti spaventare a morte» rispose, cercando i suoi occhi. Una volta che li ebbe trovati, lo inchiodò con lo sguardo. «George, perché non rispondi alle sue lettere?»
«Perché non ce la faccio» disse sinceramente il giovane, esitando qualche istante prima di proseguire. «Perché lei mi dice cose bellissime e straripanti di dolcezza, ed io mi sento un idiota, perché non so da dove iniziare: non so dirle quando mi manca e non so dirle quanto la amo, perché il mio amore per lei è inquantificabile. Vorrei essere bravo con le parole, ma non lo sono, ma al tempo stesso non voglio che lei soffra per questo o che pensi che non mi importa. Mi importa eccome, ed ogni giorno io sento ancora il suo profumo addosso. È snervante, perché vorrei che lei fosse qui per stringerla quando uno dei due ne ha bisogno, per giocare con i suoi capelli, per innamorarmi ogni secondo sempre di più dei suoi occhi grigi e del suo sorriso. Dannazione, Merlino solo sa quanto mi faccia impazzire quel sorriso. Io… Ehi, stai piangendo?»
«No, no… Mi è solo entrato il Platano Picchiatore nell’occhio, Georgie…» fece Meg, sarcastica, asciugandosi con una mano gli occhi e facendolo ridere. «Non farci caso, sono gli ormoni, sarà l’allattamento. Ma, seriamente, ti rendi conto di aver detto delle cose degne di una lettera d’amore? Non è vero che non sei bravo con le parole. La verità è che hai paura, Georgie. Hai paura di risultare ridicolo e di perdere credibilità come sbruffoncello, non è così? Sta di fatto che la renderesti la persona più gioiosa del mondo, a questo non ci pensi? Basterebbe una lettera, una soltanto, e già sarebbe tutto diverso e più facile. Per favore, tesoro, riflettici su e provaci, non costa nulla.»
«Maggie, io… io voglio che lei sia libera, indipendente. Non voglio che pensi che voglio tenerla legata, è una cosa che non fare mai, e forse è questo che mi frena dall’impulso insistente di sentirla. So che qualche parola da parte mia potrebbe solo renderla felice, ma ho paura che…» spiegò il ragazzo, interrompendosi. Ci pensò la cognata a finire per lui.
«Hai paura che, ricevendo un tuo messaggio, lei possa mandare tutto all’aria per tornare da te prima di terminare gli studi, non è così? Non lo farebbe mai.»
«Stevens, hai usato la Legilimanzia?» domandò George, fulminandola con lo sguardo. Lei rise e lo abbracciò.
«Direi che ho un’arma molto più potente: ti conosco da vent’anni» gli sussurrò all’orecchio, sentendosi stringere in risposta, perché lui sapeva che Margaret aveva ragione: sapeva di dover fare qualcosa, che non poteva ignorarla, ancor di più dal momento che si poteva dire che lui ed Abigail stessero insieme.
Il problema fondamentale stava nel semplice fatto che lui non voleva farle sentire ancor di più il peso di quella lontananza, di quel distacco, per evitare in tal modo che le cose potessero diventare ancora più difficili di quanto già non fossero. Lei era via da un mese, eppure a George quel relativamente breve lasso di tempo era parso un’infinità, destinato a rimanere tale in eterno. Aveva sconvolto le sue abitudini: era arrivata all’improvviso, quando meno se lo aspettava, e aveva messo le tende nella sua vita, donando ad essa quel briciolo di lucida follia che aveva perso di vista. E, pian piano, quelle tende si erano trasformate in palazzi, e la presenza di quella donna era divenuta una costante a cui era impossibile rinunciare.
Lui sapeva che sarebbe tornata, ne era certo, perché non poteva essere altrimenti; ma intanto non c’era, ed ogni giorno l’assenza di quella biondina dagli occhi grigi si faceva sentire. Si faceva sentire specialmente nelle piccole cose, nelle più sciocche, che così sciocche poi non lo erano mai state: quando si svegliava al mattino, e lei non c’era; quando cenavano, ed il suo posto a tavola era vuoto; quando in casa si scherzava, ma lui non poteva ascoltare la sua risata buffa risuonare nella sua testa. Piccoli, insignificanti istanti che lo facevano riflettere e arrivare alla conclusione che sì, lui la amava, e che sì, aveva bisogno di lei nella sua vita, ma che mai e poi mai le avrebbe impedito di realizzare i suoi sogni ed i suoi progetti.
Avrebbe concluso i corsi e solo ed unicamente allora, se avesse voluto ancora stare al suo fianco, sarebbe tornata. Lui l’avrebbe aspettata, gliel’aveva detto mille volte, e sarebbe sempre stato pronto a sostenerla, appoggiarla in ogni singola scelta, se lei glielo avesse chiesto, ed era certo che lei avrebbe fatto lo stesso.

Continuò a ballare con sua cognata e a fare queste considerazioni per diversi minuti, fino a quando “qualcuno” non venne a reclamare Margaret, passandogli il testimone, alias Alexander.
«Spiacente, Lobo Solitario, ma anch’io ho il diritto di ballare con mia moglie» si giustificò Fred, cingendo la vita di Meg e sorridendo al fratello, che d’altra parte strinse il bambino e sollevò il viso, fingendo di essere offeso.
«Vieni, George Junior, lasciamo soli quei due cattivoni. Vedi come mi trattano? Ti sembra giusto? Nessuna considerazione per i drammi del tuo zietto preferito!» disse al nipote, appellandolo con il suo secondo nome, cosa che fece alzare gli occhi al cielo ai due genitori, divertiti e anche un pochino esasperati. Dopodiché, fece loro l’occhiolino e si allontanò in direzione del tavolo al quale era seduto Charlie, che non tardò neanch’egli a coccolare il piccolo Alexander, che scrutava tutti con un cipiglio incuriosito. Fred tornò a guardare Meg, che, così come lui fino a quel momento, fissava rapita ogni singolo movimento ed ogni singola espressione del suo bambino.
«Cresce in fretta, non trovi?» le domandò, al che lei posò lo sguardo su di lui ed annuì, sorridendo.
«A vista d’occhio, giorno dopo giorno, e diventa sempre più simile a te, nell’aspetto così come nelle espressioni. E sebbene questa cosa, in un certo modo, mi terrorizzi e mi faccia portare le mani ai capelli sin da adesso, se potessi non smetterei mai di contemplare il suo viso» ammise con semplicità, poggiando il capo sulla spalla del marito. Questi la guardò con dolcezza e le posò un lieve bacio sulla nuca.
«È il mio piccolo, grande capolavoro» considerò, ridacchiando e stringendo ancor di più a sé la ragazza.
Si chiese inevitabilmente come sarebbe stato suo figlio qualche anno dopo, se avrebbe continuato a somigliargli in maniera così evidente, o se avrebbe acquisito qualcosa delle sue movenze, dei suoi atteggiamenti, modi di fare, o di quelli di Margaret. Si chiese come sarebbe stato il suo carattere e se l’avrebbero cresciuto nel modo migliore e più adeguato per lui, e diede subito una risposta affermativa a quest’ultima domanda, dal momento che, sotto diversi aspetti, lui e sua moglie sapevano controbilanciarsi alla perfezione: erano entrambi espansivi, allegri e vivaci, ma Meg sapeva essere severa e dura all’occorrenza, mentre Fred credeva che si sarebbe trasformato con il tempo nell’esempio di un padre abbastanza permissivo e condiscendente e, perché no, anche un po’ complice, cosa che avrebbe fatto infuriare la sua “adorabile” consorte a dismisura, e questo lui lo sapeva già da allora.
D’altra parte, si augurava anche che suo figlio ereditasse il buon senso e l’opportuna, sebbene non sempre presente, serietà della mamma, dato che lui, in questo frangente, era consapevole di avere ben poco da offrire.
Passarono i minuti ed i balli, e mentre danzava con Margaret, Fred ogni tanto sghignazzava lasciandosi trasportare da questi pensieri, beccandosi più di un colpetto sulla testa da parte della giovane, che riusciva ad immaginare quali fossero le sue riflessioni.

Improvvisamente, però, una lince argentea attraversò il tendone ed atterrò sulla pista da ballo, tra gli invitati, che si guardarono attorno stupefatti e curiosi, mentre uno strano presentimento iniziò a diffondersi nell’aria.
«Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando1» parlò la voce di Kingsley Shacklebolt per mezzo del Patronus, e dopodiché fu il caos.
La gente urlava, correva in preda al panico, si Smaterializzava e fuggiva, facendo comprendere che ogni forma di protezione alla casa era ormai crollata. Fred e Margaret si ritrovarono da un secondo all’altro nel bel mezzo della folla e si guardarono, sconvolti e spiazzati, cercando di mantenere quel briciolo di lucidità assolutamente necessario in situazioni di questo tipo, per quanto ovviamente ciò fosse possibile.
«E adesso che diavolo facciamo, Fred?» fece lei in tono agitato, mentre lui si guardava attorno, allarmato.
«Troviamo Alexander e George, la priorità è questa! Non separiamoci!» disse, cercando di scavalcare con la voce le urla degli altri invitati e prendendo Meg per mano, iniziando così a cercare suo fratello e loro figlio. Era sicuro di averli visti ad uno dei tavoli più vicini alla pista, ma adesso lì non c’erano più, e si interrogava ansiosamente su dove potessero trovarsi adesso. Concentrato com’era, non si accorse di una figura incappucciata che puntava la bacchetta contro di loro.
«Stupeficium!» fu più veloce la giovane mamma, sfoderando con prontezza la sua bacchetta e Schiantando la losca figura dal lato opposto della pista da ballo.
«Bel colpo, grazie!» commentò Fred, correndo tra la folla e schivando due incantesimi uno dopo l’altro.
«Salvarti la pelle sarà il mio nuovo hobby, non te l’ho ancora detto? Oh, fanculo!» sbottò alla fine lei, lanciando via i tacchi e dando spintoni a chiunque le intralciasse la via; amico o nemico che fosse, poco importava: doveva trovare suo figlio e portarlo al sicuro, e doveva farlo il prima possibile.
Sperò con tutto il cuore che fosse ancora con George, che questi non l’avesse lasciato solo o con qualcun altro neanche per un istante. Sapeva che il suo migliore amico non avrebbe mai potuto fare una cosa così stupida ed incosciente, ed il fatto che non riuscissero a trovare né l’uno né l’altro doveva, teoricamente, essere la conferma del fatto che fossero insieme, ma la mente della strega aveva iniziato a compiere uno dei suoi viaggi interminabili e ad immaginare le peggiori cose possibili. L’unica sua certezza, in quell’istante, era che sarebbe stata capace di uccidere con le sue stesse mani chiunque avesse osato anche soltanto pensare di torcere un solo e minuscolo capello al suo bambino.
Senza rendersene neanche conto, però, inciampò; Fred non riuscì a trattenerla in tempo, così si ritrovò stesa per terra, accorgendosi che ciò che l’aveva fatta cadere non era stato qualcosa, ma un qualcuno, ovvero un’altra figura incappucciata che adesso se la stava vedendo con Fred, che aveva una delle espressioni più incazzate che avesse mai assunto fino a quel momento in vita sua.
Lei recuperò la bacchetta e si rimise in piedi, fregandosene dello strappo al vestito e determinata a sistemare quel tizio per così poter riprendere la ricerca di Alexander, pregando affinché essa non rimanesse ancora a lungo infruttuosa. Stavolta, però, ci pensò il ragazzo a Schiantarlo, non lasciando nemmeno il tempo alla moglie di rialzarsi.
«E con questa siamo pari» commentò quest’ultima, prendendolo nuovamente per mano ed osservandosi disperatamente intorno, mentre il giovane sembrava sul punto di imprecare a causa di quella situazione snervante.
George ed Alexander sembravano essersi volatilizzati nel nulla, scomparsi, spariti, divenuti invisibili: non c’erano da nessuna parte. La coppia continuò a spintonare e a guardarsi in giro con occhi ansiosi e carichi di apprensione, fino a quando Fred non si sentì afferrare per la giacca. Si voltò di scatto, con la bacchetta levata e pronta per l’utilizzo, ma comprese che non era necessaria, abbassandola, una volta che ebbe messo a fuoco il volto preoccupato ed al tempo stesso furioso di sua madre.
«Che cosa ci fate ancora qui, voi due? Siete impazziti o cosa?» chiese loro, urlando quasi più forte di tutti gli altri. Meg si sollevò in punta di piedi per cercare meglio sopra le teste di coloro che erano rimasti, con risultati nulli.
«Non sappiamo dove siano finiti George ed Alex, mamma! Non possiamo andarcene senza il bambino!» rispose Fred, concitato, ma Molly, anziché manifestare apprensione, sfoggiò un’espressione incredula.
«Sono tornati a casa, ecco dove sono! Ho obbligato George a portare via vostro figlio, pensavo di avervelo detto!» spiegò la signora Weasley, al che i due neo-genitori spalancarono occhi e bocca, incapaci di credere alle loro orecchie. «Allora?! Cosa ci aspettate? Andate subito via di qui, sciocchi!» urlò di nuovo Molly, spingendoli, come se così facendo potesse farli Smaterializzare lei stessa.
«Non possiamo andarcene e lasciarvi così!» protestò Margaret, ma la suocera la fissò storta, sorpassandoli e dirigendosi verso gli altri. Così, Fred guardò velocemente sua moglie negli occhi, e quando questa annuì la prese per mano e si Smaterializzò con lei.

Riapparvero all’inizio del piccolo sentiero che conduceva al retro di Villa Orchidea, dato che la casa era stata protetta ed era impossibile Materializzarsi direttamente all’interno.
Senza proferire parola, percorsero la strada che li separava dalla spiaggia e, una volta arrivativi, si precipitarono all’ingresso secondario, spalancando la porta ed entrando in salone. Lì, vi trovarono George che, con in braccio un Alexander disperato e con Willow l’elfa domestica alle calcagna, faceva su e giù per la stanza, attendendo con ansia il loro arrivo. Una volta che furono entrati, il ragazzo alzò di scatto la testa e fece rilassare i muscoli facciali, sollevato.
«Santo Merlino, finalmente!»
«Oh, George!» disse Meg, con un immenso peso in meno e con un filo di voce, andando ad abbracciare lui ed il bambino. Da sopra la testa della cognata, George vide il gemello che lo fissava, riconoscente, prima di avvicinarsi ed unirsi anch’egli all’abbraccio.
«Ci avete fatti spaventare a morte, ma grazie per averlo portato al sicuro, Lobo Solitario» gli disse, prendendo poi suo figlio e dandogli un bacio sulla testolina, mentre questi ancora piangeva forte ed ininterrottamente.
«Non potevo farlo stare ancora lì. La mia intenzione era quella di lasciarlo a Willow e di ritornare alla Tana a prendervi, ma era troppo spaventato… piange e urla senza sosta da quando siamo arrivati, non… non me la sono sentita di andarmene sapendo che fosse in queste condizioni» spiegò George, che ancora teneva stretta Margaret, che affondava il viso contro la sua camicia e che al momento non sembrava intenzionata a lasciarlo. Ancora in quella posizione, annuì lentamente con il capo, dando quindi un segno di vita ai presenti.
«Hai fatto benissimo» bofonchiò, sospirando, percependo una fitta allo stomaco al pensiero di quello che aveva provato fino a pochi minuti prima non sapendo dove fosse finito suo figlio: quelle stesse terribili sensazioni che aveva provato la sera della missione, quando non aveva visto arrivare Fred con la sua Passaporta.
Sciolse l’abbraccio e andò a sprofondare sul divano, noncurante del ginocchio sanguinante e dolorante per via della caduta e infischiandosene del fatto che oramai il suo vestito semidistrutto lasciasse ben poco all’immaginazione. I ragazzi la imitarono subito dopo, Fred poggiando la testa sulla sua spalla e George slacciandosi la cravatta e le scarpe e lanciandole dall’altra parte della stanza, mentre Meg cercava di calmare Alexander, cullandolo.
«E adesso?» domandò George, volgendo lo sguardo oltre la finestra. Sembrava una sera come tutte le altre.
«E adesso aspettiamo» rispose la cognata, gettando indietro il capo e chiudendo gli occhi. Poteva percepire i familiari capelli di Fred solleticarle il collo, eppure ciò non riusciva a trasmetterle il sollievo che era solito derivarne: pensava piuttosto a ciò che era successo, a quella comunicazione sconvolgente e a quello che presumibilmente sarebbe stato il dopo.
Il Ministro era morto, probabilmente ucciso dai seguaci di Voldemort, se non da questi stesso, se mai avesse deciso di scomodarsi per Scrimgeour. Ed ora, com’era prevedibile, sarebbe stato lui a detenere il potere ed il controllo totale sul Mondo Magico, possibilmente, pensò la ragazza, delegando qualcun altro al suo posto, essendo troppo furbo per poter uscire così presto allo scoperto. Preferiva non farsi notare, lui, che rimaneva come avvolto e nascosto da una coltre di fumo invisibile fatta di terrore e angoscia.
Ciò che più avevano temuto pareva essersi avverato, e a stento avevano idea di come agire o comportarsi. Lei doveva andare a lavoro già la mattina successiva, e quasi aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare al suo arrivo al Ministero. Non sarebbe stato affatto lo stesso del giorno prima.
Pensò anche e inevitabilmente alle figure che avevano fatto irruzione durante il matrimonio di Bill e Fleur e agli altri che erano ancora lì prima che loro se ne andassero. Si chiese se stessero ancora cercando di proteggersi a vicenda o se fosse tutto finito, se li stessero interrogando o – e al solo pensiero rabbrividì – torturando per estorcere loro informazioni. Le sembrò di rivedere di fronte agli occhi il viso rigato dalle lacrime di Fleur, le espressioni terrorizzate degli invitati, gli sguardi sconvolti e spiazzati di Arthur e Molly Weasley, Lupin, Tonks, e dei suoi genitori, e solo allora le venne in mente un piccolo particolare che le fece saltare il cuore in gola a causa della crescente preoccupazione.
«Accidenti, mia madre» sussurrò, alzandosi dal divano e poggiando Alexander, ora più tranquillo, sul petto di Fred, che, così come il gemello, la fissò con tanto d’occhi mentre di dirigeva alla finestra.
«Tua madre cosa?»
«Ti ricordi… Vi ricordate quando, qualche ora fa, dopo aver parlato con lei e mio padre, sono tornata con una maschera di disgusto al posto della faccia?» iniziò, al che i due annuirono lentamente, invitandola a continuare. Lei trasse un profondo respiro ed assunse una strana espressione, prima di proseguire. «Ecco… oh cielo, mi sento male. Quei due deliranti impazziti sono incinti. Ecco, l’ho detto» disse tutto d’un fiato Meg, guardando i due ragazzi, le cui bocche erano spalancate e minacciavano di toccare il pavimento. La giovane cercò di resistere all’impulso di prenderli a pugni.

«Terra chiama Fred. Terra chiama George. Sono qui, mi vedete? O devo forse indossare un bikini ed iniziare a ballare la samba sul tavolo per ottenere la vostra attenzione?» sbottò lei, sbracciandosi, dopo due minuti di assenza cerebrale dei due, che improvvisamente si riscossero e si impostarono addosso due sorrisini furbi identici.
«Non sarebbe una cattiva idea» commentò George, che non tardò a ricevere una cuscinata in piena faccia da parte della migliore amica, che adesso fulminava Fred con lo sguardo.
«Tu, invece? Hai qualcosa da aggiungere?» soffiò nella sua direzione, esasperata. Fred deglutì e provò ad impedire ai suoi occhi di cadere sulla scollatura di sua moglie, riuscendoci – fortunatamente per la sua incolumità.
«E quindi… E quindi aspettano un bambino. Be’, è una bella notizia, no?» tentò lui, comprendendo il disagio di Margaret, che difatti scombinò l’acconciatura con la mano e fece un sorriso tirato.
«Sì, ma… pensare che loro due… Merlino, sono i miei genitori, non riuscirò mai più a guardarli in faccia!» ammise, diventando viola per l’imbarazzo, al che Fred non seppe se la trovava più tenera o buffa. Nel dubbio, rise, mentre il fratello non riusciva più a guardare la cognata senza immaginare delle ballerine di samba in bikini.
«È comprensibile, amore, non fartene una colpa. Certo, ne hanno perso di tempo, ed avere una cognata o un cognato più giovane di mio figlio sarà una cosa strana, ma è comunque una splendida notizia, lo credi anche tu. Per il resto, non ti do torto, anch’io rabbrividirei al pensiero di mia madre e mio padre che… Merlino onnipotente, sto per vomitare» fece Fred, sotterrandosi dentro il divano una volta che ebbe finito, mentre il gemello, sconvolto, aveva spalancato gli occhi a quell’ultima frase, sfoggiando un colorito verdognolo. Meg parve soddisfatta di quelle reazioni e tornò alla finestra del salone, prendendo la bacchetta.
«Che fai?» le chiese il marito, incuriosito.
«Mando un Patronus a mia madre, voglio vedere come sta e se è tornata a casa, quando ce ne siamo andati era ancora lì. Completamente pazza. Capisco che è un’Auror e che dunque deve fare il suo mestiere, ma come le salta in mente nelle sue condizioni?»
«Non lo fare, Maggie!» la fermò lui, ancora prima che la ragazza riuscisse ad evocare la sua aquila argentea. Fissò torva il giovane, che la guardò con fare sbalordito.
«Non possiamo rischiare: non sappiamo se sono al sicuro, se possono interagire con noi, non sappiamo niente. L’unica cosa che ci è concessa fare senza rischiare di mettere a repentaglio la salute di qualcuno, è aspettare che siano loro a darci notizie» le spiegò, avvicinandosi a lei e posandole le mani sui fianchi. Lei provò ad evitare il contatto visivo, non riuscendoci: i suoi occhi erano come calamite.
«Sono preoccupata per loro, tesoro, e non riesco a starmene con le mani in mano, lo sai.»
«Lo so, Pasticcino, e vorrei tanto rendermi utile anch’io, ma possiamo solo pazientare, nulla di più. È per il loro e per il nostro bene» le sussurrò, comprensivo, e nonostante tutto riuscì a strapparle un insolito sorriso.
«Mi fa impressione questo lato di te responsabile e assennato che talvolta salta fuori: nelle rare volte in cui succede, mi viene da pensare che tu in realtà non sia tu, ma un impostore che ha preso le tue sembianze. Sto parlando con il vero Fred Weasley?» scherzò quindi Meg, al che Fred le passò una mano tra i capelli e le baciò la fronte.
«L’unico e per di più l’originale» rispose allora il ragazzo, incitandola poi a prendere posto sul divano e accomodandosi immediatamente dopo accanto a lei, che tuttavia non riusciva davvero bene a mascherare la tensione.
Teneva costantemente gli occhi fissi oltre la finestra, domandandosi cosa stesse accadendo in quello stesso istante ad Ottery St. Catchpole e rabbrividendo al pensiero delle possibili risposte, riflettendo al contempo che ancora una volta – si disse – lei era lì, impotente al cospetto del corso degli eventi, che sembrava averci preso gusto nel strapparle il cuore dal petto e strizzarlo con tutta la forza possibile dieci, cento, mille volte, fino a quando non fosse stato strapazzato per bene. E ci stava riuscendo, eccome se ci stava riuscendo.
Ci era riuscito già poche sere prima, quando lei, impossibilitata a lasciare le mura di quella casa, aveva dovuto mettere alla prova in primo luogo se stessa, senza alcuna possibilità di scampo, perché l’unica alternativa sarebbe stata piegarsi alla paura ed alla sofferenza e di conseguenza soccombere. E adesso ci stava riuscendo ancora, le bisbigliava all’orecchio che lei non serviva a niente, che non aveva alcun potere e che non lo avrebbe mai avuto, né sulla sua vita né tantomeno su quella degli altri. Le schiacciava il petto e le ripeteva, ridendo sguaiatamente, che non avrebbe mai potuto far nulla per proteggere le persone che amava, perché qualsiasi cosa lei avesse fatto, non sarebbe mai stata sufficiente a sbaragliare le forze del destino, che in quel momento si ergeva come un’entità minacciosa di fronte ai suoi occhi.
Un’entità che continuava ad urlarle addosso che la vita era per sua natura ingiusta e che lei era solo un’inutile pedina di quell’immensa scacchiera.

«Basta» esclamò improvvisamente, aprendo gli occhi e rendendosi conto solo in quell’istante che le sue mani stavano stringendo la sua testa. Si alzò, non senza qualche difficoltà, e impugnò la bacchetta. Fece per dirigersi verso l’uscita secondaria, ma la voce di Fred la costrinse a fermarsi.
«Cosa? Ehi, si può sapere cosa vuoi fare?»
«Torno alla Tana, non ho intenzione di aspettare qui un solo secondo di più» rispose pacatamente, per poi voltarsi e riprendere a camminare, ma il giovane stavolta la prese per un braccio e la bloccò nuovamente, al che lei gli puntò gli occhi addosso e gli riservò uno sguardo carico di disappunto.
«Lasciami» gli disse in un sussurro, ma lui non si mosse.
«Tu non vai da nessuna parte» ribatté Fred, così la ragazza cercò di liberarsi strattonando il braccio, non riuscendoci.
«Lasciami, ti ho detto.»
«Ti sto impedendo di fare cazzate, dovresti ringraziarmi. Cosa vorresti dimostrare, Margaret? Quanto sei brava, coraggiosa e forte? Lo sappiamo già tutti, non c’è bisogno che ti metta in pericolo per questo» le bisbigliò lui all’orecchio, in modo tale che potesse sentirlo solo lei, che d’altra parte non tardò nel tentativo di scansarlo un’altra volta.
«Tu non capisci. Io non sono una pedina, Fred. Io ho potere sulla mia vita e sono io che decido. Non mi affido ad una forza immateriale nella quale non credo e non ho mai creduto, non voglio lasciarmi condizionare da un presunto destino già scritto, restando immobile quando invece dovrei agire ed imporre quella che è la mia volontà. Io posso fare qualcosa, tutti noi possiamo fare qualcosa. Siamo noi che scriviamo la storia, che diamo forma agli eventi, e non esiste nessuno che possa farlo al posto nostro. Io sto andando, e tu non riuscirai a fermarmi. Puoi solo decidere se lasciarmelo fare da sola o se venire con me. A te la scelta» fece lei, e poche volte come allora si era sentita sicura al mille per mille di star facendo la cosa giusta.
Tese la mano a Fred, attendendo una sua risposta, ma già immaginava quale sarebbe stata: glielo si leggeva in quegli occhi azzurri, che lei conosceva così bene, che anche lui la pensava all’incirca allo stesso modo. E infatti, non senza qualche esitazione, alla fine lui le sorrise.
«“Nella buona e nella cattiva sorte”, no? Andiamo a prenderli a calci in culo, Pasticcino» le disse, stringendole la mano che lei gli stava porgendo, ma prima che potessero fare un solo passo verso l’uscita, George richiamò la loro attenzione.
«Ragazzi, guardate lì» disse loro, indicando una forma argentea che pian piano si avvicinava fluttuando alla finestra, forma che scoprirono fosse quella di un leone, il Patronus di Gloria Wilson in Stevens, che difatti parlò con la sua voce una volta raggiunto il centro della stanza.
«Stiamo tutti bene. Non hanno trovato ciò che cercavano. Siamo tutti sorvegliati. Non rispondete, al momento potrebbe essere pericoloso. Non uscite di casa per nessun motivo. Aumentate le protezioni, nominate un Custode Segreto. Massima cautela. Vi vogliamo bene» riferì, e la voce della madre di Margaret, sebbene a primo impatto potesse sembrare abbastanza tranquilla, in realtà trasudava quel pizzico di agitazione e preoccupazione normalissimo in una circostanza come quella. Nonostante ciò, all’udire quel “stiamo tutti bene”, la ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e come lei, immediatamente dopo, i gemelli.
Sapevano che adesso ci sarebbero state ulteriori precauzioni da prendere, sapevano che non avrebbero avuto la stessa libertà persino di quella stessa mattina e sapevano che adesso l’Ordine avrebbe richiesto loro di svolgere molte più faccende di prima, ma paradossalmente non importava. Non in quell’istante. Stavano tutti bene, al momento non potevano chiedere di meglio. Un po’ ammaccati, spaventati, stanchi, con gli abiti semidistrutti, ma sani e momentaneamente al sicuro.
Margaret non riuscì a nascondere un mezzo sorriso e alzò gli occhi al cielo.
«Merlino sia lodato. Chi vuole del Whisky Incendiario?»
«Io» risposero all’unisono i gemelli, sprofondando con sentimento nel divano. Meg si scombinò i capelli con la mano e strizzò gli occhi, fermandosi sulla porta della cucina.
«Sì, dovrebbe essere l’incentivo più adatto a farmi ricordare come si formula un Incanto Fidelius. Ho bisogno di un po’ di sana motivazione!» disse, scrollando le spalle e scomparendo nell’altra stanza.
Fred e George si scambiarono uno sguardo divertito e, scuotendo la testa, rifletterono sul fatto che, a prescindere da ogni cosa, Margaret sarebbe sempre stata Margaret, con tutti i pregi e i difetti, le abitudini e i lati sorprendenti, le virtù e i vizi. Sarebbero successe e cambiate tante cose, ma lei sarebbe sempre stata la stessa ragazza che, quella sera di agosto di due anni prima, aveva fatto irruzione nella loro camera al numero dodici di Grimmauld Place dopo nove lunghi anni.
La stessa ragazza che, a rifletterci bene, forse non se n’era mai realmente andata.

 

***
 

And then dance if you wanna dance
Please brother take a chance
You know they’re gonna go
Which way they wanna go


Quasi tutte le bolle di sapone erano scomparse, ma Abigail, nonostante ci provasse, non riusciva ad abbandonare l’acqua, ormai tiepida, che riempiva fino all’orlo la vasca da bagno. Non le importava se quel tiepido, in effetti, fosse a tratti più vicino al freddo che al caldo: era troppo intenzionata a sguazzare ancora per un po’ nell’arte del dolce far niente per farci realmente caso.
Piuttosto, immergeva la testa nell’acqua ad intervalli regolari, riemergendo dopo qualche secondo per trarre dei profondi respiri, poggiando il capo sul bordo della vasca. 
Aveva bisogno di rilassarsi, in particolar modo dopo quello che le era stato raccontato degli eventi di due giorni prima, quella stessa mattina, da una lettera di sua cugina Margaret e da una di sua madre, che era tornata da poco a Roma e che dunque poteva riferirle quasi ogni cosa senza correre troppi rischi. Aveva risposto subito a quest’ultima, invitandola a fornirle ulteriori indicazioni, mentre il gufo della prima, Lele, ancora attendeva impaziente, svolazzando per la camera, che lei gli consegnasse il foglio di pergamena che doveva recapitare alla sua padrona.
La ragazza non sapeva effettivamente le ragioni per le quali esitasse a sigillare quella lettera, ma una parte di lei sentiva che non era del tutto completa. Aveva ancora bisogno di elaborare, ed aveva bisogno di tempo. Tutte quelle notizie l’avevano turbata nel profondo e le avevano lasciato un peso dentro del quale necessitava liberarsi il prima possibile.
Regina le aveva detto che, la stessa notte del primo di agosto, i Mangiamorte avevano fatto irruzione in tutte le case legate all’Ordine nel tentativo di estorcere informazioni, non trovando però ciò che stavano cercando. Margaret era riuscita a proteggere la casa con l’Incanto Fidelius giusto in tempo, rendendola irrintracciabile, non consapevole però di ciò che stava accadendo allo stesso tempo nel resto del Paese.
Abigail non riusciva ancora a capacitarsi pienamente di ciò che era accaduto, e più ci provava, più le veniva voglia di fare i bagagli, di tornare nel Devonshire e di prendere a calci chiunque avesse tentato di impedirglielo. Si sentiva una stupida ad essere ancora lì, lontana dalle persone che amava, dopo gli ultimi avvenimenti, ma in quell’istante si sentiva ancora più stupida a restare immersa in quell’acqua ormai gelida con il rischio di prendersi un malanno.

Uscì allora dalla vasca ed infilò l’accappatoio, e ancora con i capelli bagnati si diresse in camera ed indossò il tailleur blu che Savannah le aveva imposto per quel pomeriggio.
“È necessario che tu faccia subito una buona impressione, e con lei l’unico modo affinché ciò avvenga è indossare roba elegante e firmata e trasudare eleganza, charme e garbo da ogni singolo poro, credimi” le aveva detto la sua compagna di stanza tre sere prima, per poi andare a cena fuori con l’ennesimo tipo e lasciarla lì, sola, a ripassare l’immenso manuale di Antidoti e Pozioni Curative per l’esame del giorno successivo.
Si guardò allo specchio e si disse che non era poi così male, nonostante fosse terribilmente scomodo.
«È per una buona causa, Gail. Solo poche ore, ce la puoi fare. D’altronde, hai sopportato di peggio» si disse, sovrappensiero, per poi asciugarsi i capelli e truccarsi quel che bastava a nascondere le occhiaie, figlie della notte insonne che aveva trascorso a rigirarsi nel letto, più e più volte, nel tentativo di mettere a tacere i presentimenti che già, dentro di sé, aveva iniziato ad avvertire.
«Ehi, cosa vedono i miei occhi! Li stenderai tutti, Inglesina» le disse Savannah, sorridente, entrando in camera, anche lei con un completo elegante addosso. Abigail scrollò le spalle e spalancò le braccia, non tanto convinta.
«In questo momento vorrei solo dormire, non mi reggo in piedi» commentò, beccandosi un’occhiataccia da parte dell’amica.
«Smettila, sembra una cosa stupida ma è una faccenda importante» la rimproverò, seria, ma il suo sguardo fu rapito da Lele, che adesso era ancora più furioso e svolazzava a pochi centimetri dalla testa di Abigail. «Per quanto mi riguarda, può anche essere il gufo della Regina Elisabetta, ma quel tailleur mi è costato quattromila sterline, e se osa sporcarlo giuro che lo uccido con le mie stesse mani» continuò, fissando minacciosamente il volatile, che d’un tratto sembrò meno tentato di infastidirla.
Abigail, esasperata, si sedette alla scrivania e aggiunse qualche parola alla lettera, poi la consegnò al gufo che, senza indugio, spiccò il volo oltre la finestra e si avviò.

Le due giovani lasciarono la stanza e si diressero verso l’uscita di quel complesso di alloggi, dove ad aspettarle c’era una limousine bianca ed un autista che, in loro attesa, teneva aperta una delle portiere dell’auto.
«Quasi dimenticavo. Tieni questi, non guastano mai» disse Savannah, indossando un paio di occhiali da sole e porgendone un altro ad Abigail, che non tardò ad imitarla.
Si incamminarono verso la limousine, mentre l’autista faceva loro segno di salire. Abigail si accomodò sul sedile, e non si stupì di trovare all’interno dell’auto una donna.
Una donna bellissima, probabilmente della stessa età di Regina, dai lunghi capelli biondi e lisci. Indossava un elegante abito bianco come la limousine, aderente e lungo fino al ginocchio, ed un cappello largo, bianco anch’esso, che non nascondeva l’incredibile bellezza di quel volto, sul quale era poggiato, come nel caso delle due ragazze, un paio di occhiali da sole. La donna sorrise e porse la mano morbida e curatissima ad Abigail, che la strinse e sorrise di rimando.
«Signorina Thompson, che piacere. Mi hanno parlato molto di lei, più di quanto crede. Sa, tengo molto a sapere quanto più possibile sulle persone con cui intrattengo… come chiamarle, trattative? Non mi pare il termine più adatto, ma in fin dei conti è di questo che si tratta, o no? Mio marito e mio figlio ritengono che sia un’imperdonabile smania di controllo, ma so che la mia splendida Savannah la pensa come me. Non è così, tesoro mio? Comunque, mia cara Abigail, so che è una strega molto intelligente, quindi sono certa che sarà un immenso piacere avere a che fare con lei. Ma non è questo il momento di parlare di queste cose, assolutamente no. Sono stata così maleducata da non presentarmi, mia cara, anche se credo che mia figlia le abbia già detto tutto di me, sebbene a volte tenda ad enfatizzare anche lei i miei lati negativi e a non accennare minimamente ai miei pregi e alle mie virtù. Il mio nome è Elsa Pedersen, e sarei davvero felice se potessi offrirle qualcosa. Sarà un viaggio breve, ma è il caso di affrontarlo con lo spirito giusto» fece la madre di Savannah, porgendo alla sua ospite un bicchiere di Idromele con lo stesso sorriso disarmante di pochi istanti prima.

 

***

 

Belfast, 03.08.1997


Cara, Carissima Maggie

Sono senza parole, cosa davvero strana ed inquietante per una logorroica cronica come me. Come state? Non riesco ancora a credere che possa essere accaduta una cosa simile così improvvisamente, e per di più durante il matrimonio di tuo cognato… povera Fleur, un giorno che avrebbe dovuto ricordare come uno dei più belli della sua vita e che invece si è trasformato in un incubo. Le scriverò il prima possibile per chiederle come sta e, be’, anche per congratularmi: in fin dei conti, si è pur sempre sposata.
Scriverò anche a tua madre, dato che ho saputo della lieta notizia, e per un attimo sono rimasta spiazzata nel notare che tu non me ne hai fatto accenno, ma ti perdono. Attribuisco questa tua dimenticanza allo shock.

Tornando al discorso che stavo facendo all’inizio, come puoi ben immaginare sono soprattutto questi i momenti in cui mi mangio le mani perché non sono con voi, ma a chilometri di distanza. Perché non mi mancate soltanto quando ogni cosa è al suo posto e stiamo tutti bene, no… mi mancate ancor di più quando casca giù il cielo e non si capisce più un cazzo, quanto il tuo “purè di patate” (mi fa troppa impressione chiamarlo “marito”, sarà che siamo troppo giovani per queste convenzioni sociali) tarda a tornare in quella circostanza e tu ti senti morire, quando quell’idiota di George si fa asportare un orecchio, o quando tu non trovi tuo figlio e lo cerchi disperatamente tra la folla, ma poi tiri un sospiro di sollievo una volta visti i suoi occhioni azzurri terrorizzati che non attendevano altri che te.
Ecco, Meg. Io avrei voluto essere lì. Avrei dovuto essere lì. Avrei dovuto essere lì accanto a te per abbracciarti forte e dirti che Fred sarebbe tornato presto, per obbligarti a non abbandonare le speranze, per asciugarti quelle stupide lacrime sul viso e per aiutarti a rimetterti in piedi e tornare te stessa. Perché sì, ce l’hai fatta anche da sola, ma in due sarebbe stato tutto infinitamente più semplice.
Avrei dovuto essere lì per trascinare quell’imbranato sul divano e curargli le ferite, per fasciargli quella stupida testa e stringergli forte la mano fino al suo risveglio, e forse, una volta visto il suo sorriso, i sensi li avrei persi io. Avrei dovuto essere lì per prendermi cura di lui il giorno dopo, e quello dopo ancora, fino a quando non si fosse ripreso, e avrei dovuto stringergli il braccio il giorno del matrimonio di suo fratello (in compenso, quello stesso giorno, ho passato un altro esame con il massimo dei voti, in fondo non mi posso lamentare) e ballare con lui sulle note di quella canzone che ci ha visti ballare insieme la primissima volta, nella cucina-sala da pranzo dell’appartamento al piano superiore del negozio, proprio il giorno del suo compleanno.
E avrei dovuto essere lì per correrti incontro mentre cercavi tuo figlio e dirti che George l’aveva portato a casa e che stava bene, che saremmo stati tutti bene, che tutto sarebbe andato per il meglio. E invece eccomi qui, a perdermi alcuni dei momenti peggiori, ma non ne sono felice. Non lo sono affatto.
La certezza di non poter fare nulla per voi mi devasta, ma la consapevolezza che potrebbe succedervi qualsiasi cosa in qualunque istante mi uccide. È snervante. Giuro, farò di tutto per finire il prima possibile questi corsi. Non esiste che io me ne vada senza averli prima terminati, ma voglio tornare a casa. C’è una guerra, e dobbiamo combatterla insieme.

Fammi un favore: di’ a George che lo amo, ma digli anche e soprattutto che è una testa di cazzo. Ho perso mio padre quando ero ancora una bambina, ho mandato a puttane una storia di merda che andava avanti non si sa come da due anni, sono stata presa in giro troppe volte ed il mio cuore non ne può più di essere lanciato contro il muro e sotto i piedi un giorno sì e l’altro pure. Direi che per adesso ho sofferto abbastanza, quindi che faccia pace con il cervello e mi dica chiaramente come stanno le cose, perché sono stanca di gettare parole al vento. Io lo amo davvero tanto, credimi… ma non posso continuare a farmi del male così inutilmente. Sono disposta ad aspettarlo, ma deve darmi una buona ragione per farlo.

Detto questo, è giunto il momento di concludere questa lettera fin troppo lunga. Aspetto una tua risposta, come sempre. Nel frattempo, dai un bacio enorme al piccolo Alex da parte mia: sicuramente, quel suo faccino paffuto da prendere a morsi è una delle ragioni per cui non vedo l’ora di tornare. Salutami Fred, ovviamente.
Ti voglio bene, Maggie, e mi manchi.

You are my person

 
Gail

Ps. Ho addosso una giacca ed una gonna blu, una borsa ed un paio di scarpe dal valore complessivo di cinquemila sterline, sto per salire su una fottuta limousine e stasera sono a cena in una delle mega ville della famiglia della mia super ricca compagna di stanza. Questa sarà una storia molto interessante da raccontare al mio ritorno (top secret al momento).


George tenne stretta tra le mani quella lettera per qualche secondo, accarezzando con l’indice il punto in cui Abigail si era firmata. L’aveva letta così tante volte da saperla ormai a memoria, ed ogni singola parola era un pugno allo stomaco che faceva sentire in maniera terribile la sua presenza.
Posò nuovamente il foglio di pergamena sulla scrivania di Margaret, esattamente come lo aveva trovato, e si allontanò dallo studio della sua migliore amica lentamente e silenziosamente, proprio come vi era entrato.  
       

 
All we know is that we don’t know
How it’s gonna be, please brother let it be
Life on the other hand, won’t make you understand
We’re all part of the Masterplan


1: Da "Harry Potter e i Doni della Morte"; 


- Angolo dell’autrice

*Partono i Queen in sottofondo con “We are the Champions”*
Sono viva. Proprio così, sono sopravvissuta alla mia prima sessione d’esami all’Università. Questi sono momenti che non si dimenticano facilmente. Anyway…
Ma ciao, bellezze! *w* Come già anticipato, ecco qui il nuovo capitolo proprio a metà febbraio. Lo so, è un po’ lunghetto – giusto dieci pagine Word, che saranno mai – ma adesso che Abigail è a Belfast e devo dare ovviamente risalto anche a lei, le cose si allungano un pochino. Spero non sia risultato troppo pesante!
A proposito di Abbie… cosa starà combinando? Perché è su una limousine? Chi diavolo è Elsa Pedersen? Nei capitoli successivi arriveranno le risposte che tutti (?) attendiamo.
Quanto alla prima parte del capitolo, non sono tanto convinta di alcune parti – ma d’altronde non sono mai convinta di niente – quindi aspetto un vostro parere, se vorrete darmelo. ♥️
Comunque, come avrete notato, ho finalmente inserito un benedetto banner (non appena mi sarà possibile, darò una sistemata ai capitoli precedenti e lo inserirò anche in quelli). Ho perso qualche ora di sonno per realizzarlo, ma adesso anch’io ne ho uno e mi sento jkafnkjsklzkjn *O* e come vi avevo già detto, Margaret è “interpretata” da Phoebe Tonkin – attrice del cast di The Originals, per la precisione – mentre Abigail da Ashley Benson – che invece interpreta la fantastica Hanna Marin in Pretty Little Liars. Nella mia testa, loro due sono le perfette Meg e Gail, non c’è niente da fare. :’)
Ne approfitto anche per dire che ho completamente revisionato/riscritto la prima long, I have finally realised I need your love, e anche lì ho inserito un banner (diverso, naturalmente. Sì, ne ho fatti due, mi sono sentita un’artista per cinque minuti gloriosi). Rileggendola, mi era venuta voglia di cavarmi via gli occhi, non ho potuto resistere. Dovevo fare qualcosa, quindi ho apportato una serie di modifiche a mio avviso necessarie, anche se la differenza di stile tra quella storia e questo sequel si nota e si continuerà a notare sempre, anche se dovessi apportare cento revisioni – cosa che non farò mai perché non ho tempo e perché credo che più di così le mie povere sinapsi non possano reggere.
Ho anche pubblicato una OneShot, che partecipa ad un contest, ma è un mezzo spoiler su alcuni dei nostri personaggi. Liberissimi di leggerla adesso, ovviamente, ma a vostro rischio e pericolo. Cioè, nulla di eclatante, ma pur sempre uno spoiler – e io li odio, mi chiedo quindi perché l’abbia fatto.

Tornando a questo capitolo, il titolo è di Ella Wheeler Wilcox, mentre la canzone – che percorre tutto il testo – è The Masterplan, immenso capolavoro degli Oasis – che vi consiglio appassionatamente di ascoltare. Sì, da quest’estate ho ripreso in mano l’intera discografia degli Oasis dopo diverso tempo, e devo dire che mi sono proprio bloccata di nuovo con loro – forse adesso più di prima – quindi in questi capitoli li avremo con noi abbastanza spesso.
D’altronde, il primo amore non si scorda mai, e se già all’età di tre anni, nel 1998, mi incollavo allo schermo del televisore con tanto di occhi a cuoricino ogni singola volta che passavano il video di una loro canzone qualsiasi (i miei genitori hanno recuperato un filmato/reperto storico in cui canto All around the world. A tre anni. Era tutto un “vacci nonna tu uen de wol comfolli dan?” – che tradotto dal bambinese in inglese sarebbe “what you gonna do when the walls come falling down?” – e altra roba inintelligibile, ma era pur sempre la mia epica versione di All around the world), allora è vero e puro amore.
È un amore talmente insano che mi ha condotta alla follia di iniziare a scrivere una fanfiction su di loro, e so già che la mia salute mentale ne risentirà parecchio. Quindi, vi mando i saluti di due mie nuove creature, Janis Lloyd e sua figlia Bliss (proprio come Bliss, canzone dei Muse, altro mio grande primo amore), che non vedono l’ora di fare un salto su EFP. Non so tra di voi quanti Madferit ci siano, ma nel caso in cui foste interessati: #comingsoon #staytuned  
Adesso smetto di fracassarvi i bolidi e vi saluto. ♥️

Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, Feather_, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, KariWhite, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

A presto, spero. Cioè, non so quando tornerò a pubblicare, contate comunque non prima di un mese.
Se vorrete lasciarmi qualche recensione, sappiate che sono sempre bene accette e vengono accolte con tanto amore *partono i Beatles con All You Need Is Love*.

Un abbraccio stritola-ossa,

Jules 
♥️


- Dal prossimo capitolo:

Una volta assicuratasi che non vi fosse anima viva nei paraggi, s’incamminò spedita per il corridoio, tenendo la mano destra ben salda sulla bacchetta, nel caso in cui ve ne fosse stato di bisogno. Stava per raggiungere l’ascensore quando, alle sue spalle, una voce, seguita da dei passi lenti, la costrinse a fermarsi.
«Stevens. Dove credi di andare?» le disse Yaxley in tono pacato, forse fin troppo, al che Meg percepì la propria pelle accapponarsi per il disgusto. Si girò lentamente e scrollò le spalle con disinvoltura, come se nulla fosse stato.
«Oh, Yaxley. Il mio sesto senso mi diceva che l’avrei incontrata. Dovevo solo chiedere a Walker se…»
«Dovresti sapere che l’ufficio di Frank Walker è nella direzione opposta, a meno che tu non abbia perso la memoria, ma farò finta di niente. Sai, sono appena tornato al Ministero, e mi sono reso conto di aver voglia di fare una bella chiacchierata proprio con te. Ti dispiace?» la interruppe l’uomo, e Meg poté notare, con un guizzo dello sguardo, che anche lui stava portando la mano destra alla bacchetta.

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Capitolo 22
*** Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi ***


Capitolo 22


 


Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela,
o di lasciare che sia il destino a farla a noi


 
Rising fast on my feet, let me breathe, let me speak
I’m at home, I’m alive, both in veins above the size
Crystalline in the dark, all you see is the spark
All you feel, you don’t speak, me and you born to see
Shine a light (Shine a la-la, shine a light)



Non aveva tempo. Non ne aveva affatto. Doveva prendere tutta la sua roba e andarsene, tornare a casa e rinchiudersi dentro, e doveva farlo il più velocemente possibile. Ogni altro secondo trascorso tra quelle mura, in quell’edificio, era potenzialmente pericoloso, e Margaret lo sapeva perfettamente.
Non appena la notizia di ciò che era accaduto quella mattina – proprio all’interno del Ministero – fu giunta all’ufficio che divideva con Cassandra, il primo pensiero che ebbe avuto fu quello, inevitabile e logico, di fuggire. Da diversi giorni rifletteva sulla possibilità di non tornare a lavoro, scartandola però ogni singola volta: la situazione era sì diventata sempre più ostica, ma lei era Margaret Stevens; e Margaret Stevens, nonostante tutto, non mollava alla prima minima avversità. 
Stavolta, invece, era diverso. Tragicamente diverso. Suo cognato era appena scappato dal Ministero della Magia in compagnia di colui che, a tutti gli effetti, era ormai “l’Indesiderabile Numero Uno”, Harry Potter, facendo saltare ogni copertura e mettendoli tutti, definitivamente e irrimediabilmente, a rischio. 
E così, mentre rifletteva su ciò che avrebbe dovuto fare una volta uscita da lì, metteva di fretta e furia nella borsa da lavoro tutto ciò che le apparteneva e che ingombrava quella scrivania: una foto di Alexander – scattata proprio qualche giorno prima –, in cui suo figlio giocava con una delle finte bacchette marchio Weasley che il papà, ridendo, tentava di togliergli dalle mani; un’altra foto, risalente al giorno del suo matrimonio, in cui lei e Fred, abbracciati, sorridevano alla fotocamera, spensierati e felici; la sua piuma preferita, elegantissima, regalatale dai suoi genitori in occasione del suo diciassettesimo compleanno; i suoi due portafortuna, uno di Abbie e uno di George, e infine un’altra foto di suo figlio, appena nato e in braccio a lei, poche ore dopo aver lasciato la Clinica per tornare a casa.
Ad ogni oggetto sistemato dentro quella borsa, sentiva i propri battiti cardiaci accelerare a dismisura. Aveva paura, ne era consapevole, ma non voleva farci caso più di tanto. Semplicemente, perché non poteva permetterselo: l’unica cosa di cui doveva preoccuparsi era andare via il prima possibile e mettere al sicuro i suoi cari.
Una volta certa di non aver dimenticato nulla, alzò lo sguardo su Cassandra, un metro più in là, e ricambiò il suo sorriso amareggiato.
«Che farai, adesso?» le domandò la collega, passandole la giacca.
«Proverò a non farmi uccidere, catturare o quello che sia. Andrò a casa per accertarmi che Alex stia bene e poi andrò ad avvertire Fred e George al negozio. Dovresti andartene anche tu: sanno che siamo amiche, non esiterebbero di certo a torturarti. Prendi Frank e vattene appena puoi» rispose Meg, stringendola al contempo in un breve abbraccio, prima di dirigersi alla porta.
«Non stare in pena per me, Maggie, ma pensa alla tua famiglia. Sii prudente. Ti voglio bene» le disse Cassie, e Meg si accorse che aveva gli occhi lucidi, cosa che fece commuovere un po’ anche lei.
«Ti voglio bene anch’io, Cassie» fece, allora, aprendo la porta e uscendo, decisa a lasciare quell’ufficio definitivamente. Si guardò attorno, assolutamente non disposta a permettere che l’ansia prevalesse su di lei: era di importanza vitale che rimanesse perfettamente lucida e consapevole delle sue azioni.

Una volta assicuratasi che non vi fosse anima viva nei paraggi, s’incamminò spedita per il corridoio, tenendo la mano destra ben salda sulla bacchetta, nel caso in cui ve ne fosse stato di bisogno. Stava per raggiungere l’ascensore quando, alle sue spalle, una voce, seguita da dei passi lenti, la costrinse a fermarsi.
«Stevens. Dove credi di andare?» le disse Yaxley in tono pacato, forse fin troppo, al che Meg percepì la propria pelle accapponarsi per il disgusto. Si girò lentamente e scrollò le spalle con disinvoltura, come se nulla fosse stato.
«Oh, Yaxley. Il mio sesto senso mi diceva che l’avrei incontrata. Dovevo solo chiedere a Walker se…»
«Dovresti sapere che l’ufficio di Frank Walker è nella direzione opposta, a meno che tu non abbia perso la memoria, ma farò finta di niente. Sai, sono appena tornato al Ministero e mi sono reso conto di aver voglia di fare una bella chiacchierata proprio con te. Ti dispiace?» la interruppe l’uomo, e Meg poté notare, con un guizzo dello sguardo, che anche lui stava portando la mano destra alla bacchetta.
«Onestamente sì, mi dispiace eccome: tremo al pensiero di dover avere a che fare con gente come lei» rispose istintivamente, deglutendo e facendo un quasi impercettibile passo indietro. Lui accentuò la sua espressione carica di disprezzo e corrugò la fronte.
«Arrogante e impulsiva come tuo padre e guastafeste come tua madre, non c’è che dire» commentò, avvicinandosi di poco a lei, per poi riprendere. «Non ti hanno mai detto, però, che certi atteggiamenti si pagano a caro prezzo.»
«E, invece, io non le ho ancora detto che mi disgusta, sa? Che imperdonabile dimenticanza» fece ancora lei, prima di maledirsi mentalmente, perché sapeva che non avrebbe dovuto giocare col fuoco in maniera così sfacciata. Poi, però, rifletté che lui – a prescindere dalle sue possibili risposte –, con ogni probabilità, avrebbe comunque tentato di sbarazzarsi di lei, quindi tanto valeva non frenarsi dal dire ciò che le passava per la testa.
«Interessante. Dimmi, Stevens: come sta tuo figlio? Le fotografie, improvvisamente sparite dal tuo ufficio, dicevano che è identico a quel Weasley che hai avuto il pessimo gusto di sposare. Quel bambino sembra molto sveglio, e ho l’impressione che sarà un ottimo mago, un giorno, a maggior ragione con i geni materni che ha avuto la fortuna di ritrovarsi. La sua disgrazia, ahimè, è quella di avere una madre molto abile, , ma decisamente incosciente. Sarebbe davvero un peccato se, per colpa di questa figura materna così scellerata, gli accadesse qualcosa, non trovi?» disse lui, e a quel punto Margaret non ci vedette più dalla rabbia e mandò a farsi benedire ogni proposito di mantenere la calma. Sfoderò la bacchetta, furiosa, e gliela puntò contro, mentre la volontà di scappare si tramutava pian piano in desiderio di fargliela pagare. Nessuno al mondo avrebbe mai avuto il diritto di minacciare, davanti ai suoi occhi, l’incolumità del suo bambino.
«Non osare parlare di mio figlio. Non osare parlare della mia famiglia. Giuro che, finché vivo, tu e i tuoi amici non riuscirete mai ad avvicinarvi a loro, dovessi fermarvi con queste stesse mani.»
«Appunto: finché vivi» ribatté Yaxley, piano, levando anch’egli la bacchetta all’altezza del volto della giovane. «Di’ le tue ultime parole, Margaret Stevens
«Non oggi, bastardo» rispose lei, grave, non lasciandosi sorprendere e bloccando prontamente un primo tentativo di attacco.
Quell’uomo non sapeva con chi aveva a che fare, se pensava di poter averla vinta su di lei così facilmente. Sua madre era un’Auror, aveva iniziato a insegnarle ogni sorta di incantesimo difensivo e d’attacco quando era ancora una ragazzina, mostrandole i trucchetti del mestiere e aiutandola, giorno dopo giorno, a perfezionare le sue innegabili abilità. Sapeva combattere, ce l’aveva in quello stesso sangue che le scorreva nelle vene, e sapeva usare discretamente bene la Legilimanzia, tanto che le mosse degli avversari – il più delle volte – le parevano noiosamente prevedibili; sapeva che, con un pizzico di impegno in più, sarebbe andata in questo modo anche stavolta.
Rifletté che, se fosse stato realmente così, avrebbe fatto meglio a mostrarsi infinitamente riconoscente a sua nonna Vittoria fino alla fine dei suoi giorni.

Continuò a schivare e bloccare con disinvoltura le maledizioni che il Mangiamorte cercava di infliggerle, tant’è che questi sembrava estremamente irritato dalla circostanza, ma Meg sapeva che non poteva stare lì tutta la giornata a difendersi. L’ascensore era in fondo al corridoio, a qualche metro da lei, e doveva raggiungerlo quanto prima, sebbene non potesse considerarsi l’impresa più facile al mondo. Doveva escogitare una strategia, e doveva farlo in fretta. Così, mentre era lei – stavolta – ad attaccare, ritenne che l’unica cosa giusta da fare fosse quella di distrarlo quanto più a lungo ed efficacemente possibile.
«Dimmi, Yaxley: come ci si sente quando si è ad un passo dall’essere sconfitti da una “guastafeste, impulsiva, arrogante, scellerata e incosciente” traditrice del proprio sangue?» gli chiese, ironica, lasciandosi sfuggire un ghigno beffardo che, come risultato, ebbe quello di fare infuriare quell’uomo ancor più di prima.
«Taci, ragazzina. Ti conviene iniziare a pregare, perché se credi di poter uscire viva da questo corridoio, ti sbagli di grosso.»
«Potrei quantomeno sapere perché hai così voglia di uccidermi? Pensavo che il Signore Oscuro stesse dando la caccia a un disgraziato ragazzo con una cicatrice sulla fronte, non a una ventenne psicopatica e madre di un bambino di quattro mesi. Capisco che, a questo punto, siamo in una bolgia e uno vale l’altro, ma non mi capacito di questo accanimento nei miei confronti» commentò Meg, fingendo leggerezza e puntando con la coda dell’occhio il grosso lampadario del corridoio, posizionato esattamente sopra la testa del suo avversario.
«Se vuoi sconfiggere il nemico, devi prima privarlo di tutti i suoi combattenti migliori. Hai due alternative: o li catturi, o li uccidi. E tu sei fin troppo scomoda, per i miei gusti» rispose questi, sferrando una nuova maledizione, cui Margaret rispose con un incantesimo non difensivo, bensì d’attacco.
I due incantesimi entrarono in collisione, e Meg comprese che era quello il momento di agire per davvero. Rapidamente, indirizzò la bacchetta verso il lampadario e, dopo una frazione di secondo, con un colpo secco ruppe il collegamento. Gli incantesimi colpirono l’oggetto di cristallo, che si staccò dal soffitto e precipitò verso il pavimento. Yaxley fu veloce a spostarsi all’indietro, ma ciò che era appena accaduto aveva dato il tempo a Margaret di scappare il più velocemente possibile per fiondarsi in ascensore, le cui porte si chiusero giusto in tempo per impedire all’ennesima maledizione dell’uomo di colpire la ragazza. Questa si strinse la testa tra le mani, e per la prima volta in cinque minuti fece caso al ritmo del suo cuore, che batteva furiosamente contro la gabbia toracica.
«E muoviti! Quando arriviamo all’Atrium, cazzo! Fottuto Yaxley, fottuto Ministero, fottutissimo ascensore!» sbottò, prendendo a pugni le pareti della cabina e sbuffando sonoramente. Provò a calmarsi, prendendo un profondo respiro, ma era inutile: non aveva idea di come avrebbe fatto ad uscire da quell’edificio senza farsi notare. Sperava solo che Yaxley non la raggiungesse troppo presto.

Una volta che le porte si furono spalancate nuovamente, si ritrovò nel tanto agognato Atrium. Lì, la situazione si era ristabilita, e adesso regnava una certa – ma pur sempre relativa – quiete, che la fece rabbrividire dalla punta dei capelli a quella dei piedi. Decise che la soluzione migliore fosse comportarsi come se nulla fosse accaduto e dirigersi al camino più vicino con andatura normale, come se stesse tranquillamente andando via dopo un’intensa giornata di lavoro. S’incamminò, provando quantomeno ad apparire sciolta, ma la verità era che si sentiva molto simile ad una presa elettrica.
“Tranquilla, Meg. Non perdere il controllo. Non… Si può sapere perché questi camini sono così dannatamente lontani?!” si lamentò tra sé, mentalmente, aumentando di poco il passo, ma le sue gambe furono costrette a correre nell’esatto momento in cui la voce di Yaxley, non troppo lontana, prese a riecheggiare nell’Atrium, urlando: «Prendetela! Prendete quella donna, imbecilli
Margaret correva. Correva più velocemente che poteva, e sperava che ciò potesse bastare. Gli uomini della vigilanza la inseguivano, e lei ne Schiantò diversi, non fermandosi mai. Ma ne aveva due, determinati, alle calcagna, e di certo le scarpe che indossava non la aiutavano molto, così come l’emicrania lancinante che la tormentava da diverse ore; ma il camino era così vicino, adesso. Non poteva mollare, e non lo fece. Si tuffò quasi letteralmente lì dentro, e immediatamente dopo il suo corpo fu scosso dalle solite sensazioni legate alla Smaterializzazione.

Riapparve di fronte casa sua, con la faccia spalmata contro la sabbia appena bagnata dal mare, e quell’intenso odore di salsedine non poté che rassicurarle e rigenerarle l’anima. Si mise a sedere e pulì gli occhi e il viso con la manica della giacca, tentando al contempo di mandare indietro quell’intensa nausea che il dolore alla testa le aveva procurato; tuttavia, guardandosi intorno, non riuscì a fare a meno di sentirsi pienamente e meravigliosamente viva come quel mese di settembre, che solitamente tanto amava.
«Sono salva» bisbigliò, e poté percepire distintamente i suoi muscoli sciogliesi ed una serie di brividi percorrerle le braccia e la schiena. Avrebbe voluto urlare, correre a piedi scalzi per la spiaggia e, perché no, fare la follia di gettarsi tra le onde del mare come forma di catarsi, di liberazione da quel peso. Avrebbe voluto fare questo e tanto altro, ma si limitò a far entrare nei polmoni una bella dose di aria fresca – che ebbe un effetto calmante su di lei – e immediatamente dopo si alzò. Mai stata più felice di essere lì, si diresse verso casa con l’ansia di vedere suo figlio: le minacce di Yaxley continuavano a rimbombarle nelle orecchie, sadicamente martellanti. 
Aprì la porta d’ingresso, e la prima cosa che vide fu Willow, immersa con dedizione nelle faccende domestiche. Una volta accortasi del ritorno inaspettato della padrona, per di più sporca di sabbia e sudata, l’elfa non esitò a raggiungerla, preoccupatissima.
«Signora, è successo qualcosa? Willow non la aspettava così presto, altrimenti Willow si sarebbe sbrigata, sapendo che la padrona sarebbe tornata prima a casa» tentò di giustificarsi, ma Margaret, togliendosi le scarpe per evitare di sporcare, le sorrise e la interruppe.
«Non preoccuparti, Willow, sei sempre la migliore elfa che si possa avere. Voglio che tu vada ai Tiri Vispi Weasley, a Diagon Alley, e dica a Fred e George di chiudere subito il negozio e di tornare a casa. Di’ loro che si tratta di una questione importante e che sono avvenuti fatti di una certa gravità, questa mattina. Fatti che mettono in pericolo anche loro. Devono tornare a casa quanto prima, intesi?» fece Meg, concitata, ma ciò fece allarmare ulteriormente Willow, che strinse l’orlo della gonna di Margaret con gli occhi colmi di lacrime.
«I padroni e il padroncino sono in… in pericolo? Willow andrà subito, signora, ma la signora deve rimanere a casa con il signorino: non deve correre alcun rischio!»
«Alexander è con la sua mamma, nessuno potrà fargli del male. Adesso vai» rispose dolcemente la ragazza, al che l’elfa si inchinò e, con uno schiocco delle dita, si Smaterializzò.

Margaret, d’altra parte, preparò rapidamente il classico, salvifico intruglio di nonna Julia per il mal di testa e, dopodiché, si affrettò a dirigersi al piano superiore, nella cameretta di suo figlio, dove quest’ultimo era nella sua culla e allungava le manine verso l’alto, nel tentativo di afferrare i gufetti-giocattolo che svolazzavano in cerchio un po’ più su. La ragazza gli si avvicinò, sollevata, e quando il suo volto fu entrato nel campo visivo del bambino, questi iniziò a ridere, provando stavolta ad acchiappare le ciocche color castano rame dei suoi capelli.
«Mio bellissimo amore, vorrei riempirti di baci, ma rischierei di sporcare anche te. Purtroppo, dovrai attendere qualche altro minuto» disse lei, sospirando, per poi allontanarsi e dirigersi in bagno per fare una doccia: ne aveva proprio bisogno, dopo una mattinata come quella.
Adesso che l’euforia di ritrovarsi viva e vegeta stava lentamente scemando, iniziò a percepire una crescente ansia attanagliarle lo stomaco. Era stata una delle esperienze più brutte della sua vita, e comprendeva perfettamente che ogni cosa ne sarebbe risultata stravolta. Sarebbe cambiato tutto ancor più di prima, per lei così come per suo marito e suo cognato. Era impensabile che lei tornasse al Ministero, ed era molto improbabile che Fred e George potessero riaprire il negozio dopo che era stato scoperto che loro fratello era in viaggio con Harry Potter. Sarebbero stati costretti a trovare un modo alternativo per portare avanti l’attività, e lei avrebbe dovuto inventarsi qualcosa, perché stare con le mani in mano andava contro la sua natura. Il congedo di maternità era stato magnifico, dal momento che le aveva permesso di alzarsi un po’ più tardi la mattina e di prendere tutto con tranquillità, ma le aveva anche dimostrato ulteriormente – come se fosse stato necessario – che lei aveva bisogno di lavorare, e ne aveva bisogno per stare bene e per sentirsi in pace con se stessa. Non avrebbe permesso a quella Guerra di portarle via una cosa talmente importante, ed era decisa a trovare una soluzione.
Sapeva che non avrebbero più potuto mettere un piede fuori di casa fino alla fine di quell’inferno, senza adeguato travestimento; sapeva che qualsiasi passo falso avrebbe persino potuto ucciderli; sapeva che il loro destino non era mai stato tanto incerto quanto a partire da quella mattina; sapeva queste e tante altre cose, ma sapeva anche che nulla le avrebbe impedito di essere fiera della donna che era e di proteggere le persone che amava. Avrebbe potuto tentennare, smarrirsi per qualche istante, ma i suoi obiettivi erano chiari: la sua famiglia non si toccava, avesse dovuto sacrificarsi lei stessa per loro.
Uscì dalla doccia, sovrappensiero. Osservò la sua immagine allo specchio, notando con piacere di essere riuscita per davvero a tornare in forma dopo la gravidanza, e si disse che avrebbe fatto meglio a tagliare quei capelli, dato che, oramai, erano diventati troppo lunghi per i suoi gusti. Si asciugò e indossò degli abiti molto più comodi, poi andò a prendere suo figlio e si diresse con lui al piano di sotto, sedendosi sul divano ed attendendo pazientemente il ritorno di Willow con i due ragazzi. Iniziò a giocare con Alexander, mostrandogli tutta una serie di facce buffe che lo facevano ridere sempre più forte, mentre fuori iniziava a cadere una leggera pioggerellina autunnale.
Settembre era così: imprevedibile. Un po’ come lei, in effetti, e forse era per questa ragione che lo amava tanto. Un attimo prima c’è il sole, quello dopo piove; e poi ancora il sole, meraviglioso, un po’ come accade nella nostra vita. Devi danzare nel bel mezzo dell’oscurità se vuoi bearti della luce, ed era proprio questa consapevolezza a consentirle di tenere sempre viva ogni speranza.

Stava ancora giocando con Alexander quando, all’improvviso, sentì provenire dalla spiaggia il rumore di una Materializzazione.
Scattò in piedi, un po’ ansiosa, e sbirciò dalla finestra, scostando impercettibilmente le tende. Non appena ebbe scorto quei capelli rossi tanto bene conosciuti, non poté fare altro se non rasserenarsi. Andò velocemente alla porta e la aprì, fermandosi sull’uscio con ancora in braccio il bambino. Quando gli occhi di Fred incontrarono i suoi, entrambi si sciolsero in un sorriso.
Il ragazzo le andò incontro, sollevato nel constatare che stesse bene, e la abbracciò, dandole un bacio sulla fronte; le prese Alexander dalle braccia ed entrò con lei in casa, senza proferire parola, e s’incamminò in direzione del divano. Si sedettero entrambi, uno di fronte all’altra, e si rivolsero degli sguardi preoccupati per qualche istante.
«Dove sono George e Willow?» gli domandò Margaret, torcendosi le mani e non riuscendo a tenere nascosto quel pizzico di tensione che la tormentava.
«George doveva andare a parlare con qualcuno, e Willow ha pensato di tenerlo sotto controllo. Torneranno presto, sta’ tranquilla» la rassicurò, dando un’occhiata all’orologio. «Cos’è successo?» aggiunse, mentre i suoi occhi si posavano di nuovo su di lei.
«Hai saputo di tuo fratello, no?»
«Sì, e stavo proprio per raggiungerti al Ministero quando Willow si è Materializzata in negozio» spiegò lui, e a quel punto Meg si ringraziò mentalmente per essere riuscita a tornare a casa in tempo. Pochi minuti in più, e Fred si sarebbe ritrovato nella tana del lupo.
Gli raccontò molto velocemente ciò che le era accaduto quella mattina, mentre lui la ascoltava con curiosità e con un’espressione sorpresa stampata in faccia. Non si sarebbe mai aspettato di sentirsi raccontare quelle cose da lei, e nel frattempo poteva distintamente percepire l’agitazione scorrergli nelle vene. Non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che, mentre lui stava lavorando con tutta la tranquillità del mondo, lei stesse duellando con Yaxley per riuscire a fuggire da quell’edificio.
«Non… Non ho parole. Come potevo immaginare una cosa simile? Fattelo dire: sei stata immensamente e schifosamente brava. Non tutti avrebbero avuto il tuo coraggio, ed io… io sono maledettamente orgoglioso di te. Vorrei tanto trovare quel bastardo e prenderlo a pugni fino a fargli ingoiare i suoi stessi denti» le disse, rigido, ma facendole cenno di avvicinarsi. Le prese una mano e la strinse nella sua, mentre lei gli rivolgeva un sorriso dolce ma stanco.
«Quando ha tirato in ballo Alexander, io… Fred, io non ci ho visto più. Avevo paura di non essere all’altezza della situazione, è vero, ma il desiderio di fargliela pagare era molto più forte» ammise Margaret, lasciandosi andare contro lo schienale del divano. Fred annuì, comprensivo, e le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, prima di accarezzarle la guancia. Ancor più delle altre volte, si rese conto di quanto fosse incredibilmente felice che lei fosse lì con lui, e cercò di soffocare quella vocina che gli sussurrava con insistenza che, solo un’ora prima, aveva rischiato di perderla.
«Tu sarai sempre all’altezza di qualsiasi situazione, Meg. Se c’è qualcuno di cui non devi mai dubitare, quella persona sei tu. Sei una combattente, e so che nel profondo ne sei consapevole. Ti proibisco di affermare il contrario» la rassicurò, indirizzandole un sorriso furbo che lei non esitò a ricambiare. «Che hai intenzione di fare, adesso?» le chiese, poi, attendendo una sua risposta. Meg scrollò le spalle e sospirò, sconfortata.
«Ovviamente, non potrò più mettere piede al Ministero fino a quando non avremo vinto questa Guerra – cosa che potrebbe anche non accadere mai. Non ho intenzione di stare qui a far nulla, quindi penso proprio che continuerò con i miei studi privati di Magisprudenza. Per il resto, m’inventerò qualcosa. Piuttosto, voi come farete con i Tiri Vispi?»
«Abbiamo affisso sulla vetrina del negozio un avviso, informando i clienti che i prodotti verranno recapitati per posta. Ti conviene prepararti ad un’invasione di gufi, Pasticcino» spiegò Fred, al che Margaret gli rivolse un’espressione disperata che lo fece ridere. Stava per aggiungere qualcos’altro, quando la porta d’ingresso si spalancò e George, seguito da un gruppetto di persone, fece la sua irruzione in casa.
«Abbiamo ospiti» annunciò il ragazzo, arruffandosi i capelli bagnati dalla pioggia, mentre Willow pregava gli altri di asciugare le scarpe all’ingresso.
«Disse Mr. George Ovvietà Weasley» commentò Angelina, ironica, rivolgendo poi un enorme sorriso a Margaret e correndo ad abbracciarla. Fu subito imitata da Alicia e Katie, mentre Lee andava prima a salutare Fred, che di certo non si aspettava di ritrovarsi i loro amici in casa da un momento all’altro.
«Tu sì che hai fegato, dolcezza!» disse Lee a Meg, una volta che questa fu libera dall’affetto delle altre ragazze, che non esitarono ad annuire. La Stevens aggrottò immediatamente le sopracciglia, sospettosa.
«Chi ve l’ha raccontato?» chiese, incuriosita, ma la sua attenzione si focalizzò su altre due persone, ferme sull’uscio, che la osservavano con un notevole sollievo nello sguardo. Senza pensarci ancora, questa volta fu Margaret ad andare ad abbracciare loro.
«Come avete fatto ad uscire?» domandò, incredula di vederli lì ma immensamente felice. Cassandra sospirò, più rilassata, mentre Frank le passava un braccio attorno alla vita.
«Quando hai lasciato l’ufficio, sai… ho riflettuto su quello che mi hai detto, e ho deciso di darti ascolto. Ho raggiunto Frank e gli ho spiegato tutto, così abbiamo pensato ad un modo per andare via. Poco dopo, però, abbiamo sentito dei rumori provenire dal corridoio.»
«Abbiamo preso le nostre cose e siamo usciti, così ci siamo nascosti per spiare e abbiamo visto tutta la scena. Avremmo voluto attaccarlo alle spalle, ma eravate troppo veloci… avevamo paura di colpire te. Te la stavi cavando molto bene, ma saremmo intervenuti all’istante se ti avessimo vista in difficoltà. Poi, a Cassie è venuta in mente l’idea di far crollare il lampadario, ma ci hai anticipati» concluse Frank, ammirante, ma Meg aveva come l’impressione di essersi persa qualche passaggio.
«Okay, e dopo?» domandò, allora, invitandoli a prendere posto dove potevano. Sicuramente, dovevano aver spiegato ogni cosa a tutti gli altri prima di arrivare.
«Abbiamo aspettato che Yaxley lasciasse il piano per inseguirti e ci siamo diretti anche noi all’Atrium, abbiamo fatto finta di nulla e siamo sgattaiolati fino ad uno dei camini. Erano troppo concentrati su di te, siamo riusciti a passare inosservati… anche se la voglia di Schiantare un bel po’ di gente era tanta» finì Cassandra, quindi, sentendosi però un po’ in colpa per non essere riuscita a dare alcun aiuto all’amica in difficoltà. Questa non sembrò curarsene, e infatti le sorrise e annuì, facendole comprendere che non importava e che aveva fatto la cosa giusta.

Willow si offrì di preparare un tè per gli ospiti, che si accomodarono e non esitarono ad assaggiare gli ottimi biscotti alle mandorle preparati la sera prima da Margaret, mentre quest’ultima cercava di tenere buono Alexander, che stava iniziando a fare i capricci. Guardandosi attorno, percepì il proprio cuore scaldarsi di fronte a quelle persone, la cui presenza non poteva che essere infinitamente gradita, a maggior ragione dopo tutto ciò che era successo. Erano lì, pronti a far sentire il calore del loro affetto, e lei gliene sarebbe sempre stata grata.
Poco dopo, una volta che il tè fu servito, Lee si schiarì la voce e attirò gli sguardi dei presenti su di sé. Posò la tazza sul basso tavolino di fronte al divano e annuì lentamente, sempre più convinto di ciò che stava per dire.
«Ho un’idea, e spero sarete d’accordo con me nel metterla in pratica» iniziò, suscitando negli altri una curiosità ancor più viva. Si sistemò meglio sul divano, prima di proseguire. «Radio Potter
«Prego?» fece Alicia, stranita, probabilmente a nome di tutti.
«Una trasmissione radiofonica» aggiunse George, che era venuto a conoscenza dei piani dell’amico qualche giorno prima, ma ciò non poteva naturalmente bastare a chiarire la situazione.
«Radio Strega Network e tutti i giornali sono controllati dal Ministero, e ciò impedisce alla verità di saltare fuori. La gente sparisce, viene uccisa, ma c’è qualcuno che ne parli? C’è per caso qualcuno che dica come stanno le cose? Che queste morti sono opera dei Mangiamorte, o di Voi-Sapete-Chi? La risposta è, ovviamente, no. C’è un clima di terrore generalizzato, ed io sono stanco; noi siamo stanchi. Dobbiamo fare emergere la verità, e dobbiamo essere tutti d’accordo» spiegò Lee, e stavolta trovò di fronte a sé delle espressioni stupite. Margaret, d’altra parte, corrugò la fronte si grattò il mento, interessata all’argomento.
«Un mezzo di opposizione a Tu-Sai-Chi, quindi. Sulla scia delle trasmissioni clandestine Babbane in tempi di guerra» commentò, pensierosa, iniziando a considerare quella proposta come molto allettante.
«Esattamente, Meg. Resistenza» annuì Lee, finendo il suo tè. Pochi istanti dopo, anche la ragazza fece un cenno affermativo con il capo.
«Ci sto. Potremmo utilizzare dei nomi in codice, per non aggravare la nostra situazione e non farci riconoscere dagli estranei.»
«E potremmo anche stabilire una parola d’ordine sempre diversa che permetta di sintonizzarsi alla trasmissione» propose Fred, convinto di quel progetto, ottenendo il consenso dell’amico e del fratello.
«Potete contare su di noi» affermò Angelina, indicando Alicia, Katie, e anche Cassandra e Frank. Lee fece per aggiungere qualcos’altro, ma fu anticipato da Margaret, nella cui mente era appena balenata un’altra idea.
«Potremmo rendere ancora più efficace questa opposizione con un giornale, no? Un settimanale, in cui riportare gli avvenimenti più importanti degli ultimi sette giorni. Le notizie che il Ministero vuole tenere nascoste, e che noi puntualmente ci impegneremo a sbandierare. Posso occuparmene io, e vedrò di coinvolgere anche mia nonna Vittoria: era giornalista per la Gazzetta del Profeta, prima di andare in pensione; le piacerà rimettersi in gioco» propose, quindi, ricevendo un’occhiata divertita da parte di Fred.
«Certo che sarà divertente leggere i tuoi articoli: saranno straripanti di acidità nei confronti dell’Universo» commentò lui, e a tal punto tutti iniziarono a ridere, tanto che neanche Margaret poté trattenersi dal farlo.


***


Era ormai calata la notte, e da brava amica aveva portato con sé un po’ di quiete. Fred si era addormentato qualche ora prima, dopo essere riuscito a convincere gli ospiti di quel pomeriggio a rimanere a dormire da loro, onde evitare ulteriori spiacevoli sorprese quantomeno per quel giorno. Margaret, invece, non riusciva a prendere sonno, così aveva rinunciato a rigirarsi continuamente nel letto e si era fermata ad osservare il ragazzo disteso accanto a lei, il cui petto si alzava e abbassava con regolarità seguendo il ritmo del suo respiro.
Gli accarezzò il viso e gli stampò un lieve bacio sulla fronte, prima di alzarsi e di indossare la vestaglia azzurra che aveva lasciato sull’appoggia abiti. Dopodiché, lasciò la stanza da letto e si diresse nella camera di Alexander, intenzionata a controllare che fosse tutto tranquillo. Come previsto e sperato, il bambino dormiva beatamente e aveva un’espressione rilassata sul faccino, così Meg si chiuse delicatamente la porta alle spalle e s’incamminò in silenzio al piano di sotto.
Si disse che, a quel punto, non le rimaneva altro da fare se non prepararsi una buona tisana che potesse rilassare i suoi nervi: nonostante avesse tentato di comportarsi come suo solito, infatti, il ricordo degli avvenimenti di quella mattina aveva continuato a perseguitarla per tutto il tempo, mettendole addosso quell’insopportabile ansia che tanto odiava. Era stata colta alla sprovvista, ed era stata costretta ad agire d’istinto, senza la possibilità di pianificare le sue mosse. 
Adesso, immersa nel buio della casa, aveva quasi paura che ci fosse qualcuno pronto ad attaccarla da un momento all’altro, e per un attimo si chiese se non stesse rischiando di diventare paranoica.
Quando fu arrivata in cucina, si sorprese notevolmente nel vederla illuminata. Non si stupì, invece, nel constatare che anche George fosse sveglio e che apparisse impegnato nell’affogare la faccia in ciò che rimaneva dei biscotti fatti in casa. La ragazza si appoggiò allo stipite della porta e, divertita, fece un colpo di tosse per annunciare la sua presenza. L’amico si girò repentinamente nella sua direzione e, sorpreso, sollevò le mani in aria, tentando di decolpevolizzarsi e negare l’evidenza.
«Non sono stato io!» annunciò, sgranando gli occhi. Margaret rise e gli fece cenno di sedersi.
«Taci, Lobo Solitario» gli disse, riempiendo la teiera con dell’acqua e avvicinandosi al fornello. «Tisana?» gli chiese, poi, ricevendo un gesto affermativo da parte sua. Quindi, preparò la bevanda e la versò in due tazze, accomodandosi al tavolo e porgendone una al cognato. Questi la ringraziò con un sorriso, prima di mettere via la pergamena di fronte a lui. Questo gesto non sfuggì a Meg, che tuttavia decise di far finta di niente e di porre maggiore attenzione al suo comportamento.
«Come mai sveglia a quest’ora?» le domandò lui, offrendole un biscotto. Lei lo prese e scrollò le spalle, guardando l’orologio.
«Non riuscivo a dormire. Tu, invece? Da quando posticipi lo spuntino di mezzanotte di tre ore?» ribatté la giovane, nascondendo il viso nella tazza. Lui le sorrise di nuovo e si passò una mano tra i capelli, facendole l’occhiolino.
«Avevo bisogno di pensare, e lo sai che è una cosa che mi richiede uno sforzo supplementare. Necessitavo di più energie per riuscirci» scherzò, facendo ridere Meg, che d’altra parte gli sferrò un calcio affettuoso, che lui non tardò a ricambiare.
«Sappi che potrei andare avanti così almeno fino a domani mattina» lo ammonì Margaret, pestandogli il piede e ricevendo un pizzicotto in risposta.
«Anch’io, Zuccherino, quindi non scherzare. Non vogliamo mica arrivare alle Fatture Orcovolanti di Ginny, no?» disse George, fingendosi serio, prima di continuare. «Hai già aggredito un bel po’ di gente, diverse ore fa. Non credi sia il caso di fare una piccola pausa?»
«Il problema è che picchiare te mi diverte tantissimo» ammise lei, prendendogli la mano che teneva sul tavolo e stringendola. Lui rispose alla stretta e non disse più nulla.
Rimasero in silenzio per dieci minuti, fino a quando George non finì la tisana e, con uno sbadiglio, fece comprendere la sua intenzione di tornare a dormire. Baciò la cognata sulla nuca e, prima di andarsene, accartocciò la pergamena e la gettò nel cestino.
Meg osservò la scena con la coda dell’occhio, senza farsi notare, e attese di sentire il rumore dei suoi passi salire le scale e dirigersi al piano di sopra. Dopodiché, spinta dall’incontenibile curiosità femminile, recuperò il foglio e iniziò a leggere avidamente quelle parole, scritte nella riconoscibilissima grafia del suo migliore amico. Rilesse la lettera più e più volte, e non riuscì a reprimere un enorme sorriso, che a sua volta si faceva prepotentemente strada sul suo viso.
Lisciò la pergamena con il dorso della mano e, dopo averla piegata con cura, la imbustò. Pensò che non avrebbe dovuto farlo, che era una mossa scorretta e che avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi, ma il suo sesto senso le diceva che era la cosa giusta da fare. Decise di rinchiudere l’irritante vocina della sua coscienza in un angolo remoto della sua mente e, convinta delle sue azioni, affidò la lettera al suo gufo, forse un po’ stanco di tutti quei viaggi che era stato costretto a fare negli ultimi mesi.
«Abigail Darleen Thompson. Belfast, Irlanda. Non ci sarà bisogno di una risposta» comunicò, e a Lele non rimase che spiccare il volo e allontanarsi nella notte.


***


Era una bella giornata, probabilmente una delle ultime che il mese di settembre avrebbe potuto regalare, e l’immensa serra di Elsa Pedersen appariva sempre più bella grazie ai raggi del sole che la illuminavano in tutto il suo splendore. Abigail amava quel posto: la padrona di casa, solitamente, preferiva ricevere i suoi ospiti nel grande salone, ma con lei aveva spesso fatto un’eccezione.
«Le presento il mio piccolo angolo di Paradiso. Vengo qua per pensare, ed è l’unico luogo in cui possa godere di un po’ di pace. Le piante sono delle ottime amiche, sa? Ti ascoltano, ma non ti giudicano» le aveva detto Elsa la primissima volta che l’aveva accolta nel suo spazio personale, e la ragazza non aveva potuto fare a meno di darle ragione. Quel luogo era capace di infondere calma e tranquillità anche nell’animo più tormentato, e non c’era da meravigliarsi che la signora Pedersen fosse così gelosa e protettiva nei confronti di quel gioiellino di cui si era presa tanta cura.
Le aperture sulle pareti di vetro facevano entrare una lieve brezza, piacevole compagnia per le due donne, che in quel momento stavano assaporando l’ottimo tè appena preparato dal maggiordomo. Erano passati quasi due mesi dal primo incontro con la madre di Savannah, e Abigail poteva certamente affermare di sentirsi molto più a suo agio in sua presenza, nonostante qualcosa in lei riuscisse ancora a metterla in soggezione. I suoi modi erano sempre gentili ed educati, ma il suo sguardo e le sue espressioni – spesso indecifrabili – facevano credere alla giovane Thompson che lei stesse cercando di scavarle dentro, alla ricerca dei suoi segreti e delle sue paure più nascoste.
«Abigail, lei mi piace moltissimo, quindi sono stata disponibile sin da subito a venirle incontro. La richiesta che ci è stata posta dall’Ordine è senza dubbio ragionevole, e posso assicurarle il nostro appoggio su tutta la linea. È stato un piacere avere a che farei con lei, e devo confessarle che averla conosciuta mi ha notevolmente rassicurata riguardo al giro di amicizie di mia figlia. Sa, l’ho vista un po’ troppo ribelle, ultimamente» disse la padrona di casa, sistemandosi meglio sulla comoda sedia e poggiando la propria tazza di tè, ormai vuota, sull’elegante tavolino di fronte a lei. Abigail la imitò e le rivolse un sorriso riconoscente.
«Il piacere è stato mio, Elsa. La ringrazio infinitamente per la sua disponibilità.»
«Non c’è bisogno di ringraziarmi, mia cara. Cos’ha intenzione di fare, adesso?»
«Andrò avanti con il corso di specializzazione e… be’, chi può saperlo? Accetterò ciò che la vita vorrà offrirmi, come ho fatto fino ad oggi. Nel bene e nel male» rispose la ragazza, scostando i capelli dal viso, mentre i suoi occhi indugiavano sulle bellissime orchidee alla sua destra, qualche metro più in là. Incredibile come dei semplici fiori riuscissero a richiamarle alla mente ciò che aveva lasciato in Inghilterra.
L’altra donna la osservava con uno sguardo carico di curiosità, e spontaneamente si ritrovò a pensare a una parte di ciò che quella giovane strega dai capelli biondi le aveva raccontato durante i loro incontri. Sapeva del suo passato, aveva imparato a conoscere la sua anima, e vi aveva letto una nobiltà che raramente aveva avuto l’onore di trovare in qualcun altro.
«Ha avuto modo di parlare con mio figlio Erik, no?» le chiese, improvvisamente, richiamandola alla realtà. Abigail parve presa alla sprovvista, ma si riprese immediatamente.
«Certamente. E devo farle i complimenti, in tal senso: è un ragazzo molto intelligente e simpatico, un’ottima compagnia» rispose in tutta sincerità, evitando però di far riferimento alla bellezza straordinaria del figlio maggiore dei Pedersen. Non voleva di certo fare ingelosire la madre. Questa, però, annuì e la guardò con complicità.
«Non fa altro che parlarmi di lei, sa? Sarei oltremodo felice se vi fosse un interessamento anche da parte sua, Abigail. Sarebbe un onore averla qui più spesso» commentò Elsa, e la sua interlocutrice percepì il rossore salire distintamente dal proprio collo alle guance al ricordo di ciò che era accaduto qualche pomeriggio prima.

«Non sono scomodi, quei cosi?» le aveva domandato Erik Pedersen, divertito, indicando quei suoi tacchi alti che, in effetti, non erano proprio il massimo del comfort – a maggior ragione se, come in quella circostanza, erano utilizzati per passeggiare in lungo e in largo per un giardino immenso. Abigail aveva nascosto una smorfia di dolore in un credibilissimo sorriso e aveva rifiutato di fermarsi.
«Questi cosi, come li chiami tu, sono il mio pane quotidiano. Ti inviterei a provarli, mio caro Erik: credo sia un’esperienza che tutti gli uomini, una volta nella vita, dovrebbero fare. Un po’ come il ciclo mestruale, in effetti» aveva risposto lei, non riuscendo a reprimere il suo sarcasmo galoppante, ma il ragazzo non aveva perso tempo a farle ascoltare la sua coinvolgente risata cristallina.
«No, grazie. Come se avessi accettato» le aveva detto, con tanto di occhiolino di contorno, mentre le porgeva un braccio, invitandola a prenderlo. Lei si era fermata ad osservarlo, incuriosita, prima di accettare quell’offerta e appoggiarsi a lui. Così, avevano ripreso a passeggiare, beandosi di quel timido sole che faceva loro compagnia e della mite temperatura di fine estate.
«Avere sangue Veela nelle vene comporta anche una particolare tendenza alla galanteria, forse?» aveva rotto il silenzio Abigail, rilassata come poche altre volte negli ultimi mesi. Lui le aveva rivolto un bel sorriso e aveva scosso la testa.
«Più che altro, direi che è merito di mio padre e della sua fissazione per le buone maniere. Somiglio molto di più a lui che a mia madre, te ne sarai accorta.»
«Sì, ho notato. I geni materni, in te, sono solo quel quid in più che fa la differenza.»
«Nel senso?» l’aveva spronata a continuare, ridendo nuovamente di fronte al rossore sul suo viso dopo quell’ultima affermazione.
«Nel senso che non passi di certo inosservato» si era costretta a dire, infine, prima che mettesse un piede in fallo e che, dunque, fosse sul punto di cadere malamente a terra. Erik era stato molto veloce a sorreggerla, e di certo non si era lasciato scappare l’occasione di averla quanto più possibile vicina a sé.
«E neanche i miei magnifici riflessi, per la fortuna delle tue deliziose e adorabili caviglie» le aveva sussurrato a pochi centimetri dalle labbra, mentre le sue dita le scostavano le ciocche di capelli dagli occhi, nell’intento di poterli ammirare con più attenzione.
A interrompere quel momento potenzialmente pericoloso, però, ci aveva pensato una provvidenziale Savannah, che continuava a chiamare il fratello per ricordargli di un impegno che aveva preso per quello stesso pomeriggio.  


Abigail s’impose di distogliersi dai suoi pensieri, decisamente confusa. Si sentì profondamente lusingata da quelle parole, che certamente non si aspettava di udire, ma non poté non fare caso al movimento istintivo che la sua mano aveva fatto in direzione della borsa che teneva sulle gambe. Lì dentro c’era un foglio di pergamena, una lettera che non aveva ancora letto, ma che faceva avvertire prepotentemente la sua presenza. Sorrise di nuovo, decidendo di non nascondere quel velo di amarezza che, ultimamente, la accompagnava in ogni dove, e rispose con l’unica verità possibile.
«Elsa, non posso negare di essere molto attratta da suo figlio, e credo che sarebbe la gioia di qualsiasi donna dotata di buon senso. Il problema, però, è che spesso dimentico cosa sia, questo buon senso. In effetti, è stata proprio questa dimenticanza a fare in modo che io donassi il mio cuore a qualcun altro, e non credo ci sia modo di riaverlo indietro» ammise, dunque, tentando di mantenere la concentrazione per fare in modo che i suoi occhi non si arrossassero. Elsa parve capire e continuò ad osservarla, questa volta con una dolce espressione sul volto.
«È un ragazzo molto fortunato, e spero che lui ne sia consapevole.»
«Grazie. Lo spero anch’io.»
«Tornerà in Inghilterra?»
«Quanto prima possibile, mi auguro» concluse Abigail, alzandosi e lasciandosi condurre fuori dalla serra. La donna, allora, la accompagnò per il giardino, rimanendo in silenzio.
Una volta che furono giunte al cancello, Elsa le rivolse un ultimo sorriso e fece cenno al maggiordomo di chiamare l’autista.
«Possiedo una casa, a Manchester. Non eccessivamente grande, in effetti, ma abbastanza comoda. Se dovesse servirle, non esiti a farmelo sapere.»
«La ringrazio ancora, Elsa.»
«Faccia buon viaggio, signorina Thompson» si congedò Elsa Pedersen, infine, dandole una carezza materna sul viso, prima di voltarsi e dirigersi in casa.

Abigail si accomodò sulla limousine bianca all’interno della quale, nel mese di agosto, aveva incontrato per la prima volta quella donna. Rilassò la schiena contro il sedile e scalciò via le scarpe, terribilmente scomode, per tirare un sospiro di sollievo, ma sapeva che le restava un’ultima cosa da fare. Rimandava quel momento da quella stessa mattina, quando il gufo di sua cugina aveva picchiettato con il becco contro la finestra della sua stanza, ma era consapevole di non poter attendere oltre. Infilò la mano nella borsa e ne estrasse quell’agognata lettera, che finalmente il mittente si era deciso a scrivere.
Mentre i battiti cardiaci acceleravano un secondo dopo l’altro, la ragazza iniziò a leggere le parole tracciate per lei su quel foglio di pergamena; quando ebbe finito, quasi ogni forza venne a mancare e i suoi occhi non resistettero più alle lacrime. Piccole goccioline calde e salate che le rigavano le guance, senza chiedere il permesso, mentre tutto, attorno a lei, assumeva un senso diverso.
Lacrime libere di scorrere sulla sua pelle: forse era anche quella, la felicità.



- Angolo dell’autrice


*Picchietta sul microfono, verificando che sia acceso*
Un, due, tre. Prova. No.
*Chiede che siano cambiate le batterie*
Prova, prova.
-Hai rotto il ca-*beep*
Nonna Vittoria, ti ringrazio. Adesso sappiamo con certezza da chi Margaret e Abigail abbiano ereditato la loro finezza da nobildonne – come se ci fosse stato bisogno di una conferma.
Ma bando alle ciance.
Miei piccoli, amorevoli, meravigliosi tesorini, Jules è qui! *yuppie* Insonne, con orari delle lezioni a dir poco obbrobriosi e sommersa da una valanga di manuali incomprensibili, but I’m still alive – quantomeno per adesso –, e naturalmente non potevo non portare con me questo nuovo, nuovissimo capitolo. Capitolo che trovo sempre più brutto ad ogni lettura/revisione, ma ciò potrebbe essere dovuto all’eccessiva discrepanza tra il mio sé reale ed il mio sé ideale *discorsi insensati da psicologa che non interessano a nessuno*, quindi attendo con ansia un vostro parere, se vorrete darmelo – e rendermi tanto, tanto, tanto felice, ovviamente. Nel caso in cui voleste lanciarmi addosso dei vegetali, preferirei non fossero broccoli o carciofi, dato che li odio a morte. Grazie. :D
Ma parliamo di cose serie, adesso. Avete già visto, negli ultimi capitoli, un cambiamento di “clima”, e non poteva essere altrimenti. Siamo nel vivo della Seconda Guerra Magica, e sarebbe stato abbastanza improbabile continuare a vedere la nostra Margaret recarsi ogni giorno al Ministero senza problemi di sorta. Quella di farla attaccare da Yaxley – o da un qualsiasi altro Mangiamorte, non avevo ancora le idee chiarissime sul da farsi – è stata una decisione molto difficile da prendere, ma ho riflettuto che questa sarebbe stata una delle pochissime circostanze che le avrebbero realmente impedito di continuare il suo lavoro. E poi, come ha ben detto la carissima Meissa Antares nella recensione allo scorso capitolo, la Rowling si è giustamente soffermata sulle vicissitudini del Golden Trio, “trascurando” gli altri personaggi, quindi proprio in questo capitolo ho voluto riallacciarmi ad uno degli eventi della storia originale – l’irruzione di Harry, Ron ed Hermione al Ministero – per mostrare ciò che ha significato concretamente per i nostri protagonisti, e quindi la fuga di Meg e la chiusura dei Tiri Vispi, tra l’altro già accennata nel libro. Ho anche pensato che fosse il momento più adatto a introdurre la questione di Radio Potter e della sua nascita, e sono quasi certa che ci ritorneremo anche successivamente – sono in pieno work in progress, anche se il tempo scarseggia. E tenete a mente l’idea di Meg del giornale, perché ne parleremo nel prossimo capitolo. ;) Anyway, spero abbiate apprezzato il complesso.
Passando alla seconda parte, non credo ci sia molto da aggiungere, se non che credo ci saremmo comportati tutti come Margaret: era ora che George scrivesse quella benedetta lettera, non potevamo permettere che finisse in un cestino della spazzatura! Ma non vi dirò nulla del contenuto, ognuno sarà libero di fare le proprie supposizioni – sono perfida, mwuhauh.
E infine, ladies and gentlemen, arriviamo alla nostra bella bionda preferita: Miss Abigail Thompson! Sembra proprio che qualcuno abbia fatto centro nel cuore del bel Erik Pedersen, eh?
-Senti, non è colpa mia. Sei tu che ti diverti a rendermi la vita difficile, brutta str-*beep*
Questi personaggi sono stressanti. Dai loro la vita, e poi che fanno? Ti insultano. Adorabili.
Anyway, Abbie fa conquiste e non sembra neanche tanto immune al fascino di Erik – e ci credo, visto il bel ragazzuolo che ho scelto come prestavolto –, ma resta fedelmente innamorata del nostro adorato Lobo Solitario, quindi non ci sono storie – e, a che ci siamo, non dimentichiamoci che oggi è il primo aprile, quindi mi sembra più che doveroso fare gli auguri di compleanno ai nostri gemelli preferiti. 

Comunque, non dimenticatevi di Erik, perché c’è una buona probabilità che ritorni – non saprei dirvelo con certezza, perché gli ultimi capitoli sono avvolti nell’ombra del mistero anche per me, e ho davvero poche idee chiare e precise al momento.
Bene, cosa posso aggiungere adesso? Be’, mi sembra superfluo dire che sto facendo delle sperimentazioni con la presentazione, nel tentativo di renderla decente o, chissà, magari anche carina. Sto anche provando a revisionare i capitoli, anche se ventiquattro ore al giorno sono terribilmente poche per fare tutto quello che vorrei; prima o poi riuscirò a revisionare tutta la storia per bene come ho fatto con la prima, ma fortunatamente non c’è fretta.
Inoltre, c’è una novità: sono finalmente riuscita a trovare tutti i prestavolto – be’, quasi tutti –, quindi potrete trovare una lista, un po’ più giù, con i personaggi e i rispettivi “interpreti” e i link che portano alle foto di riferimento. La inserirò anche alla fine del primo capitolo, una volta che l’avrò revisionato. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, so don’t be shy!
Adesso, come sempre, i credits: il titolo del capitolo è di Fernando Pessoa, mentre la canzone in apertura è Shine a Light, dei *rullo di tamburi* Beady Eye!
Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, KariWhite, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, Strix, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, Feather_, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e Zarael, che hanno recensito il capitolo precedente. 


Detto ciò, è giunto il momento di salutarvi. Ribadisco che si accettano critiche, si ascoltano con immenso interesse consigli e suggerimenti di vario tipo e via discorrendo, quindi non siate timidi e fatevi riempire di dolci parole d’amore da parte della sottoscritta regalandole un segno del vostro passaggio. 
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento, credo di poter dire con certezza che dovremo aspettare la fine del mese di maggio. Insomma, giusto prima del mio ritorno nell’Ade (= sessione estiva). Ma vi assicuro che il prossimo è uno dei miei capitoli preferiti in assoluto – a meno che non cambi idea da oggi a domani.
Non mi resta che augurarvi una Buona Pasqua, e che la cioccolata sia con noi (“liberaci dalla dieta, amen”).
Vi lascio alla lista dei prestavolto e all'anticipazione del prossimo capitolo, dolcezze.
Vi mando un abbraccio enorme,

Jules



- Personaggi e prestavolto:


Margaret Stevens: Phoebe Tonkin
Abigail Thompson: Ashley Benson
Desmond Stevens: Simon Baker
Gloria Wilson in Stevens: Rachel Shelley 
Vittoria Mills in Wilson: Charlotte Rampling
Julia Palmer in Stevens: Meryl Streep
Regina Wilson in Thompson: Laura Leighton 
Matthew Thompson: Garrett Hedlund
Andrew e John Thompson: Brant Daugherty 
Anastasia De Luca: Holland Roden
Nicholas Wilson: Matt Bomer
Alexis Williams in Wilson: Amanda Schull
Blanche Wilson: Raffey Cassidy
Annabel Stevens in Russell: Debra Messing 
Landon Russell: Michael Fassbender
Dorian Russell: Tyler Blackburn
Giselle Edwards: Lily Collins
Lancelot Russell: Chace Crawford
Elsa Pedersen: Andrea Parker
Savannah Pedersen: Doutzen Kroes
Erik Pedersen: Paul Wesley
Cassandra Jones: Troian Bellisario
Frank Walker: Julian Morris
Flor Gimenez: Claire Holt
Inés Velasco: Ellen Page
Isabel Ortiz: Danielle Campbell
Leonor Ortega: Leah Pipes
Mercedes Guerrero: Elizabeth Gillies
Filippo Rinaldi: Steven R. McQueen
Virginia Anderson: Dianna Agron 


- Dal prossimo capitolo:


«Ma-ma-ma-ma» tentò di articolare, dato che le sillabe erano diventate la sua grande passione nell’ultimo mese, lasso di tempo durante il quale aveva iniziato a mostrare degli inconfondibili segni di magia – rendendo orgogliosissimi i genitori, i nonni e qualsiasi altro essere umano frequentasse di tanto in tanto quella casa. Dopodiché, il piccolo prese un sonaglio e lo porse alla mamma, che gli fece il solletico.
«Questo è per me? Ma che gentile, è proprio…» iniziò la giovane, ma il rumore di un’esplosione proveniente dal secondo piano fece sobbalzare sia lei, sia le due anziane signore ancora al lavoro, mentre Alexander iniziava a piangere a dirotto.
«È la sesta volta in quattro giorni! Quei due hanno forse intenzione di far crollare la casa?» sbottò Vittoria, che in quell’istante dava l’impressione di somigliare ad un gatto isterico cui era appena stata gettata addosso una secchiata d’acqua gelida.

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Capitolo 23
*** Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte ***


 

Capitolo 23

 


 
 
Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro,
quando si parte


 
Hope I didn’t speak too soon
My eyes have always followed you around the room
‘Cause you’re the only God that I will ever need
I’m holding on and waiting for the moment
For my heart to be unbroken by the sea
 

 
Miei cari, carissimi lettori.
Sono ormai passati due mesi e forse più dall’inizio di questo nostro viaggio insieme; un viaggio che non sarebbe stato né facile da intraprendere, né tantomeno privo di ostacoli, e lo sapevamo sin dall’inizio.
Ci eravamo prefissati di essere scomodi, e non ci smentiremo. Il nostro obiettivo – mio e dei miei collaboratori, senza dimenticare gli amici di Radio Potter – sempre sarà quello di gridare la verità al di sopra del rumore assordante delle menzogne, e non siamo disposti a fermarci. Non esistono Mangiamorte o Signori Oscuri che possano metterci a tacere.
L’anno sta volgendo al termine, ed è giunto il momento di tirare un po’ le somme. Come credo sia ormai assodato, la realtà non è più quella che vediamo con i nostri occhi, e inizio a chiedermi se lo sia mai stata. I piani alti cercano di offuscare la nostra vista, di renderci ciechi e sordi, marionette nelle loro infide mani. Nessuno che ci informi che l’attuale Ministro della Magia, Pius O’Tusoe, è da tempo sotto l’effetto della Maledizione Imperius. Nessuno che si rifiuti di nascondere le sparizioni e gli assassinii di maghi e Babbani, il cui numero va aumentando in maniera spropositata da un giorno all’altro. Nessuno che parli di ciò che accade tra le mura del Ministero, che ci dica che i dipendenti si recano in quell’edificio con la paura di non tornare più a casa.
Vogliono farci schiavi, convincerci che sia tutto uguale a prima, mentre provano a manipolare le nostre menti con la loro migliore arma a disposizione: il terrore. Gli appassionati di Storia Babbana sapranno meglio di me come, anche lì, nel corso dei secoli, chiunque abbia posseduto un mezzo talmente efficace sia stato in grado di assoggettare al proprio dominio intere popolazioni, controllando le stesse a suo piacimento.
Oggi, il giorno di Natale, voglio ricordarvi quanto sia fondamentale che impariate a contare solo sulla vostra testa, perché unicamente in tal modo potrete riconoscere la realtà. È necessario che sappiate con certezza di chi potete fidarvi, così com’è di grande importanza che rimaniate dalla parte con la quale vale la pena lottare.
Continuate a proteggervi, continuiamo a proteggerci. Abbiate cura di voi stessi, siate prudenti.
Difendete i vostri cari, ma soprattutto non perdete occasione di ricordare loro quanto siano importanti per voi. Ogni giorno è un dono, adesso più che mai, e non sappiamo cosa succederà domani.
Non sprecate tempo: è sempre più prezioso.
Lasciate che vi sia amore.
È così che voglio lasciarvi, questa settimana, ed è così che voglio rivolgervi i miei auguri di un sereno – per quanto sia possibile – Natale. Passatelo con le persone che amate: è il regalo più grande che possiate farvi e che possiate fare loro.
Infine, voglio rivolgermi a una persona in particolare: Harry, ovunque tu sia, se ci stai leggendo, sappi che siamo con te. Abbi forza.
Miei cari lettori, giungo alla fine di questo monologo. Vi lascio agli articoli dei miei collaboratori, che ringrazio pubblicamente per il fedele appoggio che mi hanno garantito nella realizzazione di questo progetto.
Come sempre, nell’ultima pagina, troverete l’elenco delle persone scomparse o decedute nella scorsa settimana.
Giovedì prossimo resteremo inattivi, ma non temete: il primo numero del mese di gennaio ci attende.
Buona continuazione.
 
Golden Eagle
 

 
Margaret rilesse un paio di volte il breve intervento da lei scritto, destinato alla prima pagina del numero di Believe The Truth in uscita il giorno successivo, e si ritenne più che soddisfatta del suo lavoro.
Pochi mesi prima aveva deciso di dare vita al settimanale che adesso si ritrovava a dirigere, e fin da subito aveva potuto contare sul sostegno dei suoi amici – che mantenevano fede all’impegno preso di scrivere almeno un articolo ogni sette giorni –, e in particolar modo di Cassandra e di nonna Vittoria, che aveva ormai fatto pianta stabile in Casa Weasley-Stevens insieme a tutte le sue inseparabili apparecchiature da giornalista. Come lei, anche la dolce nonna Julia era stata invitata a trasferirsi dalla nipote, e nemmeno lei aveva tardato a rendersi utile ogniqualvolta gli impegni in Clinica glielo consentissero.
Paul e Dawson, i rispettivi mariti, erano invece in viaggio per conto dell’Ordine, e non sapevano quando sarebbero tornati. Ciò, naturalmente, aveva riempito d’ansia le due signore, nonché i figli e i nipoti, e le prime avevano ben pensato di sfogarla riempiendo di attenzioni il piccolo Alexander, che a sette mesi dava già mostra di un’iperattività latente.
«Nonna, è pronto. Che te ne pare?» chiese Margaret a Vittoria, che stava dando gli ultimi ritocchi all’impaginazione, mentre la consuocera conteggiava il numero sempre crescente di persone cui recapitare il giornale.
L’interpellata prese il foglio e, dopo aver sistemato meglio gli occhiali sul naso – “Oh, maledetta vecchiaia!”, aveva commentato la donna, diverso tempo prima, rendendosi conto che la sua vista necessitava di un aiutino supplementare –, corrugò la fronte in un’espressione interessata e lesse con attenzione lo scritto della nipote. Una volta che ebbe terminato la sua disamina, alzò gli occhi su quest’ultima, che d’altra parte la osservava come seduta su un groviglio di spine, in attesa di una sua approvazione.
Vittoria annuì lentamente e sorrise, estremamente compiaciuta.
«Avresti dovuto lasciarlo prima, quel lavoro avvilente al Ministero. Brava, tesoro, ma adesso vai. Noi sistemiamo le ultime cose e facciamo partire la stampa delle copie, stasera saranno pronte» la congedò, facendole l’occhiolino, così la ragazza diede in un cenno affermativo con il capo e si allontanò di qualche metro, diretta al centro del salone, dove Alexander era seduto sul tappeto e si divertiva a far suonare i suoi giocattoli, assestando loro dei pugni scoordinati degni di un ometto cicciottello come lui.
Margaret gli si accomodò di fronte, incrociando le gambe, e piegò la testa di lato, sorridendogli. Quando il bambino si accorse di lei, rise e agitò le manine.
«Ma-ma-ma-ma» tentò di articolare, dato che le sillabe erano diventate la sua grande passione nell’ultimo mese – lasso di tempo durante il quale aveva iniziato a mostrare degli inconfondibili segni di magia, rendendo orgogliosissimi i genitori, i nonni e qualsiasi altro essere umano frequentasse di tanto in tanto quella casa.
Dopodiché, il piccolo prese un sonaglio e lo porse alla mamma, che gli fece il solletico.
«Questo è per me? Ma che gentile, è proprio…» iniziò la giovane, ma il rumore di un’esplosione proveniente dal secondo piano fece sobbalzare sia lei, sia le due anziane signore ancora al lavoro, mentre Alexander iniziava a piangere a dirotto.
«È la sesta volta in quattro giorni! Quei due hanno forse intenzione di far crollare la casa?» sbottò Vittoria, che in quell’istante dava l’impressione di somigliare a un gatto isterico cui era appena stata gettata addosso una secchiata d’acqua gelida.
«Tesoro, forse è il caso che tu vada a dare un’occhiata. Ci pensiamo noi al piccolino» disse gentilmente nonna Julia, prendendo in braccio il pro-nipote nel tentativo di rasserenarlo.
Margaret, allora, sospirò e si diresse all’ultimo piano, scuotendo la testa: chissà cos’avevano combinato.
Nell’ultima settimana, infatti, Fred e George avevano deciso di sperimentare dei nuovi prodotti nel loro laboratorio domestico, data l’evidente impossibilità di recarsi a Diagon Alley; il problema, però, era rappresentato dalla loro tendenza a lasciarsi andare un po’ troppo con dei tentativi azzardati che, il più delle volte, avevano delle conseguenze a tratti disastrose – conseguenze che, naturalmente, Vittoria Wilson considerava come degli spietati attentati alle sue coronarie e, ancor di più, ai suoi poveri e fragili nervi. E se all’inizio Meg si era divertita a vedere sua nonna dare in escandescenze, adesso anche lei trovava abbastanza destabilizzante quella situazione, dato che il chiasso che i due erano soliti provocare poteva facilmente essere associato a un attacco da parte del nemico.
Inoltre, tutto quel baccano spaventava terribilmente suo figlio, già di per sé irritabile e incline alle lacrime a causa della lenta e dolorosa dentizione in atto.

Non appena Margaret ebbe aperto la porta della stanza – sulla cui superficie era stato appeso un cartello con scritto “Lavori in corso” –, un’immagine al confine tra l’esilarante e l’esasperante le si parò di fronte agli occhi, lasciandola a bocca aperta: i due fratelli, difatti, erano ricoperti dalla testa ai piedi di una sostanza giallognola e melmosa, mentre alcune regioni dei rispettivi volti apparivano leggermente affumicate. La stessa sostanza giaceva con fare inquietante anche sul pavimento e sembrava potesse prendere vita da un momento all’altro, mentre il fumo proveniente dal calderone usciva con lentezza dalla finestra, provvidenzialmente aperta.
Di fronte all’espressione sconvolta della ragazza, i gemelli tentarono di comportarsi nella maniera più disinvolta possibile: meglio far finta di non essere sorpresi, si dissero.
«Mi sa che questo non lo possiamo mettere in commercio» commentò Fred, allegro, scrollando le spalle e provando a togliersi quella roba di dosso.
«No, direi che non è ancora pronto» gli diede ragione il fratello, imitandolo. Margaret sbatté velocemente e ripetutamente le palpebre e sollevò una mano, attirando la loro attenzione.
«Si può sapere cosa sta succedendo? Cos’era quel rumore? E, soprattutto, cos’è questa… questa schifezza color moccolo di neonato?» domandò loro, sospettosa, inarcando entrambe le sopracciglia; ciò – loro lo avevano imparato decisamente bene – non prometteva davvero nulla di buono.
«Incidenti di percorso, rientrano nella normalità» sdrammatizzò George, rivolgendole un gran sorriso – che lei, prevedibilmente, non ricambiò. Questa, piuttosto, si portò le mani ai fianchi e fissò entrambi con un netto sguardo di rimprovero.
«Tutti questi incidenti di percorso, prima o poi, porteranno mia nonna Vittoria a infliggervi una Maledizione Senza Perdono. Ne siete consapevoli, o vi serve una dimostrazione da parte mia
«Avanti, Pasticcino, non farla così tragica. La nonnina non ci torcerebbe un capello, e tu non devi preoccuparti: sappiamo quello che facciamo» disse Fred, dandole un pizzicotto sulla guancia con fare totalmente rilassato.
«Ho i miei dubbi» mormorò lei, alzando gli occhi al soffitto – anche quello macchiato di chissà quale diavoleria. Dopodiché, lanciò uno sguardo fuori dalla finestra e si lasciò scappare un non voluto sorriso, indicando un folto gruppo di volatili in attesa di considerazione. «Tutti quei gufi mi mettono ansia, che ci aspettate a dar loro i prodotti?»
«Willow sta finendo di fare i pacchetti natalizi. Adorabile elfa efficiente, quanto la amo. Quando mi sposerò io, pretendo che me ne troviate una identica» disse George, puntando un dito contro il gemello e la cognata, che scoppiarono a ridere.
«A meno che non sia proprio lei tua moglie» scherzò Meg, indirizzandogli una strizzata d’occhio, prima di continuare. «Comunque, vi lascio ai vostri esperimenti, e badate a non fare troppo casino. Io vado a trovare i miei, torno tra un paio d’ore» si congedò, dando un bacio a Fred e, una volta sulla soglia, salutando entrambi con la mano, per poi incamminarsi nuovamente in direzione del piano terra.

Il pensiero di dover uscire con quel clima gelido la faceva rabbrividire, ma era la Vigilia di Natale e non vedeva sua madre da qualche settimana, quindi non era il caso di rimandare oltre – a maggior ragione se, pochi giorni prima, Gloria le aveva inviato una lettera in cui le aveva fatto capire espressamente che desiderava incontrarla prima di Capodanno, che avrebbero trascorso insieme.
Così, dopo aver indossato il suo pesante mantello blu pervinca, Meg entrò nel salone, infilando i suoi irrinunciabili guanti abbinati.
«Nonne, io sto uscendo, tenete d’occhio il ba-…» si bloccò, una volta che il suo sguardo ebbe raggiunto le due signore, sedute sul divano, che armeggiavano con Alexander. «Cosa state facendo?»
«Stavamo solo…» iniziò Julia, ma l’attenzione di Margaret fu ben presto attirata dalla bottiglia che l’altra nonna teneva in mano, e a quel punto gli occhi rischiarono di uscirle dalle orbite.
«Quello è Whisky? State dando del Whisky Incendiario a mio figlio?!» chiese la ragazza, la cui voce era diventata di un’ottava più alta. Le altre due donne, colte sul fatto, cercarono di giustificarsi.
«Serve per tamponare i dentini e le gengive! Allevia il dolore, solo un goccino!» spiegò la prima, mostrando un batuffolo di cotone, ma la nipote non sembrava molto d’accordo.  
«Per Salazar e tutta la sua dinastia, no
«Non farla così tragica, Margaret. L’abbiamo fatto anche con te» intervenne Vittoria, mentre il bambino osservava la scena con divertimento.
«E si sono visti i risultati!» sbottò Meg, prendendo la bottiglia per rimetterla al suo posto. «Niente superalcolici a mio figlio, non voglio sentire storie» sentenziò, infine, puntando l’indice prima contro una, poi contro l’altra. Poco dopo si allontanò, ancora parzialmente incredula, sperando che per una volta le dessero ascolto.
Dopo che la ragazza si fu chiusa la porta d’ingresso alle spalle, le due nonne si lanciarono uno sguardo d’intesa e sghignazzarono.
«L’hai impregnato per bene, quel batuffolo?» chiese Vittoria, prendendo in braccio Alexander.
«Oh, sì. Quella piccola guastafeste non ha ancora capito con chi ha a che fare!»
 

***
 
La festività natalizia era sempre stata una delle preferite di Margaret: l’atmosfera calda e accogliente, le famiglie riunite, il profumo di speranza e armonia che si disperdeva nell’aria; tutti elementi che contribuivano a farle amare quella ricorrenza e a procurarle una piacevole sensazione di benessere.
Peccato che, quel dicembre del 1997, il Natale fosse il più dissimile possibile da se stesso: se non fosse stato per la presenza dell’abete addobbato, del fuoco scoppiettante nel camino e dei regali sotto l’albero, probabilmente quelle avrebbero potuto essere scambiate per delle giornate qualsiasi. Non c’erano stati inviti – complice anche il febbrone che costringeva Desmond Stevens a casa da giorni –, pochi i biglietti di auguri, e il clima generale era prevedibilmente contaminato dalla minaccia di un possibile attacco ai danni di qualcuno di loro.
Nonostante ciò, la giovane strega aveva insistito affinché si rispettasse la tradizione del pranzo del venticinque, e non sembrava disposta a rinunciarvi.
«È il primo Natale di nostro figlio, e non m’importa un fico secco della Guerra! Lo festeggeremo come si deve, a modo nostro» aveva sentenziato il pomeriggio della Vigilia, appena ritornata da casa dei suoi genitori, trovando il consenso del marito, che ovviamente non capiva che motivo ci fosse di agitarsi.
Quella stessa sera, quindi, Margaret era seduta su uno dei divani del salone, intenta a sfogliare il libro di cucina, e si consultava con Willow e George; questi, a sua volta, leggeva dalla sua spalla le ricette che lei gli indicava, approvandole o bocciandole.
«Anatra all’arancia con prugne e mele? Accidenti, questo sì che deve essere buono» commentò il ragazzo, ma l’elfa domestica smontò subito il suo entusiasmo.
«Non abbiamo anatre, signore.»
«Ho comprato un tacchino da chissà quanti chili, faremo quello. Non voglio sentire storie, sia chiaro… Non sono uscito mica per niente!» si lamentò Fred, non degnandoli di uno sguardo, mentre si sistemava meglio sul tappeto e Alexander tentava di prendere uno dei giocattoli che lui teneva in mano.
Margaret sollevò lo sguardo dal ricettario, interdetta.
«Qualcuno è di cattivo umore, laggiù» commentò, alzando un sopracciglio, ma non ricevette risposta da parte sua.
«È solo stressato per la faccenda del negozio, devi capirlo. Se ci si pensa, è abbastanza difficile da digerire» bisbigliò George nella sua direzione, al che lei annuì e lasciò il divano, andandosi a sedere accanto al ragazzo. Questi le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé, stringendola.
«Scusami, Meg. Sono solo un po’ nervoso, non preoccuparti» le sussurrò all’orecchio, prima di posarle un bacio tra i capelli e tornare a rivolgersi a suo figlio. «Di’ papà, avanti. Non fare l’ingrato.»
«Da-da-da!» fu tutto ciò che il bambino si degnò di dire, insieme a dei versi inintelligibili che fecero ridere i due. Margaret lo prese in braccio e gli stampò un bacio sulla guancia paffuta.
«Sei ingiusto, mocciosetto. Hai già detto mamma, io non penso di essere meno importante» fece finta di rimproverarlo Fred, toccandogli il nasino con l’indice e facendolo ridere.
«Non è assolutamente vero, ha soltanto sillabato! Era un ma-ma-ma, non un mamma. È ancora troppo piccolo» lo corresse lei, divertita, facendogli una linguaccia. Prima che l’altro potesse ribattere, il rumore di un pugno sferrato contro la superficie del tavolo li costrinse a voltarsi.
«Per Salazar, non è possibile!» sbottò Vittoria, che stava giocando a scacchi con la consuocera, che evidentemente aveva vinto ancora una volta.
«Spiacente, vecchia mia, ma è possibilissimo» commentò questa, sfoggiando un sorriso sornione che mandò l’altra su tutte le furie.
«Non tre volte di seguito! Stai barando, imbrogliona di una Stevens, e questo non lo posso accettare!»
«Non sono io che baro, scorbutica di una Wilson. Sei tu che sei tragicamente scarsa.»
«Non osare mettere in dubbio le mie abilità come scacchista, vipera saccente che non sei altro» sbottò ancora Vittoria, al che Julia divenne viola dall’indignazione.
«Vecchia megera, questo è troppo!»  
«E meno male che è Natale» fece Fred, sarcastico, prima di dare un’occhiata all’orologio e sbuffare con aria divertita. «Sì, in effetti mancano due minuti scarsi» aggiunse, producendo delle piccole scintille colorate con la bacchetta per intrattenere Alexander, che sembrava spassarsela alla grande.

Le nonne stavano per ribattere alle ennesime offese reciproche quando, inaspettatamente, qualcuno bussò alla porta. I presenti si lanciarono delle occhiate sorprese, non immaginando chi potesse prendersi la briga di recarsi lì a quell’ora, la notte della Vigilia.
«Vado io» annunciò George, teso, prendendo la bacchetta dalla tasca dei jeans e abbandonando il salone.
Cercò di spiare dalle finestre dell’ingresso principale chi si trovasse lì fuori, ma tutto ciò che riuscì a vedere – tralasciando la pioggia battente – era un’esile figura nascosta da un pesante mantello, proprio sotto il portico colonnato. Il viso del visitatore misterioso era in ombra, e per il ragazzo fu impossibile riconoscerlo.
Quest’ultimo, dunque, si approssimò al portone, non abbassando la guardia.
«Chi sei? Identificati» disse ad alta voce, ma al tempo stesso pensò che doveva necessariamente essere qualcuno di fidato, dal momento che la casa era protetta con l’Incanto Fidelius e solamente il Custode Segreto – che era Margaret – avrebbe potuto rivelarne la posizione.
«Qualcuno che non ti saresti aspettato di vedere, Lobo Solitario» fece, dall’esterno, una voce femminile, e questa suonava dolce e rassicurante come poche altre volte prima di allora.
George avrebbe riconosciuto quella voce anche a miglia di distanza.
Con un’agitazione crescente, stavolta dettata dall’euforia, lasciò scattare la serratura e aprì la porta, e ciò che vide lo lasciò pietrificato.
Una ragazza lo osservava, regalandogli uno sguardo emozionato e ansioso. Aveva i capelli biondi, un paio di occhi grigi colmi di lacrime, uno splendido sorriso carico di aspettativa; era avvolta in un delizioso mantello, il cui colore – azzurro come un cielo limpido – probabilmente rifletteva il suo stato d’animo in quegli istanti.

Rimasero immobili a scrutarsi, occhi negli occhi, in un silenzio rotto unicamente dalle gocce d’acqua che, imperterrite, tamburellavano sulla sabbia e sulla superficie del mare in tempesta. Non erano necessarie parole affinché le loro anime scivolassero via per ricongiungersi altrove; bastavano i loro sguardi, che avrebbero continuato a cercarsi in ogni dove, con la stessa complicità di sempre e con l’immancabile consapevolezza di un destino che – volente o nolente – non avrebbe mai potuto tenerli lontani l’uno dall’altra.
«Buon Natale, George» sussurrò Abigail, infine, dopo che l’orologio a pendolo del salone ebbe annunciato l’arrivo della mezzanotte. Il suono era debole, attutito dalla distanza, ma sarebbe stato impossibile non sentirlo.
«Buon Natale anche a te, blondie» fece George, sfiorandole una guancia per asciugarle le lacrime, ma non passò molto tempo prima che il suo viso si ritrovasse inondato da quei capelli biondi che così spesso, negli ultimi mesi, aveva sognato.
La strinse a sé, lasciandola aggrapparsi al suo collo, riuscendo a stento a credere che quella fosse per davvero la realtà; aveva bisogno di tenerla il più a lungo possibile tra le braccia, di percepire il contatto di quella pelle con la sua, e di sentire il calore di quel respiro vicino all’orecchio, perché unicamente in tal modo avrebbe avuto la certezza di non trovarsi immerso in una splendida ma ingannevole illusione.
Lei si scostò di pochi centimetri, quel poco che le permettesse di perdersi in quegli occhi azzurri che tanto le erano mancati, mentre gli prendeva il volto tra le mani e lo accarezzava, imponendosi di essere più forte di quel tremore che tentava di prendere possesso del suo corpo.
Lui le sorrise, poggiando la fronte contro la sua e rifiutandosi di lasciarla andare, prima di far incontrare le loro labbra e suggellare quell’attimo d’immateriale ma tangibile felicità.
Abigail sentì i cocci della propria anima tornare insieme dopo che, per mesi, questa era stata demolita pezzo dopo pezzo, senza pietà. Aveva più volte sperimentato sulla sua pelle gli effetti della mancanza di una persona amata così profondamente, ma – nonostante ciò – era per lei impossibile assuefarsi alla pesantezza dell’assenza tanto da non provare quel dolore esistenziale che a essa si accompagnava. Si era prefissata di essere forte, di cacciare via con le unghie e con i denti la nostalgia che voleva farle compagnia ogni notte, ma non poteva giurare di esserci riuscita.
Si era spesso ritrovata sveglia, nel buio della sua stanza a Belfast, a interagire silenziosamente con il soffitto e le pareti, condividendo con questi ascoltatori inanimati tutti quei ricordi che le impedivano di chiudere gli occhi. Perché è proprio nei momenti di solitudine non richiesta che il nostro passato viene a farci visita, e non è detto che questa sia gradita.
Aveva parlato a quelle mura di suo padre, di come fosse solito prenderla in braccio, dopo averla spinta sull’altalena, e sussurrarle che era e sempre sarebbe stata la sua “cheeky little monkey”. Aveva ripensato a quando lo osservava, mentre lui stuzzicava affettuosamente Regina e, ridendo, le faceva l’occhiolino e le diceva: «Non fare arrabbiare la mamma, sweetie pie!», o alle vacanze di Natale in Scozia, da nonna Linda, quando si aveva l’impressione che nulla avrebbe potuto rompere quell’equilibrio e quell’armonia.
Un tuffo non voluto nella memoria che aveva fatto in modo che copiose lacrime le solcassero il viso, mentre dentro di sé sentiva crescere il bisogno di avere George lì con lei; qualcuno disposto a stringerla con quanta più intensità possibile per scacciare via le ansie e le paure, un altro essere umano pronto a sorreggerla ogni singola volta avesse creduto di poter cedere sotto il peso delle preoccupazioni e dei ricordi.
È difficile salvarsi da soli, per di più da se stessi: implica dei prezzi che non sempre si è propensi a pagare, non importa quanto si è forti. Adesso, invece, tra quelle braccia, ogni cosa sembrava tornare finalmente al proprio posto.

«Deliziosamente vomitevoli» commentò Fred, appena apparso insieme a Margaret sulla soglia che divideva il salone dall’ingresso. Abigail rise di cuore, andando ad abbracciare anche loro, mentre George portava dentro le sue valigie.
«Bentornata a casa, bellezza» la accolse la cugina, arruffandole i capelli e rivolgendole un dolce sorriso, ma ormai l’attenzione della Thompson era stata rapita da Alexander, che in braccio al papà aveva iniziato a chiamarla a gran voce con i suoi adorabili e incomprensibili versi.
«Honey bear! Ma quanto sei cresciuto? Noto con piacere di esserti mancata» gli diede corda, lasciandosi tirare i capelli, prima di ritrovarsi investita dall’abbraccio di un’incontenibile Vittoria Wilson.
«Tesoro mio, che bello averti di nuovo qui!»
«Anch’io sono felice di rivederti, nonna» le disse la giovane, liberandosi poco dopo per salutare anche Julia e guardarsi attorno, a tratti incredula di essere realmente lì.
Margaret le posò una mano sulla schiena e le fece cenno di dirigersi in salone, non potendo nascondere la comprensibilissima contentezza che averla di nuovo lì suscitava, e probabilmente soltanto allora si rese davvero conto di quanto avesse sofferto la sua assenza. Le erano mancate tutte quelle conversazioni a tratti insensate e deliranti, che avevano il potere di mandare via ogni malumore e di farle ridere come poche altre volte in vita loro; aveva avuto nostalgia degli sguardi complici e di quelli di rimprovero, delle chiacchierate a notte fonda davanti a una tazza di tè, e di quel conforto assoluto che la sua presenza era sempre riuscita a regalarle. Era come se, dopo settimane, un pezzo fondamentale di se stessa fosse tornato nell’esatto posto in cui avrebbe dovuto essere.

Si accomodarono sui divani, impazienti di tempestare di domande l’appena arrivata, ma Willow – prima che qualcuno potesse proferire suono – si approssimò con fare apprensivo a quest’ultima, insistendo per portarle qualcosa da bere che potesse riscaldarla, dato il clima gelido che le aveva fatto compagnia nell’attesa che qualcuno le aprisse la porta di casa.
Dopo che l’elfa – su richiesta di tutti i presenti e, soprattutto, delle nonne – ebbe portato una bottiglia di Idromele e sei bicchieri, fu possibile fare un veloce brindisi, che sembrò ristabilire all’istante la normalità.
George, allora, prese una mano di Abigail tra le sue e le sorrise: non riusciva ancora a capacitarsi che fosse tutto vero.
«Quando sei arrivata?»
«Ieri sera. Sono andata da mia zia Gloria, solo lei sapeva del mio ritorno. È stata una sorpresa anche per Meg, questo pomeriggio, vedermi a casa di sua madre» spiegò la ragazza, facendo l’occhiolino alla cugina. «Ho voluto farvi una sorpresa.»
«E i corsi, mia cara?» le domandò Vittoria, anticipando le mosse della metà dei presenti. La nipote si sistemò meglio sui cuscini e si portò i capelli dietro l’orecchio.
«Terminati, se ci riferiamo agli elementi teorici. Adesso devo svolgere una sorta di tirocinio, prima di poter lavorare come apprendista, ma mi è stata concessa l’opportunità di farlo qui, al San Mungo» rispose Abigail, pensando a quanto dovesse essere grata a Mrs Pedersen per quel piccolo miracolo. Lanciò uno sguardo al ragazzo che aveva accanto, prima di riprendere. «Non potevo non coglierla, naturalmente.»
«Davvero? Questa mi è nuova» commentò Julia, incuriosita da quella strana faccenda. «Quando dovetti specializzarmi io – quarant’anni fa, per intenderci – il tirocinio andava svolto nella stessa sede in cui si erano frequentati i corsi, e sono certa sia sempre stato così. Non pensavo fosse cambiato qualcosa.»
«Il caso vuole che io abbia atteso ai primi corsi proprio al San Mungo, quindi uno strappo alla regola non sarebbe stato del tutto impraticabile. Certo è, però, che sarebbe stato molto più difficile senza un opportuno, piccolo aiuto da parte di Elsa Pedersen.»
«Elsa chi?» s’introdusse Fred, cui quel nome suonava totalmente estraneo. Lo stesso non si poteva dire di Margaret e Julia, che s’illuminarono di consapevolezza.
«La moglie di Nikolai Pedersen? La Veela?» le chiese la prima, sorpresa. La cugina sorrise e annuì.
«Proprio lei. Suo marito è uno dei migliori Guaritori d’Irlanda – lui e la famiglia si sono trasferiti lì dalla Norvegia diversi anni fa. È un mago molto influente nel suo ambito, ma al tempo stesso fa tutto quello che gli dice la moglie. Sono solo stata abile a rendermi estremamente simpatica.»
«Ferma, ferma. Credo di essermi perso qualche passaggio: come fai a conoscerli? Cos’è questa storia? Mi sento abbastanza confuso» disse George, sfoggiando un’espressione interrogativa. Margaret, ancora una volta, riuscì a cogliere il tassello che permetteva di trovare un senso a quella situazione.
«C’entra qualcosa con quell’incarico per conto dell’Ordine, non è così?» domandò quest’ultima, che da mesi non vedeva l’ora di sapere qualcosa di più riguardo a quella faccenda. Abigail, divertita, la indicò con il palmo della mano e decise che fosse giunto il momento di fare chiarezza sulla questione.
«Al momento della mia partenza per Belfast, non potevo neanche lontanamente immaginare che la mia compagna di stanza sarebbe stata la figlia dei Pedersen. A dire il vero, non sapevo neanche chi fossero. Sta di fatto che – neanche un mese dopo il mio arrivo – Shacklebolt si è presentato alla mia porta senza alcun preavviso, dicendomi di essere lì per conto dell’Ordine.»
«Shacklebolt?!» dissero gli altri all’unisono, facendola sobbalzare.
«Morgana maledetta, rilassatevi! Sì, Kingsley, proprio lui. Non ho idea di come lo abbia saputo, ma sta di fatto che ha chiesto a Savannah di mettermi in contatto con sua madre. L’Ordine sta tentando di conquistare la lealtà di quante più creature magiche possibili contro il Signore Oscuro, ed è proprio qui che entro in gioco io: i Pedersen sono una famiglia molto potente, più di quanto voi possiate immaginare. Sono riuscita a conquistare la fiducia di Elsa, che non ha esitato un solo istante a mediare tra le richieste dell’Ordine e la popolazione Veela, assicurandoci un appoggio che reputo fondamentale.»
«Assolutamente sì: sembreranno pure delle donne meravigliose, ma chi era presente alla finale della Coppa del Mondo di Quidditch ricorda perfettamente di cosa sono capaci.»
«George ha ragione, basta farle infuriare e si trasformano in creature terrificanti che lanciano palle di fuoco. Un’arma niente male a nostro vantaggio.»
«Esattamente, Fred. Sarebbe stato interessante tentare un approccio anche con le megere, ma sembra che nessuno voglia avere a che fare con loro… tantomeno io» terminò Abigail, non riuscendo però a reprimere un brivido di disgusto che, prontamente, le percorse la schiena.
George, dopo averla osservata per qualche secondo, scoppiò a ridere, seguito a ruota dal fratello e dalla migliore amica e beccandosi un’occhiataccia da parte della ragazza. Nessuno, probabilmente, sapeva che il Molliccio di quest’ultima fosse proprio una megera.
«Be’, in effetti, quella di mangiare bambini è un’abitudine abbastanza particolare. Vedi, tesoro? Ti stiamo rimpinzando come un maialino per darti in pasto alle amichette della zia Gail» scherzò Margaret guardando suo figlio con fare cospiratorio, al che il bambino prese a fissarla con perplessità.
«Non è affatto divertente. Quelle fattucchiere sono degli esseri orribili» puntualizzò la bionda, adesso pallida come un lenzuolo, prima di fulminare con lo sguardo uno sghignazzante Fred.
«Mi piacerebbe sapere perché hai tanta paura di loro, Abbie» fece quest’ultimo, tentando di darsi un tono e fallendo palesemente. Vittoria, d’altro canto, rise di cuore, poggiando una mano sulla spalla del nipote acquisito.
«Tutta colpa di mia figlia Regina: le diceva sempre che, se non avesse smesso di fare i capricci, il Gran Consiglio delle Megere l'avrebbe portata via» raccontò la nonna, suscitando l’ilarità generale, che poté solo aumentare di fronte al rinnovato rossore sulle guance della giovane.
Questa sollevò le mani in segno di resa, ma una leggera increspatura delle sue labbra – che somigliava tanto a un sorriso – tradì la sua finta indignazione.
«Bene, ridete pure dei traumi della mia infanzia! Ora, con permesso, gradirei andare a dormire, dato che ho tanto sonno da poter fare invidia a un bradipo.»
«Non pensare di poterti liberare di me così facilmente, dolcezza. Ti accompagno in camera» la anticipò George, afferrandola per mano e trascinandola in direzione dell’ingresso, dove si trovavano le scale.

«Buonanotte!» si congedò lei, riuscendo a sporgere la testa dalla porta, prima che lui la prendesse di peso e se la caricasse sulle spalle, non curandosi delle sue lamentele furiose e dei calci che tentava di rifilargli.
«Mettimi giù, George! Il fatto che siamo stati lontani non mi impedisce di affatturarti!»
«Eccoci arrivati, madamigelle!» la ignorò lui, scaricandola sul letto senza molta gentilezza.
Lei si mise a sedere, scostando i capelli dal viso, e gli rivolse uno sguardo tutt’altro che benevolo che lui, invece, ricambiò con un sorrisino furbo, che ebbe come risultato quello di farla innervosire ancor di più.
«Mi ero dimenticata di quanto fossi simpatico» commentò la ragazza, sbuffando. Lui si sedette accanto a lei e le sfiorò il lobo dell’orecchio con le labbra.
«Io, invece, ricordavo benissimo quanto fossi bella» sussurrò, accarezzandole la schiena con una mano e tracciando il suo profilo con le dita dell’altra. Lei arrossì, e sebbene avesse voluto tirargli un pugno sul naso, decise di mettere da parte il suo adorabile caratterino quantomeno per quella sera.
Si distese e lo invitò a imitarla, cosicché potesse stringersi a lui e lasciare che le sue braccia la riscaldassero, facendole sentire quel profumo di casa di cui aveva avuto tanta nostalgia.
Rimasero in silenzio per pochi minuti, il tempo necessario a permettere a entrambi di riabituarsi a quella piacevole intimità che, dopo notevoli sforzi, erano stati capaci di costruire mesi addietro. Non c’era posto per alcun magone, per nessun nodo alla gola o peso sullo stomaco, in quell’istante: c’erano solamente loro due, e nient’altro avrebbe potuto occupare il posto di quel delicato equilibrio che, finalmente, sembrava essersi ristabilito.
George iniziò a giocare con i suoi capelli, notando come fossero decisamente più lunghi dell’ultima volta che li aveva sfiorati.
«Allora l’hai trovata, la buona ragione per non mandarmi all’Inferno.»
Abigail sollevò la testa dal suo petto e puntò gli occhi nei suoi. «La tua lettera parlava chiaro, George.»
«Quale… Quale lettera, scusa?» chiese allora lui, colto alla sprovvista. Lei rise e gli baciò la fronte, divertita.
«Quella che mia cugina deve aver inviato al tuo posto, di nascosto.»
«Per le parrucche decolorate di Merlino, questa mi è nuova! Dannata Margaret dei miei stivali, non ha ancora imparato a farsi gli affaracci suoi» commentò, scandalizzato, ma lei gli poggiò un dito sulle labbra e lo zittì, prima di guardarlo con dolcezza.
«E non lo farà mai, quindi mettiti l’anima in pace. Ci sarà sempre una nanerottola dai capelli castano rame pronta a pararti il culo, soprattutto dai miei calci» gli disse, fingendo di rimproverarlo; dopodiché, lo baciò, lasciando che le mani di lui si soffermassero sull’orlo del suo maglioncino, con l’intenzione di sfilarglielo via.
«Mi sei mancata a dismisura, blondie» ammise, e osservando il suo viso Abigail poté scorgervi unicamente una tenerezza infinita. Gli tolse il maglione e gli sbottonò la camicia, incurvando le labbra arrossate in un sorriso malizioso.
«Mi sei mancato tanto anche tu, Lobo Solitario. Credo sia arrivato il momento di recuperare il tempo perduto.»
«Lo penso anch’io, bellezza. E poi, hai un tatua-coso da farmi vedere» annuì lui, prima di fiondarsi sulle sue labbra. Fece scivolare le mani sul suo corpo, guidato dai suoi sospiri, e una volta intercettato il suo sguardo non poté fare a meno di pensare a quanto fosse pazzo di lei. «Sarà meglio applicare un Incantesimo Muffliato alla porta, che ne pensi?»
Abigail allora rise, e George poté giurare che fosse la risata più bella che lei gli avesse mai regalato.  
                  


- Angolo dell’autrice

Okay. Allora. Calmi tutti. Lo so che qui c’è tanta roba di cui parlare, ma ci arriveremo.
Riprendiamoci un attimo da questo finale inaspettato (era inaspettato, vero?) e recuperiamo un po’ di contegno.
In realtà, la prima che deve ricominciare a respirare sono proprio io, dato che questa seconda parte mi fa sempre uno strano – positivissimo – effetto dopo ogni lettura.
Ma dobbiamo procedere per punti, caspiterina.
Dunque…

Eccomi qui, dolcini! Sì, vi avverto che sarà un angolo dell’autrice abbastanza delirante, ne sono testimonianza queste e altre adorabili paroline in azzurro che, se cliccate, vi reindirizzeranno a delle immagini decisamente ispiranti (come no!).
Attribuisco la mia attuale follia all’aver dovuto dare due materie in una settimana.  
Ma parliamo di cose che realmente possono interessarvi: innanzitutto, il giornale.
Come Maggie ed io vi avevamo anticipato nell’episodio precedente (?), molto probabilmente – in collaborazione con Radio Potter – ci sarebbe stato un giornale gestito proprio da una delle nostre protagoniste. Dunque, come promesso, abbiamo l’onore di presentarvi Believe The Truth, e direi che il titolo di per sé lascia già intendere parecchio.
Ho pensato che il modo migliore di introdurlo fosse proprio quello di “riportare” le parole di Margaret, che da degna nipote di giornalista non si lascia sfuggire l’occasione di dire un po’ le cose come stanno e di fare luce su alcune questioni.
Ma credo che sia decisamente il caso di spiegarvi il funzionamento di questo settimanale, o quantomeno di provarci. Innanzitutto, si basa sull’utilizzo dei nomi in codice, per cui Margaret si firmerà sempre Golden Eagle, Cassandra sarà Plastic Shadow, e così via. Naturalmente, il giornale non può essere consegnato a chicchessia in maniera indiscriminata, ma al tempo stesso non è limitato ai soli membri dell’Ordine (anche perché, altrimenti, non avrebbe senso). Quindi, potrà essere recapitato – ad esempio – ai clienti dei Tiri Vispi insieme ai loro ordini, ai vicini di casa, e via discorrendo. Inoltre, sarà protetto da una parola d’ordine diversa ogni settimana, specificata in una sezione apposita nel fascicolo precedente. Al momento della consegna, dunque, il giornale avrà l’aspetto di un insieme di fogli bianchi: se si pronuncerà la parola d’ordine corretta, sarà possibile leggere gli articoli; in caso contrario, e quindi se la parola dovesse essere sbagliata o si cercasse di “forzare” il contenuto a rivelarsi, il giornale assumerà le sembianze di una rivista sportiva, con tanto di vere e proprie inserzioni scritte da Angelina, Lee, i gemelli e anche Meg.
Che ve ne pare come idea? E quanto all’intervento scritto da Margaret in apertura del capitolo, quali sono state le vostre impressioni? Se l’è cavata, secondo voi? ;)
- Sono Margaret S. E. Stevens, stronzetta: io non me la cavo; io trionfo.
- Lasciatela stare, sta avendo uno dei suoi soliti deliri di onnipotenza. La cosa migliore è annuire e sorridere e aspettare che finisca.
Gail, ti ringrazio.  

Allora, lascio a voi ogni commento sugli esperimenti di Fred e George, sulla pucciosità di Alexander che inizia pian piano a parlare e a diventare sempre più morbidoso e cicciottello *muore sommersa dai feels*, su quanto siano impazzite le nonne, e su tutto quello che volete (se vorrete). Lascio a voi i commenti perché è decisamente giunta l’ora di parlare del Momento.
Parlo proprio di quello.
Il momento che tutti aspettavamo da diversi capitoli a questa parte e che non fa altro che farmi amare a dismisura quest’ultimo.
Perché…
Ladies and Gentlemen
*i feels esplodono di nuovo, i neuroni smettono di fare sinapsi e collassano, le basi biologiche del temperamento prendono i fazzoletti e affogano in un milione di lacrime*
ABIGAIL E’ TORNATA.
*applausi*
*Jules mentre scriveva il capitolo*        
*Jules una volta riletto il capitolo per la prima volta*
*Jules mentre scrive l’angolo dell’autrice*
E niente. Voglio solo dirvi che adesso sono in pace con me stessa e che finalmente i sensi di colpa non mi faranno più stare sveglia la notte.
Tornando a parlare seriamente (perché, l’ho mai fatto?), probabilmente avrei potuto fare stare via la nostra bionda preferita per un altro po’ di tempo, ma il mio cuore da fangirl non ce l’ha fatta. Amo tanto la Georbie (?) quasi al punto di preferirla alla Frargaret (???) – be’, diciamo che se la giocano proprio fino all’ultimo – e non me la sono sentita di tenerla separata troppo a lungo, soprattutto con tutti questi Erik Sono-Figo Pedersen *i feels esplodono ancora una volta* nei paraggi che attenterebbero alla fedeltà di chiunque.
Inoltre, avete visto che c’è stato un salto temporale di qualche mese – siamo già a Natale, che cosa carina –, quindi direi che può bastare. Vedremo cosa combineranno adesso *fischietta ostentando disinvoltura*.
- Non ci renderai mai la vita un po’ più facile, vero?
Suvvia, Gail! Quanto pessimismo!
Che dire, allora? Ah, ecco: George si è inventato un nuovo soprannome per Abbie. Chiamare una persona bionda “Blondie” non è il massimo dell’originalità, ma a quanto pare la nostra testa rossa lo ha trovato carino – e anch’io, a dirla tutta – e ha deciso di scriverlo in quella famosa lettera di cui noi poveri Babbani non sapremo mai niente.
Tranquilli, stiamo per arrivare alla conclusione di questa follia.
Come credo di aver detto da qualche parte, tempo addietro, sto provando a revisionare i capitoli, e per l’appunto sono arrivata al... *rullo di tamburi*… TERZO! Sì, lo so, non sono brava manco in questo, ma piano piano riuscirò nel mio intento.
Per quanto riguarda questo capitolo, il titolo è di Alessandro Baricco, mentre la canzone in apertura è If I Had a Gun, di Noel Gallagher *modalità venerazione attivata*.

Come al solito, ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobain, KariWhite, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i Beatles, Secretly_S, Soleil Jones, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15, Feather_, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_, Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrong, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

La carissima Meissa Antares, che ha meravigliosamente recensito il capitolo precedente. ♥ 

Adesso – immagino con vostra immensa gioia e approvazione – devo lasciarvi, anche se starei qui a scrivere stronzate fino alla laurea. Fino a quella magistrale, s’intende.
Tanto per rimanere in argomento, temo che dovremo aspettare qualche altro mesetto prima di sentirci di nuovo. Sì, perché fino al 6 luglio sarò troppo impegnata a disperarmi sul manuale più incomprensibile che sia mai stato scritto, e tra l’altro del prossimo capitolo esistono soltanto due pagine scarse *risatina isterica*. E ho avuto la brillante idea di iscrivermi a tre contest *altra risatina isterica*.
In poche parole, ci rivediamo a fine luglio. O ad agosto. Mi mancherete, bambini.
L’unica consolazione è che tra pochi giorni ricomincia Pretty Little Liars *si leva un coro di “Caleb ti amo” dagli spalti*.
Detto ciò, vi libero dalla mia tediosa presenza. Spero di ricevere qualche parere e che mi facciate sapere cosa ne pensate. ♥ Sentitevi liberissimi, come sempre, di dare consigli e di portare alla mia attenzione qualsiasi errore/svista o eventualmente elementi poco chiari o che vi lasciano perplessi.

Un abbraccio enorme,

Jules ♥     

- Dal prossimo capitolo


«Dov’è?» la ridestò Abigail, che adesso non si sforzava più di tenere repressa l’irritazione e, anzi, sembrava sul punto di farla esplodere come una bomba a orologeria. Margaret deglutì, pregando che qualcuno la salvasse da quella situazione, ma soltanto un’invasione aliena direttamente sul loro portico avrebbe potuto distogliere l’altra dai suoi intenti; così, fu costretta a fare una smorfia svogliata e a indicare il piano superiore.
 

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Capitolo 24
*** L’unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere (I) ***


 

Capitolo 24

 


 
 
L’unico modo per non soffrire è non amare,
che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare
sei destinato a soccombere (I)


 
Open your eyes and what do you see?
No more laughs, no more photographs
Turning slowly, looking back, see
No words can save this
You’re broken and I’m pissed
 

Un mistero meraviglioso, la vita. Un meccanismo perfetto di cui tutti noi ci domandiamo il funzionamento, senza mai giungere a una conclusione che possa soddisfare pienamente ogni nostro quesito.
Ci si interroga su cosa renda possibili quei processi automatici, involontari, che ci consentono di esistere, di pensare, di respirare; azioni che hanno luogo in ogni istante, date forse per scontate, come quasi tutto ciò cui l’uomo tende ad abituarsi perché sempre presente nella sua quotidianità.
D’altronde, chi mai fa troppo caso al movimento ritmico del proprio petto, che si alza e si abbassa seguendo la regolare entrata e uscita di aria dai polmoni? Chi si domanda come avvenga il lavoro onirico, responsabile di quei sogni spesso sconclusionati e privi di senso, o di quelli tanto nitidi da avere parvenza reale, ma in entrambi i casi espressione dei desideri o delle paure nostre più profonde? Quasi nessuno, probabilmente.
Sta di fatto che, di fronte alla dolce espressione di un bambino addormentato, qualsiasi interrogativo diventa lecito. Ci si ritrova lì, a chiedersi cosa stia succedendo all’interno di quella testolina, o se abbia e quali siano i suoi pensieri alla vista di tutta quella gente emozionata attorno a lui.
E fu proprio così – circondato da un numero spropositato di parenti in fibrillazione – che, la sera del 21 marzo dell’anno 1998, Richard Desmond Stevens nacque, con i suoi capelli castani, un bel paio di occhi verdi e una spruzzata di lentiggini sul nasino.
Un bel pianto aveva annunciato la sua entrata nel mondo, facendo tirare un sospiro di sollievo e gioia a chi, da nove mesi, stava aspettando con pazienza – poca o molta non importa – di vedere il suo piccolo faccino tondo e roseo, reso ancor più meraviglioso dalla naturale e sana inconsapevolezza delle atrocità esistenti che soltanto un neonato può avere il vantaggio – e il privilegio – di possedere.
Aveva aperto quei grandi occhioni dal colore dello smeraldo e aveva incontrato quelli azzurri di sua madre, prima di regalare un lungo sguardo alla sorella, nonché madrina; sguardo che quest’ultima, prevedibilmente, non aveva tardato a interpretare come una vera e propria dichiarazione d’amore eterno nei suoi confronti.
Margaret lo aveva preso in braccio – suscitando le ire di uno gelosissimo e a tratti offeso Alexander, che si lamentava e scalciava tra le braccia di Fred nel tentativo di liberarsi per mandare via quel piccolo intruso – e aveva iniziato a coccolarlo e cullarlo, accarezzandogli quei ciuffi di capelli un po’ più chiari dei suoi e quelle tenere e morbide guanciotte rilassate che avrebbero fatto sorridere e sciogliere anche il cuore più duro.
Desmond passava giornate intere a osservare amorevolmente il suo secondogenito, lasciandolo dormire sul suo petto per poterlo abbracciare delicatamente ogni singola volta ne avesse avuto voglia, ritenendo non potesse esistere nulla di più rilassante al mondo. Ricordava ancora perfettamente i giorni in cui aveva fatto la stessa cosa con sua figlia, che a differenza del nuovo arrivato non aveva mai perso occasione di dare mostra di tutta la sua iperattività, trasformando quei momenti di pace nella quintessenza del caos.
Gloria, d’altra parte, sembrava ringiovanita di dieci anni, e non tardava a dispensare sguardi dolci e benevoli a chiunque fosse così gentile da lasciare per poche ore la propria dimora sicura per farle visita e, naturalmente, dare il benvenuto al piccolo Richard.

Margaret stava proprio rispondendo a una sua lettera, il pomeriggio di quel 31 marzo del ’98, quando sentì la porta d’ingresso chiudersi con tanta forza da far quasi tremare le pareti.
Alexander smise per pochi istanti di torturare Lola, la sua Puffola Pigmea, e sollevò lo sguardo con fare interessato, intercettando quello perplesso della madre. Questa gli fece cenno di restare fermo al suo posto e si diresse a grandi falcate nella stanza adiacente, dove una figura dai capelli biondi – appena liberatasi da un Incantesimo di Disillusione – scuoteva la testa e borbottava tra sé, impazientita, mentre sistemava il mantello azzurro sull’attaccapanni. La prima la fissò con curiosità, aspettando che lei si accorgesse della sua presenza, riflettendo sulle ragioni di quel comportamento all’apparenza decisamente alterato.
Quando Abigail si voltò, non si sorprese di vedere la cugina lì, ma le rivolse un sorriso sarcastico e sciolse la coda, rompendo l’elastico.
«Dov’è quel fottuto idiota?» le domandò, stringendo i denti, e l’altra non poté non pensare a quanto stesse diventando inquietante e potenzialmente pericoloso quel sorrisino omicida.
«Gail, cos’è successo?» provò Meg, incerta, ma temeva di sapere quale fosse il problema. Immaginava che, prima o poi, la questione sarebbe venuta a galla, ma certamente aveva sperato scegliesse un momento migliore per farlo.
«Il nome Virginia Anderson ti dice niente? E pensare che sono stata così stupida, stamattina, da credere che fosse realmente preoccupato per me, quando invece l’unica cosa che voleva fare era proteggere la sua dannata faccia dai miei calci!» disse l’altra, il cui viso stava via via assumendo tutte le possibili sfumature di viola, e Margaret ripensò velocemente a quello scambio di battute cui era stata protagonista e spettatrice quella stessa mattina, in cucina, durante la colazione.

«Morgana maledetta, tra quaranta minuti devo essere al San Mungo, devo sbrigarmi» aveva commentato Abigail, addentando il suo muffin e posizionando con precisione il suo uovo fritto sul pane tostato imburrato. La cugina aveva scosso la testa, ridacchiando, mentre con una mano teneva la forchetta con il bacon e con l’altra il cucchiaino con cui prendere l’omogeneizzato di frutta da dare ad Alexander, seduto sul seggiolone accanto a lei.
«Vacci piano, rischi di affogarti» le aveva ricordato la ragazza, beccandosi un’occhiataccia proveniente dall’altra parte del tavolo.
«Non preoccuparti per me, mammina. Piuttosto, sta’ attenta a non confonderle come la scorsa volta» l’aveva rimbeccata la bionda, riferendosi alle due posate che la ragazza teneva nelle mani e a quella mattina in cui, effettivamente, questa aveva quasi inconsapevolmente fatto esperienza del cibo per infanti – capendo, ovviamente, perché suo figlio facesse tante storie prima di ingerire quella roba.
Meg, d’altra parte, aveva cercato di reprimere un brivido di disgusto, che però non era sfuggito a George. Questi le aveva fatto l’occhiolino, prima di sfiorare l’angolo della bocca di Abigail con il pollice per togliere via quella poca schiuma di cappuccino che vi era rimasta.
«Non sembri molto entusiasta di andare, blondie. Non è da te» le aveva fatto notare, però, scrutandola con curiosità. Lei aveva fatto un sorriso tirato, prima di sospirare.
«Hai ragione, è che… be’, oggi dovrò fare coppia con un’apprendista, ed è davvero insopportabile. Una certa Virginia Anderson, se non sbaglio… il mio cervello si rifiuta persino di ricordare il suo nome» aveva ammesso, ma sia Fred che Margaret – udendo quel nome – si erano quasi strozzati con ciò che stavano mangiando, mentre George era diventato pallido come un lenzuolo.
Quest’ultimo aveva iniziato a interessarsi alle linee del parquet, mentre i primi due tossivano per provare a riprendersi, al che Abigail aveva sollevato le sopracciglia e si era voltata in direzione del suo ragazzo, interrogativa. «Che ho detto di tanto sconvolgente?»
«Oh, niente! Senti, dolcezza… non sarebbe meglio se restassi a casa? Hai avuto la febbre, ieri, e fuori c’è davvero un tempaccio, non voglio che tu stia male di nuovo» aveva provato lui, sfoggiando un tono notevolmente convincente, che gli aveva assicurato un dolce e caldo sorriso da parte della giovane.
«Sei adorabile, tesoro, ma sto bene. Non preoccuparti per me, intesi?» lo aveva rassicurato questa, accarezzandogli il viso e stampandogli un bacio sulle labbra.
Margaret, a quel punto, aveva pensato che il pericolo fosse stato scampato e che, con un pizzico di fortuna, forse sua cugina e Virginia non si sarebbero scambiate più di qualche parola di cortesia. Aveva solleticato il nasino di Alexander, facendolo ridere, e poi si era protesa verso Fred, nel tentativo di sbirciare la pagina di giornale che questi stava leggendo.
«Novità?» gli aveva chiesto, versandogli una tazza di tè. Lui aveva posato il quotidiano e l’aveva ringraziata, bevendo un sorso di quel delizioso liquido bollente.
«Le solite falsità, Pasticcino. Mi chiedo cosa ci aspettiamo a disdire l’abbonamento con la Gazzetta del Profeta, è un inutile spreco di soldi.»


«Dov’è?» la ridestò Abigail, che adesso non si sforzava più di tenere repressa l’irritazione e, anzi, sembrava sul punto di farla esplodere come una bomba a orologeria.
Margaret deglutì, pregando che qualcuno la salvasse da quella situazione, ma soltanto un’invasione aliena direttamente sul loro portico avrebbe potuto distogliere l’altra dai suoi intenti; così, fu costretta a fare una smorfia svogliata e a indicare il piano superiore.
Sapeva che non sarebbe finita bene, e in effetti lo immaginava da quando il suo migliore amico, diversi mesi prima, le aveva esposto il problema e fatto quella confessione, meritandosi una bella dose di Fatture Orcovolanti – successivamente rivelatesi immeritate – come premio per la sincerità. Aveva promesso di mantenere quel piccolo segreto, ben consapevole dei rischi che correva, perché era certa che se la sua cara coinquilina avesse sospettato della sua complicità, questa non l’avrebbe mai perdonata – se non, ovviamente, dopo una sessione di prostrazioni al suo temibile cospetto.
«Meraviglioso» commentò la bionda, fingendo entusiasmo e muovendo qualche passo verso la rampa di scale. Tuttavia, la cugina la afferrò per un braccio, impedendole di proseguire.
«Gail, ascolta…» iniziò questa, ma l’altra le rivolse uno sguardo tanto fulminante da riuscire a interromperla istantaneamente.
«No, Meg. Non lo posso accettare. So che me l’hai tenuto nascosto unicamente per non farmi soffrire, ed è per questo che non potrei mai avercela con te, ma lui non la passerà liscia. Non può.»
«Abbie, ho il concreto presentimento che tu abbia avuto delle informazioni disastrosamente sbagliate. Se vuoi, possiamo parlarne prima noi due e…»
«L’unica cosa che vorrei fare in questo istante è piangere, o in alternativa urlare e insultarlo tra le lacrime. Si accettano suggerimenti su quale sia la via migliore per preservare la propria dignità» Abigail la interruppe di nuovo, ma questa volta nel suo sguardo si poteva scorgere non unicamente la rabbia, ma una profonda e crudele tristezza.
Margaret non seppe cosa rispondere: vedere l’amarezza negli occhi di quella che, a tutti gli effetti, considerava l’altra metà di sé, le faceva tanto male da impedirle qualsiasi ragionamento sensato. Avrebbe giurato di poter vedere l’anima della ragazza che aveva di fronte lacerarsi nuovamente negli stessi punti in cui era stata ricucita con tanta cura, attenzione e dispendio di energie vitali. Era a tratti paradossale come l’osservatrice silenziosa di quella lenta rinascita adesso fosse costretta ad assistere all’ennesimo crollo delle macerie, totalmente priva di mezzi per contrastarlo, nonché per impedire che quell’avvilente combinazione di emozioni prendesse a martellate anche lei fin dentro le ossa.
Sarebbe stata un’impresa del tutto vana: era sempre stato così, fin da quando erano bambine e sembrava che decidessero volontariamente di essere di malumore insieme con l’unico scopo di sostenersi a vicenda, mentre in verità si trattava di quel processo di sintonizzazione automatica di sentimenti e stati d’animo che solamente in due spiriti così uniti può avere luogo in maniera tanto inconsapevole e spontanea. Era inevitabile che, anche in quella circostanza, la sofferenza di una fosse vissuta e partecipata anche dall’altra, ostacolando ogni possibilità di mediazione tra le due parti in conflitto.
«Mamma!» chiamò Alexander, impaziente, gattonando sempre più velocemente fino al corridoio di ingresso. Margaret si riscosse dai suoi pensieri e sospirò con fatica, prima di lanciare uno sguardo a suo figlio, i cui occhioni azzurri chiedevano nella forma più dolce e incantevole possibile la sua attenzione.

Abigail approfittò dell’attimo di distrazione della cugina, che stava prendendo in braccio il bambino, per dirigersi al secondo piano, ignorando i suoi richiami.
Sentiva i suoi passi dietro di sé, ma non le interessava: era troppo arrabbiata, troppo ferita perché potesse importarle di qualsiasi cosa. A ogni scalino superato percepiva la sua agitazione crescere e gonfiarsi, e con essa il desiderio di fronteggiare chi era stato capace di tradire in maniera tanto sconsiderata la sua fiducia.
“Sono tutti uguali, che ti aspettavi?” le sussurrò una vocina nella sua testa, e Abigail pensò che fosse impossibile darle torto. Sapeva di essere stata una stupida, una povera ingenua a credere che lui fosse diverso dagli altri, che non l’avrebbe mai delusa, quando invece la vita le aveva dimostrato che, in un modo o nell’altro, tutti gli uomini hanno le potenzialità e le occasioni di farlo.
Giunta all’ultimo piano, si impose di mantenere il controllo della situazione, o per lo meno di non dare eccessivamente in escandescenze fin dall’inizio: era necessario concedergli l’opportunità, seppur velata, di salvarsi da quella delicata circostanza; non era mai troppo tardi per dire spontaneamente la verità.
Con immensa fatica, riuscì a impostarsi un lieve sorriso sul viso e bussò tre volte alla Stanza Esperimenti, dal cui interno proveniva un delizioso ma ingannevole odore di Crostatine Canarine; senza aspettare risposta, aprì di poco la porta e infilò la testa all’interno di quel laboratorio domestico.
«Si può? Accidenti, che profumino!» disse, annunciando in tal modo la sua presenza. Fred e George sollevarono gli sguardi dal calderone e incrociarono il suo, rivolgendole due sorrisi identici.
«Certo che puoi! Stanno finendo le scorte, ne stiamo preparando altri. Sicura di non volerne uno, tesoro?» fece il primo, lanciandole un dolcetto appena preparato. Lei lo afferrò al volo e lo posò su un ripiano vicino, ridendo: nessuno dei due poteva immaginare quanto difficile le stesse risultando un gesto tanto semplice come quello.
«Gentile come sempre, Fred, ma per questa volta passo!»
«Non sei qui per le Crostatine, allora? Ero certo che la loro fragranza fosse tanto irresistibile da attirare chiunque nelle loro vicinanze!» commentò il ragazzo, fingendosi sconvolto. Meg, apparsa in quell’istante sull’uscio con in braccio Alexander, sembrava più confusa che altro: perché sua cugina non si era ancora messa all’opera per far saltare in aria la casa?
«Non proprio, in effetti. Piuttosto, dovrei scambiare due parole con George, se possibile» spiegò Abigail con tranquillità, sfoggiando un altro faticoso sorriso.
«No che non è possibile» s’intromise Margaret, tesa al pari di una presa elettrica, trascurando le occhiate malevole che l’altra aveva appena iniziato a riservarle. George corrugò la fronte, perplesso.
«E perché mai?»
«Perché dovete lavorare, no? Qualunque cosa debba dirti, potrà farlo in un altro momento» tentò la più grande delle due ragazze, fingendo che si trattasse di una questione di poco conto. Fred, d’altra parte, iniziò a ridere.
«Questa è bella, Pasticcino! Usciamo, lasciamo loro un po’ di intimità.»
«Ma…» riprovò Meg, adesso preoccupata per ciò che stava per accadere, ma Fred la prese per un braccio e la portò via con sé.
«Niente ma» concluse, chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasta sola con George all’interno della stanza, Abigail si passò una mano tra i capelli e scrollò le spalle, tentando di celare il crescente senso di disagio, nonché un pizzico di inspiegabile imbarazzo.
«E allora? Non vieni a salutarmi?» chiese, ammiccando nella sua direzione. Lui si avvicinò di qualche passo, sorridendo.
«Potrei mai non farlo?»
«Questo devi dirmelo tu, Weasley» fece ancora lei, utilizzando un tono giocosamente sensuale. George, in risposta, le posò le mani sui fianchi e la attirò a sé, baciandola subito dopo. Nonostante la rabbia la portasse a essere notevolmente riluttante nei confronti di quei gesti di affetto, Abigail non si oppose, recitando la sua parte fino all’ultimo. Per cui, quando si furono separati, lei iniziò ad accarezzargli delicatamente le spalle, salendo di tanto in tanto fino al collo.
«Ora va meglio» sussurrò dolcemente, e ciò le fece pensare di meritare il premio come migliore attrice dell’anno quantomeno per il duro impegno. Lui le diede un pizzicotto sulla guancia e continuò a sorriderle.
«Il lavoro? Che hai fatto oggi?»
«Le solite, entusiasmanti cose: ho curato un caso di avvelenamento da pozioni, ho eliminato qualche fattura e ho preparato antidoti su antidoti.»
«Non ti annoi, questo è sicuro.»
«Assolutamente» gli diede ragione, impostandosi addosso uno sguardo eloquente; a tal punto, approfittò di quella considerazione per indirizzare il discorso secondo i suoi intenti. «Soprattutto se l’apprendista con cui fai coppia ti racconta delle storie davvero molto interessanti

«Per i sudici calzini di Merlino, si può sapere cosa ti prende?» domandò Fred che, per il corridoio del secondo piano e con Alexander tra le braccia, non riusciva a comprendere per quale ragione sua moglie fosse tanto agitata da utilizzare le Orecchie Oblunghe per origliare ciò che gli altri due, nella stanza, erano impegnati a dirsi.
Margaret, esausta di sentirsi considerata come la povera pazza di turno, sbuffò e sollevò la testa, allontanandosi di poco da quei lunghi fili color carne.
«In primis, non utilizzare queste espressioni davanti al bambino: ci sarà tempo affinché le impari, ma di certo non è questo» lo rimproverò, riservandogli uno sguardo severo che gli fece alzare gli occhi al soffitto. «Seconda cosa, ogni mio comportamento ha una valida spiegazione, non dimenticarlo.»
«E, di grazia, quale sarebbe stavolta?»
«Abigail sa di Virginia, Fred!» comunicò Meg, adesso stridula, sicura che solo in tal modo il ragazzo avrebbe compreso la gravità dei fatti.
Difatti, come volevasi dimostrare, Fred sgranò gli occhi. «Morgana maledetta
«Fred, santo cielo! Il bambino!» lo riprese ancora lei, esasperata. Lui sollevò le sopracciglia e si portò una mano ai capelli.
«Benedetto Godric Grifondoro, Maggie! In casi come questi è impossibile non imprecare!»
«Lo so, dannazione!» si lamentò la giovane mamma, ormai in preda a una crisi di nervi: era certa non sarebbe passato molto tempo prima che si fosse sentito il rumore di oggetti frantumati e di fatture lanciate senza alcun minimo ripensamento.
Fred, invece, tentò di mantenere il controllo e di fare un quadro della situazione. «Allora, respira. Riflettendoci, George non ha fatto nulla di male, o sbaglio? Va bene, è stato un po’ ingenuo e non ha capito che le azioni di quella pazza avevano un secondo fine, ma proprio per questo lo considero una vittima!»
«Vale lo stesso per me, lo sai.»
«Ma se hai continuato a scagliargli addosso Fatture Orcovolanti per almeno mezz’ora!» commentò il ragazzo, incredulo, non riuscendo a togliersi dalla mente l’immagine di suo fratello che, scappando per gli angoli più reconditi della casa, veniva attaccato da una serie di mostriciattoli orrendi, mentre Margaret lo rincorreva lanciando incantesimi a destra e manca.
Quest’ultima arrossì di colpo e sollevò le braccia in segno di resa. «Va bene, ero davvero furiosa con lui, ma solo perché pensavo che stesse stando ai giochetti subdoli di quella vipera: non immaginavo fosse così idiota da non accorgersene!»
«Bene, e allora perché dovremmo preoccuparci? Non è successo niente, no?» tentò Fred, speranzoso, ma Meg scosse lentamente la testa e contrasse il viso in una smorfia, lasciando trapelare tutta la sua amarezza.
«Amore, Abigail sa solo ciò che quella stronza ha deciso di raccontarle, e dubito fortemente che le sue parole corrispondano alla verità.»

«Quali storie?» chiese, nel frattempo, George ad Abigail, che lottava con tutta se stessa contro il desiderio di scansare malamente quella mano che le accarezzava i capelli.
«Storie» rispose lei con semplicità, prima di aggiungere: «Conosci Virginia Anderson, no? Andava a Hogwarts durante i tuoi stessi anni, dovresti ricordarla.»
Al sentir pronunciare quel nome, il ragazzo si irrigidì impercettibilmente, ma fu abbastanza bravo a non farsi scoprire; annuì, facendo finta che la questione non lo interessasse né turbasse minimamente.
«Anderson, l’insopportabile Prefetto di Corvonero. Meg l’ha persino affatturata, qualche giorno prima dei M.A.G.O.: Fred ed io abbiamo applaudito per due ore quando ce l’ha raccontato.»
«Davvero un peccato essersela persa» commentò Abigail, stavolta sorridendo sinceramente: avrebbe fatto bene a ricordarsi di congratularsi con la cugina per quell’intuizione accuratamente lungimirante. «Dopo la scuola non l’hai più vista, quindi?» insistette, pregando di ricevere una versione dei fatti più accettabile e meno dolorosa di quella avuta solo poche ore prima.     
«No, non mi pare» negò lui, sempre più a disagio, per poi maledirsi mentalmente: dopotutto, non aveva fatto nulla di male, quindi perché correre ancora inutili rischi ostinandosi a mentire?
«Capisco» annuì lei, pensierosa, sentendosi crollare addosso ogni speranza di trovare una soluzione a quel disastro.
Non passò molto prima che la sua finta espressione rilassata si tramutasse in una di rabbia e di disgusto, e George quasi non ebbe tempo di notare quel repentino cambiamento che un sonoro schiaffo lo colpì in piena guancia; dopo qualche secondo di shock, prese a massaggiarsi il viso, non esitando a fissare la ragazza con uno sguardo ai limiti dello sconvolto.
«Si può sapere cosa ti è preso? Merlino, mi hai quasi sradicato i pensieri dalla testa
«Con quale coraggio osi chiedermelo?» sbottò Abigail, che poteva percepire distintamente il proprio sangue ribollire nelle vene. «Non ti vergogni a mentirmi tanto spudoratamente? Non provi neanche un briciolo di senso di colpa?»
«Gail» tentò lui, ma la giovane non gli diede ascolto, dal momento che stava continuando a inveirgli contro in un’esplosione di delusione.
«Traditore e pure bugiardo! Mi fai schifo
«Cosa? Aspetta… traditore?» ripeté George, adesso confuso, e finalmente intuì la presenza di qualche elemento decisamente errato nel quadro mentale che Abigail doveva essersi disegnata – o che qualcuno, come lui intelligentemente sospettava, doveva aver tracciato per lei.
«Io ero a Belfast, che soffrivo per voi, per te, come un povero cane bastonato, addormentandomi con la speranza di svegliarmi al mattino e ricevere uno straccio di notizia da parte tua, e tu che cosa facevi? Eri troppo impegnato a spassartela con quella… con quella troia!» disse lei alzando sempre più il tono della voce; era sull’orlo delle lacrime, come testimoniavano i suoi occhi arrossati, ma s’impose di essere forte e di non piangere: non voleva mostrargli alcuna forma di debolezza, solo tutto il risentimento che provava nei suoi confronti.
George la osservò fare pochi passi per la stanza e tornare indietro ripetutamente, alla stregua di un rito ossessivo che, in teoria, avrebbe dovuto aiutarla a recuperare la calma; in realtà, invece, pareva stesse contribuendo a farla infuriare sempre di più.
«Abbie, deve esserci stato un enorme equivoco, lasciami spiegare!»
«Lasciarti spiegare?» riprese a urlare Abigail, portandosi le mani ai capelli e sgranando gli occhi, viola dalla rabbia. «Ti sembro stupida, forse? Credi davvero che ti consentirei di continuare a raccontarmi menzogne? Non ho più parole! Sono stata così ingenua, santissimo Salazar, da pensare che tu fossi diverso dagli altri, e non immagini quanto mi faccia stare male la consapevolezza di essermi sbagliata ancora una volta, per di più tanto platealmente! Ti sarai divertito veramente tanto, scrivendomi quella maledetta lettera, non è così? “Non posso dirti quanto mi manchi”, “sono qui e ti aspetto“, “ci sarò per te, nel bene e nel male”, e blablabla: ma quante cazzate racconti? Ed io che, da grande idiota, mi sono sentita in colpa solo perché il figlio dei Pedersen ha provato a farmi la corte per quattro mesi!»
«Gail, ti stai sbagliando, io non ti ho mai… Il figlio dei Pedersen cosa
«Non pensare di poter tirare Erik in mezzo a questa storia solo per poter cambiare argomento! A differenza tua, io non potrei mai e poi mai procurarti un dispiacere simile!»
«Ma io non…» provò ancora lui a giustificarsi e a chiarire la faccenda, ma i toni soavi della ragazza lo zittirono nuovamente.
«Ci sei andato a letto, George?»
«No, accidenti!» esclamò, profondamente offeso da quelle insinuazioni; peccato che parlare con Abigail e far sentire la propria voce, in quegli istanti, fosse più difficile che duellare con Lord Voldemort in persona.
«E dovrei crederti?» fece lei, stridula, riprendendo la Crostatina Canarina posata sul ripiano diversi minuti prima per scagliargliela contro con violenza, colpendolo in pieno naso.
Lui si portò entrambe le mani al viso e strizzò gli occhi, dolorante. «Cazzo

«Che cosa sta succedendo qui? Ci è parso di sentire litigare qualcuno» esordì nonna Julia, annunciando in tal modo non solo la sua presenza, ma anche quella della consuocera, che insieme a lei stava raggiungendo Fred e Margaret dal piano inferiore. Sicuramente, le due signore non si aspettavano di trovare i ragazzi intenti a origliare ciò che stava accadendo oltre quella porta per mezzo di alcuni strani aggeggi all’apparenza poco raccomandabili.
Meg sollevò lentamente il capo e rivolse uno sguardo tetro alle due donne. «Abigail ha parlato con Virginia Anderson, questa mattina.»
«Per Salazar!» esclamò Vittoria con vigore, sgranando gli occhi. Julia, invece, si portò le mani al petto e assunse un’espressione mortificata.
«Benedettissimo Godric Grifondoro
«Non so come potremo salvare George da questa situazione» commentò Fred, la cui attività cerebrale era in quel momento tanto elevata da poterne quasi percepire il rumore delle connessioni sinaptiche.
«Ma povera creatura, non ha fatto nulla di male!»
«Julia ha ragione, non capisco per quale ragione mia nipote debba farne una tale tragedia!» si lamentò Vittoria, continuando a osservare con diffidenza quelle piccole apparecchiature che i due giovani genitori tenevano ancora in mano.
Fred scosse la testa e sospirò, amareggiato. «Il problema è che non sappiamo cosa abbia raccontato Virginia, capite? Ed Abbie non sembra disposta ad ascoltare la vera versione dei fatti. Quella megera deve averne inventata una davvero grossa e convincente.»
«E il fatto che George abbia detto di non conoscerla, all’inizio, non è stata una gran mossa. Quando una donna fa delle domande, conosce già la risposta: vuole solo testare la sincerità di chi le sta di fronte» aggiunse Meg, pensierosa; le nonne continuarono a fissarla, pietrificate.
A quel punto, Fred tirò fuori un altro paio di fili color carne dalla tasca dei jeans e lo porse alle due signore, sfoggiando il classico sorriso di chi la sa fin troppo lunga e non può fare a meno di vantarsene. «Orecchie Oblunghe?»
«Maledetti Anderson! Quella famiglia è quasi peggio dei Malfoy: porta solo guai!» sbottò Vittoria, afferrando con decisione gli oggetti che il nipote acquisito le stava mostrando, prima di avvicinarsi anch’ella alla porta.

«Oh, ma guarda un po’!» disse Abigail in un finto tono sorpreso, prendendo una foto presente tra la roba di George prima che quest’ultimo potesse impedirglielo; raffigurava entrambi – lui nel suo completo scuro e lei in un bell’abito color pesca – giusto due mesi prima, il giorno del matrimonio di John e Anastasia. «Sarebbe davvero un peccato se qualcuno la distruggesse, non trovi
«Gail, adesso...» tentò lui ancora una volta, ma non fece in tempo a muoversi di qualche passo nella direzione della giovane strega che già quest’ultima aveva strappato in piccoli pezzetti la foto, ormai coriandoli, e glieli aveva gettati addosso con rabbia; poi, aveva continuato a frugare tra le cose del ragazzo con le peggiori intenzioni possibili.
«Non dirmi che le hai conservate sul serio!» commentò, allora, mostrando il bel malloppo di lettere e foto che aveva appena trovato. George, ormai pallido, portò una mano avanti e prese ad avanzare lentamente.
«Abigail, posale. Ti prego.»
«Dammi una buona ragione per risparmiarle. Perché dovrei farti questo favore, George?»
«Perché nulla di tutto ciò che ti è stato raccontato ha un senso. Perché l’ho vista, è vero, ma se mi lasciassi spiegare cos’è realmente successo capiresti che io non c’entro niente. Non potrei mai farti questo, Abbie.»  
«Perché mentirmi, allora?» sbottò lei, rossa in viso a causa dello sforzo che tutto quell’urlare richiedeva. «Se non hai nulla da temere da questa faccenda, perché non parlarmene subito e impedire che arrivassimo a questo?»
George, a quelle domande, non seppe cosa rispondere; ammutolito, continuò a guardarla e a cercare le parole giuste da utilizzare, ma la verità era che non aveva idea di che cosa gli avesse impedito di essere sincero e di mettere in chiaro quella questione sin dall’inizio. Non era neanche riuscito a ribattere, ad affermare il suo punto di vista in quella che, in ultima analisi, era stata una discussione a senso unico che non gli aveva consentito alcuna replica; era paradossale come, una volta ottenuta la possibilità di esporre le sue ragioni, si fosse ritrovato a tratti paralizzato, incapace di trovare rimedio a quel disastro di cui lui stesso era stato uno dei principali artefici per mezzo del suo silenzio.  
Abigail, d’altra parte, interpretò quell’inerzia come una palese ammissione di colpa e, quasi impercettibilmente, trattenne il respiro.
«Mi fidavo di te» disse piano, più a se stessa che a lui, rinunciando ormai del tutto a lottare contro quel sadico nodo alla gola che le mozzava l’aria. Fece per gettare tutte le lettere e le foto nel calderone, ma a quel punto George parve riscuotersi e, forse spinto da una forza inconsapevole, la raggiunse in un soffio e le afferrò entrambi i polsi, bloccandola. A causa di quel gesto inaspettato, lei lasciò cadere tutto ciò che teneva in mano, che atterrò sui suoi piedi e che, dunque, poteva essere considerato momentaneamente salvo.
Dopo un iniziale attimo di spiazzamento, Abigail assunse un’espressione indignata e tentò di divincolarsi con forza. «Lasciami andare
«Sai perché non ti ho detto la verità? Lo sai? Perché mi sono sentito un colossale idiota!» ammise lui, serrando ancor di più la presa per evitare che lei se ne andasse proprio in quel momento. «E credimi che quando ti racconterò la verità, anche tu penserai che sia stato uno stupido a non rendermi conto di quali fossero i veri piani di quella stronza. L’ha pensato mio fratello, l’ha pensato Meg, l’ha pensato persino tua nonna, e lo penserai anche tu... e forse è per questo che non avrei voluto che lo sapessi. Se solo tu...»
«Basta, ti prego» lo interruppe Abigail, la cui voce era sul punto di incrinarsi. «Non voglio sentire altro ancora, voglio solo andare via da questa dannata stanza!»
«Gail, tu non puoi ascoltare una sola versione dei fatti e ignorare l’altra! Neanche la conosci, come puoi crederle tanto facilmente?»
«Sono stanca, esausta di dover combattere sempre da sola» fece lei, tanto immersa nello sconforto da non ascoltare più ciò che lui le diceva. Proseguì nel suo tentativo di liberarsi, fino a quando le forze non bastarono più e dovette rinunciare a quella lotta, permettendo al contempo che le lacrime iniziassero a sgorgare e a inondarle il viso: trattenerle l’aveva sfinita.
George, istintivamente, la strinse a sé: le passò una mano tra i capelli e con l’altra le accarezzò la schiena, probabilmente nell’illusione di poter trovare consolazione a quel pianto e placare quei maledetti singhiozzi. Non l’aveva mai vista piangere in quel modo, neanche nei minuti antecedenti la partenza per Belfast; nonostante il temperamento difficile, era spesso riuscita a mantenere una sorta di contegno emotivo efficace a mascherare quelle parti più fragili e vulnerabili della sua interiorità, forse complice quel pizzico di orgoglio che le proibiva di mostrare le sue debolezze agli occhi degli altri. Era evidente come questa situazione riuscisse ad alimentare il senso di colpa del ragazzo un secondo dopo l’altro.
«Mi dispiace» mormorò lui, ma non ricevette risposta.
Passarono pochi secondi prima che Abigail si liberasse dall’abbraccio e, scansandolo, si dirigesse fuori dalla stanza, non degnando di uno sguardo o di una singola parola né lui, né gli altri in attesa al di là della porta.
Margaret, d’altra parte, non esitò a entrare una volta che la cugina si fu allontanata, raggiungendo il migliore amico e posandogli una mano sul braccio; la sua espressione amareggiata non bastava a nascondere la palpabile determinazione. «Ci penserò io, George; metterò a posto tutto, dovesse essere l’ultima cosa che faccio.»
 

***
 

«Per le mutande di Merlino, che musi lunghi!» commentò Lee, perplesso, tenendo aperta la porta. «George, che ti è successo alla guancia sinistra?» aggiunse dopo aver notato, sul viso dell’amico, la presenza di una macchia rossiccia, la cui forma era molto simile a quella di una mano femminile. L’interpellato si limitò a borbottare tra sé, varcando la soglia, mentre dietro di lui Margaret scuoteva lentamente la testa, sconfortata.
«È stata una lunga giornata, Lee. Una lunghissima giornata» disse, evitando di toccare volontariamente l’argomento e sperando che il ragazzo fosse abbastanza sveglio da capire che avrebbe fatto bene a non porgere altre sconvenienti domande.
Fred, a scanso di equivoci, preferì essere più diretto. «Non chiedergli nulla, ti prego. Sappi solo che non avresti voluto trovarti a casa nostra, nel primo pomeriggio di oggi.»
Lee, confuso, lo invitò a entrare e a raggiungere gli altri due, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle e si accertava che non ci fossero movimenti sospetti nella boscaglia circostante.
Gli altri tre ragazzi, guardandosi attorno, si resero conto di trovarsi in quello che doveva essere un casolare ormai abbandonato da parecchi anni, come dimostravano le numerose crepe sui muri e l’intonaco staccatosi dal soffitto e caduto sul pavimento, nonché la polvere e le ragnatele che la facevano da padrone un po’ dappertutto, in particolar modo agli angoli delle finestre e sulle superfici. Meg, che con il suo spiccato gusto dell’orrido trovava quell’ambientazione meritevole della sua attenzione, percorse il perimetro della stanza in silenzio, scrutando con preoccupato interesse i pilastri e le travi portanti minacciosamente in bella vista.
«È sicuro, questo posto?» domandò, allora, stringendosi nella sua giacca di pelle per resistere a quella fastidiosa umidità che rischiava di penetrarle fin dentro le ossa.
Lee guardò prima lei e poi fuori dalla finestra, nascondendo l’immancabile tensione in una scrollata di spalle. «Fino a quando non scoprono dove siamo, sì. Più o meno.»
«Meg non si riferiva a quello» intervenne Fred, passandosi una mano tra i capelli. «Si chiedeva quali sono le probabilità che questa roba ci crolli addosso da un momento all’altro.»
«Mi piacerebbe saper rispondere, credetemi. So solo che è il posto migliore che sia riuscito a trovare finora, sebbene l’ultimo fosse veramente ottimo.»
«Tanto ottimo che vi hanno quasi presi» brontolò George, che aveva già occupato posto al tavolo sul quale l’amico aveva sistemato le sue apparecchiature, dondolandosi mollemente sulla sedia. Lee, sempre più interdetto da quello strano comportamento, fece cenno ai due giovani genitori di avvicinarsi.
«Cosa gli è successo? E poi, Gloriosa Morgana, dove diavolo avete lasciato Abigail? Mi aveva promesso che sarebbe venuta!» si lamentò, stizzito, ma abbastanza piano da non farsi sentire dall’altro Weasley, che aveva tutto tranne che una buona cera.
«Abbie è rimasta a casa» buttò lì Fred, facendo in modo che il fratello non lo sentisse pronunciare quel nome.
«A fare?»
«A piangere tutte le sue lacrime, se gliene rimangono ancora» commentò Meg, grave.
«Perché? È morto qualcuno, per caso
«Merlino, ci mancherebbe soltanto questo!» esclamò lei, diventata improvvisamente pallida. Fred le cinse le spalle, accarezzandole, e scosse la testa.
«Ricordi la Anderson, il Prefetto di Corvonero?»
«Certo che la ricordo» non esitò Lee, che annuì. «Aveva fatto del togliermi punti il suo nuovo hobby. Aveva una cotta per George, se non sbaglio.»
«Appunto» dissero Fred e Margaret all’unisono, tutt’altro che entusiasti.
«Qualche mese fa, Virginia ha...» provò a spiegare lei, ma una voce infastidita e proveniente dall’altro capo della stanza la interruppe, facendola sobbalzare.
«Siete gentilmente pregati di smetterla di parlare degli affari miei e di venire qua. Prima la finiamo e meglio sarà per tutti.»
Gli altri tre si scambiarono delle occhiate eloquenti, convenendo silenziosamente che la cosa migliore fosse non alimentare futilmente il suo lampante malumore. Così, si accomodarono sulle altre sedie e presero una cuffia ciascuno, preparandosi per la trasmissione. Lee armeggiò per qualche secondo con le sue apparecchiature, poi si schiarì la voce e si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto.
«Pronti?» domandò, al che Margaret sollevò lo sguardo dalla superficie del tavolo traballante e annuì, continuando a torcersi le mani; lo stesso fece Fred, che diede una pacca sulla spalla al fratello per richiamare la sua attenzione, ottenendo l’effetto sperato.
George, difatti, si sedette in maniera più composta e, recuperato un briciolo di entusiasmo, rivolse un cenno affermativo all’amico. «Prontissimi.»

«Cari ascoltatori di Radio Potter, bentornati su queste frequenze» esordì Lee, entusiasta, da degno speaker radiofonico. «Ci scusiamo di nuovo per queste ulteriori settimane di assenza, a quanto pare i nostri amici oscuri non riescono a stare lontani da noi troppo a lungo.»
«Questo sì che si chiama amore!» commentò Fred, non riuscendo a trattenersi dal dirlo.
«Proprio così, carissimi amici: anche stavolta abbiamo con noi il nostro Rode-, ehm, volevo dire Mordente! Come va, vecchio mio?»
«Be’, per essere uno che vive rinchiuso in una casa sovraffollata da circa sei mesi, direi che va abbastanza bene!»
«Questo è lo spirito giusto! Sai chi dovrebbe prenderne esempio? Il nostro secondo ospite di oggi: SlyFox!» disse Lee, al che George inarcò le sopracciglia e diede in una risata sarcastica.
«La tua simpatia mi disarma.»
«Dovrebbe farlo la mia imperdonabile mancanza di galanteria, piuttosto, dato che devo aver lasciato il “prima le signore” chissà dove» commentò ancora Lee, rivolgendo uno sguardo di scuse a Margaret, che d’altra parte se la rideva dal suo angolino personale. «Miei cari ascoltatori, è con immenso piacere che annuncio la prima dolce donzella mai passata da queste parti. Direttamente dai piani alti del settimanale Believe the Truth, orgoglio del gentil sesso e non solo...»
«Anche se di gentile non ha poi così tanto» scherzò George tra un colpo di tosse e un altro, beccandosi uno scappellotto sulla nuca da parte della migliore amica.
«...abbiamo qui con noi la cazzutissima, bellissima, affascinante, e anche schifosamente sexy...»
«RIVER!» ruggì Fred, quasi sul punto di strappare il microfono dalle mani dell’altro ragazzo.
«...Golden Eagle
«Miei carissimi, buonasera! E che presentazione, River!» fece Meg, che sorrideva persino nella voce. L’amico piegò di poco la testa a mo’ di inchino, prima di proseguire.
«Da quando dirigi Believe the Truth, sei la donna politicamente più scomoda con cui il Ministero debba fare i conti: come ti senti a riguardo?»
«Sono contenta di esserlo, credimi» ammise Meg, ma esitò qualche istante prima di aggiungere dell’altro. «E penso sia fondamentale specificare che non sono solo io, ma che tutti noi insieme rappresentiamo una minaccia. È l’unione che fa la forza, e noi uniti stiamo in piedi.»
«Sagge parole della nostra Eagle» convenne Lee, serio. «Ma passiamo subito al dunque: ancora nessuna traccia del Mangiamorte Capo. SlyFox, cosa ne pensi?»
«Penso ciò che è stato ribadito più volte, e quindi che sia un’ottima strategia da parte di Voi-Sapete-Chi: diffonde più terrore rimanendo nell’ombra, un po’ come un predatore in agguato che attende un passo falso della vittima, che passeggiando indisturbato per le strade della città con la sua allegra combriccola. È molto più difficile non trovarsi impreparati ed essere in grado di difendersi quando ciò di cui si ha paura si nasconde, semplicemente perché potrebbe trovarsi in qualsiasi luogo e potrebbe saltare fuori in qualunque istante» disse George con fare convinto, risvegliandosi completamente dallo stato di apatia in cui si era ritrovato diversi minuti prima. Fred, accanto a lui, annuì e si avvicinò al proprio microfono.
«Trovo che SlyFox abbia perfettamente ragione, ed è per questo che voglio incoraggiare i nostri ascoltatori affinché prendano tutte le dovute precauzioni del caso; muovetevi con cautela, e ricordate che il pericolo è sempre dietro l’angolo, a maggior ragione se l’Oscuro Simpaticone si serve della sua banda di tirapiedi unti o platinati – e non solo – per ammazzare la gente.»
«D’altronde, perché il nostro povero Oscuro dovrebbe scomodarsi personalmente per un inutile Babbano o un Mezzosangue quando ha a disposizione tutti quegli ubbidienti e deficien-, ehm, efficientissimi lacchè?»
«Ottime osservazioni di SlyFox e Mordente: la prudenza in questi casi non è mai troppa. Tornando a te, Golden Eagle, negli ultimi mesi tu e i tuoi collaboratori vi siete meritatamente guadagnati il titolo di Paladini della Verità: non vi siete certo risparmiati, né tantomeno avete risparmiato qualcuno» disse Lee, rivolgendosi ovviamente a Margaret, che si sistemò sulla sedia e si lasciò sfuggire un quasi impercettibile sorriso amareggiato.
«Mio caro River, viviamo in un periodo storico in cui la gente preferisce scegliere ciò che è facile, piuttosto che ciò che è giusto. A me, però, le cose facili non sono mai piaciute» si interruppe per qualche frazione di secondo, durante la quale pensò quasi involontariamente a come quell’ultimo anno e mezzo potesse essere considerato la reale dimostrazione di ciò che aveva appena detto, per poi continuare il suo discorso senza alcuna ulteriore esitazione. «Noi abbiamo abbracciato il giusto, perché del facile non sappiamo cosa farcene: quest’ultimo lo lasciamo a chi non ha il coraggio di fare i conti con se stesso. Mi rende solo profondamente triste vedere come ciò che, in teoria, dovrebbe essere la norma, in realtà rappresenti un’unica – ma, in compenso, dannatamente rumorosa – voce fuori dal coro. Sarebbe bello se fosse il contrario.»
«E noi di Radio Potter non possiamo che essere d’accordo» convenne Lee, che tuttavia aveva iniziato ad apparire insolitamente pensieroso. «Ma, personalmente, sono certo di aver percepito anche qualcosa di molto più sottile e viscerale traboccare dalle parole stampate su quelle pagine. Mi confermi che c’è dell’altro, cara Eagle?»  
Margaret rimase immobile, forse colta alla sprovvista da quella domanda, ed evidentemente indecisa sul da farsi: era ovvio e naturale che ci fosse dell’altro, ma era davvero il caso di specificarlo?
Intercettò lo sguardo di Fred – che era in attesa di una sua risposta, ma che al tempo stesso era consapevole del grande carico emotivo che questa, sicuramente, richiedeva alla ragazza di sopportare – e trovò nei suoi occhi ciò che le serviva per andare avanti in quella discussione; erano gli occhi innamorati e per questo un po’ ciechi di chi era certo che, in qualunque caso, lei avrebbe fatto la scelta giusta.
«È rabbia» sputò fuori, infine, consapevole che, dopo aver iniziato, difficilmente avrebbe accettato di fermarsi. «Sono arrabbiata, River, come solamente può esserlo una ragazza di vent’anni che combatte ogni giorno contro un mondo che cerca di portarle via le speranze, quando queste vuole tenersele legate, incatenate all’anima. È la rabbia di una ventenne che sente incombere il pericolo di perdere le persone che più ama e più ha amato in questa schifosa vita; è la rabbia di una mamma che non sa se vivrà abbastanza a lungo da vedere crescere il proprio bambino, da guardarlo compiere i primi passi da solo o da sentirlo pronunciare le prime frasi sgrammaticate; è la rabbia di una figlia che deve asciugare le lacrime della propria madre, che a sua volta si ritrova a vivere lo stesso identico incubo di due decenni fa, come se il tempo si fosse fermato e nulla fosse cambiato da allora. E proprio lei, mia madre, qualche giorno addietro mi ha chiesto se fossi davvero sicura di ciò che stavo facendo. Le ho risposto che avrei preferito morire adesso, da donna libera e artefice del proprio destino, piuttosto che vivere altri cento anni come una schiava.»
«Morgana maledetta, quanto ti amo» bisbigliò Fred lontano dal microfono, pieno d’orgoglio, senza staccarle lo sguardo di dosso. Lei gli sorrise sinceramente, sfoggiando un bel paio di occhi lucidi e arrossati, e decise di assecondare le richieste di Lee, che le faceva cenno di continuare a parlare. 
«Dovremmo essere tutti arrabbiati, furiosi, ma non solo con chi ci ha portati a questo disastro; dovremmo esserlo innanzitutto con noi stessi, che troppo spaventati li abbiamo lasciati agire indisturbati, abbiamo permesso loro di giocare con le nostre vite e con la nostra dignità... e abbiamo consentito che ci privassero di una delle cose più importanti che ci rimanevano, vale a dire la fiducia nelle persone che amiamo. Quante volte, negli ultimi due anni, avete avuto paura che le persone a voi care non fossero realmente loro? E quante volte le avete guardate con una certa diffidenza, terrorizzati che potessero attaccarvi da un momento all’altro? Ponetevi queste domande, e rispondetevi sinceramente» riprese, come un fiume in piena, lasciandosi trasportare da quel flusso di parole uscito fuori tanto spontaneamente; così, nell’immediato, la sua mente corse ad Abigail, certamente in ascolto dalla sua stanza a Villa Orchidea, e fu proprio in quel momento che si rese conto di avere un’ultima, fondamentale cosa da dire. «Quello che voglio dirvi è: non lasciamo che ci portino via ciò che abbiamo. Lo sguardo di chi ci ama è lo spettacolo più bello e sincero che esista al mondo, e non c’è modo di comandarlo; ecco perché una persona sotto Maledizione Imperius non potrà mai riservarvi lo stesso, solito calore. Voi guardatevi negli occhi: troverete lì tutte le risposte.»


- Angolo dell’autrice

Proprio così, miei carissimi: sono tornata.
Sì, dalla regia mi è stato suggerito di continuare a inserire i reindirizzamenti alle immagini, quindi preparatevi a quello che sarà un altro angolo dell’autrice delirante.
3... 2... 1...
Pronti?
Immagino di sì.
Allora, ancor prima di passare al commento della roba che avete appena finito di leggere, mi sembra doveroso specificare – come avrete sicuramente notato – che si tratta della prima parte di un capitolo decisamente più vasto. Sì, insomma, finita la sessione estiva mi sono lasciata andare un po’ troppo con la voglia di scrivere, così alle prime nove pagine già pronte se ne sono aggiunte altre tredici/quattordici, per l’egregio risultato di ventidue/ventitré pagine di Word in Calibri 11. Non potevo pubblicare quel mostro tutto in una volta.
Ma adesso è necessario passare alle cose serie, e credo che ognuno di voi si sia posto la fatidica domanda: chi è Charles?
No, aspettate, ho sbagliato fandom.
La vera domanda è: cosa accidenti avrà combinato George? O, per meglio dire, che cosa mai avrà architettato questa Virginia Anderson, dato che tutti continuano a considerare Mister Lobo Solitario come la vittima della situazione? Lo scopriremo nel prossimo episodio.
Lo so che è una bastardata lasciarvi su queste spine dolenti fino al prossimo aggiornamento, ma non ho potuto fare altrimenti. In compenso, però, alla fine delle note vi darò qualche indicazione su ciò che accadrà nella seconda parte, più il solito spoilerino. Jules è buona, in fondo.  

Che dire, invece, della nostra cara blondie?
Non sappiamo cosa le abbia detto Virginia, ma certamente possiamo immaginarlo dalla sua reazione: è giustificabile, secondo voi, oppure è stata un tantino eccessiva? La mia, probabilmente, sarebbe stata di gran lunga peggiore, il che è paradossale.
È stata una sofferenza, comunque, scrivere di Abigail in quello stato, e ciò vale anche per il prossimo capitolo. Mi ha un po’ mandato il cuore in frantumi, ecco. Forse dovrei smetterla di immedesimarmi così tanto nei dolori altrui. In particolar modo...:
*Jules scrivendo le scene in questione*
*Jules dopo averle rilette per la prima volta*
*Jules dopo averle rilette per la 382902497esima volta*     
Mi odio per averlo fatto, credetemi. Ma dovevo.
Ciò che invece George, sicuramente, non doveva fare – e invece puntualmente ha fatto – era stare zitto e immobile mentre lei gli lanciava mezza casa addosso. Ma siamo seri?
- L’HAI SCRITTO TU QUESTO CAPITOLO, SANTA MORGANA! NON IO!
Avresti dovuto suggerirmi qualcosa, e invece non hai fatto altro che lamentarti della trama, a detta tua ingiusta. Ho agito di conseguenza.
- Mi hai anche fatto affatturare da Margaret, ti rendi conto?!
Ecco, questo è un punto molto interessante che verrà trattato con più attenzione nel prossimo capitolo. D’altronde, abbiamo imparato a non sottovalutare Meg e i suoi atteggiamenti in stile “from the ghetto”, quindi aspettiamoci molto bullismo da parte sua per il prossimo aggiornamento. :D
Speriamo solo non lo riversi anche sul fratellino, una volta che questi sarà cresciuto – a proposito, che ne pensate del nome scelto per il piccolo Stevens, questo bel cucciolotto? ♥_♥
Sulle quattro comari con le Orecchie Oblunghe non mi esprimo, dato che si commentano da sole: se mia nonna lo leggesse, sarebbe fiera di loro.

Tra una cosa e l’altra, invece, ho quasi rischiato di dimenticarmi di fare un accenno a Radio Potter: vi avevo promesso che avremmo assistito a una delle trasmissioni, e non avrei mai potuto rimangiarmi la parola data! Spero che il risultato, nel complesso, vi sia piaciuto, in particolar modo il discorso fatto da Meg, che possiamo dire si sia scritto completamente da solo.
Quando si dice che si è posseduti dai propri personaggi. Che cosa inquietante.  

Vi chiedo di scusarmi per queste note sconclusionate, ma mi sto letteralmente liquefacendo sulla tastiera per via di questo caldo asfissiante. I miei neuroni hanno dimenticato come fare sinapsi.
E adesso... le anticipazioni dal prossimo capitolo:
1 – Ci saranno diversi flashback che ci permetteranno di capire cos’è successo;
2 – Attraverso qualcuno di questi flashback, faremo la conoscenza di Dorian Russell, il cugino di Margaret;
3 – Scopriremo cos’ha fatto Virginia Anderson;
4 – Ci sarà qualche bel momento Marbigail;
5 – Nei flashback, vedremo una Margaret a mio parere molto badass.   
Quanto a questo che avete appena letto, il titolo è di Oriana Fallaci, mentre la canzone in apertura è Goodbye Kiss, dei Kasabian.

Dunque, ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasley, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, Luna Paciock, maryanne armstrong, Meissa Antares,  Orma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_Ssleepingwithwolves_Soleil Jonestenna96, valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, HilaryWhite, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, Lollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrongmax85, Orma_sleepingwithwolves_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e Merrycri,che hanno recensito il capitolo precedente. ♥

Con vostra immensa gioia, immagino, è giunto il momento di salutarci.
Il prossimo capitolo, con ogni probabilità, dovrebbe arrivare tra un mesetto: sì, è prontissimo, ma non mi sento sicura se prima di pubblicare un nuovo capitolo non ho almeno iniziato a scrivere il successivo. È una delle mie tante paranoie, ragion per cui proverò a portarmi un po’ avanti con il lavoro durante questo bel periodo di relax che mi sono giustamente concessa. :D  
Nel frattempo, mi piacerebbe tanto, tanto, tanto, tanto – fate come se continuasse all’infinito – ricevere un vostro parere. ♥ Segnalatemi qualsiasi cosa vogliate, fate congetture, date suggerimenti, sentitevi liberissimi di comunicarmi delle richieste particolari – se ne avete – o anche di dirmi se qualcosa non vi è piaciuta o non vi ha convinti.
Ora, con permesso, vado a picchiare quei simpaticoni dei vicini di casa che da due ore cantano “Finché la barca va” al Karaoke, sgolandosi come se non esistesse un domani.

Stavolta non vi mando un abbraccio: c’è troppo caldo e siamo tutti appiccicaticci.
Vi mando un condizionatore. ♥
Jules
 


- Dal prossimo capitolo:
 
«Cosa?!» fece Abigail, stridula, non potendo credere a una singola parola. [...]
[...] La prima, ancora livida, scese giù dal letto e fece per infilarsi un paio di jeans di tutta fretta, al che per Meg – che cercava di far riaddormentare Alexander, spaventato da quell’improvviso baccano – fu inevitabile assumere un’espressione ai limiti del perplesso.
«Cosa... Cos’hai intenzione di fare, di grazia?»
«Vado a farle una sorpresa: d’altronde, non puoi cercare di prenderti il mio ragazzo e pensare che io non ti faccia arrivare sino all’Inferno e ritorno. Che mi consigli? Un bel Cruciatus, che è sempre di moda, oppure i tradizionali, vecchi e sani metodi Babbani che ci piacciono tanto?»
«Sta’ seduta, non ho finito» ordinò Margaret, che quasi iniziava a divertirsi. [...]

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Capitolo 25
*** L’unico modo per non soffrire è non amare, che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare sei destinato a soccombere (II) ***




Capitolo 25


 

L’unico modo per non soffrire è non amare,
che nei casi in cui non puoi fare a meno di amare
sei destinato a soccombere (II)


 
No, I just wanna hold ya
Give a little time to me or burn this out
We’ll play hide and seek to turn this around
All I want is the taste that your lips allow
My, my, my, my, oh give me love
 

Abigail era seduta sul letto e guardava, senza vederle, le pieghe delle lenzuola stropicciate; le gambe erano incrociate e le dita delle mani si annodavano tra loro, rincorrendosi in una danza frenetica e afinalistica.
Di lì a poco sarebbe stata servita la cena, ma lei non aveva voglia di lasciare quella stanza, sebbene il suo stomaco implorasse un po’ di cibo da quelle che erano ormai diventate ore, non avendo ritenuto sufficienti i precedenti pasti a base di lacrime. Queste avevano tenuto compagnia alla ragazza per tutta la giornata; una compagnia composta e silenziosa, ma al tempo stesso dannatamente amara e crudele, di quelle che attanagliano le viscere per poi demolirle, fino a quando nulla è più rimasto al proprio stato di integrità originario; una compagnia capace di ferire, di far male, di prenderti a calci e di sradicarti via l’ossigeno, tanto sovrastante da svuotarti di tutte le tue forze.
Era così che si sentiva lei: sfinita, quasi privata di ogni forma di emozione; semplicemente, apatica.

Qualcuno bussò alla porta. Era un tocco delicato, quasi indeciso, esitante; il tocco di qualcuno la cui ultima intenzione al mondo sarebbe stata quella di disturbarla.
«Avanti» disse Abigail, roca nella voce.
Margaret aprì di poco la porta della camera e infilò timidamente la testa nello spiraglio. «Ti ho portato la cena. Avrai fame, suppongo.»
«Entra» la invitò la bionda, rivolgendole un debole sorriso.
Meg si fece precedere dal vassoio stracolmo di roba da mangiare – che Levitò fino al letto –, prima di chiudersi la porta alle spalle e seguirlo, tenendo per mano un incerto Alexander alle prese con i primissimi passi in compagnia. Il bambino, però, ancor prima di raggiungere la destinazione decise di sedersi per terra con una mezza aria di protesta, al che la mamma lo prese in braccio e lo fece sedere con lei sul materasso, ignorando i suoi sguardi risentiti.
«Diventiamo capricciosi, adesso?» fece Abigail, retorica, scompigliandogli i capelli rossicci. Alexander le sorrise, sveglio, mostrando di aver apprezzato quel gesto.
«Non sono l’unica a pensarlo, a quanto pare! Fred continua a difenderlo, invece: sostiene che sia solamente un po’ più simpatico degli altri bambini della sua età!» disse Meg, esasperata, alzando gli occhi al soffitto; l’altra rise, finalmente, lasciandosi andare contro i cuscini e abbracciando il piccolo, che si sottopose molto volentieri alla sessione di baci della “zia Gail”.
«Simpatico lo è sicuramente, ma solo un papà follemente innamorato come lui potrebbe negare che sia anche capriccioso!»
«Ah, questi papà! Lasciano fare tutto il lavoro sporco a noi, le cattive della famiglia» commentò Meg, ma Abigail aveva smesso di ascoltarla: era troppo impegnata a lasciarsi tirar via i capelli da una piccola peste alta poco più di settanta centimetri, che di certo non aveva esitato a prendere il controllo della situazione.
La giovane mamma, abituata a vedere scene come quella a ogni santa ora del giorno, non intervenne; piuttosto, osservò meglio il viso della cugina, e quegli occhi cerchiati dal mascara sbavato – insieme a quell’inevitabile pallore diffuso – non fecero altro che confermare le sue ipotesi: non aveva smesso di piangere per un solo momento durante quel pomeriggio in cui loro erano stati via.
Così, Meg prese una porzione di roastbeef e gliela porse, rivolgendole uno sguardo affettuoso. Abigail, che non vedeva cibo da quella mattina, non se lo fece ripetere due volte e vi ci si fiondò senza pentimento.

Meg aspettò che finisse di mangiare ciò che Willow le aveva premurosamente preparato, prima di distendersi al suo fianco e abbracciarla.
L’altra ricambiò la stretta e poggiò la testa sulla sua spalla, ricordando per un attimo i bei vecchi tempi risalenti a più di dieci anni addietro, quando ancora nessuna delle due aveva sperimentato cosa fosse realmente il dolore.
Erano i tempi in cui, ingenuamente, si chiedevano come sarebbe stata la loro vita una volta diventate grandi; cosa sarebbe cambiato, cosa sarebbe rimasto lo stesso, quali nuove persone le avrebbero accompagnate durante quel cammino, o quanta felicità avrebbero conosciuto e per merito di chi, se non per merito di loro stesse. Non erano contemplate le difficoltà, nelle loro speculazioni sul futuro, né tantomeno le lacrime, la sofferenza, le ingiustizie, la morte: tutto ciò faceva parte di un mondo che non le riguardava, che non apparteneva loro, perché loro sarebbero state felici, invincibili, inespugnabili come una fortezza.

«Saremo davvero così felici, Maggie?»
«Assolutamente sì! E sai cosa facciamo se qualcuno prova a farci diventare tristi?»
«Lo affatturiamo?»
«Esatto! Ottima idea, Abbie!»
«Nessuno dovrebbe essere triste!»
«Già, soprattutto tu: non sono felice se qualcuno ti fa stare male...»


Non avevano ancora capito quanto potesse essere effimera, questa maledetta vita; quanto potesse essere forte, schiacciante, opprimente come un macigno sulle costole. Non avevano ancora idea di quante paure avrebbero dovuto affrontare, o di quanto dolore sarebbero state costrette a sopportare. Non sapevano che diventare la roccia di un’altra persona implicasse il doppio dei dispiaceri, il doppio degli ostacoli da superare, il doppio della sofferenza; tuttavia, sapevano alla perfezione quanto conforto tutto ciò potesse portare, e quanto calore umano, necessario alla sopravvivenza, fosse in grado di trasmettere.  
«Hai sentito la trasmissione, questo pomeriggio?» domandò all’improvviso Meg, rompendo il silenzio.
«Dalla prima all’ultima parola, insieme al mio nuovissimo fidanzato» rispose l’altra, voltandosi verso Alexander, che sembrava sul punto di addormentarsi sul suo braccio. «Non appena ha sentito le vostre voci, è quasi impazzito: non faceva altro che guardarsi intorno per capire dove foste.»
«Non avevo dubbi: sempre il solito mammone!» commentò la prima, intenerita, lasciando trapelare del divertimento dalla voce.
Abigail assunse un’espressione pensierosa per qualche secondo, prima di riprendere parola. «Mi è piaciuto davvero tanto il discorso che hai fatto. Era molto bello, con tutta quella questione della rabbia e... be’, della fiducia.»
«L’hai capito subito, non è così?»
«Che fosse rivolto a me? Sai, qualche neurone funzionante mi è ancora rimasto.»
«Volevo solo esserne sicura, tutto qui» si giustificò Margaret, sollevando le sopracciglia con fare eloquente.

Abigail, d’altro canto, prese a osservare il soffitto, silenziosamente in lotta contro tutte quelle domande che avrebbe voluto porre alla cugina e che ronzavano nella sua testa, fastidiose come zanzare in un’afosa notte d’estate. Erano così tante che trovava difficile persino ordinarle, decidere quale tra queste fosse la più urgente; era come se sceglierne una significasse non accordare alle altre la giusta, innegabile importanza.
Fu per questo che, dopo qualche attimo di riflessione, ne preferì una che, nella sua banalità, avrebbe potuto racchiuderle tutte.
«Cos’è realmente successo tra George e Virginia? La verità, ti prego.»
Margaret, che non aspettava altro che quella domanda, a stento si trattenne dall’esultare. «Da dove vuoi che cominci?»
«Da dove ritieni più opportuno.»
«Bene, ma sappi che sarà abbastanza lunga da raccontare» la avvertì Meg, prima di tirare un lungo respiro. «Qualche giorno dopo la tua partenza per Belfast, nel mese di luglio, Virginia Anderson ha intelligentemente pensato di fare un salto ai Tiri Vispi. Non sapeva di te, né della tua relazione con George, quindi non la definirei una vera e propria missione per soffiarti intenzionalmente il ragazzo... non all’inizio, almeno.»
«Non perderti in chiacchiere, Santa Morgana!» sbuffò Abigail, spazientita. L’altra fece finta di non aver sentito e proseguì indisturbata nel suo racconto.
«Non era un mistero che, in passato, le fosse piaciuto George – solo lui, stranamente, non aveva mai avuto il minimo sospetto –, ma non abbiamo dato molto peso alla cosa: dopo tutti quegli anni, eravamo certi che le fosse passata. Così, ha fatto finta di essere da quelle parti per puro caso e, con una simpatia e un garbo mai esibiti prima – o forse mai posseduti –, lo ha convinto a fare due chiacchiere in amicizia. Così, sono usciti insieme – unicamente in qualità di vecchi compagni di scuola – per un paio di settimane: lui le raccontava di te, di voi, convinto di aver trovato un’altra spalla amica disposta a sorbirsi i suoi problemi, mentre lei lo ascoltava, gli parlava della sua vita e gli chiedeva di mio figlio, come se gliene importasse qualcosa. In un primo istante ho realmente creduto che fosse cambiata e si fosse trasformata in una persona migliore, sai? Fino a quando la cosa non ha cominciato a puzzarmi...»
«In che senso?» chiese di nuovo la bionda, il cui ritmo cardiaco stava già cominciando ad accelerare. Si mise seduta, come se così facendo le fosse possibile ascoltare meglio ciò che la cugina le diceva.
«George ha iniziato a comportarsi in modo strano» spiegò Meg, che la imitò e poggiò le proprie mani sulle sue ginocchia. «Sembrava stordito, confuso... Per intenderci, aveva l’aria di uno che si era appena scolato tre litri di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio e che cercava di trattenersi dal vomitare.»
«Ottimo esempio, ho dei vaghi ricordi di numerose scene simili verificatesi nel corso della mia ventennale vita.»
«A chi lo dici» assentì la maggiore delle due, ricordando con una certa nostalgia le feste organizzate a casa sua, a Madrid, quando i suoi ignari genitori decidevano di concedersi le loro piccole vacanze estive. «In poche parole, aveva esattamente questo aspetto. Fred ed io abbiamo iniziato a preoccuparci; eravamo convinti che qualcuno gli avesse inflitto una Maledizione Imperius o l’avesse Confuso. L’abbiamo tenuto sotto stretto controllo per una settimana, non l’abbiamo perso di vista neanche per un solo secondo, abbiamo osservato ogni sua azione. Fred voleva andarci con le buone, ma a un certo punto mi sono stancata: l’ho costretto a mettersi seduto, gli ho fatto il terzo grado più terrificante che si sia mai visto nella storia, e poi gliel’ho chiesto... gli ho chiesto cosa gli stesse succedendo, e sai cosa mi ha risposto? “È tutta colpa di Virginia, Maggie. È a causa sua se sto così”
Abigail trattenne il respiro; sentì il cuore tremarle e gli occhi arrossarsi, e quando parlò la sua voce vacillava pericolosamente. «E poi?»
«E poi ho perso la testa» ammise Meg, che un po’ si vergognava di ciò che stava per raccontare. «Ero convinta che con quelle parole volesse dirmi che si era innamorato di quella vipera, che lei avesse ottenuto ciò che desiderava... aggiungiamo che avevo anche litigato da poco con quella sorta di bipede che ho sposato e... be’, non ci ho davvero visto più. Ho iniziato a scagliargli addosso la mia solita sequenza di fatture e a insultarlo, insinuando che fosse un traditore di merda, un bugiardo schifoso, un approfittatore, un mezzo uomo senza coraggio e incapace di controllare i propri istinti e... ti evito il resto, ti basti sapere che ci sono andata giù pesante. In tutto ciò, lui scappava per casa, Alexander strillava come un dannato, Willow si nascondeva dietro i divani e Fred era immobile in un angolo del salone, paralizzato e sotto shock.»
«Per Salazar e tutti i suoi discendenti» bisbigliò Abigail, quasi stentando a credere a ciò che sentivano le sue orecchie.
Meg, che ancora si sentiva in dovere di farsi perdonare dal migliore amico, era rossa dalla vergogna. «Non è finita qui, per fortuna. A un certo punto, infatti, sono riuscita a inchiodarlo: Merlino solo sa quanto fossi pronta a prenderlo a pugni, ma non è stato necessario. Morgana maledetta, mi sono sentita così in colpa...»

«Meg, ascoltami, devi aver capito male!» aveva protestato debolmente George, spalle al muro, osservando con un certo timore la bacchetta che Margaret gli teneva puntata sotto il mento. La ragazza, dopo un attimo di esitazione, aveva sollevato gli occhi al soffitto e aveva digrignato i denti, furiosa.
«Hai tre minuti, dopodiché ti prendo a pugni.»
«Mi sento strano, Meg. Non capisco cosa mi stia succedendo, ma sono certo sia tutta opera sua! È diventata così gradevole e così all’improvviso: è sveglia, mi sta ad ascoltare e ordina da bere al posto mio, ma una volta tornato a casa mi sento sempre scosso e... be’, anche un po’ in ansia, a dirla tutta.»
«Aspetta un secondo» l’aveva interrotto lei, percependo una piccola e nascosta lampadina accendersi. «In che senso ordina da bere al posto tuo?»
«Nel senso che va al bancone, ordina e torna indietro con i cocktail, n-no?» aveva risposto George, incerto: il suo sguardo era davvero troppo impegnato ad assicurarsi che quell’arma potenzialmente letale che l’amica teneva premuta contro la sua giugulare non gli facesse qualche scherzetto di dubbio gusto.
Meg, tuttavia, aveva sgranato debolmente gli occhi, incredula, mentre la mano che fino a quel momento aveva inchiodato il cognato alla parete allentava di poco la sua presa sulla stoffa della maglietta. «E tu gliel’hai lasciato fare?»
«Ho provato a offrirmi al posto suo, ma lei non ha voluto! E poi, me l’hai insegnato tu che non bisogna mai contraddire una donna, o sbaglio?!»
«Santissimo Merlino dai tanga leopardati! Fred!» aveva esclamato Margaret, diventata bianca come un cencio lavato adesso che aveva iniziato a intuire la causa di tutto il problema. Fred, sbucato da dietro la porta, aveva deglutito lentamente e poi aveva guardato il fratello, sempre più confuso.
«Sì, cara?»
«Manda un Patronus a mio cugino Dorian, digli che ho un urgente bisogno di lui. Ipotizza un caso di avvelenamento da pozioni: attirerà la sua attenzione come farebbe un biscotto con un Golden Retriever» aveva ordinato la ragazza, prima di pestare un piede a George e di tirargli i capelli con fare esasperato. «Quante volte ti ho detto di non accettare nulla dagli sconosciuti?!»


«Okay, ho smesso di capirci qualcosa dieci minuti fa! Cosa diavolo è scattato nella tua testa in quel momento? E cosa c’entra Dorian in tutto questo casino?» sbottò Abigail, saltando in piedi sul letto e portandosi le mani ai capelli: aveva chiesto la verità, non la sintesi di un romanzo di Bradwell1.  
Margaret la intimò con lo sguardo di rimettersi a sedere e, implicitamente, anche di mantenere la calma. «Se mi lasciassi finire, lo capiresti da sola. La realtà è che ero quasi certa che Virginia gli avesse somministrato qualcosa a sua insaputa, approfittando di quelle fantomatiche bevande che lei tanto si ostinava a portare al tavolo al posto suo. Ho mandato a chiamare Dorian perché era l’unico, in quel momento, che potesse darmi una mano e trovare una soluzione qualora le mie supposizioni si fossero rivelate fondate.»
«Perfetto, così anche tuo cugino è a conoscenza di questa storia» si lamentò Abigail, tetra, osservando l’altra con un pizzico di risentimento.
Questa scosse la testa e le fece un cenno noncurante con la mano. «Tranquilla, Dorian sa persino quante volte faccio lo shampoo in una settimana, è fidato. Ho pensato potesse essere meno umiliante per George rispetto a mia nonna Julia... anche se poi, alla fine, l’ha saputo pure lei.»

«E allora?» aveva rotto il silenzio Meg, tesa, balzando giù dal divano e avvicinandosi al cugino e al cognato, a pochi metri da lei. Il primo, rivolgendole un sorriso colpito, aveva iniziato a frugare nella sua valigetta medica, probabilmente alla ricerca di un particolare antidoto.
«Dimmi un po’, Margie: come l’hai capito?»
«Intuito femminile» aveva risposto vagamente lei, sempre più insospettita. «Avevo bisogno di una conferma.»
«E adesso ce l’hai» aveva commentato Dorian, porgendo a George una miscela dall’aspetto e dall’odore a dir poco rivoltanti. «Bevila, e ritieniti fortunato.»
«Non berrò niente fino a quando non mi avrai detto cosa mi sta succedendo» si era lamentata la povera vittima, quasi isterica. Dorian, allora, si era lasciato scappare una risata e aveva scosso la testa in modo compassionevole.
«Confusione, stordimento, mancanza di partecipazione o di interesse, apatia: amico mio, ti sei fatto rifilare qualche bella dose di Filtro d’Amore scaduto, o in alternativa preparato veramente da schifo, che miscelato con gli alcolici non è esattamente quello che definirei un toccasana. Quantomeno l’hai retto bene: in questi due anni di lavoro in Clinica ho visto gente ridursi molto peggio!»


«Cosa?!» fece Abigail, stridula, non potendo credere a una singola parola. «Quella meretrice gli ha davvero dato un Filtro d’Amore andato a male
«Più di uno, in verità» puntualizzò Meg, che di sicuro non si sarebbe fatta scappare per nulla al mondo l’opportunità di aggravare ulteriormente la posizione della Anderson. La cugina, per l’appunto, prese a boccheggiare.
«E lei sarebbe un’apprendista al San Mungo? Vorrebbe davvero salvare vite umane? Avrebbe potuto avvelenarlo! Avrebbe potuto ucciderlo, e a quest’ora staremmo piangendo sulla sua cazzo di tomba, e tutto per colpa di una folle psicopatica criminale come lei! Dovrebbero buttarla fuori da quell’ospedale a calci in culo, porca troia maledetta e ladra!» esplose, urlando tanto forte che l’altra fu costretta ad applicare un Incantesimo Muffliato alla porta della camera. La prima, ancora livida, scese giù dal letto e fece per infilarsi un paio di jeans di tutta fretta, al che per Meg – che cercava di far riaddormentare Alexander, spaventato da quell’improvviso baccano – fu inevitabile assumere un’espressione ai limiti del perplesso.
«Cosa... Cos’hai intenzione di fare, di grazia?»
«Vado a farle una sorpresa: d’altronde, non puoi cercare di prenderti il mio ragazzo e pensare che io non ti faccia arrivare sino all’Inferno e ritorno. Che mi consigli? Un bel Cruciatus, che è sempre di moda, oppure i tradizionali, vecchi e sani metodi Babbani che ci piacciono tanto
«Sta’ seduta, non ho finito» ordinò Margaret, che quasi iniziava a divertirsi. «Quella stessa sera, si sarebbero dovuti incontrare in un pub di Londra. George, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di presentarsi all’appuntamento, ma io ne avevo una voglia matta...»

«Meg, credimi, non è il caso!» aveva tentato George, che come un cagnolino stava seguendo la migliore amica fino all’ingresso di casa nella speranza di dissuaderla. Lei era rimasta in silenzio e aveva indossato il paio di tacchi vertiginosi che Dorian le aveva appena portato, non degnandolo di considerazione.
«Io vado, non ci vorrà molto. Come sto?» aveva chiesto, infine, indicando i pantaloni neri borchiati e il top grigio che aveva scelto per l’occasione: se doveva combattere, tanto valeva farlo con stile.
Dorian si era esibito in un lungo fischio d’approvazione e le aveva fatto l’occhiolino, incoraggiante. «Vai e uccidila, ma chérie, ma sempre con charme, come sai fare.»
«Sei sicura di non volere che ti accompagni? Potrei rimanere fuori ad aspettarti, no?» aveva proposto Fred, che invece trovava a dir poco inquietante quell’intesa tendenzialmente criminale tra cugini. Meg, però, gli aveva inviato un bacio via aerea e si era chiusa la porta alle spalle, decisa a porre fine a quella storia paradossale.
Si era Smaterializzata ed era riapparsa su Kesington High Street, proprio di fronte al locale in cui – ne era certa – Virginia aveva già preso posto, convinta di vedere arrivare da un momento all’altro il povero ragazzo che aveva tentato di manipolare senza successo durante le ultime settimane.
Così, Margaret si era fatta largo con passo sicuro all’interno del pub, attirando su di sé un bel po’ di sguardi a causa del rumore dei tacchi a spillo che battevano sul pavimento. I suoi occhi avevano scorto sin da subito l’altra ragazza, che – ignara di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco – si guardava attorno con impazienza, tormentando qualche ciocca di capelli biondo cenere. Una volta intravista la Stevens, però, questa aveva immediatamente sfoggiato un’espressione estremamente sorpresa, e di certo non era stata capace di reprimerla in tempo affinché Margaret non se ne accorgesse.
«Stevens?» aveva chiesto, retorica, fingendo interesse. Meg aveva provato a ignorare la sua straripante ipocrisia e aveva scostato con violenza una delle sedie del tavolino, prendendo posto.
«Tu ed io abbiamo un grossissimo problema, Anderson!» aveva ruggito, quindi, guardandola torva e rovesciando di proposito uno dei due bicchieri che l’altra aveva ben pensato di ordinare.
Virginia, capendo l’antifona, aveva abbandonato la sua solita maschera per abbracciare il suo vecchio, classico tono indisponente. «Fammi indovinare: sei qui in veste di mamma chioccia che protegge i suoi pulcini?»
«E che prende a calci in culo le stronze come te, per la precisione.»


«Non ci credo» commentò Abigail, come di fronte alla scena di un film innegabilmente interessante, quasi non riuscendo a stare ferma al suo posto. Meg fece un sorriso furbo e annuì lentamente, riassaporando mentalmente quei brevi momenti di gloria che la riempivano d’orgoglio.
«Credici pure, mia cara. È stata una chiacchierata piuttosto avvincente – mi dispiace da morire che ve la siate persa! –, e puoi stare sicura che, dopo il mio sentito e appassionato discorso, Virginia ci penserà altre mille volte prima di avvicinarsi di nuovo a George.»
«Come fai a dirlo? È talmente subdola che potrebbe stupire persino te» disse la prima, amareggiata, ma l’altra le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le diede un affettuoso buffetto sulla guancia.
«Fidati di me, Gail. Conosco parecchie cose sul suo conto, nonché su quello della sua famiglia, che se diffuse farebbero rabbrividire anche la Puffola Pigmea di mio figlio, o Tu-Sai-Chi in persona. Di certo, non le piacerebbe vedere rovinata la sua immacolata reputazione, schifosamente costruita ad arte durante questi anni; inoltre, se si venisse a sapere dei Filtri preparati male e del modo in cui li ha somministrati, senza dubbio dovrebbe dire addio per sempre alla sua futura carriera da Guaritrice, e non credo sia ciò che vuole.»

«Spero di essere stata chiara, Virginia. Sta’ lontana da George, o sarò costretta a ripetermi; e io odio ripetermi. Preferisco passare ai fatti: li ho sempre trovati molto più interessanti delle parole» aveva detto Margaret, sguardo eloquente, mentre riprendeva la sua borsa, comodamente adagiata sul tavolino. Virginia, che per ovvie ragioni aveva perso da qualche minuto la sua espressione beffarda, in quell’istante era pallida come un cadavere.
«Mai stata più chiara di così, Margaret» aveva mormorato, scossa, dal momento che non aveva certamente messo in conto che le sue azioni potessero avere delle conseguenze di quel tipo. Tuttavia, non aveva neanche aspettato che l’altra si voltasse per aggiungere, in un ritrovato tono acidulo: «Gran puttana.»
Meg aveva riso brevemente tra sé, prima di protendersi verso la vecchia compagna di scuola fino a pochi centimetri dal suo viso.
«The pot calling the kettle black
2» aveva soffiato, sarcastica, con qualche secondo di anticipo rispetto al sonoro schiaffo che, immediatamente dopo, la sua mano sinistra aveva riservato alla guancia di Virginia, apparentemente rimasta impassibile. «Non provocarmi, Anderson. È il mio ultimo avvertimento.»
A quel punto, Margaret aveva preso il suo Gin Tonic e si era diretta trionfalmente all’uscita, ignorando gli sguardi attoniti dei camerieri e di chi, in dei bisbigli, si domandava cosa diavolo fosse appena successo.


«Quindi... quello che mi ha raccontato era tutto falso?» chiese infine Abigail, che poteva distintamente percepire il senso di colpa farsi strada attraverso il suo corpo e salire fino agli occhi sotto forma di nuove lacrime. Meg annuì e fece una smorfia infastidita.
«Dalla prima all’ultima sillaba, in base a ciò che presumo ti abbia detto. A modo suo, voleva prendersi la sua piccola, meschina rivincita, ed io sono stata una stupida a non prevederlo. Credo proprio che le farò un altro bel discorsetto per rinfrescarle la memoria, una volta che questa guerra sarà finita.»
«Ma perché George non me ne ha mai parlato? Perché tenermelo nascosto?» domandò la Thompson, i cui occhi arrossati furono un ulteriore colpo al cuore per la cugina. Questa la abbracciò e le accarezzò i capelli, tentando in tal modo di tranquillizzarla.
«Non voleva che fosse un tuo problema, nonostante in parte ti riguardasse. Pensavamo fosse stato risolto, e quindi abbiamo preferito risparmiartelo, anche se in cuor mio ho sempre saputo che prima o poi tutto sarebbe saltato fuori. Speravo solo non così, non distorto da quella viscida stronza.»
«Ho combinato un disastro. Ho fatto tutto quel casino, non gli ho neanche dato il tempo di spiegare, l’ho trattato come il peggiore degli esseri umani, e non l’ha mai meritato. Non smetterò mai di odiarmi, per questo.»
«Non dirlo mai più, intesi?» intervenne Meg, prendendole il viso tra le mani e asciugandole le lacrime. «Eri arrabbiata, e quando si è così arrabbiati si possono dire cose che non si pensano. Eri convinta che ti avesse tradita, la tua reazione è stata quella che qualsiasi donna ferita avrebbe avuto. Nessuno te ne fa una colpa, tantomeno lui.»
«Dovrei andare a parlargli e...» cercò di dire Abigail, ma Meg scosse la testa, sorridendole dolcemente, per poi posarle un bacio sulla fronte.
«Hai bisogno di riposare, adesso. Domani sarà un nuovo giorno: ci sarà tempo per mettere ogni cosa al proprio posto.»
 


***
 

Abigail aprì lentamente gli occhi, che subito misero a fuoco la mano mollemente poggiata sul cuscino. Doveva essersi addormentata solo poche ore prima, come dimostravano le lancette dell’orologio da polso abbandonato sul comodino, che segnavano venti minuti alla mezzanotte.
Sbuffò impercettibilmente, infastidita da quel risveglio troppo anticipato, e richiuse le palpebre, pregando che il secondo tentativo fosse più fortunato del precedente; s’impose di svuotare la mente, di non pensare a nulla che potesse disturbarla, di scacciare via tutti quei pensieri fin troppo abili nel tormentarla, ma era ben conscia che ogni suo sforzo non sarebbe servito a nulla.
Era già pronta a prendersela con se stessa, dandosi della stupida ragazzina incapace di controllare le proprie emozioni, quando avvertì un leggero quanto indeciso tocco accarezzarle i capelli e soffermarsi sulle punte, che il misterioso visitatore attorcigliò con delicatezza alle proprie dita per qualche breve istante, prima di lasciarle ricadere sulle spalle della ragazza.
Questa percepì una certa agitazione mandarle in tumulto gli organi interni e, di conseguenza, renderla indecisa sul da farsi: avrebbe dovuto continuare a far finta di dormire, o avrebbe fatto meglio a dirgli che era sveglia e che non aspettava altro che parlare da sola con lui?
Prediligendo la seconda opzione, Abigail si rigirò con lentezza tra le lenzuola e poi puntò i propri occhi nei suoi, profondamente grata alla luce soffusa della camera che, in un certo modo, riusciva a nascondere il lieve rossore sul suo viso.
George, che non si aspettava di trovarla sveglia, a stento riuscì a evitare che la sua mascella toccasse il pavimento a causa dello stupore e di un certo logico imbarazzo, indotto dall’essere stato beccato mentre dispensava gesti d’affetto alla persona che, in quegli istanti, avrebbe dovuto odiarlo più di ogni altra al mondo. Nel tentativo di smorzare la tensione, dunque, si grattò la nuca e afferrò un cuscino a caso, guardandosi un po’ attorno per evitare di incrociare l’espressione indecifrabile della giovane.
«Sto andando via, non preoccuparti. Volevo solo prendere il mio cuscino, dormirò in un’altra stanza» si giustificò, incredibilmente sicuro di sé nonostante le circostanze, ma un cenno di diniego con la testa da parte di Abigail lo distolse da qualsiasi intenzione – già abbastanza debole in partenza – di lasciare quella stanza.
«Non… Non ce n’è bisogno, George» disse lei, raddrizzatasi, per poi sfiorare distrattamente le coperte che occupavano il lato del letto lasciato libero. «Vieni a sederti, per favore.»

Lui la accontentò, accomodandosi sul materasso, continuando a fissare un punto imprecisato al di là della finestra – o, per meglio dire, continuando a immaginare cosa potesse esserci oltre quelle tende che la coprivano. Poi, lasciandosi guidare da quello che doveva essere un impeto di coraggio, prese una delle mani della ragazza e la strinse nella sua.
«Abigail, io…»
«Meg mi ha raccontato tutto, non devi... non devi giustificarti. Lascia parlare me, ti prego» lo interruppe lei, ricambiando la presa con una forza che, dopo quella giornata estenuante, non pensava certamente di possedere. «Ho incontrato Filippo, prima di tornare a casa.»
«Filippo… Quel Filippo?» chiese George, la cui espressione stranita non era sufficiente a nascondere l’innegabile disprezzo che provava per quella sorta di uomo. Abigail annuì, seria, e distolse lo sguardo per rivolgerlo alla parete che aveva di fronte.
«Proprio lui, quel bastardo» commentò, grave, lottando contro quell’odioso, abituale bruciore al petto cui non sarebbe mai riuscita ad abituarsi del tutto. Probabilmente, era proprio per questa ragione che aveva intenzionalmente evitato di prendere l’argomento con la cugina, qualche ora prima, nonostante la tentazione fosse stata quasi sovrastante. «L’ho incontrato a Londra, prima che potessi Smaterializzarmi: diceva di essere arrivato fino in Inghilterra solo per me, ci credi? Ha cercato di convincermi che quest’ultimo anno l’avesse cambiato, che non fosse più la stessa persona di un tempo, e che si fosse finalmente reso conto di quanto ero importante per lui, e di quanto aveva sbagliato a trattarmi in quel modo meschino. Mi ha persino chiesto se davvero non provassi più nulla per lui.»
«E tu cos’hai risposto?» domandò istintivamente George, che mai più come in quel momento sarebbe stato tanto desideroso di prendere a pugni in faccia quell’insulso idiota, di cui bastava anche solo il nome per procurargli un’orticaria.
«Che per lui provo solo un profondo, irrimediabile disgusto; gli ho risposto che a nulla sarebbero servite le sue parole strabordanti di presunto pentimento, perché ho già tutto quello che mi serve; gli ho risposto che ho imparato a trovare la felicità nelle piccole cose: nel tè caldo delle cinque del pomeriggio, nella risata di un bambino di dieci mesi, in un lavoro che mi rende fiera delle mie scelte e dei miei sacrifici, e negli abbracci che mi svegliano al mattino e che mi solleticano il cuore. La sua presenza non è contemplata all’interno del quadro, né tantomeno è gradita» rispose Abigail, la cui mano non impegnata sembrava scossa da un leggero tremolio, a tal punto che la ragazza fu costretta a utilizzarla per stringere e tormentare il bordo delle lenzuola, sfogando su di esso i residui di rabbia che ancora portava dentro. 

George continuò a osservarla, come ipnotizzato da quell’aurea fatta di emozioni contrastanti e prepotenti che la circondava, e non poté che ritrovarsi a tratti spiazzato di fronte a quel viso stancato dal pianto e dagli immeritati dispiaceri, ma comunque bellissimo e pieno di vita; vita da lasciare esplodere, vita da ammirare nella sua determinata delicatezza, vita che voleva farsi strada attraverso quegli occhi grigi che di lì a poco si sarebbero nuovamente arrossati.
«Quando Virginia mi ha detto quelle cose...»
«Quali cose, precisamente?» la interruppe, ma lei non rispose e proseguì con il proprio discorso.
«Non ero disposta a crederle. Mi fidavo di te, quindi perché dare retta alle sue inutili parole? Mi avevano dato fastidio, ovviamente, ma avremmo risolto tutto: sarei tornata a casa, te ne avrei parlato e tu mi avresti detto la verità. Fine della storia» ammise, prima di abbandonarsi a un’aria più amareggiata. «Ma poi ho incontrato Filippo, e con lui la rovina dei miei buoni propositi. Non appena l’ho visto, nella mia maledetta testa si sono risvegliati troppi ricordi che hanno fatto vacillare ogni mia sicurezza. Lui mi ha ferita così tanto, George, da farmi pensare che non avrei più potuto amare di nuovo: ero certa che sarebbe stato impossibile, per me, fidarmi ancora di una persona a tal punto da consegnarle gratuitamente la chiave d’accesso della mia anima, senza chiederle nulla in cambio, se non la promessa di trattarla e rispettarla come se fosse la sua. Perché avresti dovuto essere diverso? Come potevo essere sicura che non ti saresti mai comportato come lui? E se la Anderson avesse detto la verità? Cosa mi rendeva tanto convinta che stesse mentendo? Ho dato troppo peso a questi interrogativi, e adesso non so in che modo potrò mai chiedere scusa a me stessa e a te, perché... perché, nel tentativo di proteggermi dal mio passato, sono arrivata a dubitare di te, e ti ho fatto del male.»

Calò il silenzio sulla stanza. Abigail avvertiva la stanchezza scorrerle nelle vene, sapendo di doverle resistere, mentre gli occhi avevano ripreso a pizzicarle sadicamente, per nulla collaborativi. Era come se, avendo detto ciò che doveva, si fosse liberata di quell’enorme peso che l’aveva gettata a terra per ore, e che una volta andato via l’aveva lasciata più spossata, debilitata di prima, ma non meno determinata a porre il sigillo definitivo a quel lunghissimo, interminabile capitolo.
George, d’altro canto, l’aveva ascoltata pazientemente, scrutando con circospezione il suo profilo, come timoroso di poterla disturbare; dentro di sé, constatò che sì, si era davvero e ingiustamente sentito in colpa per qualcosa che non aveva mai commesso, ma anche che mai avrebbe potuto pensare di farglielo pesare in alcun modo. 
Non aveva bisogno delle sue scuse: erano superflue, non necessarie, e assolutamente non richieste. Perché avrebbe dovuto scusarsi, poi? Per aver speso un’intera giornata a fare i conti con se stessa, rannicchiata su quel letto a fissare con sguardo assente le pareti? O forse per essersi comportata, ancora prima, come avrebbe fatto quasi chiunque in una tale circostanza? Rifletté che, a parti invertite, la sua reazione non sarebbe certo stata migliore, e difficilmente riusciva a immaginare come si sarebbe sentito, cosa avrebbe provato in una situazione simile, quando improvvisamente ci si ritrova a dover rimettere in discussione ogni sentimento, ogni certezza, e in primo luogo la fiducia riposta in una persona tanto amata.
Fu per queste ragioni che le sfiorò i capelli e poi si soffermò sul viso, che pian piano sembrava stesse recuperando il colore perduto.
«Vuoi che me ne vada?» le chiese con gentilezza, ma lei scosse la testa e ricambiò il suo sguardo, non vergognandosi di quelle lacrime che, finalmente, avevano smesso di graffiare e di lasciare i lividi, preferendo accarezzarle la pelle con premura e dolcezza.
«Voglio solo che tu mi abbracci tanto forte da togliermi il respiro» disse piano Abigail, che provò come poté a controllare la propria voce, che tuttavia rischiava ancora di rompersi. «Voglio che tu mi dica che non potrai mai farmi del male, perché non riuscirei a sopportare il contrario; voglio che tu mi prometta che proverai ad amarmi quanto ti amo io, e che me lo dirai se non dovessi riuscirci; voglio… voglio sentire le tue dita che si intrecciano ancora ai miei capelli e il calore del tuo corpo accanto al mio. Non potrei mai volere che tu vada via da me, George: si è mai visto il cielo rinunciare alle sue stelle?»
«Oh, piccola» sussurrò lui, che senza farselo ripetere due volte la strinse a sé con decisione, come intenzionato a non lasciarla andare più via. Poté avvertire distintamente quel respiro dolce e familiare infrangersi contro il suo maglione, proprio vicino al cuore, mentre quelle calde lacrime che ancora venivano versate gli bagnavano il collo, solleticandolo.
Abigail si aggrappò ancor di più a quell’abbraccio e continuò a tenere il volto affondato sul petto del ragazzo, che intanto le accarezzava lentamente la schiena. «Io ti amo così tanto
«Ti amo anch’io, non immagini nemmeno quanto» ricambiò George, che con il pollice e l’indice le aveva sollevato il mento affinché potesse guardarla meglio, nonché asciugarle quelle belle guance arrossate e rigate dal pianto. «Ecco, questo non dovrebbe succedere. Mi fai sentire un viscido verme, se piangi.»
«Non sei nulla di tutto ciò» lo rassicurò lei, stavolta sorridendo, mentre gli prendeva il viso tra le mani e lo avvicinava al suo. «Quindi baciami, e fallo come non mi hai mai baciata prima d’ora: voglio morirci, su queste maledette labbra.»
Lui, naturalmente, non vedeva l’ora di accontentarla.

Nel frattempo, fuori dalla porta, si erano riuniti gli altri quattro abitanti della casa – più Alexander, che gattonava in lungo e in largo e che, ogni tanto, cercava di tirarsi in piedi aggrappandosi a tutti quegli oggetti che, dall’alto dei suoi dieci mesi e mezzo di esperienza, era convinto riuscissero a sorreggerlo –, che si erano muniti di Orecchie Oblunghe e che, ormai da parecchi minuti – precisamente, da quando George era entrato in camera –, origliavano con interesse e come delle vecchie comari impiccione cosa stava accadendo al di là del muro.
La prima ad allontanarsi dai lunghi fili color carne fu nonna Julia, la cui attenzione fu inevitabilmente attirata dal respiro un po’ più appesantito della nipote, che neanche aveva provato a trattenere le lacrime. «Maggie, tesoro caro, i tuoi occhi diluviano.»
«Qualcuno le chiuda i rubinetti» scherzò Vittoria, allora, porgendole uno dei suoi fazzoletti di seta. Fred, di fronte a quella scenetta, non nascose tutto il suo divertimento.
«Secondo voi è normale che faccia sempre così?» commentò, scompigliando affettuosamente i capelli della ragazza, che sollevò un sopracciglio con un finto fare risentito e si asciugò il viso.
«Avete fatto comunella, voi tre?»
«Be’, ogni ta-…» iniziò Julia, che si bloccò improvvisamente non appena ebbe riavvicinato al proprio lobo destro l’estremità del filo delle Oblunghe. «È decisamente il caso di togliere il disturbo
«Direi proprio di sì!» assentì la consuocera, che stranamente arrossì, avendo origliato un notevole cambiamento di clima all’interno della camera. «Buonanotte, ragazzi!»
«Buonanotte!» ricambiarono i due giovani, che risero tra loro osservando le due nonne che si allontanavano con circospezione e portavano con loro il bambino, che per poco non si era appisolato sul tappeto del corridoio.

Dopodiché, Fred rivolse a Margaret uno sguardo orgoglioso e le sorrise con tenerezza, per poi tamponarle le guance ancora umide con il fazzoletto di Vittoria. «Il mio piccolo, sentimentale Pasticcino Aggiusta-Tutto. È anche per questo che ti amo così tanto, lo sai?»
«Non era per via delle mie meravigliose torte?» fece lei, fingendo stupore, come dimostrava la mano portata teatralmente al petto. Lui annuì e si lasciò scappare un sorriso sornione.
«E infatti ho detto anche» puntualizzò, quindi, scrollando le spalle con disinvoltura. Meg, invece, gli accarezzò il viso e lo guardò con tutto l’amore che aveva dentro, non dimenticandone neanche una singola goccia.
«E tu sai qual è una delle ragioni per cui ti amo?»
«Illuminami» la esortò Fred, con tanto di strizzata d’occhio di contorno. Lei si alzò in punta di piedi per potersi avvicinare un po’ di più alla sua altezza e gli gettò le braccia al collo.
«Ti amo perché dimentichi sempre di sistemare le lancette di quel dannato orologio dopo che Alexander l’ha preso a pugni.»
«In realtà non lo dimentico» confessò lui, percorrendo con le dita la spina dorsale della ragazza, dall’alto verso il basso e viceversa. «Lo lascio così perché mi fa tenerezza guardarlo e pensare che sia opera di quella piccola peste.»
Meg ne rimase sorpresa, ma durò un attimo: dopo pochi istanti, per l’appunto, sul suo volto si era già allargato un altro, radioso sorriso. «E allora ti amo perché sei il papà migliore del mondo.»
«Avevi dubbi a riguardo?» chiese Fred, retorico, prima che entrambi si lasciassero trasportare da una sana, spontanea, più che mai sincera risata, che nonostante fosse quasi sussurrata aveva rischiato di coprire il suono del rintocco dell’orologio da parete, che timidamente annunciava il passaggio a un migliore, nuovo giorno.
Margaret se ne accorse, così si strinse ancor di più a Fred e appoggiò la propria fronte alla sua. Non si sarebbe mai stancata di accarezzare quel volto. «È mezzanotte, sai?»
«Davvero?»
«Sì. Buon ventesimo compleanno, mio splendore» disse lei, per poi abbandonarsi a un bacio che di casto non aveva neanche l’ombra. Affondò le dita tra i suoi capelli, mentre quelle labbra si tormentavano a vicenda senza darsi tregua, e avvertì un piacevole brivido percorrerle interamente la schiena una volta che la mano di Fred si fu avventurata sotto la sua maglietta.
Questa tolse definitivamente il disturbo non appena la porta della camera da letto si fu chiusa, e con essa tutto il resto.

 
1: Nella mia mente malata, questo Bradwell è uno scrittore molto famoso nel Mondo Magico e i cui romanzi sono molto corposi. Li immagino un po’ come quelli di Dostoevskij, per intenderci.
2: L’equivalente italiano sarebbe “Il bue che dà del cornuto all’asino”, ma ho trovato più carina la versione inglese dell’espressione.  


- Angolo dell’autrice

Miei piccoli tortini di mele, ben ritrovati
Dopo un mese e qualche giorno, eccovi finalmente la seconda parte del capitolo. Avrei voluto pubblicarla un po’ prima, ma tra l’approssimarsi della sessione di settembre e quelle rare mattine al mare che riesco ancora a concedermi non c’è stato molto tempo. Spero solo che sia valsa l’attesa, anche se – tanto per cambiare, insomma – ho il sospetto che avrei potuto fare un po’ meglio. :D
Ma bando alle ciance: passiamo alle cose serie!
Innanzitutto, ci tengo a dirvi che scrivere tutti quei flashback è stata in assoluto la cosa che più mi è piaciuta: ho pensato che fosse il modo migliore non solo per farvi sapere dell’accaduto, ma soprattutto per farvelo vedere con i vostri occhi e quindi rendervi maggiormente partecipi.
E poi, devo ammetterlo, raccontare di Meg che picchia la gente è, per me, sempre fonte di grande gioia.
Forse, però, è il caso di procedere per ordine, quindi mettetevi comodi e prendete i vostri popcorn.

Abbiamo ripreso la narrazione quasi esattamente da dove ci eravamo lasciati: Abigail, povera stella, era rimasta a casa, rinchiusa in camera, a lasciarsi annegare tra le sue stesse lacrime, mentre quei tre soggetti poco affidabili Fred, George e la cara Margaret facevano la loro bella scampagnata tra i ruderi e si divertivano a perculare in diretta radiofonica il Signore Oscuro e i suoi compari (alla faccia della sintesi).
Vi avevo anticipato che ci sarebbero stati bei momenti Marbigail (Meg, Gail, perdonatemi per questo nome osceno), ed eccoci proprio qui. Con la partecipazione straordinaria di quel piccolo e pacioccoso terremoto chiamato Alexander George Weasley, ci pensa Meg a risollevare un po’ il morale della nostra blondie, che naturalmente non può che porle la fatidica domanda: cosa accidenti è successo tra Mr Lobo Solitario e quella lurida vagabonda la Anderson?
- ‘Sta gran zoc-*beep*
Via, Gail, più garbata.
Comunque, se – nel capitolo precedente – la gif di Mara Maionchi ci aveva dato un mezzo suggerimento, stavolta abbiamo avuto la conferma della stronzaggine di quella... di quella... scusate, non riesco a trovare nulla di anche solo minimamente educato che mi possa aiutare a definirla.
- Oh, ti do una mano io! GRANDISSIMA *beep* *beep* *e ancora beep*. La vuoi smettere di censurarmi?!
Avevo chiesto termini educati, Abigail! Santo Merlino!
Anyway, dov’eravamo rimasti? Sì, nel mese di luglio del 1997 – per intenderci, dopo il matrimonio di Fred e Meg e prima della missione dei sette Potter –, quella gran signora non aveva nulla da fare e ha deciso di fabbricare presunti Filtri d’Amore fatti in casa e di rifilarli a quella povera anima di nostra conoscenza, la cui unica intenzione era scolarsi i suoi sacrosanti chupitos di Tequila e poi tornarsene a casa sbronzo e felice. Cose che capitano, insomma.
Non so, ovviamente, quale effetto possa avere un Filtro d’Amore scaduto o preparato male, per cui anche in questo caso mi sono presa una piccola licenza, come avrete sicuramente capito dal discorso del carissimo Dorian Russell (che, per rinfrescarvi la memoria, è il figlio di Annabel Stevens e Landon Russell, gli zii di Margaret. Lavora come Guaritore in Clinica Morgana – la stessa dei genitori – e, ovviamente, non ha alcuna forma di parentela con Abigail).
In poche parole, quindi, George è assolutamente innocente; peccato che Meg non l’abbia capito subito, come ha dimostrato il suo atteggiamento molto caritatevole e accomodante *tossisce* nei confronti del caro, vecchio amico d’infanzia.
Lo sappiamo, d’altronde, che quando c’è da assestare pugni Meg non si tira certamente indietro, ed è qui che arriviamo ad una delle parti di questo capitolo che più ho amato scrivere: Margaret vs. Virginia.
Solo nei peggiori bar di Caracas”.
È in questi momenti che la nostra Stevens mi rende schifosamente orgogliosa di lei, giuro. Vorrei abbracciarla e prendere un drink con lei, ne approfitterei per farmi insegnare un po’ di sano atteggiamento da Ghetto Girl. In fin dei conti, però, è stata troppo buona: fossi stata al suo posto e avessi avuto la sua forza da ex Battitrice e da novella accoppatrice di Mangiamorte Ministeriali, la Anderson non se la sarebbe cavata con un fin troppo educato schiaffo sulla guancia. *fischietta allegramente*
La... La... Insomma, quella sorta di essere umano ritornerà, comunque – o almeno penso. Ho un’idea che credo vi piacerà, spero solo di trovare un piccolo spazio tra un paio di capitoli per metterla in pratica. :D

Ma torniamo al capitolo in questione e arriviamo a un momento che mi ha regalato molti, troppi feels durante la stesura: George e Abigail. 

Insomma, dovete sapere che – probabilmente ancora segnata dai lontanissimi e terrificanti tempi delle scuole medie, quando si ostinavano ad assegnarmi la parte della protagonista femminile nelle rappresentazioni teatrali (ebbene sì, miei cari, ho un passato da attrice/cantante di Musical, manco fossi Rachel Berry) – tendo sempre a interpretare mentalmente le battute dei personaggi mentre le scrivo, e spesso ciò mi porta a immedesimarmi più del necessario. E sì, insomma, succede un po’ un casino a livello emotivo.
Per farla breve, sono riuscita a scrivere quella parte solo con il supporto di un bel Mojito ghiacciato – Jules e gli alcolisti anonimi, parte 39204 –; troppo bombardamento emotivo e troppi episodi del passato che riaffioravano. *prende la bambola Voodoo di ex Crush e la lancia ripetutamente contro il muro*  
Ma ditemi voi, piuttosto: ve l’aspettavate il colpo di scena di Filippo? Come avreste reagito, voi, al posto di Abigail? Io dico solo che non so come si possa avere una tale faccia tosta, Santo Merlino. Ma non si vergogna? BAH.
Anyway, gli Georbie non hanno paura di niente e l’hanno dimostrato. “Ciò che non uccide fortifica”, e non potrei essere più d’accordo. 

Ho pensato di regalarvi anche un momento Frargaret: era da un po’ che quei due non ci inondavano di zucchero, ed era di vitale importanza rimediare. ♥ Anzi, vi anticipo sin da adesso che proprio loro saranno il fulcro di buona parte del prossimo capitolo; la doppia anticipazione che vi lascerò in fondo vi chiarirà un pochino le idee (o forse le confonderà? Eheh).

Comunque, per dovere di cronaca, siamo arrivati al 31 marzo/1 aprile del 1998. Nel prossimo aggiornamento faremo un salto di un mese esatto, ritrovandoci al pomeriggio/sera del primo maggio.
Chi vuole intendere, intenda. Gli altri in camper.

*Il Super Io solleva lo sguardo dall’Introduzione alla Psicoanalisi e si toglie gli occhiali da lettura, perplesso* “Giulia, andiamo. Tra diciotto giorni compi vent’anni. È un quinto di secolo, per Diana. Perché devi sempre fare la cretina?”
*L’Es arriva ballando a ritmo di Maria Salvador e accoppa il Super Io con una pala* “E anche stavolta l’abbiamo sistemato. Puoi continuare”.

Dicevo, ci ritroveremo catapultati direttamente al pomeriggio precedente quel fatidico 2 maggio 1998. Vedremo come i nostri protagonisti vivranno la vigilia della Battaglia che ci ha distrutto il cuore e che, in parecchi casi *alza la mano*, ci ha trasformati in dei fanwriter assetati di vendetta.
Solo la vigilia, eh. La Battaglia la tratteremo in quello successivo, che sarà il ventisettesimo capitolo – la cui stesura sarà un vero e proprio parto trigemellare, me lo sento.
Detto ciò, è arrivato il momento di concludere queste interminabili note.

Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, ladywLuna Paciock, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSikOrma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_Ssleepingwithwolves_Soleil Jonestenna96, TheDarkAngelvalepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

And RiddleCalypso_EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasleymax85, Meissa Antares, orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael,  _Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_Frederique Black, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrongmax85, Orma_sleepingwithwolves_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e Angel_Mary, che hanno recensito il capitolo precedente. 


Il titolo è lo stesso della volta scorsa, quindi è di Oriana Fallaci, mentre la canzone in apertura è Give Me Love, di Ed ammettilo che sei un Weasley Sheeran.
Ora, mi dileguo. Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno al 24/25 settembre, dato che il 26 parto e sarò via per qualche giorno. Nel frattempo, spero di trovare qualche parere – o anche recensioni in cui mi si minaccia di lanciarmi pomodori, non siate timidi – che possa rallegrare questi angoscianti giorni di preparazione per la sessione autunnale. :D

Un abbraccio megagalattico 

Jules


- Dal prossimo capitolo:

1.
 
«Meg» la richiamò Fred, sporgendosi maggiormente verso di lei, ma venne ignorato.
«Sono stata una stupida egoista a pretendere che tu sopportassi, accettassi questa parte di me così controversa... e sono stata una stronza, perché non ho neanche provato a facilitarti questo compito, a renderlo meno gravoso» Margaret continuava a sputare fuori quelle parole dopo averle masticate con lentezza, dopo averne assaggiato quell’amara consistenza che le rendeva troppo pesanti da digerire. «Sono un disastro ambulante, condannata a non poter mai migliorare la mia condizione. Così facendo, penso, ho condannato anche te.»
«Meg» Fred stavolta alzò il volume della voce e scosse la mano che stringeva quella della giovane strega. Non voleva ascoltare altro, non voleva che lei continuasse a vomitare quella valanga di pensieri, perché difficilmente questo l’avrebbe fatta stare meglio.
Lei, però, si comportò come se non lo avesse udito [...].

2.
 
«Non puoi impedirmelo!» sbottò Lancelot, risentito, ma l’imporporarsi delle sue guance contribuì solo a renderlo terribilmente buffo. «Non puoi negarmi tutto il divertimento!»
«Il massimo del tuo divertimento, questa notte» s’intromise Desmond, posandogli una mano sulla spalla, «sarà una maratona di scacchi con Willow. Tua madre potrebbe uccidermi nella maniera più atroce e dolorosa se ti portassimo con noi.»
«Ma zio!» si lamentò il giovane, guardandolo con fare supplichevole. Ci pensò il fratello maggiore a porre fine ai suoi tentativi, che si sarebbero comunque rivelati nient’altro che vani.
«Zio Des ha ragione, Lance. Sei minorenne, non puoi venire con noi.»
«Dorian!» il ragazzo soffiò via una ciocca di capelli castani che gli era caduta sugli occhi, profondamente offeso. «Siete ingiusti! Cosa accidenti dovrei fare io qui?»
«Il baby-sitter! Sai cambiare un pannolino?» fece Meg, gustandosi l’espressione sempre più sconvolta del cugino, che non tardò a spalancare teatralmente le braccia.
«No!»
«Be’, c’è sempre una prima volta» commentò Fred, facendo spallucce.

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Capitolo 26
*** Anche la quiete può dare inquietudine, per timore che passi ***



Capitolo 26




Anche la quiete può dare inquietudine,
per timore che passi

 
 


You’ve got a face not spoiled by beauty
I have some scars from where I’ve been
You’ve got eyes that can see right through me
You’re not afraid of anything they’ve seen
 

L’asfalto e i marciapiedi delle strade di Londra erano ancora bagnati, quel pomeriggio del primo giorno di maggio; la pioggia aveva accompagnato l’arrivo del nuovo mese, scandendo ogni singolo istante per mezzo del rumore di quelle leggere gocce che si infrangevano al suolo e che diventavano quasi un tutt’uno con esso.
Una giovane donna percorreva quelle vie con un’andatura un po’ più lenta del normale, probabilmente per paura che quel terreno scivoloso la tradisse, come d’altra parte era già successo fin troppe volte nel passato.
Una timida folata di vento le scompigliò i lunghi capelli corvini, ma i suoi occhi dal colore dell’ambra non smisero di guardare fisso davanti a loro, forse persi in mille e più pensieri.
Conosceva bene la pioggia inglese, lei: essa non è una semplice precipitazione atmosferica, quanto piuttosto una vera e propria forza esterna capace di scavarti sin dentro le ossa, di rimanere in circolo nelle vene, di rimescolare le carte in tavola fino a quando tutto non sembra diverso, fino a quando tu stesso non sei diverso; e, nelle tue narici, l’odore di quell’acqua che ti ha appena bagnato il viso sa degli sbagli che hai commesso, delle scelte che hai fatto, degli amori che ti hanno demolito dall’interno e di quelli per cui hai lottato fino a non avere più aria nei polmoni. La pioggia inglese saprà sempre come costringerti a fare i conti con te stesso: sta a te decidere se lasciarti sopraffare o se combattere per rimanere in piedi.

La ragazza dai capelli corvini si fermò di fronte a una pasticceria, interrompendo la sua passeggiata solitaria su Marylebone High Street: anche lei, d’altronde, aveva diritto al suo sacrosanto tè delle cinque.
Aprì con delicatezza la porta di ingresso ed entrò in quell’accogliente salottino, lasciandosi investire dal delizioso odore di cannella e zenzero dei biscotti appena sfornati; sorrise, ricordando gli anni della sua infanzia e i momenti in cui sua madre le consentiva di assaggiare l’impasto della sua crostata di fragole, per poi darle il solito buffetto sulla guancia paffutella.
Senza esitare ulteriormente, si recò al bancone e ordinò una tazza di tè, dopodiché prese posto a un tavolino libero vicino alla finestra e iniziò a guardare all’esterno, scostando di poco le tendine.
Aveva uno strano presentimento; uno di quelli che non sai definire, ma che senti e basta, con tutto il turbamento che ne può conseguire. Semplicemente, si era svegliata così, con un inspiegabile peso sul cuore e con il desiderio che quella giornata appena cominciata finisse presto, possibilmente senza eccessive complicazioni.
Rigirando lentamente il cucchiaino nell’elegante tazza di porcellana che le era appena stata servita, continuava a osservare tutte quelle persone che sfilavano per le strade, sotto i suoi occhi, come se da esse dipendesse la sua comprensione del mondo. In realtà, si chiedeva soltanto quando anche lei, finalmente, avrebbe potuto camminare per quelle vie senza doversi necessariamente rifugiare nell’identità di qualcuno di cui a stento conosceva il nome.

Si reimmerse nell’aria fresca di quel pomeriggio di primavera, una decina di minuti più tardi, e accelerò il passo per raggiungere una traversa senza uscita poco frequentata; qui, si guardò attorno con attenzione, accertandosi che nessuno l’avesse seguita, e si Smaterializzò.  

Riapparve su una spiaggia apparentemente isolata dal mondo, non molto distante dal punto in cui le onde del mare si infrangevano sulla riva, bagnandone con eleganza la sabbia. In quello scenario, Villa Orchidea si imponeva in tutta la sua fiera, dignitosa bellezza, che nulla avrebbe mai potuto intaccare o scalfire; era come se chiedesse a quella costa del Devon del Sud di ammirarla, di contemplarla nelle sue proporzioni armoniche e di invidiarla, perché inespugnabile e indistruttibile.
La ragazza attraversò il bel portico colonnato e aprì la porta di ingresso, che si chiuse alle spalle una volta entrata. Ancor prima di posare la giacca sull’attaccapanni, scorse una figura maschile dai capelli biondi seduta per terra, troppo concentrata a cullare un piccolo fagotto – ormai addormentato – per accorgersi di lei.
«Ciao, zio» richiamò la sua attenzione, allora, avvicinandosi.
 Desmond Stevens sollevò repentinamente lo sguardo per salutarla, ma rimase paralizzato nel constatare che quella non fosse affatto sua nipote. «E tu chi diavolo sei?!» domandò, allarmato, ma proprio in quell’istante la Pozione Polisucco perse ogni sua efficacia e, in un batter di ciglia, la ragazza dai capelli corvini e dagli occhi del colore dell’ambra fu solo un ricordo, rimpiazzato dal sorriso smagliante e un po’ divertito di un’Abigail più in forma che mai. «Gail, tesoro mio! Ho quarantadue anni, non puoi farmi questi scherzetti: il mio cuore potrebbe non reggere!» commentò l’uomo, sollevato, mentre poggiava nuovamente la testa contro la parete. Lei ridacchiò e mise su un’espressione innocente.
«Non ho resistito» disse con sincerità, accarezzando con delicatezza la testolina del piccolo Richard, che sonnecchiava serenamente tra le braccia del papà.
«Dovrò fare una bella ramanzina a George: ha una cattiva influenza su di te, non va bene» scherzò questi, riflettendo però che era molto più probabile che accadesse il contrario. «Era Pozione Polisucco?»
«In tutto il suo splendore. La preparazione non è stata una passeggiata – quelli del San Mungo mi manderebbero via a pedate, se scoprissero che ho preso in prestito qualche ingrediente –, ma era necessaria: non potevo più andare e tornare da quel posto senza prendere precauzioni, sarebbe stato come fare visita a un’intera popolazione di Ungari Spinati digiuni da due settimane» spiegò Abigail, rabbrividendo al solo pensiero: non ci teneva a sprecare preziose energie per seminare ipotetici Mangiamorte.
Desmond annuì e le indirizzò uno sguardo curioso. «E quella ragazza? Chi era?»
«Una Babbana di Londra: le ho rubato qualche capello circa venti giorni fa; eravamo in fila insieme in una caffetteria, un certo Star-qualcosa. Non si è accorta di nulla, è stato troppo facile» fece lei con allegria, quasi sciogliendosi di fronte al rilassato sorriso nel sonno di quell’adorabile scricciolo di poco più di un mese di età. «Perché sei seduto qui? Il salone è pieno di divani.»
«Oh, mia cara, lo capirai da sola» disse Desmond con noncuranza, probabilmente non volendo anticipare nulla alla nipote.
Questa aggrottò le sopracciglia e tornò a guardare lo zio, stranita. «In che senso?»
«Tu vai» fu l’unica cosa che lui le disse, facendole l’occhiolino.

Abigail, sempre più confusa, si diresse con un pizzico di timore alla porta che conduceva al salone, non avendo idea di che cosa aspettarsi al suo interno.
Dopo un attimo di esitazione, poggiò la mano sul pomello e lo girò. Solo quando la porta si fu aperta, la giovane comprese cosa volesse intendere suo zio: il pianto disumano di Alexander, infatti, la colse tanto alla sprovvista da portarla a chiedersi se per caso non rischiasse che le si perforassero i timpani.

La prima persona che vide nel caos di quella stanza fu Margaret, ferma di fronte all’elegante tavolo da arredamento sul quale, con ogni probabilità, era stato fatto sedere il bambino. La cugina aveva i capelli raccolti in una coda disordinata e acconciata frettolosamente, come dimostravano le numerose ciocche – sfuggite all’elastico – che le ricadevano sul volto a dir poco esausto; la sua attenzione era totalmente rapita da suo cugino Dorian, che sembrava stesse cercando di spiegarle qualcosa al di sopra di quelle urla.
Questi si passò una mano tra i capelli scuri e scosse la testa, come sconfitto, prima di tornare a occuparsi del piccolo, che copriva con la sua figura.
Sulla poltrona accanto, Julia era quasi affranta e si era ormai abbandonata contro lo schienale, tentando di resistere all’intensa emicrania, mentre sui divani Gloria e Vittoria si lanciavano sguardi rassegnati, come se quell’Inferno fosse destinato a non avere mai fine.
«Che cosa sta succedendo? Cos’è, l’Apocalisse?» chiese Abigail, sperando che il suo tono di voce fosse abbastanza alto da essere udito.
Sua nonna, che fu la prima ad accorgersi della sua presenza, sospirò pesantemente e si portò la testa tra le mani. «La preferirei di gran lunga
«Finalmente sei arrivata! Vieni qua, veloce!» la chiamò Meg, senza dubbio sull’orlo di una crisi di nervi, regalandole uno sguardo folle.
Senza farselo ripetere due volte – anche perché, diciamocela tutta, nessun essere umano sano di mente e geloso della propria incolumità avrebbe osato disubbidirle in quell’occasione –, Abigail la raggiunse e, subito dopo, guardò con preoccupazione il bambino, il cui dolce faccino grassottello era diventato un’irriconoscibile maschera urlante di un colore simile al viola e davvero poco raccomandabile.
«Santo Merlino, perché fa così?»
«Ha la febbre alta dall’ora di pranzo, non capiamo quale sia la causa. Io e mia nonna abbiamo provato a somministrargli qualcosa, ma nulla sembra funzionare. Inizio a preoccuparmi» spiegò Dorian, scrutandola con interesse nelle iridi grigie. «Cosa ne pensi?»
«Penso che sia davvero molto strano e insolito» convenne la bionda, prendendo in braccio Alexander per osservarlo con più attenzione. «Hai provato con l’Infuso di Genziana e Sambuco?»
«Certamente, Milady.»
«E l’Essenza di Eucalipto?»
«Senza esitazione» annuì ancora Dorian, che nel frattempo continuava a riflettere su altre possibili soluzioni.
Meg, mani ai capelli, si voltò di scatto verso la piccola elfa domestica, anch’essa stravolta. «Willow, ti prego, salvati da questo delirio e va’ a chiamare Fred e George.»
«Dove sono?» domandò Abigail, che solo in quell’istante si rese conto della loro assenza.
«George stava per impazzire, mentre Fred pensava di competere per il premio “Padre più fottutamente apprensivo dell’intero, maledetto Cosmo”. Li ho rinchiusi nella Stanza Esperimenti» chiarì Meg, sprofondando in una delle poltrone. Tuttavia, non appena ebbe nominato quella stanza, nella mente della cugina si accese la luce: e se...
«Fondenti Febbricitanti» mormorò Abigail, sovrappensiero, convinta che tutto ciò potesse avere perfettamente senso. Dorian, accanto a lei, si costrinse a richiudere la bocca, precedentemente spalancata a causa dello stupore di esser stato tanto ingenuo da non averlo capito immediatamente.
«Adesso cosa c’entrano le Merendine Mar-» Meg si bloccò, esterrefatta, intuendo ciò che l’altra le aveva tacitamente comunicato.

Fu solo quando i gemelli entrarono in salone – seguiti da un giovane ragazzo di quindici anni, che Abigail riconobbe come Lancelot – che la prima si riscosse, fulminandoli con uno sguardo tanto eloquente che entrambi si bloccarono sulla soglia e considerarono con ardore la possibilità di svignarsela di nuovo al piano di sopra.
«Freddie, perché la tua dolce metà sembra desiderosa di staccarci la testa?» bisbigliò George, ma il fratello preferì non rispondere, probabilmente intimorito dalla possibile reazione di Margaret.
«Vi siete forse persi qualche Fondente Febbricitante per casa?» chiese lei, sospettosa, scrutandoli con occhio da investigatore.
«No» rispose d’istinto George, al che Abigail dovette estinguere una risatina in qualche colpo di tosse.
Meg sollevò un sopracciglio, affatto convinta di quella risposta, mentre Fred tentava di mettere in moto i propri neuroni, pregando affinché si rivelassero collaborativi.
Proprio quest’ultimo, però, improvvisamente arrossì come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata. «Forse» mormorò, stranamente a disagio, rivolgendo la sua attenzione al tappeto sotto i suoi piedi per evitare lo sguardo omicida della Stevens.
Lei si alzò, incrociò le braccia al petto e corrugò la fronte. «Definisci forse
«Be’...» iniziò il ragazzo, con fare vago, portandosi una mano dietro le spalle. «Potrei averne dimenticato un sacchetto sul tavolo della sala da pranzo, ora che ci penso. Solo per pochi minuti, però! Sono subito tornato a riprenderlo!»
«Il sacchetto era aperto o chiuso?» continuò Meg, assottigliando pericolosamente lo sguardo. Lui deglutì e si guardò attorno in cerca di un appoggio destinato a non palesarsi.
«Temo fosse aperto» ammise, infine, e pensò che Margaret non sarebbe stata da biasimare se avesse deciso di strangolarlo seduta stante per quella stupida ingenuità.
La ragazza, infatti, si puntellò le mani sui fianchi e lo folgorò con un’occhiata di fuoco. «Non ci credo» disse a denti stretti. «Hai dimenticato un sacchetto aperto e pieno di quei dolcetti infernali sul tavolo, nella stessa stanza in cui si trovava un bambino di undici mesi e mezzo capace di far Levitare gli oggetti, e per di più lasciandolo da solo. Si sarà divertito parecchio, mentre eri via, a ingozzarsi di quella roba!»
«Non fare troppi viaggi, ne avrà mangiato solo uno: il sacchetto era ancora pieno, quando l’ho ripreso!» si giustificò Fred, sulla difensiva, assolutamente non disposto ad assistere a una delle solite sceneggiate di Margaret.

Sceneggiata che, naturalmente, non tardò ad arrivare.

«È sempre colpa di quei maledettissimi Fondenti1! E poi, santo Merlino, quante volte ti ho detto di non perderlo di vista?! È diventato troppo imprevedibile, va controllato continuamente!» sbottò lei, che ancora stentava a credere a ciò che era successo; la stanchezza di quell’interminabile giornata la rendeva solo più irritabile del dovuto.
«Stai forse insinuando che io non mi sappia occupare di Alexander?!» disse lui, stavolta offeso, attirando su di sé l’espressione incredula della giovane mamma.
«Non ci provare! Non mi permetterei mai, e tu lo sai
«Eppure mi pare che stia accadendo l’esatto contrario!»
«Ragazzi, per l’amor del cielo, non c’è motivo di fare così per una sciocchezza simile» tentò Dorian, ma venne bellamente ignorato dai due, che continuarono a litigare come se nessuno avesse emesso suono.
«Non ho parlato in Troll, Fred! Sono stata chiara: avresti dovuto stare più attento, ma con ciò non voglio assolutamente dire che tu non ti sappia prendere cura di Alex!» specificò Meg, sgranando gli occhi, e trovò che fosse assurdo che lui dubitasse che lei lo ritenesse all’altezza di crescere un bambino unicamente per via di una piccola distrazione come quella – sebbene, era ovvio, l’avesse fatta infuriare a dismisura.
Lui, però, non sembrava dello stesso parere. «E invece lo pensi, Margaret! Sei sempre sull’attenti, pronta a intervenire su ogni singola cosa, come se io non ne fossi capace! Ti rendi insopportabile, quando ti comporti così!»
«Morgana maledetta, non lo fare» disse piano George, sperando che il fratello fosse abbastanza intelligente da frenare la lingua prima di poter dire qualcosa che, con ogni probabilità, avrebbe fatto trasformare Margaret – già di sasso – in una iena ridens allo stato brado.

Povero illuso.

«Sarebbe stato meglio se non...» continuò Fred, ma ebbe l’accortezza di bloccarsi appena in tempo, rendendosi conto della completa idiozia che era stato sul punto di pronunciare.
«L’ha fatto» commentò Lancelot, dando una gomitata a George, pietrificato accanto a lui.

Meg percepì qualcosa dentro di sé rompersi e precipitare per terra, non prima di averla scheggiata con un’innaturale indifferenza. Le tolse per un attimo il respiro, mentre scendeva giù per l’esofago e rallentava la sua caduta all’altezza del petto, forse solo per il gusto di vederla annaspare in silenzio, mentre all’esterno si mostrava nella sua solita corazza imperturbabile.
Rimase immobile e prese a fissare Fred con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso; arricciò le labbra, abbassando lo sguardo per dirigerlo al pavimento.
«Cosa, Fred? Che cosa sarebbe stato meglio?» chiese, tornando a trafiggerlo con quegli occhi verdi che, dietro quell’immancabile sicurezza che li faceva brillare, apparivano comunque feriti. La sua voce, invece, era tanto controllata da far accapponare la pelle. «Sarebbe stato meglio se non mi avessi mai chiesto di sposarti? Sarebbe stato meglio se non avessimo avuto Alexander? Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai innamorati? O forse sarebbe stato ancora meglio se non...» esitò, indecisa, facendo morire la frase in un sospiro. «Rispondimi, Fred, e abbi il coraggio di dirmi che cosa accidenti sarebbe stato meglio.»
«Non... Non intendevo questo, lo sai» si affrettò a dire lui, ovviamente pentito, avanzando di qualche passo. «Non volevo dirlo. Scusami» aggiunse, calmo, come se avesse avuto paura di fare del male a una bambola di porcellana tanto delicata da dare l’impressione di essere fragile. Provò a sfiorarle una guancia, ma lei si scansò e guardò altrove, distaccata.
«Ho bisogno di stare da sola» si limitò a dire, atona, prima di abbandonare il salone e sbattere con violenza la porta.

Abigail e George si scambiarono un lungo sguardo, entrambi sovrappensiero, mentre Gloria prendeva in braccio Alexander e – probabilmente per distrarsi e non rimuginare su ciò che era appena successo – lo stringeva a sé, cullandolo con dolcezza per placare i suoi lamenti. Dorian borbottò qualcosa come “eravamo già abbastanza nervosi senza che loro due completassero l’opera”, ma Fred non gli diede ascolto.
Era rimasto nella stessa posizione di poco prima, di stucco, come se il rumore di quella porta chiusa con forza l’avesse paralizzato.
Aveva capito di aver fatto un errore madornale nello stesso istante in cui lo aveva commesso, e una parte di sé non era per nulla meravigliata che Margaret avesse reagito in quel modo; anzi, pensò di essere stato fin troppo fortunato a non ricevere una bella fattura di prim’ordine che avrebbe stentato a dimenticare. D’altra parte, a quello sguardo deluso e profondamente ferito sarebbe stato più difficile trovare rimedio, e lui lo sapeva: sarebbe stato meglio se lei avesse ribattuto, se gli avesse urlato addosso tutta la sua rabbia; l’avrebbe infinitamente preferito a quell’amaro silenzio.

«Il problema di voi uomini» lo riscosse Vittoria, che si era appena alzata dal divano per approssimarsi con aria severa al nipote acquisito, «è che avete due neuroni in croce che non sono mai stati addestrati ad aiutarvi a pensare prima di dare fiato a quei becchi starnazzanti. Fate tutto alla cazzo, tu compreso
«Mamma! Modera il linguaggio!» la rimproverò la figlia, colpita, lanciando subito dopo un’occhiataccia a una sghignazzante Abigail.
Vittoria la ignorò e proseguì con il suo discorso. «Tuttavia, non pensavo fossi così rincitrullito da non capire che l’ultima cosa di cui quella ragazza ha bisogno è stare da sola» disse, mentre lo colpiva ripetutamente al petto con il dito indice, non curandosi della sua espressione sconvolta. «Noi donne rimuginiamo, tessiamo tele infinite, e le conseguenze possono essere catastrofiche. Non hai idea del numero di assurdi melodrammi cui siamo capaci di dar vita se ce ne viene data l’occasione; se solo lo capiste, evitereste di scavarvi la fossa a ogni singola frase che pronunciate» continuò a snocciolare, avanzando, cosicché anche lui – che, c’è da dire, sembrava più intimorito che altro – fosse costretto a indietreggiare sino all’uscita. «Sarebbe molto più semplice se imparaste a comportarvi come veri uomini, e non come babbei!»

Fred non ebbe neanche il tempo di sillabare una qualsiasi cosa in segno di protesta che Vittoria, risoluta, lo spinse fuori e gli sbatté la porta in faccia.
L’anziana signora, invece, distese il volto in un sorriso soddisfatto e si girò a guardare le altre sei persone rimaste nella stanza, che – fosse stato possibile – l’avrebbero fissata con le mandibole a pochi centimetri dal pavimento. Julia, dalla sua poltrona, le fece un applauso e annuì in segno di approvazione, ma l’improvviso silenzio fu rotto da un nuovo, agghiacciante pianto di Alexander.
«E quindi? Che cosa aspettiamo? Nel glorioso nome di Salazar, gliela volete dare o no questa benedetta pozione?» si irritò di nuovo Vittoria, abbandonandosi teatralmente sul sofà.
Dorian parve ricordarsi improvvisamente del suo compito e annuì. «Certamente! Quella roba non è adatta ai bambini così piccoli, e forse è per questo che l’altra metà del Fondente che avrebbe dovuto far abbassare la temperatura – e che lui ha sicuramente mangiato insieme al resto – non ha funzionato. Credo di poter preparare qualcosa che faccia al caso nostro.»
«Il calderone per le Pozioni Curative è in cucina, ti accompagno» disse Abigail, desiderosa di dare riposo alle sue povere membrane timpaniche, facendogli cenno di seguirla nella stanza adiacente.

Chiuse la porta della cucina e, per qualche istante, anche gli occhi, immensamente grata a quel salvifico silenzio.
Il ragazzo rise, indicando una delle credenze fissate alla parete. «È qui dentro?»
«Sì. Ci sono anche degli ingredienti, se possono servirti.»
«Credo di avere tutto a portata di mano, ma grazie» sorrise, accendendo il fuoco. «Certo che tua nonna è proprio un bell’osso duro.»
Abigail soffocò una mezza risata nel bicchiere d’acqua che si era appena versata. «Mai farla arrabbiare, questo è sicuro.»
«Finalmente capisco a cosa si riferiscano tutti quando dicono che Meg ha ereditato il suo caratterino dalla fazione materna» commentò Dorian, aggiungendo dell’Estratto di Timo al contenuto del calderone. Lei gli indirizzò uno sguardo innocente, mentre si sedeva su uno dei mobili di marmo bianco e accavallava le gambe, trovando comoda quella sistemazione.
«Saresti sorpreso di scoprire che non è l’unica, in famiglia» buttò lì, prima di tornare seria e perdere quel suo bel sorriso. «Anzi, a proposito di famiglia... Lancelot non è più a Hogwarts, quindi» osservò, potendone intuire ogni singola motivazione.
Il viso di Dorian, difatti, si rabbuiò senza alcun preavviso. «Diciamo che da quando Margaret ha pensato di atteggiarsi a Capo Rivoluzionario – scelta che io condivido e ammiro, che non si dubiti di ciò –, l’intera famiglia non ha vissuto quelli che definirei bei momenti, e immagino che anche per voi che appartenete all’altro ramo sia stata la stessa cosa. I miei genitori hanno preferito – come si suol dire – prevenire, anziché curare, e così il mio caro fratellino fracassabolidi non è più tornato a scuola, dopo le vacanze di Natale» spiegò, un tantino corrucciato; aggiunse un’altra Essenza e iniziò a mescolare, alternando il senso orario a quello antiorario ogni cinque giri di bacchetta.
Lei annuì e trasse un profondo respiro. «Hanno fatto bene.»
«Direi proprio di sì, visto cos’è successo a Giselle, due settimane fa.»
«E cosa sarebbe successo? Non ne so niente» fece la giovane, incuriosita ma anche potenzialmente preoccupata. Lo sguardo tetro di Dorian contribuì ad alimentare il suo stato di allerta.
«L’intervento di mia cugina a Radio Potter, il trentuno marzo scorso, ha fatto incazzare un bel po’ di gente, lì fuori. Era solo questione di tempo prima che qualcuno della famiglia, o comunque a noi vicino, iniziasse a subirne le conseguenze.»
«E questo qualcuno è stato proprio Giselle, immagino.»
«Con i suoi genitori, per la precisione» puntualizzò lui, grave. «Lei è riuscita a scappare, ma i signori Edwards sono stati presi, e non sappiamo che fine abbiano fatto, né se sono ancora vivi o meno. Gis è distrutta.»  
«Santo Merlino» bisbigliò Abigail, portandosi una mano alla bocca. Non voleva neanche immaginare cosa si dovesse provare in una circostanza simile, quando si è costretti a vivere con l’ansia di non sapere se sarà mai possibile riabbracciare i propri cari. «L’hai detto a Meg?»
«Sì, occhioni belli, ma ho provato a migliorare la versione dei fatti. Morirebbe di dispiacere, altrimenti, e non voglio che stia male. Non è colpa sua, non le permetterò di pensarlo» disse il ragazzo, convinto di star facendo la cosa più giusta. Poi, guardò dentro il calderone e sorrise tra sé, soddisfatto. «È pronto in tavola, a quanto pare» commentò, quindi, versando quell’intruglio in un bicchiere per dirigersi ancora una volta nella stanza accanto.
 


***
 


You let me into a conversation
A conversation only we could make
You’re breaking into my imagination
Whatever’s in there is yours to take
 

Margaret fece scivolare con noncuranza la porta della sala da pranzo, ignorando il suo cigolio.
Suo padre l’aveva vista passare per il corridoio, spedita e tesa, e le aveva chiesto cosa fosse successo; aveva abbandonato l’idea di ottenere una risposta quasi immediatamente dopo, scoraggiato di fronte al suo svogliato cenno di diniego con il capo.
Stanca, si sedette e abbandonò i piedi sul tavolo, infischiandosene di mantenere anche solo un briciolo di femminilità; certamente, questo non le sarebbe comunque servito a placare il malumore, né tantomeno a scacciare quella fastidiosa quanto tempestiva vocina che, dentro la sua testa, si prendeva gioco di lei.
Rimase immobile, immersa nell’agognato silenzio di quella stanza, mentre gli occhi erano fissi sulle sue gambe, avvolte da quel paio di jeans scuri che mai come in quell’occasione aveva sentito tanto scomodi addosso.
Sbuffò, pensando a quanto ne avesse abbastanza di quel giorno. Era stato un continuo susseguirsi di trambusti, di atteggiamenti insofferenti, di indomabili emicranie; a quel punto, non le restava che sperare che quelle ore che la separavano dal suo morbido e accogliente materasso passassero presto, anche se credeva che neanche il sonno sarebbe riuscito a interrompere l’incessante flusso di considerazioni che stava investendo la sua mente.
Non capiva se avesse più voglia di prendere a pugni Fred – insieme alla sua apparente incapacità di azionare il cervello prima di parlare – o se stessa, ben conscia che anche lei, in tal senso, aveva diverse cose da farsi perdonare. Provò a mettersi nei panni del ragazzo, a immaginare cosa dovesse significare sentirsi costantemente gli occhi di qualcun altro addosso, come in attesa di un qualsiasi passo falso, di un qualsiasi tentennamento, di una qualsiasi umana debolezza.
Era davvero così, lei? Una temibile figura dittatoriale sempre all’erta, pronta a dettar legge su ogni cosa e in ogni circostanza?
Tormentata da questo dubbio, iniziò a odiarsi e a scavarsi dentro con rabbia.
Lei era il carnefice che, in maniera subdola, si calava nella parte della vittima, interpretandola con tanta maestria da riuscire a confondere chi, invece, era costretto a viverlo, quel ruolo. Un aguzzino senza scrupoli o sensi di colpa; si chiese se fosse davvero possibile, la redenzione.

Sollevò il viso solo quando sentì la porta della sala da pranzo chiudersi con delicatezza; Fred la osservava, attento alle sue mosse, probabilmente indeciso se avanzare o meno in quel territorio pericoloso, fatto di parole non dette e di pensieri che non potevano essere annientati.
«Cosa ci fai qui?» Meg ruppe il silenzio, ma pensava di conoscere già la risposta.
Fred si avvicinò a prese posto di fronte a lei, sospirando. «Tua nonna mi ha esiliato dal salone.»
«Prevedibile» commentò lei, svogliata, sedendosi in maniera più composta; le servirono diversi secondi per trovare il coraggio di ricambiare il suo sguardo. «La chiamerebbero Sindrome di Stoccolma, sai?»
«Cosa?»
Margaret incurvò le labbra in un sorriso amaro; i suoi occhi sembravano gridargli di salvarsi. «La tua masochistica ostinazione ad amarmi.»
«Non mi importa» disse lui, deciso, afferrandole una mano prima che lei potesse anche solo programmare di ritirarla. «Quello che ho detto – anzi, che non ho detto...» provò, intensificando la presa, ma lei lo interruppe con così poca grinta, con tanta assenza d’animo da spiazzarlo. Era come se di fronte ai suoi occhi vi fosse un’altra donna.
«Lo so, Fred» annuì piano, tornando a fissare la superficie legnosa del tavolo. «Non sono arrabbiata con te, infatti. Ce l’ho solo con me stessa: forse ti ho chiesto troppo.»
«Cosa...» Fred tentò ancora, confuso, ma fu interrotto una seconda volta con la stessa scarsa vitalità di prima.
«Hai ragione su tutta la linea: sono tanto insopportabile che io stessa ho difficoltà a convivere ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, con una persona come me. Sono prepotente, è vero, e sono anche permalosa. Lunatica, aggressiva, acida, e chi più ne ha più ne metta. Ultimamente, poi, sono ancor peggio di quanto già non fossi.»
«Sei chiusa in questa casa da sette mesi e mezzo, Meg!» protestò lui, cercando i suoi occhi per incatenarli ai propri. «E non dormi come si deve da questo inverno. Sei stressata, siamo stressati. Forse non riesci a capire quanto male ti stia facendo tutto questo.»
Margaret scosse la testa, mentre la sua mano non impegnata iniziava a torcere con impazienza qualche ribelle ciocca di capelli. Non poteva neanche immaginare quanto lui avesse ragione: quella guerra faceva leva sui suoi punti deboli, pressava sui suoi nervi scoperti con l’unico scopo di annientarla, e ne stava dando l’ennesima dimostrazione.
«Per i miei modi tirannici, non voglio attenuanti. Ho un carattere di merda, e l’ho sempre saputo» disse, provando a ignorare quel nascente fastidio alla gola, che aveva appena cominciato a bruciare. «Giuro che ci ho provato, a cambiare, ma non ci sono riuscita. Se sono questa, se sono così, un motivo dovrà pur esserci.»
«Meg» la richiamò Fred, sporgendosi maggiormente verso di lei, ma venne ignorato.
«Sono stata una stupida egoista a pretendere che tu sopportassi, accettassi questa parte di me così controversa... e sono stata una stronza, perché non ho neanche provato a facilitarti questo compito, a renderlo meno gravoso» Margaret continuava a sputare fuori quelle parole dopo averle masticate con lentezza, dopo averne assaggiato quell’amara consistenza che le rendeva troppo pesanti da digerire. «Sono un disastro ambulante, condannata a non poter mai migliorare la mia condizione. Così facendo, penso, ho condannato anche te.»
«Meg» Fred stavolta alzò il volume della voce e scosse la mano che stringeva quella della giovane strega. Non voleva ascoltare altro, non voleva che lei continuasse a vomitare quella valanga di pensieri, perché difficilmente questo l’avrebbe fatta stare meglio.
Lei, però, si comportò come se non lo avesse udito. «Voglio che tu sappia che non trattengo nessuno. Non ti obbligo a rimanermi accanto, non ti obbligo a sorbirti le mie ridicole sfuriate immotivate, non ti obbligo a sorreggermi quando non ho più le forze» trattenne il respiro, pregando quelle maledette lacrime di non uscire. «Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»

Margaret mosse qualche passo incerto verso la finestra, ma lo stridio di una sedia appena spostata la convinse a fermarsi, allo stesso modo della mano che si strinse attorno al suo polso.
Fred la attirò a sé con poca grazia, e ciò parve sortire l’effetto desiderato: negli occhi arrossati e senz’altro stupiti della ragazza, sembrava finalmente essersi riaccesa un po’ di vita. «Per una buona volta, Margaret» approssimò il viso a suo, tanto vicino da respirarne lo stesso ossigeno, «sta’ zitta».
Le catturò le labbra in un bacio, portando la mano libera dietro la sua nuca, tra i capelli ormai sciolti, per tenerla ancora più inchiodata a sé. Abbandonò il suo polso quando sentì crollare le sue iniziali resistenze, così da poterle cingere i fianchi in una stretta che, esattamente come quel bacio, per lei aveva tutto il sapore dello zucchero da mettere sulle ferite, cosicché potessero rimarginarsi più in fretta.
Ansante, Meg scostò il viso e si sentì vulnerabile come poche altre volte le era capitato in vent’anni di esistenza. «Fred, io...»
Lui le sorrise dolcemente e, in silenzio, sembrò chiederle di ricambiare il suo sguardo senza alcuna vergogna; una volta incontrati, Fred non poté evitare di pensare che quegli occhi verdi facessero un casino tremendo in ogni loro singola sfumatura. «Sai che ho una passione per i disastri» sussurrò, accarezzandole i capelli disordinati. «E tu sei di gran lunga il mio disastro preferito.»

Aspettò di vedere nascere un caldo e spontaneo sorriso sul suo volto, prima di baciarla di nuovo.
Lei rispose con trasporto e gli strinse i capelli tra le dita, giocando con essi come fossero argilla da modellare a suo piacimento. Presto, avvertì la propria schiena cozzare con non molta delicatezza contro la parete, mentre i respiri si facevano più affannosi e quell’assaporarsi a vicenda non poteva più bastare a soddisfare il desiderio che avevano l’uno dell’altra.
Lui iniziò a slacciarle i primi due bottoni dei jeans, impaziente come un adolescente alle prime armi, con la mente totalmente annebbiata dal modo in cui la bocca di Margaret giocava capricciosamente e con studiata lentezza sul suo collo. Si riappropriò con foga delle sue labbra, quasi a volerne rivendicare il possesso, mordendole per lasciarvi traccia del proprio ripetuto, incessante passaggio; le sue mani iniziarono a scivolare con decisione su quel corpo che ardeva, che sembrava chiedergli sempre di più, e gli ansimi che ne derivavano risuonavano nelle sue orecchie come un richiamo dolcemente irresistibile ad ascoltarne di nuovi, e ad ascoltarne ancora.
Fremente, senza mai abbandonare la sua bocca, si adoperò per abbassarle quei pantaloni di troppo, ma non ebbe neanche il tempo di raggiungere l’elastico degli slip che il sordo rumore della porta appena richiusa – preceduto da un “Ops!” profondamente imbarazzato – lo costrinse a separarsi da lei, le cui guance infuocate davano l’impressione che avesse bevuto diversi bicchieri di vino elfico di troppo.
Di fronte all’espressione stravolta di Margaret – che non doveva essersi accorta di niente –, Fred capì di dovere delle spiegazioni. «Qualcuno è entrato e...» scosse la testa e prese fiato, ancora tutt’altro che lucido, «ed è uscito subito dopo.»

Meg stava per esclamare qualcosa di davvero poco elegante, ma delle voci provenienti dal corridoio all’esterno attirarono d’improvviso tutta la loro attenzione.
«Come ti è saltato in mente di aprire quella porta senza bussare?» era senza ombra di dubbio Abigail, stridula, che per la seconda volta in meno di un anno doveva essersi ritrovata ad assistere a qualcosa che – ne era convinta – l’avrebbe segnata per il resto della sua vita. Peccato che in quest’ultima occasione la colpa non fosse proprio sua.
«Volevo solo accertarmi che non si fossero accoltellati a vicenda e che fossero ancora vivi!» protestò George con vigore, e i due dentro la sala da pranzo erano certi che, senza volerlo, fosse arrossito.
«Oh, se può rassicurarti, mi sono sembrati molto più che vivi! Mi stupirebbe se non tentassero di scuoiare proprio te, piuttosto!» continuò Abigail in tono acidulo, picchiettando con le nocche sulla porta. «Possiamo entrare?»
Meg, per come poté, si diede una sistemata e raccolse i capelli alla bell’e meglio. «Quando volete!» li invitò con impressionante disinvoltura, al che Fred rise tra sé e scosse la testa con fare allegro, osservandola mentre occupava una delle sedie.

George e Abigail, fulminei, entrarono nella stanza e richiusero la porta. La ragazza, com’era prevedibile, era livida.
«Dovete scusarlo, ma ha la stessa attività cerebrale di un mollusco» mormorò a denti stretti, trucidando George con lo sguardo. Questi, però, allargò il viso in un sorriso beffardo e si appoggiò al muro, incrociando le braccia.
«Spiacente, blondie, ma devo dissentire» disse, tornando a guardare il fratello e l’amica con aria dispettosa. «Nel caso in cui l’aveste dimenticato, il primo e il secondo piano sono pieni di camere. Non mi sembra che la sala da pranzo sia il posto migliore per i vostri incontri ravvicinati.»
Fred, allora, ricambiò quel sorriso eloquente e si sedette sul bordo del tavolo, per nulla stupito di quell'osservazione. «Disse Mister “Facciamolo in cucina, dai”.»
Margaret scoppiò a ridere, mentre sua cugina impallidiva e dava l’impressione di volersi scavare la fossa per morirci dentro dalla vergogna e George, spiazzato, si colorava sempre più di rosso man mano che gli istanti passavano.
«Io non l’ho mai detto» mentì, grattandosi la nuca, ma il ghigno perfido del gemello parlava fin troppo chiaro.
«Sì che l’hai detto. Ti ha sentito Meg.»
«Cosa ci facevi, tu, sveglia a quell’ora?» chiese inevitabilmente Abigail, stizzita, guardando la ragazza in cagnesco: non avrebbe potuto quantomeno tenerselo per sé, anziché spiattellarlo in giro?
Margaret continuò a sorridere apertamente e sollevò le sopracciglia, divertita. «Dovevo andare in bagno. Non immaginavo potesse essere così pericoloso.»
 


***
 


I was told I’d feel
Nothing the first time
You were slow to heal
But this could be the night
 

Successe all’improvviso, senza che nessuno potesse prevederlo.  
Avevano terminato di cenare da poco più di un paio d’ore quando Margaret, seduta su un divano del salone insieme agli altri, fu costretta a lasciare il piccolo Richard alle braccia della madre, avvertendo un fastidioso bruciore interessarle il lembo di pelle coperto da una delle tasche dei jeans.
Vi infilò la mano e ne estrasse pigramente il suo galeone falso, risalente ai tempi delle riunioni dell’Esercito di Silente; aveva preso l’abitudine di portarlo sempre con sé, a ogni ora del giorno e in qualunque stanza si spostasse, intenzionata a non perdersi neanche una delle informazioni che gli altri vecchi membri dell’ES non avevano mai tardato a far circolare. In effetti, non vi si era mai separata dal giorno in cui, qualche mese prima, lei stessa si era affidata a quell’ingegnoso mezzo per comunicare agli amici la nascita di Believe the Truth, sulla scia dell’annuncio di Lee della prima messa in onda di Radio Potter. Era un modo per rimanere in contatto, per sentirsi vicini nonostante la lontananza e le avversità, per rassicurarsi gli uni con gli altri che la lotta e la resistenza non si sarebbero mai estinte.
Portò la moneta di fronte agli occhi, curiosa di sapere cosa fosse successo, ma ciò che lesse la fece rimanere di sasso: poche parole, fin troppo chiare, che in nessun modo avrebbero potuto essere fraintese. Sapeva, però, che difficilmente le cose sarebbero state così semplici come avrebbero voluto presentarsi.

«E così Alicia le ha detto: “Meg, sul serio, non puoi lanciare cacca di drago contro la porta dell’ufficio della Umbridge!”» raccontò George, continuando a far ridere i presenti con una serie di aneddoti del loro ultimo anno a Hogwarts. Nessuno si era accorto del mutamento di espressione della giovane, che da divertita e rilassata era appena diventata molto tesa; neppure Abigail, che stringeva affettuosamente il braccio del ragazzo, mentre con l’altra mano si asciugava le lacrime causate dalle eccessive risate silenziose.
«E lei ha risposto: “Allora vorrà dire che la lancerò contro la tua testa, se non ti dispiace”» proseguì Fred, incentivando l’ilarità generale. Si appoggiò contro lo schienale del sofà e si rivolse a Dorian, seduto proprio di fronte a loro. «E forse tu non sai che abbiamo innescato una Palude Portatile nel bel mezzo di un corridoio!»
«Aspettate, io andavo al terzo anno, me lo ricordo!» esclamò Lancelot, gasato, quasi balzando in piedi sul cuscino. «Fosse stato per Vitious, vi avrebbe fatto un monumento!»
«Fermi, io questa storia non la conosco!» constatò Abigail, lanciando a George uno sguardo trasudante di interesse. Lui le cinse le spalle e sorrise con soddisfazione al ricordo di quel glorioso momento.
«Ve la racconterà Meg, vi piacerà» disse, guardando l’amica, ma solo allora si accorse del piccolo oggetto che questa stava fissando, rigirandolo tra le dita. «Meg?»
«Cosa c’è scritto?» chiese Fred immediatamente, poiché doveva aver capito che si trattava del galeone falso dell’ES.
Margaret, dopo aver sollevato lo sguardo per un breve istante, lo riabbassò sulla moneta d’oro finto per leggere quanto vi era riportato. «”Harry è tornato, si combatte”. Questa sì che è una notizia» disse, guardandosi attorno per registrare le reazioni sbigottite di tutte quelle altre persone comodamente sedute nella stanza.

Ci furono diversi secondi di spiazzamento, trascorsi i quali Fred fece un gran sorriso. «Ma è fantastico
«Scusa?» commentarono Meg e Abigail all’unisono, per poi scambiarsi delle occhiate sbalordite.
George, d’altra parte, annuì con convinzione, condividendo il punto di vista del fratello. «Sappiamo che è vivo, e finalmente avremo l’opportunità di mandare via Piton e quei simpaticoni dei Carrow...»
«...a forza di calci nelle loro chiappe pallide, sì» completò Fred per lui, sotto lo sguardo stupito di Margaret. Prima ancora che questa potesse rispondere, suo cugino Lancelot decise di saltare giù dal divano e di esibirsi in ululati di pura gioia.
«Stasera si fa baldoria, gente!» esultò, in preda a un attacco di ipereccitabilità, mentre Alexander – in braccio a un Desmond a dir poco sgomento per via della scenetta del figlio minore di sua sorella – lo scrutava con diffidenza, come se di fronte ai suoi occhi si trovasse un esemplare particolarmente stupido di macaco irlandese.
«Prego?» fu proprio l’uomo a parlare, dando distrattamente degli affettuosi buffetti sulla guancia del piccolo nipotino, come a volergli suggerire di non dare mai troppa confidenza a quello strano cugino di secondo grado.
Quest’ultimo fece finta di non averlo sentito e proseguì indisturbato. «Aspetto questo giorno da mesi, vi rendete conto?»
«Lance, frena» lo richiamò Meg, intimandolo di riprendere posto; dopodiché, guardò i gemelli con un mezzo sorriso divertito con il quale, tuttavia, non riuscì a nascondere una piccola vena canzonatoria. «Voi l’avete capito che, con Harry al Castello, Voi-Sapete-Chi e la sua allegrissima combriccola non ci metteranno molto a raggiungerlo e a farci la festa, vero?»
«Sapevamo che alla fine sarebbe successo, meglio prenderla con lo spirito giusto e cercare di metterne fuori gioco il maggior numero possibile» commentò Fred, scrollando con leggerezza le spalle, salvo poi indirizzarle un sorriso sornione e farle l’occhiolino. «O forse hai paura, Pasticcino
Lei non poté trattenersi dal ridere. «Paura? Io? Ma per piacere!» disse, sventolando la mano con noncuranza, ma sapeva di non essere stata del tutto sincera: forse non aveva paura per se stessa, ma certamente ne aveva per le persone che amava; anche a costo di privarle delle bacchette e rinchiuderle in una stanza, avrebbe preferito andare a Hogwarts da sola, anziché osservarle mentre rischiavano le proprie vite. 

«Muoviamoci, allora!» fece George, sempre più entusiasta, alzandosi. Gli altri lo imitarono, ma Abigail parve improvvisamente ricordarsi di un piccolo compito da svolgere.
«Aspettate altri cinque minuti: provo a mettermi in contatto con i Pedersen, io e Savannah abbiamo sperimentato una cosa molto simile a quel galeone falso» spiegò, sparendo oltre la porta della cucina.
Vittoria, al tempo stesso, si avvicinò frettolosamente a una delle finestre, sfoderando la bacchetta. «Io cercherò di avvertire l’Ordine, avremo bisogno di parecchi rinforzi.»
«Noi dovremmo decidere chi rimarrà qui insieme a Lance e ai bambini» considerò Margaret, afferrando la bacchetta posata sul tavolino per infilarla nella tasca del jeans. Il cugino, nell’udire quelle parole, istantaneamente smise di gongolare e si voltò lentamente verso di lei, convinto di aver sentito male o di aver avuto una qualche ridicola allucinazione.
«Margarina cara, potresti ripetere?» domandò in un tono quasi isterico, mentre Fred e George iniziavano a ridere a causa di quel nuovo nomignolo che – manco a dirlo – non avrebbero esitato un solo istante a riproporre.  
Sul volto di Meg, invece, comparve un eloquente ghigno beffardo che non lasciava alcuno spazio all’immaginazione. «Tu non andrai da nessuna parte, stasera.»
«Non puoi impedirmelo!» sbottò Lancelot, risentito, ma l’imporporarsi delle sue guance contribuì solo a renderlo terribilmente buffo. «Non puoi negarmi tutto il divertimento!»
«Il massimo del tuo divertimento, questa notte» s’intromise Desmond, posandogli una mano sulla spalla, «sarà una maratona di scacchi con Willow. Tua madre potrebbe uccidermi nella maniera più atroce e dolorosa se ti portassimo con noi.»
«Ma zio!» si lamentò il giovane, guardandolo con fare supplichevole. Ci pensò il fratello maggiore a porre fine ai suoi tentativi, che si sarebbero comunque rivelati nient’altro che vani.
«Zio Des ha ragione, Lance. Sei minorenne, non puoi venire con noi.»
«Dorian!» il ragazzo soffiò via una ciocca di capelli castani che gli era caduta sugli occhi, profondamente offeso. «Siete ingiusti! Cosa accidenti dovrei fare io qui?»
«Il baby-sitter! Sai cambiare un pannolino?» fece Meg, gustandosi l’espressione sempre più sconvolta del cugino, che non tardò a spalancare teatralmente le braccia.
«No
«Be’, c’è sempre una prima volta» commentò Fred, facendo spallucce.
Lancelot stava per esplodere dalla rabbia – come lasciavano intendere tutte le sfumature umanamente possibili di rosso di cui il suo viso si stava via via tingendo –, quando Julia gli accarezzò i capelli con tenerezza. «Non preoccuparti, tesoro. Qualcuno rimarrà con te, non potresti cavartela da solo.»
«Bella consolazione, nonna» brontolò lui, allontanandosi dal gruppetto per sprofondare con scarso entusiasmo nel divano.
«Piccolo viziato incosciente! I ragazzini come lui mi fanno rimpiangere con tutta l’anima i tempi in cui andavano di moda le frustate» disse Vittoria a bassa voce, una volta che ebbe inviato il maggior numero di Patronus a quanti più membri dell’Ordine le fu possibile. «E quindi? Chi altri non ci sarà? A quel signorino non affiderei neanche un cactus, figuriamoci due marmocchi.»
«Rimarrò io» annunciò Gloria, sorprendendoli. Aveva uno sguardo triste che testimoniava quanto duro dovesse essere stato prendere quella decisione, ma sapeva che era l’unica cosa che avrebbe potuto e dovuto fare. «Sono un’Auror, ho delle responsabilità, e probabilmente dovrei già essere in viaggio per il Castello, ma non posso lasciare Richard a qualcun altro. È troppo piccolo, ha bisogno di me» si asciugò rapidamente una lacrima che stava per nascere, prima di guardare il marito e la figlia con apprensione. «Non avere vostre notizie mi ucciderà, ma ho fiducia in voi. Sangue freddo, e non abbassate mai la guardia.»
«Come mi hai insegnato» annuì Margaret con un sorriso dolce, abbracciandola.
Sapeva che stava facendo la cosa giusta, e ciò non poté che far accrescere in lei l’ammirazione che provava nei confronti di sua madre; era in momenti come quelli che pensava che, forse, fossero necessari più coraggio e forza d’animo per guardare la propria famiglia uscire di casa e andare a combattere, anziché per prendere personalmente parte all’azione. L’ansia dell’attesa, l’angoscia di non sapere, la paura di non rivedere mai più quei volti tanto amati: erano tutte emozioni che, suo malgrado, lei stessa aveva già provato; era esattamente per questa ragione che poteva capire quanto quella donna, che era sempre stata il suo più grande esempio di vita, stesse soffrendo nel lasciarli andare senza di lei.
«Qualunque cosa accada, voglio che tu sappia che sei il mio più grande orgoglio» le sussurrò Gloria, dandole un bacio sulla fronte. Poi, la donna abbracciò anche Desmond, che ricambiò la stretta e con le labbra le sfiorò i capelli, inalandone il familiare profumo di vaniglia. «Abbi cura di te, Dezi. Ti prego.»
«Starò attento. Te lo prometto» provò a rassicurarla, accarezzandole delicatamente una guancia, mentre un ritrovato calore gli riscaldava il petto; non si sentiva appellare con quel soprannome da quasi vent’anni.

«Abbiamo avvertito la Veela Family, possiamo andare» li informò Abigail, ritornando in salone, seguita da George, che l’aveva raggiunta qualche minuto prima per offrirle aiuto. Tuttavia, i capelli improvvisamente in disordine della prima – così come l’improbabile e sbiadita macchia di rossetto vicino all’angolo della bocca del ragazzo – lasciavano pensare che, in realtà, quei due non si fossero semplicemente limitati a contattare i Pedersen.
«Ci avete messo parecchio, vedo» osservò Fred con finta innocenza, sghignazzando. Considerò ammirevole come quei due, anche in una circostanza come quella, riuscissero sempre a trovare il modo e il tempo di nascondersi da qualche parte per pomiciare come due adolescenti in piena tempesta ormonale.
«Sì. Cioè, no. Insomma, hai capito» farfugliò lei, arrossendo e sistemandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio, paonazzo anch’esso.
Fred continuò a scrutarli maliziosamente. «Veramente no.»
George fece finta di non aver sentito, avviandosi verso la porta del salone che conduceva al corridoio d’ingresso. «Vogliamo andare, fratellino
«Prima devo scambiare due parole con il mio unico erede» disse il primo, così prese in braccio Alexander e gli rivolse uno sguardo furbo, cui il piccolo rispose con una tenera risata divertita. «Devi fare in modo che nonna Gloria non pensi a noi, intesi? Ti autorizzo a farla impazzire, mentre siamo via; non dovrebbe esserti difficile, in fondo ce l’hai nel sangue.»
«Noi torneremo presto, promesso» aggiunse Margaret, che si era appena avvicinata e ne aveva approfittato per sfiorare la testolina di suo figlio, posandovi poi un bacio. Sentiva un nodo stringerle la gola al pensiero di doversi allontanare da lui per avventurarsi in quella che, a tutti gli effetti, aveva l’aria di un’impresa suicida, ma non poteva cedere; era anche e soprattutto per quei grandi ed eternamente curiosi occhi azzurri che aveva deciso di lottare e non arrendersi, affinché essi potessero guardarsi attorno e vivere quel mondo senza averne mai paura. «Ti amiamo infinitamente.»   
  
 


If there is a light you can always see
And there is a world we can always be
If there is a kiss I stole from your mouth
And there is a light, don’t let it go out

 
1: Margaret, in effetti, ha un precedente non molto felice con i Fondenti Febbricitanti. Trovate l’episodio nella OS Tutta colpa di quei maledettissimi Fondenti Febbricitanti (e il titolo già parla da sé). Una piccola connessione con il passato che non ho potuto fare a meno di inserire.


- Angolo dell’autrice

Ed eccoci qui, miei carissimi (nella speranza che qualcuno abbia avuto il coraggio di arrivare fino alla fine di questa... di questa cosa)! 
Miracolosamente puntuale, vi porto il nuovissimo capitolo. La mia intenzione sarebbe stata pubblicarlo domani o dopodomani, ma tra valigie da preparare e ultime cose da mettere a posto non avrei avuto tempo. Volevo comunque lasciarvi qualcosa prima di partire, e dunque ecco a voi questo aggiornamento di ben tredici pagine – e ho anche tagliato delle scene, giusto per farvelo sapere. Non ho il dono della sintesi, a quanto pare (e ne riparleremo dopo). :D
Voglio fare una premessa: ci sono molte cose di questo capitolo che non mi convincono del tutto. Perché l’ho pubblicato, allora? Perché, nonostante abbia provato a rivedere delle parti, addirittura a riscriverle da capo, a sbattermi la testa contro la tastiera pregando per un’illuminazione, non sono riuscita a fare di meglio, e dubito che le cose sarebbero cambiate se avessi lasciato passare qualche tempo. Sta di fatto che la prima parte e la terza, ad eccezione di qualche elemento, mi fanno mettere le mani ai capelli e mi fanno domandare: perché è tutto così maledettamente confusionario?

InsideJules: Forse perché stai descrivendo delle scene che, in effetti, di calmo e tranquillo hanno ben poco? Potrebbe essere una cosa voluta, anche se inconsciamente.

Anyway, andiamo per punti.
Ho voluto aprire il capitolo in maniera un po’ diversa dal solito, piazzando questa figura apparentemente sconosciuta che cammina per le vie di Londra, persa nei suoi pensieri. Mi divertiva l’idea di insinuarvi il dubbio e farvi chiedere “chi sarà mai questa tizia?”. Sarei curiosa di sapere se qualcuno di voi ha pensato fin da subito che potesse trattarsi della nostra Abigail, o comunque quali sono state le vostre ipotesi. ;)
Poi, abbiamo ritrovato il piccolo Richard (
♥_♥), Desmond e Gloria, quel gran figo il cugino Dorian e abbiamo fatto la conoscenza di Lancelot – o Lance, chiamatelo come ve pare –, che – devo necessariamente dirlo – immagino come il classico ragazzino un po’... be’, non so definirlo, per cui riprenderò le parole del testo e lo classificherò come“un esemplare particolarmente stupido di macaco irlandese” (e diciamo che, da quando mio fratello si è deciso a portare a casa i suoi amici, ho avuto modo di osservare i comportamenti di questa strana specie da vicino). Nulla contro i macachi e gli irlandesi, solo l’ho scritto di getto e queste due parole sono state le prime a venirmi in mente – un po’ come quando mio padre mi disse che sono petulante come un cammello giapponese, il che non ha assolutamente senso e forse è per questo che fa ridere.

Ma passiamo al caso psicologico di questo episodio (ditemi che non l’ho detto davvero), facilmente rintracciabile nella crisi di nervi della cara, perfettamente stabile, Margaret.
Era inevitabile che, prima o poi, crollasse anche lei. Sotto assedio da mesi, costretta a rinunciare al suo lavoro per salvarsi la pelle, afflitta dai sensi di colpa causati dall’aver messo in pericolo la sua famiglia (a proposito, la Giselle Edwards di cui parlano Abigail e Dorian è proprio la ragazza di quest’ultimo, dovrei averla menzionata in uno dei capitoli del matrimonio); è esausta, ma chi non lo sarebbe? La guerra è guerra, c’è poco da discutere, e un clima simile rischia di creare astio e conflitti anche tra persone che stanno dalla stessa identica parte, e alimenta tensioni che possono portare a fare o a dire cose che in realtà non si pensano; nel mio piccolo, ho provato a rendere questo aspetto, prendendo una piccola cosa, una semplice discussione, e ingigantendola.
Che poi Fred, oggettivamente, stesse per dire una cazzata (questi maschi!) è innegabile, ma possiamo passarci sopra.
- Con un autocarro?
Meg, per Godric, non ho parole.

E poi c’è Vittoria, che... be’, devo davvero descriverla? Dico solo che aspettavo con ansia il momento in cui l’avrei fatta sbroccare, e tra Fred e Lancelot le ho offerto diversi motivi per dare il meglio di sé. :D

La seconda parte del capitolo è quella forse più introspettiva, ed è quella che preferisco. Ci ho riflettuto molto, e mi sono resa conto che è proprio nei momenti più duri che tendiamo a guardarci dentro con più attenzione e consapevolezza. È esattamente quello che fa Margaret, e qui ci ricolleghiamo al discorso fatto poc’anzi: sta attraversando un periodo di crisi – anche se non vuole ammetterlo né a se stessa, né a chi le sta accanto – e ha bisogno di ritrovarsi, persino a costo di distruggersi e sprofondare in quegli aspetti negativi del suo sé che tanto odia, ma che non può lasciare andare perché costitutivi della sua personalità. Ci passiamo tutti, inutile negarlo, ma il bello sta proprio nell’andare oltre, che è qualcosa di più dell’andare semplicemente avanti.
Lo so, l’Università danneggia gravemente me e chi mi sta attorno. Pensate che casino se alla fine avessi davvero scelto Filosofia. Santo Merlino.

Sulla terza parte, per l’esattezza, non so bene cosa dire, dato che in fin dei conti mi sembra tutto abbastanza lineare.
Mi sembra scontato, comunque, sottolineare che nel prossimo capitolo ritroveremo i Pedersen *ehm-ehm*.

Ed è proprio a proposito del prossimo capitolo che riprendiamo la questione della mia scarsissima capacità di sintesi. Lo dico perché, miei cari, ho già scritto una dozzina di pagine, ma non ho ancora finito; mi sembra assurdo dire che toccheremo la ventina, anche perché sono arrivata a un punto in cui la narrazione dovrebbe velocizzarsi, ma mi conosco troppo bene e quindi mai dire mai. È per questo che vi chiedo: nel caso in cui dovessi superare le quindici/sedici pagine, preferite che pubblichi comunque il capitolo per intero o che lo divida? Tenete conto che i toni delle prime quattro pagine e mezzo saranno molto più leggeri – ci ritroviamo nella Stanza delle Necessità – rispetto ai successivi. Possiamo dire che si passerà senza un minimo preavviso da un’atmosfera a un’altra, quindi il cambiamento a un primo impatto potrebbe risultare un po’ “stonato”, ma l’intenzione è esattamente questa. Dobbiamo comunque considerare che buona parte del capitolo sarà, passatemi il termine, “Meg-centrico”, con tutte le introspezioni del caso – e flashback a mai finire –, quindi non si può certo dire che abbia deciso di puntare sulla leggerezza. Per dire, ci sono piccole parti che mi hanno richiesto più di un’ora di “lavoro” e di riflessione affinché risultassero esattamente come le volevo, e che in altre occasioni avrei buttato giù in dieci minuti scarsi.
Quindi, a voi la scelta:

1 – Pubblico il capitolo per intero;
2 – Lo pubblico in due volte, dividendo le prime quattro/cinque pagine dalla parte successiva, più “intensa”;
3 – Lo pubblico in due volte, dividendolo a metà;
4 – Mi do all’ippica.

E finalmente scopriremo quale sorte toccherà a quel poveraccio di Fred (e non solo a lui, sia chiaro). Questa è l’ultima occasione che avete per recapitarmi le vostre minacce via posta, e-mail, sms, Whatsapp, Twitter, Instagram, Facebook, chiamate nel cuore della notte, appostamenti sotto casa e soprattutto recensioni. Sfruttatela bene. 
♥ 

Adesso che ho terminato di scrivere idiozie, possiamo passare ai credits: il titolo è di Roberto Gervaso, mentre la canzone è Song for Someone, degli U2.

Ringrazio:

Angel_MaryAnnA Black, aurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_Mi, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, huntingwithwolves, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, ladywLuna Paciock, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSikOrma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_SSoleil Jonestenna96, TheDarkAngelvalepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

And RiddleCalypso_EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa AntaresMoon95orange_weasley, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael,  _Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

Azazel_Frederique Blackhuntingwithwolves, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, Luna Paciock, maryanne armstrongmax85, Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares, che ha recensito il capitolo precedente. 


E devo ringraziare anche Trash Italiano per buona parte delle gif che inserisco, prima o poi cadrò giù dalla sedia.

Non so dirvi con precisione quando pubblicherò il prossimo capitolo: devo ancora ultimarlo, e se ciò non fosse bastato tra poco ricominceranno le lezioni all’Uni e sarà tutto un gran casino. Comunque sia, se pubblicherò in due parti, la prima dovrebbe arrivare tra un mesetto e la seconda entro la prima o la seconda settimana di novembre. Se a fine ottobre dovessi ancora risultare dispersa, aspettatevi la pubblicazione in unica soluzione (manco stessi andando a pagare le tasse) sempre entro la seconda settimana di novembre.  

InsideJules: Non si è capito una mazza, sappilo.

Per qualsiasi critica, parere sul capitolo, suggerimento, dubbio, curiosità e via discorrendo, sapete come contattarmi.
Non mi resta che salutarvi e mandarvi un abbraccio fortissimo. 
♥ 

A presto, 
Jules ♥ 

- Dal prossimo capitolo:

1.

«Miei dolci amori, credo sia arrivato il momento di chiudere quelle bocche spalancate e di ricomporvi. Neanche il cane dei miei genitori sbava in maniera tanto indecorosa!» le stuzzicò Dorian, scrutandole con un sorriso allegro e canzonatorio a incurvargli le labbra.
Meg arrossì di nuovo – solo più violentemente di prima – e gli lanciò un’occhiataccia di sbieco. «I tuoi genitori non hanno un cane.»
Il ragazzo scrollò le spalle con noncuranza e le arruffò i capelli. «Dettagli irrilevanti, il concetto non cambia» disse pigramente, per poi voltarsi a guardare Abigail con una strana espressione complice. «Credo ti interesserà sapere che ho appena intravisto la cara Virginia Anderson.»
«Dorian!» sbottò Margaret, colpendolo al braccio con uno schiaffone. «Per l’amor di Merlino, ti sembra il caso?» lo rimproverò, occhi sbarrati e voce in un sussurro isterico, quasi non riuscendo a credere che l’avesse fatto per davvero.

2.

Nonostante questa terribile consapevolezza, decise di uscire allo scoperto e di continuare a lottare: l’alternativa sarebbe stata lasciare che fosse proprio il nemico a trovarla, e lei non poteva permettere che ciò accadesse; l’orgoglio era ciò che di più pressante aveva sempre avuto, e l’orgoglio era ciò che avrebbe difeso fino al suo ultimo respiro.
Le gambe si mossero da sole, inconsapevoli, dopo che la schiena fu riuscita a scollarsi dalla parete e da quel senso di protezione che da essa, in minima parte, era riuscita a trarre; abbandonò quel porto che sicuro sarebbe rimasto ancora per molto poco e manifestò la sua presenza a quella minacciosa figura maschile incappucciata e stagliata in fondo al corridoio.
Questa la squadrò da capo a piedi e scosse la testa con disappunto. «Troppi Purosangue che non sanno da che parte devono stare.»
Meg soffiò via una ciocca di capelli cadutale sul viso e guardò il suo avversario con fare sprezzante. «Io sto esattamente dalla parte per la quale vale la pena di lottare.»
 

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Capitolo 27
*** Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti; amare profondamente ci rende coraggiosi (I) ***


 

Capitolo 27




Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti;
amare profondamente ci rende coraggiosi (I)

 
 

Every breaking wave on the shore
Tells the next one there’ll be one more
And every gambler knows that to lose
Is what you’re really there for
 


«Ah, la cara Hogwarts! Un po’ mi mancava, devo ammetterlo.»
La Stanza delle Necessità continuava a riempirsi di gente: membri dell’Ordine o dell’Esercito di Silente che fossero, ognuno di loro era pronto a dare il proprio contributo e a combattere fino alla fine.
Harry, accompagnato da Luna alla Torre di Corvonero, si era allontanato solo un paio di minuti prima, ma durante quel brevissimo lasso di tempo il passaggio segreto che conduceva al Castello dalla Testa di Porco non aveva avuto tregua.
Si avvertiva la tensione in tutte quelle espressioni febbricitanti, ma anche una scalpitante e profonda determinazione; la stessa di chi ha appena acquisito la consapevolezza di trovarsi di fronte a un punto di svolta, e che sarà dunque necessario impiegare tutte le proprie forze per determinare quell’attesa deviazione nella direzione di quel nefasto corso degli eventi.

Margaret fece vagare velocemente lo sguardo sulle pareti circostanti, che recavano appesi gli arazzi delle Case degli occupanti, prima di tornare a guardare Fred e sorridergli.
Annuì, riassaporando vecchi ma non troppo lontani ricordi di appassionate grattate di capo e di baci rubati dietro le aule, accompagnati da quelle immancabili occhiate complici che solo loro sarebbero stati in grado di interpretare. «Già. È stata una bella annata, quella.»
«Umbridge a parte. Vecchia rospa maledetta» aggiunse George, accogliendo i consensi del fratello e dell’amica. Quest’ultima, in particolar modo, parve rifletterci per qualche breve istante e poi ridacchiò tra sé, scuotendo la testa.
«Non si può certo dire, però, che le abbiate reso piacevole la permanenza» osservò, gustandosi i sorrisini diabolici che immediatamente dopo si erano dispiegati sui loro volti.
«Uno dei nostri lavori migliori» commentò Fred con una certa aria cospiratoria che, tuttavia, non celava quanto fosse fiero di quelle che lui stesso aveva più volte definito “eroiche gesta”.
«Hai ragione, Meg: una grande, grandissima annata» aggiunse l’altro, sognante.

Abigail – che fino a quel momento era rimasta in silenzio, guardandosi attorno con attenzione alla ricerca di qualche faccia conosciuta – li scrutò con un pizzico di divertimento ad accenderle gli occhi grigi. «Avrebbero dovuto inventare una quinta Casa solo per voi due e chiamarla... be’, non lo so, ma comunque con un nome contenente il termine “teppisti”.»
«Che dolcezza, ha provato a fare una battuta!» disse Fred in un finto tono intenerito, strizzando una guancia alla ragazza – che, ovviamente, aveva appena sollevato gli occhi al soffitto. «Un tentativo miseramente fallito, cara.»
«Immagino tu sia stata Smistata in una qualche casa infernale, blondie» infierì George, sorridendole furbescamente, ma lei non gliela diede vinta e ricambiò quello sguardo, ignorando la risata sommessa della cugina.
«Spiacente, ma non attacca. Noi eravamo Smistati secondo la logica dei Quattro Elementi. Io ero una Strega d’Acqua» spiegò con orgoglio, mentre con la mente ripercorreva con un po’ di nostalgia gli anni della scuola, quando un tema di Pozioni non ultimato era il più grosso dei suoi problemi.
Margaret, d’altra parte, parve illuminarsi. «Io di Fuoco. Anche in Spagna funzionava allo stesso modo.»
«Sempre detto che siamo una coppia vincente» annuì Abigail con convinzione, battendole il cinque.
Fred, piuttosto, lanciò un’occhiata intenditrice al fratello, che non esitò a ricambiarla. «E pericolosa, soprattutto.»
«Già, dovrebbero andare in giro legate.»
«Siete simpatici, sapete?» mormorò Margaret, sarcastica, facendo svettare le sopracciglia verso l’alto. L’altra le diede manforte.
«Tanto simpatici che imparerei a giocare a Quidditch solo per il gusto di lanciarvi qualche Bolide addosso.»
«Non dire queste cose davanti a tua nonna, potrebbero farle venire qualche strana idea» George tentò di sviare il discorso, notando con la coda dell’occhio che Vittoria gli stava passando a fianco proprio in quell’istante.
Questa, sentendosi chiamare in causa, si fermò e si voltò a guardare l’allegro quartetto con curiosità. «Prego, George?»
«Ti vedo straordinariamente agguerrita, questa sera.»
«Sì» rimuginò Fred, sorridendole. «Ti abbiamo sentita dire qualcosa di interessante sul voler trovare Bellatrix Lestrange per “chiarire delle importanti questioni di famiglia”.»
«Ce l’ha ancora per la storia dell’Arazzo dei Black» commentarono Meg e Abigail all’unisono, con un tono che dava l’impressione di essere una via di mezzo tra il divertito e il rassegnato.
La nonna, punta sul vivo, si erse in tutta la sua altezza e li guardò uno a uno con una dignità e una fierezza tali da poter intimidire chiunque le si fosse trovato sotto tiro in quel momento. «Vittoria Astrea Mills in Wilson non si sottometterà mai alle ingiustizie!» disse con animo, pochi secondi prima di dare le spalle al gruppetto per andare a risvegliare Andrew Thompson da quell’imbarazzante stato di morte cerebrale che l’improvvisa visione di Savannah Pedersen gli aveva indotto.

Abigail, indecisa se mostrare più interesse per l’ammirevole forza di sua nonna o per il modo in cui suo fratello si stava ridicolizzando con quella faccia da pesce lesso – che mai, avrebbe potuto giurarlo, gli aveva visto addosso, così come mai si sarebbe aspettata di notare uno strano rossore sulle gote della sua vecchia compagna di stanza a Belfast – finì con l’optare per la prima.
«Perfetto: se la prende, la nonna le fa il culo.»
«Me lo auguro, o sarà la cara Bellatrix a fare il culo a noi. Non vede l’ora di metterci le mani addosso, ci scommetterei la casa» osservò Meg, che iniziò ad avvertire un certo disagio: era come se qualcuno la stesse fissando.
Abigail annuì, grave in volto, e si lasciò posare un bacio tra i capelli da George, che doveva aver percepito la sua nascente agitazione. «Il “cuginicidio” va di moda, ultimamente.»
La maggiore delle due, però, non fece caso a ciò che l’altra aveva appena detto: quella sgradevole sensazione che qualcuno la stesse osservando non era certamente sparita, e non di meno l’aveva portata a volgere lo sguardo attorno a sé alla ricerca di un paio di occhi sfacciatamente puntati addosso. Tuttavia, per poco non spalancò la bocca quando si accorse che quella radiografia da capo a piedi proveniva da un ragazzo dai capelli color castano chiaro e dall’indescrivibile bellezza, e soprattutto che no, non era destinata a lei, ma alla sua cara e altrettanto ignara cugina.
Margaret non aveva idea di chi fosse, ma non si meravigliò quando lui – sicuramente accortosi di non essere riuscito a passare inosservato – distolse lo sguardo con un velo di imbarazzo a dipingergli il viso per tornare a rivolgersi a un’incantevole donna dai chiarissimi capelli biondi.
Mentre uno strano sospetto iniziava a bombardarle quel cervello sempre al lavoro, Meg s’impostò addosso una finta ma più che convincente maschera di perplessità e guardò i gemelli, che – incuriositi da quell’espressione – smisero all’istante di scambiarsi una delle loro solite ed esilaranti sfilze di battute per dedicarle la giusta attenzione.
«Credo che vostra madre voglia parlare con voi due. Preparatevi, non mi pare di buon umore» li avvertì, avendo notato – in effetti – una Molly Weasley piuttosto interdetta e grave in volto aggirarsi a una decina di metri da loro, apparentemente indecisa se andare a prendere lei stessa i suoi figli per le orecchie o se aspettare che fossero loro ad accorgersi spontaneamente delle sue occhiate di fuoco.
George intercettò l’espressione omicida della madre e deglutì lentamente, facendo un impercettibile passo indietro. «Di qualunque cosa si tratti, io stavolta non c’entro niente.»
Fred annuì, ma neanche una frazione di secondo dopo sgranò gli occhi, come ricordatosi di un particolare che aveva completamente rimosso dalla memoria. «E se avesse saputo di quando...» lasciò cadere la frase, mentre il fratello lo scrutava con un certo terrore in viso.
«Impossibile» bisbigliò, probabilmente nel tentativo di convincere più se stesso che qualcun altro.
Margaret assottigliò lo sguardo, sospettosa. «Di che cosa state parlando, voi due
«È troppo lunga da spiegare.»
«Ci conviene verificare, Fred» disse George, per nulla entusiasta, reprimendo poi un lamento alla vista del colorito sempre più rossastro della madre.

Abigail li osservò allontanarsi mestamente nella direzione della signora Weasley e sospirò con divertimento, chiedendosi cosa avessero potuto combinare di tanto eclatante. «Prima o poi ce la dovranno raccon-» si interruppe, perplessa, una volta che ebbe notato l’espressione di netto rimprovero che la cugina le stava riservando. «Perché mi guardi in questo modo inquietante?»
«Chi è?» le domandò quella in un sussurro minaccioso, avvicinandosi maggiormente. Lei, però, non parve capire a cosa si riferisse.
«Di chi parli?»
«Di quel bel bocconcino che ha trascorso la maggior parte del suo tempo in questa stanza fissandoti» bisbigliò ancora Meg, giusto prima di puntarle un dito contro, a pochi centimetri dagli occhi. «Ricorda che il tuo ragazzo è il mio migliore amico da quando avevo due giorni di vita, per cui non credere che io sia disposta a farti da complice. Chi è?»
«Ma cosa stai blaterando?» fece Abigail, stizzita, spostandole quella mano sempre più vicina al suo naso con uno schiaffetto. «Voglio proprio vedere di chi...» si bloccò, stupita, non appena i suoi occhi – seguendo lo sguardo di Margaret – ebbero incontrato la fonte di quell’assurda e insensata discussione. «Oh. Lui
Meg inarcò le sopracciglia, non contenta di quell’improvvisa scarsa loquacità. «E allora?»
«Erik Pedersen» comunicò la più giovane, poco prima che l’appena menzionato voltasse il capo per guardarla e le rivolgesse un sorriso smagliante, salutandola con un cenno; lei ricambiò il saluto e riuscì a nascondere l’imbarazzo in un’espressione gentile, mentre la cugina spostava ripetutamente lo sguardo dall’uno all’altra per non perdersi assolutamente nulla di quello scambio.
Quando quest’ultima tornò a rivolgersi ad Abigail, sul suo volto era stampata un’aria di pura sorpresa. «Scherzi? È proprio Mister Veela Pedersen
«Con tutti i suoi muscoli.»
«Bellissimi anche quelli, tra l’altro» mormorò Margaret, osservando l’oggetto del suo interesse come avrebbe fatto un Magizoologo che si fosse imbattuto in una qualche strana specie animale mai studiata prima.
La bionda sorrise di sottecchi, avendo notato il suo tono velatamente sognante. «Hai una fede all’anulare sinistro, ti dice o ricorda nulla?» commentò, colpendole scherzosamente il braccio con il gomito, attenta a non dare troppo nell’occhio.
Meg trasalì e abbandonò in un solo istante lo stato di trance in cui era caduta, ma non riuscì a impedirsi di arrossire. «Stavo solo rendendo giustizia a tanta bellezza ammirandola» si discolpò, riacquisendo sicurezza, sotto le occhiate divertite della cugina. «Guardare è naturale. Se fosse una forma di tradimento, giuro che non saresti in grado di distinguermi da un povero alce» aggiunse, allora, corrugando la fronte.
Abigail non poté più trattenersi e scoppiò a ridere, immaginando la sua interlocutrice assumere le sembianze di un cervide, ma al tempo stesso rifletté che questa non aveva poi tutti i torti: lei stessa, diverso tempo addietro, aveva notato come Fred avesse la pericolosissima abitudine di inseguire con lo sguardo qualsiasi fondoschiena o scollatura degni di nota in un’area di circa centocinquanta metri, presumibilmente perdendo qualsivoglia forma di comunicazione con quella che avrebbe dovuto essere la materia grigia rimastagli; si era più volte chiesta, incredula, come facesse a essere ancora vivo, dati i risaputi – quanto a dir poco temuti – livelli di gelosia che Margaret era in grado di raggiungere compiendo il minimo sforzo e ottenendo il massimo risultato nella scala della distruzione.      

Quest’ultima, avendo intuito i suoi pensieri, fece per aggiungere dell’altro, ma un braccio improvvisamente passato attorno alle sue spalle le impedì di continuare con quello che – c’era da giurarci – si sarebbe rivelato uno sproloquio infinito.
«Miei dolci amori, credo sia arrivato il momento di chiudere quelle bocche spalancate e di ricomporvi. Neanche il cane dei miei genitori sbava in maniera tanto indecorosa!» le stuzzicò Dorian, scrutandole con un sorriso allegro e canzonatorio a incurvargli le labbra.
Meg arrossì di nuovo – solo più violentemente di prima – e gli lanciò un’occhiataccia di sbieco. «I tuoi genitori non hanno un cane.»
Il ragazzo scrollò le spalle con noncuranza e le arruffò i capelli. «Dettagli irrilevanti, il concetto non cambia» disse pigramente, per poi voltarsi a guardare Abigail con una strana espressione complice. «Credo ti interesserà sapere che ho appena intravisto la cara Virginia Anderson.»
«Dorian!» sbottò Margaret, colpendolo al braccio con uno schiaffone. «Per l’amor di Merlino, ti sembra il caso?» lo rimproverò, occhi sbarrati e voce in un sussurro isterico, quasi non riuscendo a credere che l’avesse fatto per davvero.
Si era accorta della presenza della Anderson molto prima che suo cugino – sfacciato come suo solito – glielo venisse a dire, ma al contempo aveva preso la saggia decisione di lasciar correre e di rimandare qualsiasi confronto più o meno civile a tempi migliori: mai si sarebbe sognata di attaccare briga in una circostanza come quella, così come mai le sarebbe passata per l’anticamera del cervello l’idea di aizzare Abigail contro un nemico tanto insignificante e per nulla meritevole della loro attenzione e della loro preziosa energia.
L’altra, però, non era certo d’accordo, come dimostravano piuttosto eloquentemente il suo sguardo sprezzante e il colorito lievemente violaceo che aveva già preso possesso delle sue guance: nonostante lavorasse come lei al San Mungo, infatti, non vedeva Virginia da quello sconveniente scambio di battute che aveva rischiato di far cadere Villa Orchidea nel vortice della sua furia vendicatrice, circa un mese prima; Abigail aveva il concreto sospetto che quella “lurida vipera” – come tanto amorevolmente aveva preso l’abitudine di chiamarla – avesse fatto tutto il possibile per cambiare i propri turni, in modo tale che questi non combaciassero con i suoi.

«Spero non le dispiaccia se vado a salutarla» disse a denti stretti, allora, facendo scrocchiare minacciosamente le nocche e mordendosi il labbro inferiore.
Meg carpì le sue intenzioni e scosse la testa, affatto entusiasta. «Non puoi farlo. Non davanti a tutta questa gente» osservò, nella speranza di infonderle anche solo un briciolo di razionalità, ma la diretta interessata le indirizzò un sorrisino diabolico e le fece l’occhiolino, pregustando il meraviglioso sapore che unicamente da una bella dose di rabbia appena sfogata sarebbe potuto derivare.
«Watch me» fece quindi in un bisbiglio, voltando le spalle a Margaret e Dorian – che, manco a dirlo, si stava godendo la scena con un luccichio negli occhi – per incamminarsi dritta verso la parte opposta della stanza, dove un’ignara Virginia Anderson era intenta a chiacchierare amabilmente con quelle che dovevano essere delle vecchie amiche – che, forse superfluo specificarlo, avrebbero fatto una fine molto infelice se avessero provato a mettersi in mezzo.
Senza sprecare più tempo del necessario, Abigail coprì la distanza che la separava dal suo obiettivo con brevi e rapide falcate e poi, una volta giunta a destinazione, poggiò con irruenza una mano sulla spalla della giovane, costringendola in tal modo ad abbandonare quella conversazione che tanto pareva interessarla.
Quando Virginia si rese conto di chi aveva di fronte, per poco non perse l’uso della parola e la capacità di impedire ai suoi occhi di fare un salto fuori dalle orbite.
«Thompson» esalò soltanto, con ogni probabilità troppo intimidita da quella vicinanza per articolare qualcosa di più sensato. D’altra parte, il coraggio non era mai stato il suo punto forte.
«Ti comprerei una dignità, ma butteresti nel cesso anche quella» soffiò Abigail, sputando tutto il suo disgusto in ogni suono da lei emesso e facendosi seguire da un bel sentito cazzotto sferrato contro il naso della Anderson, che perse l’equilibrio e cadde addosso al gruppo di spiazzate amiche dietro di lei. «Tieni lontane le tue sudice mani dal mio ragazzo, viscida stronza
Abigail stava per avventarsi per la seconda volta contro Virginia – cui doveva aver rotto il setto nasale, considerati i fiotti di sangue che da esso fuoriuscivano –, quando Meg riuscì ad afferrarla e a immobilizzarla, dando vita a una lotta senza tregua con la cugina.
«Abigail Darleen Thompson, non qui
«Questo era solo un assaggio di ciò che posso fare al tuo bel faccino, Anderson

«George, tesoro» Molly Weasley chiamò suo figlio, sfiorandogli il braccio, mentre i suoi occhi sgranati indugiavano su quella figura bionda che, a qualche metro di distanza, ancora si massaggiava la mano chiusa a pugno e si dimenava tra le braccia di Margaret, che tentava per come poteva di impedirle di tornare all’attacco.
George, rapito da quella visione celestiale, si costrinse a prestare attenzione alla madre, che d’improvviso prese a fissarlo con apprensione. «Dimmi pure, mamma.»
«Quella ragazza che ha appena picchiato la figlia degli Anderson è Abigail, la cugina di Maggie?»
«In uno dei suoi momenti migliori,
«E, fammi capire, siamo sicuri che sia la tua... la tua fidanzata?» domandò la donna, che non sapeva se ritenersi felice che anche l’altro suo figlio scapestrato avesse trovato una ragazza presumibilmente capace di rimetterlo in riga qualora si fosse reso necessario, o se mostrarsi in ansia per il suo stato di salute. D’altronde, ci teneva che il suo bambino rimanesse tutto intero – orecchio a parte, si intende.
Lui, però, le passò un braccio attorno alle spalle e sospirò teatralmente. «Adorabile, eh
 

***
 


Every sailor knows that the sea is a friend made enemy
And every shipwrecked soul knows what it is
To live without intimacy
I thought I heard the captain’s voice
But it’s hard to listen while you preach
Like every broken wave on the shore, this is as far as I could reach

 
Quanto può essere rumoroso, un battito di cuore?
Margaret non riusciva a domandarsi altro, mentre nuovi brividi dettati dalla tensione le percorrevano la schiena pressata contro la parete; sarebbe stato molto più semplice se avesse potuto diventare un tutt’uno con essa, rifletté piegando il capo all’indietro e chiudendo per un breve istante gli occhi.
Da quanto andava avanti la Battaglia? Quanti Mangiamorte era riuscita a seminare, e quanti ne aveva combattuti?
Non ne aveva idea. Dal momento in cui lei e Fred si erano separati, colpevole una stupida distrazione, aveva perso la cognizione del tempo, incapace di pensare ad altro che non fosse lottare con ogni sua forza per salvarsi la pelle.
Cercò di domare quel respiro affannoso che non le dava tregua e che rischiava di tradirla, stringendo le mani a pugno con insistenza per infondersi quel po’ di coraggio in più che le serviva e che era certa sarebbe bastato per andare avanti. Non c’era posto per gli attacchi di panico o per le insicurezze, e lo sapeva; non c’era spazio per quelle paure che l’avevano tenuta sveglia tante, troppe notti, a interrogarsi su quale sarebbe stato il loro destino e a chiedersi se ci sarebbe stata una nuova aurora, mentre le sue dita si perdevano a sfiorare distrattamente i capelli di quella figura tanto familiare che le dormiva a fianco e che aveva sempre rappresentato il suo più grande spiraglio di luce negli istanti di profonda oscurità.
Ma stavolta era da sola, e si faceva sempre più buio. Non c’era nessuno, lì con lei, pronto ad afferrarla per mano con un pizzico di incoscienza per affrontare quell’incubo insieme, di petto, fingendo di non avere timore di chi si trovava dall’altro lato di quella barricata. Non volutamente abbandonata a se stessa, la speranza di poter sopravvivere si affievoliva via via che la stanchezza si accumulava, ma il suo cuore e la sua testa le urlavano fino a sgolarsi che per nessuna ragione al mondo avrebbe dovuto mollare: c’era un’infinità di cose per cui valeva la pena di resistere.

«Perché non vieni fuori, piccoletta? Ti piace farti aspettare?» una voce fredda, tanto sadica da far accapponare la pelle, la fece sussultare; emise un inevitabile ma impercettibile verso strozzato, serrando con maggiore convinzione le dita impolverate attorno alla sua bacchetta di cedro.
Per un folle, assurdo istante, quella circostanza le fece ricordare di quando aveva quattro anni e giocava a nascondino con suo zio Nicholas, che non mancava mai di mostrare tutto il suo stupore nel constatare in quali luoghi impensabili tendesse a rifugiarsi la sua nipotina iperattiva.
Ma, ovviamente, non poteva essere la stessa cosa; in quel corridoio, oltre quel muro, non avrebbe incontrato il sorriso radioso di una persona che la amava, ma quello gelido e privo di calore di qualcuno che desiderava porre fine ai suoi giorni tra atroci dolori e sofferenze.

Nonostante questa terribile consapevolezza, decise di uscire allo scoperto e di continuare a lottare: l’alternativa sarebbe stata lasciare che fosse proprio il nemico a trovarla, e lei non poteva permettere che ciò accadesse; l’orgoglio era ciò che di più pressante aveva sempre avuto, e l’orgoglio era ciò che avrebbe difeso fino al suo ultimo respiro.
Le gambe si mossero da sole, inconsapevoli, dopo che la schiena fu riuscita a scollarsi dalla parete e da quel senso di protezione che da essa, in minima parte, era riuscita a trarre; abbandonò quel porto che sicuro sarebbe rimasto ancora per molto poco e manifestò la sua presenza a quella minacciosa figura maschile incappucciata e stagliata in fondo al corridoio.
Questa la squadrò da capo a piedi e scosse la testa con disappunto. «Troppi Purosangue che non sanno da che parte devono stare.»
Meg soffiò via una ciocca di capelli cadutale sul viso e guardò il suo avversario con fare sprezzante. «Io sto esattamente dalla parte per la quale vale la pena di lottare.»
Il primo tentativo d’attacco arrivò senza che lei potesse prevederlo, improvviso, ma la sua agilità le consentì di schivarlo prima che potesse colpirla. Ne giunsero ben presto degli altri, ma nessuno di essi fu abbastanza forte da rompere le sue allenate difese.

Ricordava i pomeriggi dell’estate dei suoi diciassette anni, poco prima del suo ritorno in Inghilterra, quando – nel giardino della loro villetta nel quartiere magico di Madrid – i suoi genitori facevano a turno per duellare con lei, ritenendo che fosse necessario aiutarla a perfezionare la tecnica e renderla capace di difendersi da sola. I primi tempi non riusciva a star loro dietro: erano troppo abili, troppo esperti, e soprattutto per nulla disposti a concederle vantaggi che non fossero meritati; ciò che era nato come qualcosa di potenzialmente divertente si era rivelato, in realtà, un vero e proprio addestramento finalizzato a prepararla in vista di una guerra che mai come in quei momenti era parsa così vicina.
Al contempo, se sua madre era più propensa ad allentare la presa e a riconoscerle – premiandolo – anche il più piccolo dei miglioramenti, il vero osso duro difficile da convincere era Desmond: non passava giorno senza che lui le ripetesse che avrebbe dovuto fare di meglio per stupirlo, accompagnandosi con un largo sorriso sornione che sperava la irritasse così tanto da spingerla a dare sempre qualcosina di più rispetto alla volta precedente; in quelle settimane, Margaret viveva sognando il giorno in cui avrebbe dato prova a suo padre di aver commesso un errore madornale nel sottovalutarla.
E il giorno arrivò, non molto tempo dopo, e la vendetta – come lei, da quell’istante in poi, l’aveva scherzosamente definita – fu dolcissima.

Era l’ultima domenica di un afoso mese di luglio, e incredibilmente Desmond Stevens non riusciva a reggere i ritmi di sua figlia come avrebbe voluto e dovuto; Gloria, innegabilmente compiaciuta della determinazione dell’allora unigenita, si godeva la scena comodamente distesa sulla sua amaca, sorseggiando dell’Acquaviola.  
«Sbaglio, o stai arrancando?» l’aveva stuzzicato Margaret, scagliandogli addosso un Levicorpus che lui era riuscito a schivare per un pelo.
«Ti piacerebbe!» aveva ribattuto, rispondendo con un Protego a un mirabile Incantesimo della Pastoia della ragazza. «Coraggio! Mostrami cosa sai fare, mostrami di che pasta sei fatta!»
Lei non se l’era fatto ripetere due volte e, seduta stante, l’aveva disarmato; se ciò non fosse bastato, Desmond aveva avuto giusto il tempo di osservare con sgomento la propria bacchetta schizzare dalla parte opposta del giardino che Meg aveva pensato di completare l’opera con uno Schiantesimo a dir poco degno di nota, tanto potente che l’uomo si era ritrovato gettato via di una decina di metri, dritto in piscina.
Era riemerso qualche secondo dopo, sorridendo con divertimento di fronte allo sguardo sconvolto di sua moglie e a quello preoccupato della figlia, che per un insano momento aveva temuto di aver decretato la morte per annegamento di suo padre.
«Tutto bene, papà?» gli aveva chiesto, incerta, mordicchiandosi il labbro con fare colpevole.
Lui si era portato indietro i capelli bagnati e aveva ammiccato con complicità nella sua direzione. «È stato un ottimo colpo, piccola» aveva ammesso, un po’ prima di incupirsi e puntarle un dito contro. «Ma prova a farlo di nuovo e ti becchi una settimana di punizione!»


E alla fine, quei pomeriggi passati a sudare avevano dato i loro primi frutti nelle circostante più opportune, e l’avevano resa più sicura di sé e più fiduciosa nelle sue potenzialità.
Prese ad attaccare, aggressiva, ma quell’ignoto Mangiamorte sembrava determinato almeno quanto lei a non concedere terreno: era riuscito a neutralizzare ogni sua fattura, rispondendo con tentate maledizioni dalle quali Margaret non si sarebbe mai sognata di doversi difendere, mentre il ritmo di quello scambio si faceva più intenso e soprattutto imprevedibile.

E fu proprio lì che qualcosa andò storto.

L’uomo fece un movimento azzardato e il cappuccio gli cadde dalla testa, rendendo più visibile il suo volto dai lineamenti rozzi e disarmonici; Meg non riconobbe chi fosse, ma quell’infinitesimale attimo di esitazione fu sufficiente perché un nuovo getto di luce la colpisse e la scagliasse contro la parete.
L’impatto fu duro, ma di poco conto se paragonato al dolore lancinante che s’impadronì di lei quando, ricadendo sul pavimento, la sua gamba sinistra fece una brutta flessione e su di essa andò a gravare tutto il suo peso. Spinta da un istinto di sopravvivenza, e lottando per impedire alla sua vista di annebbiarsi, prese a tastare con disperazione il marmo circostante alla ricerca della sua fedele bacchetta, ma questa giaceva ormai inerme a diversi metri di distanza; provò allora a rimettersi in piedi, ma l’acuirsi di quel dolore alla gamba le suggerì che questa doveva essersi fratturata, e che non c’era nulla che potesse fare.

“È finita”, fu l’unica cosa che fu capace di pensare quando, sulla sua schiena, avvertì la pressione di quello che doveva essere il piede del nemico, che in tal modo le mozzò il respiro.
 

Are we so helpless against the tide?


- Angolo dell’autrice

Ehm.
*timido colpo di tosse*
Salve.
*si guarda attorno con fare fortemente imbarazzato*
Vengo in pace.
*indietreggia con cautela*
Non uccidetemi, vi scongiuro.
*corre a ripararsi dal lancio di pomodori*

PERDONATEMI, VI PREGO.
Per il ritardo indecente, in primis, ma soprattutto per aver troncato in questo modo – ammetto imperdonabile – il capitolo. Anche perché non so proprio quando arriverà il seguito.
*scappa via urlando inseguita da lettori inferociti armati di forconi roventi*
Non è un capriccio, ve lo giuro: fosse per me, pubblicherei la seconda parte domani. Il fatto è che non è neanche ultimata, quindi non c’è proprio niente da pubblicare. C’è un punto morto nella narrazione e non riesco a sbloccarmi, ho davvero bisogno di un po’ d’ispirazione e non so dove trovarla. Questa sessione d’esami è stata la più dura e intensa che io abbia affrontato finora, spero che recuperare le forze mi aiuti a far partorire qualcosa al mio cervello esausto. Il secondo anno di Università è IL MALE.

Ma non perdiamo tempo e passiamo al capitolo in questione. Due parti caratterizzate da due stati d’animo completamente opposti. Un po’, effettivamente, stridono, ma mi piaceva l’idea e quindi ho voluto azzardare questo tentativo. Che ve ne pare?

Confesso, mentre scrivo queste note a fine capitolo la mia testa è totalmente sconnessa dal resto del corpo, ho circa duecento ore di sonno da recuperare e i dolori cervicali mi stanno uccidendo lentamente (20 anni are the new 80), motivo per cui sarò molto più sintetica delle volte precedenti (non sentitevi in colpa ad esultare). Lascio tutti i commenti del caso a voi, per stimolarvi vi regalo un Erik Pedersen/Paul Wesley selvatico da compagnia. :D

Anyway, mi sento terribilmente in colpa lasciandovi così, con una Margaret in pericolo e nessun indizio su cosa le accadrà. Vi anticipo già da adesso che il prossimo capitolo non sarà proprio quello che definirei una botta di vita, anzi; se siete particolarmente sensibili vi consiglio di tenere qualche fazzolettino a portata di mano, non è detto che ce ne sia bisogno ma non si sa mai.
Mi sembra giusto, però, dirvi che qualcuno ci lascerà – potrebbe essere chiunque, sia chiaro, non date nulla per scontato e prendete in considerazione qualsiasi ipotesi –, ve lo anticipo perché mi sembra giusto che vi prepariate psicologicamente.
In realtà sono solo una stronza sadica che si diverte a lasciarvi sulle spine.
No, sto scherzando, facendovi questo mi sto un po’ accoltellando al cuore.

Ora, ringrazio di cuore, come sempre, perché per stare ancora dietro alle mie follie dopo quasi QUATTRO ANNI dovete volermi davvero bene o dovete essere dei masochisti:

7_always_7Angel_MaryAnnA Black, aurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_MiDoraBaggins, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, huntingwithwolves, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, ladyw, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSikOrma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_SSoleil Jonestenna96valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

And RiddleCalypso_EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367GoodbyeStregatto, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa AntaresMoon95orange_weasleysara9703, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael,  _Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

 7_always_7, Azazel_Frederique Blackhuntingwithwolves, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, maryanne armstrongmax85MelodySong99Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e huntingwithwolves, che hanno recensito il capitolo precedente. ♥

Il titolo è una citazione che personalmente adoro e si ritiene sia di Lao Tzu, la canzone è la meravigliosa Every Breaking Wave (♥) degli U2.
E proprio a proposito della canzone, ho chiuso il capitolo con una semplicissima e a mio avviso bellissima domanda ricorrente nei lyrics: Are we so helpless against the tide? Siamo così indifesi contro la marea?
Mi è parso il modo migliore per aprire la strada a quella che sarà la seconda e ultima parte di questo capitolo, che mi auguro di pubblicare il prima possibile. Giuro che ce la metterò tutta, non mi mancava molto – a parte l’ispirazione e la voglia di vivere in un mondo in cui esistono gli esami universitari, si intende.

Detto ciò, io e la mia cervicale maledetta e infame vi mandiamo l’abbraccio più caloroso e straripante di amore che possiate immaginare. Spero, in qualche modo, di essermi fatta perdonare.
Per qualsiasi suggerimento, critica, osservazione e così via, sapete cosa fare. ♥

Con affetto,
Jules.♥


- Dal prossimo capitolo:

“Tutto passa, Maggie. Il dolore passa, e bisogna imparare a combatterlo”, sembrava dirle la voce di sua nonna Julia, con quella frase che – ripescata da un lontano cassetto della memoria – aveva preso a rimbombarle nella testa. “Perché, tesoro mio? Semplicemente perché ci sono dei momenti in cui non possiamo permetterci di provarne”.   

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Capitolo 28
*** Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti; amare profondamente ci rende coraggiosi (II) ***



Capitolo 28



 
Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti;
amare profondamente ci rende coraggiosi (II)
 

Love is our Resistance
They’ll keep us apart and
They won’t stop breaking us down
Hold me, our lips must always be sealed



“È finita”, fu l’unica cosa che fu capace di pensare quando, sulla sua schiena, avvertì la pressione di quello che doveva essere il piede del nemico, che in tal modo le mozzò il respiro.
«È davvero un peccato dover versare tanto sangue puro» commentò la voce sadica del Mangiamorte, rigirandosi tra le dita tozze la bacchetta. «Sei ancora in tempo per cambiare idea.»
Margaret raccolse tutte le sue forze e sollevò di poco il busto facendo leva sui gomiti, voltando il viso per riservargli un’occhiata pregna del più profondo odio e disprezzo. «Preferisco morire e andare dritta all’Inferno
«E morirai» le disse lui con disgusto, assottigliando lo sguardo. «Ma sappi che a me piace giocare con il cibo, prima di mangiarlo.»
Non le fu consentito riflettere sul significato di quelle parole, dal momento che queste trovarono concretizzazione ancor prima che il suo inconscio potesse assumerne consapevolezza.
E il dolore della Maledizione Cruciatus, atroce, la investì in pieno, insostenibile come solamente avrebbe potuto esserlo la peggiore delle torture.
“Ti senti come se ti stessero infilzando con dei coltelli bollenti”, le avevano raccontato in passato, ma non ne aveva mai pienamente capito il senso: d’altro canto, come avrebbe potuto immaginare una sofferenza così grande senza averla mai provata?
Ma stavolta le percepiva, le lame che la trafiggevano, come le dita che stupidamente e senza risultati cercavano di conficcarsi nel freddo e impenetrabile pavimento; voleva urlare, lasciare che quelle lacrime salate che si sforzava di trattenere trovassero sfogo oltre le palpebre chiuse, ma le sue labbra rimasero sigillate e i suoi occhi non ne vollero sapere di rinunciare a resistere. Voleva morire e porre fine a quell’agonia, ma il suo cuore non aveva mai battuto tanto forte per tenerla in vita come allora.
“Tutto passa, Maggie. Il dolore passa, e bisogna imparare a combatterlo”, sembrava dirle la voce di sua nonna Julia, con quella frase che – ripescata da un lontano cassetto della memoria – aveva preso a rimbombarle nella testa. “Perché, tesoro mio? Semplicemente perché ci sono dei momenti in cui non possiamo permetterci di provarne”.    
Era quello, uno di quei momenti; il momento in cui avrebbe dovuto lottare contro qualcosa che, sebbene sfuggisse al suo controllo, non lo faceva totalmente. Doveva esistere una chiave, un modo per opporsi e non soccombere, una possibilità che quello strazio fisico e mentale si attenuasse.
Forse sarebbe bastato svuotare la mente, forse sarebbe bastato estraniarsi un po’ da sé.
“Forse basterebbe concentrarsi sui ricordi felici”.

Così, prepotente e inevitabile, il pensiero di Fred si era già fatto strada nella sua testa, prendendo a pugni l’angoscia che la stava distruggendo ma che nulla avrebbe potuto contro la forza di un amore che era esploso dirompente, irrefrenabile, scalpitando e puntando i piedi con cocciutaggine per farsi dare ascolto. E quei mesi trascorsi a Hogwarts, con lui, erano stati i più belli che avesse mai vissuto, perché era da quelli che tutto era cominciato; perché un dopo stabile non ci sarebbe stato senza la preliminare esistenza di solide fondamenta, ed era anche tra quelle mura che queste erano state costruite.

«Dillo ancora.»
La voce di Fred suonava allegra, quella tarda notte di fine gennaio del 1996, nella Sala Comune di Grifondoro deserta. Stava disteso sul tappeto a poca distanza dal camino, la testa poggiata sulla pancia di Margaret e una bottiglia di Whisky Incendiario – per metà vuota – a portata di mano. Erano andati di nascosto a Hogsmeade, di nuovo, e ne avevano approfittato per fare una sosta di un paio d’ore alla Testa di Porco, con il risultato che era già da considerarsi un miracolo che fossero riusciti a ritrovare la strada di ritorno al Castello senza troppe complicazioni – se si escludono, naturalmente, tre cadute rovinose all’interno del passaggio segreto della Statua della Strega Orba e i conseguenti attacchi incontrollabili di ridarella.
Margaret – che probabilmente, in corpo, aveva più alcool che sangue – aveva assunto un’espressione comicamente concentrata e aveva scrutato il soffitto, come chiedendogli un piccolo suggerimento. «Fagiolo Sorofoposo... Soforosopo... Sopofopo... Sopoforoso!» aveva riso ancora, tentando di pronunciare la nuova parola d’ordine, così di cuore che le lacrime avevano ripreso a scorrere liberamente. «Non saprei dirlo neanche da sobria!»
«La Signora Grassa se n’è accorta» l’aveva presa in giro lui, costretto a portarsi entrambe le mani all’addome a causa dei crampi indotti dalle continue risate. «Mi diverto un mondo quando litigate» aveva aggiunto, ripensando allo screzio avvenuto qualche minuto prima tra la sua sbronza ragazza («Non me ne frega niente se è Sorosofoso, o Sporosofo, o chissà quale altra diavoleria! I fagioli mi fanno schifo, santo Merlino!») e un’assonnata e terribilmente irascibile Signora Grassa («Dovrei lasciarvi chiusi qui fuori! Irrispettosi e prepotenti! Svegliare una povera donna a quest’ora della notte!»), che di certo non si poteva dire avesse preso molto in simpatia la piccola di casa Stevens.
Questa aveva provato a mettersi seduta e aveva bevuto un altro sorso di Whisky, incredibilmente seria. «Vedrai come ti divertirai quando la staccherò dal muro, quella stronza.»
«Oh, questa non voglio perdermela!» anche lui si era seduto e le aveva fatto cenno di dargli la bottiglia, che la giovane fissava con fin troppo amore. «Durante il pranzo passeresti inosservata.»
«Dovresti smetterla di assecondare le mie idee malsane, lo sai?» l’aveva ammonito lei con fare scherzoso, al che Fred non aveva esitato a sorriderle con malizia.
«Non saranno mai malsane quanto le mie» aveva quindi asserito con convinzione, ammiccando.
«Non ci giurerei, Weasley.»
«Rassegnati, Stevens: viaggio su altri livelli.»
«Sì, su altri livelli di idiozia» aveva infine sentenziato Margaret, ma nessuno dei due era riuscito a resistere oltre e così entrambi avevano ricominciato a ridere; lei, nel frattempo, gli si era avvicinata e gli aveva preso il viso tra le mani, mentre il suo braccio le cingeva la vita. «Siamo irrecuperabili» aveva sussurrato con un pizzico di dolcezza che bene si amalgamava con quel tono divertito, per poi poggiare le labbra sulle sue, appena schiuse, in un bacio che era stato appena una tenera carezza.
E si erano sorrisi, complici, abbracciandosi un po’ di più per sentirsi più vicini.


Sperava che stesse bene. Sperava che almeno lui riuscisse a salvarsi e a continuare con la sua vita, anche senza di lei.
Non voleva che soffrisse; glielo aveva più volte ripetuto negli istanti più bui, protestando con veemenza quando lui tentava di zittirla e di assicurarle che sarebbero stati bene, forse incapace di contemplare la possibilità di perderla senza sentirsi morire dentro. Ma lei non l’avrebbe mai lasciato per davvero: esistono catene che non possono essere spezzate, fili destinati a rimanere integri e a non essere tagliati, legami indissolubili ed eterni. Sarebbe rimasta al suo fianco, e lui l’avrebbe scorta nel tiepido vento primaverile che dispettosamente scompiglia i capelli, o nella pioggia di settembre che gli avrebbe accarezzato la pelle nella forma più gentile da essa conosciuta.
Non importava quanto dura sarebbe stata: lui doveva andare avanti. Doveva riuscirci per se stesso, doveva riuscirci per lei e per ciò che insieme, uno accanto all’altra, avevano costruito, ma in particolar modo doveva riuscirci per Alexander.
E se il dolore fisico non fosse bastato, l’immagine del sorriso dolce del suo bambino le procurò una fitta al cuore. I mesi erano trascorsi, e lei aveva ingenuamente creduto che le sarebbe stato concesso abbastanza tempo per tenere quella piccola estensione della sua anima tra le braccia, ma c’erano ancora così tante cose che avrebbe voluto dirgli.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per un altro minuto, uno soltanto, con suo figlio stretto al petto, per assicurargli che non lo avrebbe abbandonato, durante il suo meraviglioso cammino, e che avrebbe seguito i suoi passi silenziosamente e con pazienza, osservandolo cadere e poi rialzarsi e donandogli la forza di proseguire per la sua strada a testa alta. Avrebbe voluto respirare per un’ultima volta l’adorabile profumo che il suo corpicino emanava e dargli un bacio sul nasino, per sussurrargli con voce spezzata dal pianto che, nonostante le incertezze, lo aveva amato fin dal primo istante, e che quell’amore avrebbe continuato a vegliare su di lui incessantemente.
Ad alleviare le sue pene, arrivò la consapevolezza che Alexander sarebbe comunque stato felice. Troppo piccolo per rendersi conto della perdita e soffrirla, sarebbe cresciuto tra persone che non gli avrebbero mai fatto mancare il loro inquantificabile affetto. Avrebbe avuto un’infanzia serena, circondato da nonni premurosi e da una miriade di zii e amici amorevoli e attenti, e in tal senso era certa che Abigail avrebbe saputo porsi come un’ottima figura di riferimento e che sarebbe stata in grado di offrire a Fred tutto l’aiuto possibile e necessario.
Su di lei, Margaret non aveva mai avuto alcun dubbio. Aveva sempre saputo che, qualora lei non ce l’avesse fatta, sua cugina non si sarebbe tirata indietro e avrebbe accettato quella sfida senza ripensamenti, in nome del legame che le aveva tenute unite per quasi vent’anni.
Ma le faceva male, lasciarla. Le faceva male pensare che non ci sarebbero state altre notti passate a osservare le stelle, distese su di un prato e perse nella loro personale dimensione, mentre il mondo andava avanti e loro erano di nuovo troppo giovani e strafottenti per curarsene. Le faceva male sapere che tutti quei piccoli sogni che avrebbero dovuto realizzare insieme si sarebbero invece dispersi nel buio, destinati a non conoscere futuro.

«Progetti per i prossimi dieci anni?» le aveva chiesto Margaret, mordicchiando la sua bacchetta di liquirizia e rigirandosi pigramente sul suo materasso a una piazza e mezzo. Il 1994 era appena arrivato, accolto dal ticchettio dell’orologio da parete e da un’esplosione di fuochi d’artificio ben visibile dalla finestra della camera.
Abigail, che avrebbe compiuto quindici anni di lì a un paio di settimane, si era allungata fino a una scatola di Calderotti e l’aveva attirata a sé, famelica. «Fare rifornimento di questi. Li adoro.»
Meg aveva riso, rubandogliene uno. «Sono seria, Abbie» aveva puntualizzato, allora, godendosi il suo sguardo omicida.
L’altra, infatti, aveva stretto al petto la confezione di dolciumi e aveva corrugato la fronte, minacciosa. «Anch’io, per cui sta’ lontana se non vuoi che ti tagli le mani» l’aveva avvisata, tremendamente seria, ma poi aveva riso e li aveva lasciati andare, protendendosi verso un pacchetto di Api Frizzole che lei era convinta non vedesse l’ora di finire tra le sue grinfie. Ne aveva offerta una alla cugina ed era tornata a distendersi, più pensierosa: quali potevano essere, i suoi progetti? «Non saprei, sai? Dieci anni sono tanto tempo.»
«È proprio questo, il bello» aveva considerato Margaret, accarezzando Dannis – il suo gatto ciccione e ai tempi ormai anzianotto –, che le si era appena disteso accanto, sul piumone. «Possiamo spaziare con la fantasia, senza badare ai limiti. Ci sono così tante cose che potremmo fare o diventare.»
Abigail aveva sorriso, più convinta. «Potremmo viaggiare, visitare le grandi città, conoscere gente nuova.»
«Vivere come vogliamo, fregandocene di tutto il resto.»
«Senza dimenticare il mio rifornimento di Calderotti.»
Meg aveva riso e le aveva dato una cuscinata, fingendosi esasperata. «Ci rinuncio!»                


Erano sempre state loro due: Margaret e Abigail, Abigail e Margaret, complici e testarde e incapaci di dividersi.
Era certa che Abigail avrebbe tenuto tutto dentro. Non lo avrebbe esternato, forse non avrebbe neanche battuto ciglio; si sarebbe limitata a vivere il suo dolore in silenzio, perché mostrarlo in pubblico avrebbe significato privarlo del suo valore e della sua dignità, per lasciare che la inondasse negli istanti di agognata solitudine. Avrebbe sorretto gli altri, facendosi carico della loro sofferenza oltre che della sua, ma pregando continuamente che ci fosse anche qualcuno disposto a sorreggere lei.
Margaret sapeva che George non avrebbe esitato. Le avrebbe stretto la mano nei momenti più difficili e le avrebbe fatto forza, asciugandole quelle lacrime delle quali – con ogni probabilità – sarebbe stato l’unico rispettoso spettatore.
Era felice che si fossero trovati. Era felice di aver contribuito, nel suo piccolo, a salvare quella storia, atteggiandosi a invisibile Cupido personale e spesso un po’ impiccione. Era felice che fossero riusciti ad abbattere quel ridicolo muro di cinta che li aveva visti divisi e inavvicinabili, sconvolgendo chiunque non avrebbe scommesso neanche uno zellino su di loro.
Era felice per Abigail, ma soprattutto era felice per George; aveva a fianco una ragazza che lo meritava e che, passo dopo passo, aveva imparato ad amarlo incondizionatamente, nei pregi come nei difetti, sorridendo con tenerezza di fronte ai primi e chiudendo benevolmente un occhio sui secondi; gli avrebbe dato grandi gioie, ma al contempo non avrebbe perso l’occasione di strigliarlo se ne avesse avuto le ragioni.
Non avrebbe potuto desiderare di meglio, per colui che vestiva i panni di suo migliore amico da una vita intera, per la persona che non aveva mai mancato di riservare un sorriso ai suoi occhi ultimamente troppo carichi di ansie e di preoccupazioni.
Era così che funzionava, tra di loro. Troppo abili nel riconoscere i rispettivi cambiamenti di umore, si ritrovavano a estorcersi informazioni o a confidarsi spontaneamente e senza alcuna remora, durante quelle conversazioni al confine sottile tra la serietà e la drammatica comicità che terminavano tra sospiri scherzosamente esasperati e risate sincere e spensierate. C’erano sguardi grondanti di affetto e pizzicotti sulle guance, battute dal sapore di frecciatine ben studiate, frasi lasciate a metà che non necessitavano di un completamento per essere comprese.       
 
«Fareste una bellissima coppia, secondo me» aveva buttato lì con falsa innocenza, rigirandosi la tazza di tè bollente tra le mani in attesa che si raffreddasse un po’.
George stava facendo lo stesso, quella notte di metà aprile, dondolandosi svogliatamente sulla sedia della cucina nel piccolo appartamento situato sopra ai Tiri Vispi. «Grazie, ma no, grazie» aveva ribattuto con un mezzo sorriso, ammiccando. «Sto benissimo da solo, al momento. Me la spasso alla grande.»
«Non lo metto in dubbio, ma sareste adorabili» aveva invece insistito Margaret, passandogli lo zucchero. «E quantomeno – Merlino sia lodato! – avete cominciato a comportarvi civilmente. È un passo avanti gigantesco, io non lo sottovaluto.»
«Non ti rassegnerai fino a quando non sarai riuscita a farmi cambiare idea, eh?»
«Considerami come una sorellina capricciosa che farà i dispetti fino a quando non avrà ottenuto ciò che vuole.»
Avevano riso entrambi, cercando di non fare troppo rumore per non svegliare gli altri, poi George si era soffermato a guardare un punto imprecisato della sua tazza e aveva sorriso ancora, stavolta più addolcito. «Sarebbe stato figo, però.»
«Cosa, Georgie?» gli aveva chiesto Meg, affettuosa, piegando leggermente la testa di lato con curiosità.
«Averti come sorella» aveva risposto lui, allora, sorridendo più apertamente alla sua espressione colpita. «Sarebbe stato incredibile: me la vedo la mamma che si strappa i capelli dall’esaurimento!» aveva scherzato, brioso, giusto prima di bere un sorso di tè e farsi un po’ più pensieroso. «E sicuramente quei nove anni di lontananza non ci sarebbero mai stati.»
Margaret gli aveva sorriso con tenerezza e gli aveva stretto brevemente la mano, annuendo. «Sarebbe stato bello, è vero. Ma a quest’ora lui non ci sarebbe» aveva specificato, accarezzandosi con amore il pancione. «E neanche questo» aveva quindi indicato l’anulare sinistro sul quale brillava il suo anello di fidanzamento, per poi lanciare un’occhiata divertita alla porta chiusa della sua camera. «E tuo fratello non starebbe dormendo in mutande nel mio letto, puoi giurarci.»
«E anche questo è vero» aveva convenuto George, ridendo per quell’ultima constatazione mentre osservava la ragazza alzarsi per prendere dei biscotti dalla credenza. «Ciò non toglie che sarai sempre la mia sorellina capricciosa.»
Lei si era voltata e l’aveva guardato con una particolare luce negli occhi. Lo aveva invitato ad avvicinarsi, forse commossa, e aveva lasciato che la stringesse, facendosi sempre più piccola in quell’abbraccio. «La tua sorellina che ti vuole un bene infinito.»
«Te ne voglio anch’io, mia adorabile spina nel fianco.»


Improvvisamente, il dolore cessò.
Scossa e indolenzita, riaprì gli occhi bagnati di quelle lacrime che si era imposta di non versare, e il suo campo visivo fu intermente invaso dal freddo pavimento sul quale era malamente e dolorosamente accasciata. Rientrò in contatto con quell’amara realtà, mentre il suo respiro si faceva più regolare e il cuore, al contrario, lavorava furiosamente, quasi a voler esaurire tutti i suoi battiti.
Margaret si stava chiedendo quanto tempo sarebbe passato, prima di ricevere il colpo di grazia, quando il Mangiamorte la strattonò violentemente e la ribaltò sulla schiena; le puntò la bacchetta alla base del mento, facendo pressione per sollevarle la testa e costringere il suo sguardo a incontrare quel sorriso maligno che gli deformava il volto.
«Vi schiacceremo uno a uno, come miserabili insetti.»
La ragazza, a quel punto, mise da parte le buone maniere e gli sputò in faccia. «Non ci avrete mai!» ringhiò, rabbiosa, certa che quello sarebbe stato il suo ultimo gesto in quella vita, ma – prima che potesse accorgersene – due diversi Schiantesimi colpirono l’uomo e lo scaraventarono a qualche metro di distanza da lei, liberandola dalla sua morsa.

Dei passi affrettati si mossero in due direzioni diverse, secondo differenti priorità, ma lei non riusciva a trovare la forza di voltare la testa e verificare con certezza a chi questi appartenessero; fu solo quando – qualche secondo dopo – un ammasso disordinato di capelli biondi le si riversò addosso che riconobbe Abigail.
«Honey» le sussurrò questa, preoccupata, inginocchiandosi; sul suo viso sporco di polvere, sangue e calcinacci spiccavano una spaccatura sul labbro inferiore e un profondo taglio all’altezza del sopracciglio destro, nonché un alone nero a circondarle l’occhio sinistro.
Meg, compiendo uno sforzo enorme, le regalò un piccolo, debole sorriso in cui sperava di far convergere tutta la sua riconoscenza. «Tempismo perfetto, blondie» le disse in un filo di voce, stringendo nella sua la mano che le accarezzava con premura i capelli.
«Non azzardarti a lasciarmi. Non pensarci nemmeno, Margaret» fece Abigail, sull’orlo delle lacrime, ma non riuscì a tranquillizzarsi neanche dopo aver visto l’altra annuire. «George, aiutami a sollevarla!»
Ma George non la stava ascoltando: era troppo impegnato, tra un cazzotto e l’altro, a cambiare i connotati al Mangiamorte, su cui si era avventato con violenza pochi istanti prima.
«Non» gli sferrò un pugno dritto sulla mascella, livido di rabbia, «dovevi» un altro ancora, stavolta destinato al naso, «farlo!» lo strattonò, ovviamente non contento del risultato. «Dovrei riservarti lo stesso trattamento, lurido bastardo
«George, ti prego!» Abigail lo chiamò di nuovo, supplichevole. Lui le lanciò una rapida occhiata e, dopo un attimo di esitazione, annuì, mollando la presa; si rialzò e puntò con astio la bacchetta contro il Mangiamorte semisvenuto, al che la giovane sussultò e sgranò gli occhi. «Cosa vuoi fare?»
«Nulla di ciò che stai pensando. Noi non siamo come loro» la rassicurò lui, quindi, con amarezza, prima di tornare a guardare, disgustato, il suo avversario. «Incarceramus» mormorò, e delle funi uscirono dalla bacchetta e avvilupparono l’uomo, immobilizzandolo. Avrebbe preferito andarci giù pesante, ma si frenò. Piuttosto, raggiunse Margaret e si chinò su di lei, e nonostante tutto provò a sorriderle. «Ehi» le disse in un tono più affettuoso, sfiorandole la guancia con un tocco esitante, quasi avesse timore di farle del male.
Lei gli strinse la mano, esattamente come aveva fatto in precedenza con la cugina, e ricambiò per come poté il suo sorriso. «Ciao, raggio di sole.»
«La gamba sinistra è rotta, ma posso sistemarla» osservò Abigail, guardando prima Margaret e poi George. «Mettila seduta, non dovrebbe volerci molto.»
«Non potete rischiare la vostra vita per salvare la mia. Non potete» obiettò flebilmente la maggiore delle due, mentre l’amico la aiutava a sollevare la schiena; non c’era parte del corpo che non le facesse tanto male da provocarle la nausea.
Abigail spostò lo sguardo dalla sua gamba al suo viso e incurvò un angolo della bocca in un mezzo sorriso amaro. «La stiamo rischiando a prescindere. Non sei tu, il problema.»
«Motivo per cui non devi dire idiozie» aggiunse George, serio, cingendole le spalle per sorreggerla.
Lei arricciò le labbra e tornò a fissare il pavimento. «Non so cosa mi è preso. Pensavo di avere tutto sotto controllo.»
«Tu pensi troppo» Abigail scosse la testa, stendendole la gamba per raddrizzarla e ignorando le sue smorfie di dolore. «A volte bisogna solo smettere di calcolare ogni mossa e provare ad agire d’istinto» fece un rapido movimento con la bacchetta, cui seguì un inconfondibile verso strozzato e sofferente da parte della cugina, evidentemente colta alla sprovvista.
Questa si massaggiò il ginocchio con cautela e scrutò l’altra con una velata aria di rimprovero. «Dovevi avvertirmi che l’avresti fatto. Sei stata scorretta.»
«Cosa sarebbe cambiato? Non avrebbe fatto meno male, anche se te lo avessi detto» commentò Abigail, porgendole una mano per consentirle di alzarsi. «E adesso hai di nuovo una gamba» aggiunse, stavolta strizzandole l’occhio con complicità.
Margaret annuì e le sorrise con riconoscenza, mentre le sfiorava affettuosamente il braccio. «Grazie.»
«Non serve» rispose Abigail distrattamente, dal momento che la sua attenzione si era appena catalizzata sull’espressione tanto contratta quanto indecifrabile di George, a un paio di metri da lei. Rigirava tra le mani la bacchetta – recuperata pochi istanti prima – della migliore amica, pensieroso, apparentemente non molto interessato a ciò che le due ragazze avrebbero potuto dirsi. «Ehi, stai bene?»
Lui, come risvegliato da un lungo torpore, sollevò lo sguardo e annuì, avvicinandosi. «Sì» porse la bacchetta a Margaret, ma, nell’esatto momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli di lei, gli equilibri che si era prefissato di mantenere presero a vacillare. Esitò, e sospirò pesantemente. «No, non sto bene» ammise, forse innanzitutto a se stesso. «Hai idea di dove sia mio fratello, Meg?»
Lei scosse la testa, martoriando la stoffa della maglietta con le dita della mano non impegnata. «Ci siamo persi di vista» fu l’unica cosa che riuscì a dire, tormentata com’era da quella rinnovata angoscia che rischiava di asfissiarla.

Il rumore della battaglia non le era mai sembrato tanto doloroso quanto in quel preciso istante.

George continuò a scrutarla, dilaniato da un conflitto interiore che gli rendeva tremendamente difficile ponderare le diverse possibilità d’azione. Eppure, in cuor suo, era così semplice prendere una decisione. «Vado a cercarlo.»
«Veniamo con te» si affrettò Margaret, ma lui non ne parve particolarmente entusiasta.
«Preferisco che rimaniate qui, è più tranquillo. Non sei nelle condizioni di affrontare altri rischi, né di rimanere da sola.»
«Non se ne parla!» protestò lei con ritrovato e inaspettato vigore, con un lampo ad animarle gli occhi. «Se pensi che io sia disposta a...»
«Margaret, santo cielo!» la interruppe, alzando la voce, in un tono che – più che esasperato – aveva tutta l’aria di una supplica. I suoi nervi diventavano più fragili a ogni secondo buttato via inutilmente. «Lascia che me ne occupi io» le disse con più calma, avendo notato una certa rigidità nei suoi muscoli facciali e un nervoso velo di lacrime inumidirle le stanche iridi verdi; capiva che la sua era una necessità vitale, non un mero capriccio, ma non poteva permettere che lo seguisse. «Per favore
«Non sei l’unico cui importa di lui
«Lo so, Meg» le accarezzò la spalla, rassicurante, cercando il suo sguardo. «Fidati di me. Lo troverò.»
La vide annuire, non senza una certa riluttanza, e per un attimo pensò che la questione fosse stata risolta; non aveva evidentemente messo in conto un’eventuale reazione da parte di Abigail, che di scatto – forse in modo automatico – aveva serrato la mano attorno al suo polso una volta avvertito il sentore di un imminente allontanamento.
«Non posso lasciarti andare da solo» protestò quest’ultima, infatti, intensificando la presa; nella sua espressione ansiosa era possibile leggere molto più della semplice preoccupazione. Gli si avvicinò di più, a un passo di distanza. «Non posso permettere che ti accada qualcosa. Non potrei perdonarmelo.»
George comprendeva le sue paure: erano le stesse che provava anche lui al pensiero di dover separarsi da lei, di dover lasciarla per andare da solo. Si erano detti che non si sarebbero divisi, che avrebbero affrontato quella sfida mortale insieme, che si sarebbero fatti scudo a vicenda contro qualsivoglia avversità; tuttavia, era quasi scontato che, quelle stesse promesse, lui e suo fratello se le fossero tacitamente fatte innumerevole tempo prima. Gli faceva male, dover decidere tra due persone per lui così importanti, ma al contempo era come se ogni scelta gli fosse stata preclusa.
Aveva inconsapevolmente accompagnato Abigail da Margaret; era ora che le loro strade si dividessero fino a quando anche quell’altro compito che si era preposto di svolgere non fosse stato portato a termine.
Intrecciò le dita alle sue e le strinse la mano intensamente; era l’unico modo in cui avrebbe potuto chiederle perdono. «Dovete rimanere insieme, al sicuro. Io me la caverò.»
«Hai bisogno di me» la voce di Abigail non suonava più tanto sicura; si era ridotta a poco più di un incerto, flebile bisbiglio. «Ho bisogno di te

Tutto, dentro di lei, tremava.
Forse di rabbia, per una vita ingiusta che nulla le aveva mai regalato senza chiedere qualcosa in cambio, e che ancora una volta minacciava di strapparle via dalla pelle e insieme a essa quanto di più prezioso aveva coltivato; o forse di paura, consapevole che quella avrebbe potuto essere l’ultima occasione per tenere accanto a sé quanto di più simile alla serenità avesse messo radici nei suoi giorni.
Tremava, e aveva bisogno che qualcuno la stringesse e le sussurrasse che sarebbe andato tutto bene.
Tremava, eppure non riusciva a muoversi.

Lui le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le accarezzò la guancia, percorrendole con delicatezza la linea del viso fino al mento. Avrebbe tanto voluto sorriderle. «Mi odio, Gail, perché se c’è una cosa che vorrei non dover fare è allontanarmi da voi, da te, e non sapere se potrò mai rivedervi» distolse per un breve istante lo sguardo dal suo nel tentativo di ritrovare la forza necessaria a sopportarne il peso. «Ma non posso fare altrimenti. Vorrei averti accanto, ma al tempo stesso non voglio trascinarti di nuovo lì in mezzo. Sarebbe diverso, se fossimo solamente io e te; adesso c’è tua cugina che più di ogni altri ha bisogno che tu le stia vicina. Spero tu possa capirmi.»
Abigail non sapeva cosa dire; non sapeva se ce l’avrebbe fatta ad accettare di lasciarlo andare. Ma poi guardò Margaret, e si sentì un’egoista.

La ragazza si era messa un po’ in disparte, per nulla intenzionata a prendere parte a discussioni che – in linea di massima – non la riguardavano, impiegando il suo tempo ad assicurarsi che il Mangiamorte di poco prima fosse ben legato e, soprattutto, che non ne stessero per sopraggiungere degli altri. Aveva un’aria concentrata e, come suo solito, trasudante determinazione, ma essa non poteva celare quanto, in realtà, lei stesse soffrendo, e non solo fisicamente.
Glielo si leggeva in ogni espressione del viso, in ogni doloroso respiro, nelle mani strette a pugno e nelle unghie che, indolenti, si conficcavano nei palmi ormai anestetizzati; glielo si leggeva in tutte quelle parole che avrebbe desiderato urlare e che, invece, si era costretta a comprimere tra l’addome e la gola, come se la consapevolezza di non trovarsi a fianco dell’unica persona di cui, in quell’istante, aveva realmente necessità di percepire la vicinanza, non fosse una pena già abbastanza grande da avvertire addosso.

Abigail chiuse per un attimo le palpebre, salvo poi reindirizzare la propria attenzione sul ragazzo che, di fronte a lei, attendeva con un sorriso triste una sua parola.
Raccolse tutte le sue forze e annuì, mentre la sua mano correva – quasi animata da vita propria – a sfiorargli quel foro che mai sarebbe riuscita ad abituarsi del tutto a vedergli al posto dell’orecchio. «Fa’ attenzione. Non vogliamo perderci altri pezzi per strada.»
Lui rise sottovoce e le fece l’occhiolino, in una sorta di muta richiesta che la portasse a non perdere le speranze. «Tornerò presto. Ci rivediamo qui.»
«Va bene» rispose lei, piano, incurvando un angolo della bocca allo scopo di mascherare quel dolore che le attanagliava il cuore. Lo osservò allontanarsi, passo dopo passo e sempre più distante da lei, fino a quando la sua figura non fu sparita oltre il muro.
Margaret le si approssimò, titubante, e le strinse docilmente un braccio, nel tentativo di infonderle quel coraggio di cui era certa avesse bisogno e, al medesimo tempo, di appigliarsi anche lei a una possibile fonte di salvezza. «Se la caveranno.»
«Lo so» annuì Abigail, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso rassegnato. «Gli saremmo state addosso come delle sanguisughe se non lo avessimo creduto veramente.»
«Eppure non riusciamo a non avere paura per loro» constatò l’altra, pensierosa, incrociando il suo sguardo; erano entrambe tanto sommerse da emozioni e sentimenti così in contrasto che il rischio che quel labile equilibrio andasse in pezzi difficilmente sarebbe potuto risultare più elevato.
Quanto avrebbero resistito a quella lenta e infida tortura chiamata attesa?
«È uno dei prezzi che l’amore ci chiede di pagare» osservò Abigail, arricciando istintivamente le labbra, quasi fosse infastidita. «Non fa sconti, quel bastardo

Accorse un improvviso rumore di passi, accompagnato da quello, secco e agghiacciante, delle Maledizioni e delle Fatture che nel frattempo venivano scagliate, ad apporre il punto conclusivo a quella loro non voluta e avvilente inerzia.
Quello scambio – presumibilmente tutt’altro che amicale – stava avendo luogo a qualche metro di distanza da loro; abbastanza lontano da non coinvolgerle ma abbastanza vicino da essere udito e da alimentare il loro stato di tensione.
Levarono le bacchette e si scambiarono un lungo sguardo emblematico, internamente consapevoli di quale sarebbe stata la loro mossa successiva.
«Dobbiamo davvero aspettare qui?» chiese Abigail con perplessità, corrugando la fronte.
Margaret, allora, sollevò le sopracciglia e sbuffò dal naso con apparente leggerezza. «Secondo te?» fece di rimando, retorica, iniziando a percepire le scariche di adrenalina scuoterle la spina dorsale.
L’altra sogghignò e le strizzò l’occhio con fare inequivocabilmente complice. «Ottima risposta, sorella

Si avviarono, spedite ma altrettanto vigili e soprattutto non disposte a essere colte di sorpresa; la strada da percorrere non era molta, ma ciò non toglieva che potesse rivelarsi ugualmente piena di insidie.
Si chiedevano chi ci fosse, al di là di quella parete, nel bel mezzo di quel corridoio; si chiedevano chi dei loro stesse lottando per la vita aggrappandosi a ogni concreta possibilità, a ogni pallida ma pulsante e più che mai viva speranza.
Svoltarono l’angolo nello stesso istante in cui lo Schiantesimo di Desmond Stevens colpì Rowle in pieno petto, seguito da un Incantesimo Pietrificus che pose fine ai giochi.
L’uomo si concesse un sospiro esausto e si asciugò la fronte appena imperlata di sudore con un gesto distratto e sbrigativo della mano. «E anche questo è momentaneamente sistemato.»
«Puoi fare di meglio» lo stuzzicò Margaret, alle sue spalle, incurvando le labbra in un piccolo, stanco, sorriso sornione.
Lui si voltò di scatto, profondamente sorpreso; impiegò una manciata di secondi per rendersi pienamente conto che le due ragazze che aveva di fronte fossero per davvero sua figlia e sua nipote.
Si avvicinò a loro, rapido, ansioso di accertarsi che stessero entrambe bene. «Iniziavo a credere che non vi avrei mai trovate» confessò, mentre abbracciava Margaret e tendeva una mano verso Abigail, non mancando di indugiare su quel livido nero che circondava l’occhio gonfio e certamente dolorante di quest’ultima. «Chi è stato?» chiese, dunque, irrigidendosi di colpo.
Sciolse la stretta, e Meg poté notare come sul suo volto albergasse qualcosa di indecifrabile, qualcosa che andava al di là della prevedibile tensione e che lei non riusciva a interpretare.
Abigail, d’altro canto, contrasse i lineamenti in una smorfia, come se per la prima volta dopo un certo lasso di tempo avvertisse quel fastidio, cui doveva essersi inconsciamente assuefatta a tal punto da non percepirlo. «Non importa. Solo uno stupido Ghermidore.»
Desmond parve un attimo interdetto, poi annuì lentamente e spostò lo sguardo verso un punto imprecisato a qualche metro da lui, come sovrappensiero. «I ragazzi? Dove sono?»
«È una lunga storia, ma siamo certe stiano bene» tagliò corto Meg, insospettita dall’atteggiamento vago e misterioso di suo padre. Sembrava quasi che volesse tener loro nascosto qualcosa. «Cos’è successo?»
L’uomo trasalì e tornò a guardarla; il suo volto adesso era segnato da angoscianti e forse immotivati sensi di colpa. Non sapeva come dirlo, non sapeva come confessare quanto accaduto, non riusciva neanche a pensarci senza che un’atroce fitta di dolore gli prendesse il corpo.

E Margaret e Abigail capirono; capirono che qualcosa doveva non essere andato secondo i piani, capirono che qualcosa di irreparabile doveva essere accaduto. E l’ansia, prepotente, si fece sentire con ritrovata forza, paralizzando i lineamenti di quei volti che solo attendevano una risposta che in realtà non avrebbero voluto ricevere.
«Zio, chi...» tentò Abigail, illudendosi di aver trovato il giusto coraggio per porre quella maledetta domanda, la cui restante parte però le morì in gola.
Ci pensò Meg – riluttante e con la voce appena rotta da un pianto che non ce la faceva più a rimanere represso – a completarla. «Chi è morto?»
Desmond le fissava, immobile, incapace di dire una parola; lui, che con le parole ci aveva costruito una carriera, solitamente così abile nel manipolarle e nel piegarle a suo piacimento, si ritrovava impotente e impossibilitato a usarle di fronte agli occhi colmi di lacrime di sua figlia. Perché era consapevole di quanto fossero pesanti, quelle che gli si chiedeva di pronunciare, e mai – per alcuna ragione al mondo – avrebbe desiderato essere egli stesso portatore di un dolore così grande. Ma Margaret meritava di sapere; sua nipote meritava di sapere. Erano ormai passati anni dai tempi in cui, bambine e indifese, era chiamato a proteggerle e a tener nascoste quelle amare verità che le avrebbero ferite; quei tempi, in cui probabilmente glielo avrebbero lasciato fare, erano ovviamente finiti. E adesso lui si trovava lì, di fronte a loro, costretto a gettare nuova benzina sul fuoco di quella sofferenza che, in altre circostanze, avrebbe fatto di tutto per spegnere.
«Ragazze...» raccolse le sue forze, ma non ebbe neanche la possibilità di dare una sorta di ordine al caos che albergava nella sua testa che subito la sua attenzione si focalizzò altrove.
Fiutando il pericolo, i suoi riflessi abbastanza rapidi gli consentirono di scansare le due ragazze appena in tempo perché quel nuovo attacco non le colpisse. Rispose con prontezza, smascherando il suo avversario.
«Rookwood» constatò, allora, per nulla meravigliato.
L’appena menzionato piegò gli angoli della bocca in un ghigno perfido e si esibì in un mezzo inchino sfacciatamente sarcastico. «Stevens, che piacere rivederti.»
«Risparmiatelo!» sbottò Meg, con i nervi a fior di pelle, tentando un Expelliarmus che, però, fu immediatamente respinto.
L’uomo la osservò con disgusto, allo stesso modo in cui avrebbe osservato un insetto viscido e particolarmente rivoltante. «Allora è vero, quello che si dice in giro: non ci sai proprio stare al tuo posto» commentò, sprezzante, tentando un attacco che venne subito bloccato dalla diretta interessata.
Abigail e Desmond, a loro volta, provarono a contrattaccare, ma i loro colpi furono prontamente neutralizzati dallo stesso Rookwood e da una seconda figura incappucciata appena accorsa in suo sostegno.
Margaret e Abigail si scambiarono una rapida occhiata pregna di tensione: sapevano che le probabilità di farcela diventavano sempre più prossime allo zero man mano che il tempo passava e che la stanchezza e i lividi si accumulavano, ma mai avrebbero accettato di arrendersi senza combattere fino a quando l’ultima delle forze non le avesse abbandonate.

Erano tre contro due; sarebbe stato semplice, se solo i due in questione non avessero avuto dalla loro parte una totale mancanza di scrupoli e una raccapricciante abilità nel dispensare morte e sofferenze come se di fronte ai loro occhi non si trovassero esseri umani, ma oggetti privi di una qualunque dignità.
I colpi si susseguivano uno dopo l’altro, rapidi, in degli scambi tanto intensi da non permettere di carpire le intenzioni degli avversari e che lasciavano spazio unicamente ad azioni guidate dal puro intuito. Non era quello il tempo per le riflessioni e per le pianificazioni: solo l’istinto e la più sfacciata incoscienza avrebbero premiato, come le due cugine poterono ben constatare nel momento in cui il loro ammirevole lavoro di squadra riuscì a mettere fuori gioco il secondo Mangiamorte, che dopo quell’azione combinata avrebbe certamente smesso di rappresentare un problema per qualche buona ora.
Ma Rookwood era ancora in pista, e sembrava più determinato che mai; Abigail e Margaret non si persero dunque in convenevoli e prontamente si unirono a Desmond in quello che aveva preso le sembianze di un duello irrisolvibile. Era però evidente come Meg non riuscisse a stare al passo: i postumi della Maledizione Cruciatus subita, come anche quelli della recente frattura alla gamba sinistra, inevitabilmente la rallentavano, la facevano arrancare e la rendevano vulnerabile, e uno come Rookwood non avrebbe mai perso un’occasione tanto ghiotta quanto quella che la non perfetta condizione fisica della ragazza gli prospettava. Sarebbe stato impensabile, per lui, non prendere di mira con accanimento un bersaglio che altri gli avevano reso così facile; uno spreco che difficilmente si sarebbe perdonato.
La foga con cui si ostinava ad attaccarla era a dir poco imbarazzante. Meg aveva rinunciato ormai da qualche minuto a ogni logica e sferrava fatture senza nemmeno chiedersi se davvero servissero a qualcosa; si sentiva sopraffatta, prossima al fallimento, e percepiva il suo corpo cedere, non rispondere ai comandi che la sua testa cercava di impartire senza più alcun minimo successo. Quasi non capiva cosa stesse accadendo attorno a lei; non lo capì allora, né tantomeno lo capì quando vide solamente partire quel getto di luce verde dalla punta della bacchetta di Rookwood per poi sentirsi spingere via, addosso ad Abigail, trascinando quest’ultima con sé sul pavimento.
L’impatto risultò abbastanza attutito dal corpo della cugina, che a differenza sua emise un verso strozzato in risposta alla fitta di dolore che le attraversò la schiena in seguito alla caduta. Entrambe avrebbero dato qualsiasi cosa perché fosse loro concesso di rimanere lì, distese per terra, senza che nessuno venisse a dir loro che era tempo di rialzarsi e di ricominciare a combattere. L’incoscienza dei vent’anni aveva lasciato il posto alla stanchezza, alla consapevolezza di non poter più continuare e che forse sarebbe stato più dignitoso arrendersi che tentare stupidamente l’impossibile. Margaret, di certo, non si era mai sentita tanto inutile quanto in quegli istanti.
«Troppo, troppo facile» commentò malignamente Rookwood, accompagnandosi con una crudele risata che per lui aveva tutto il sapore della vittoria.

Fu allora che Meg, quasi senza accorgersene, riuscì a sciogliere le catene che si era inconsciamente costruita e a liberarsi da quella bolla che l’aveva tenuta avvolta e che l’aveva resa inerme per tutto quel tempo. La rabbia, rafforzata da un’incontenibile frustrazione e da quella stessa paura che non l’aveva mai abbandonata da quando la battaglia era iniziata, riprese a bruciarle nel petto come un fuoco sempre vivo e continuamente alimentato. Si alzò a fatica, a tratti barcollando, tenendo ben stretta nella fremente mano destra la bacchetta. I suoi occhi erano fissi in quelli crudelmente compiaciuti del Mangiamorte; lo scrutavano da dietro le maltrattate ciocche di capelli ricadute sul viso, trafiggendolo, ma non sembravano intimidirlo.
Rookwood rimase fermo e continuò a osservarla con lo sguardo di chi è convinto di avere gli altri in pugno. Non aveva paura di Margaret, non ne aveva mai avuta, e lo rimarcò contraendo i muscoli facciali in un gelido ghigno che solo aveva lo scopo di beffarsi di lei.
«La partita è finita, Pasticcino» le disse quasi in un sussurro, sottolineando quell’ultima parola, quel soprannome che così spesso la ragazza si era sentita affibbiare da quell’unica persona al mondo cui era mai stato concesso farlo. Sentirlo pronunciare tanto sfacciatamente dalla voce di quello che reputava un essere spregevole, assolutamente non degno di essere chiamato uomo, fece nascere in lei un sentimento che mai prima di allora aveva sperimentato in vita sua.
Era la brama di vendetta. Voleva vendetta, la desiderava, per quegli anni trascorsi nel terrore, per le carezze che non aveva dato a suo figlio perché troppo impegnata nell’impedire che quella maledetta guerra le sfondasse la porta di casa, per tutte quelle vite innocenti che erano state spezzate troppo presto e che non avrebbero mai più potuto bearsi della bellezza di un tramonto o di quella di un semplice sorriso.
La agognavano, questa sacrosanta vendetta, le sue dita sempre più serrate attorno alla bacchetta. Margaret non fece un grande sforzo per convincere il suo braccio a sollevarsi per puntarla dritta contro il petto del suo avversario, la cui risata gli morì soffocata in gola nell’esatto istante in cui le intenzioni della giovane si resero fin troppo chiare.
«Non ne saresti capace» biascicò Rookwood, in un mero tentativo di convincere se stesso della veridicità di quelle parole nelle quali neanche lui riusciva più a credere.
Margaret, allora, incurvò impercettibilmente l’angolo destro della bocca in un finto e gelido mezzo sorriso e per un solo istante abbassò lo sguardo sul pavimento, forse un po’ indecisa, prima di puntarlo nuovamente con disprezzo su quell’uomo che cercava di interpretare ogni sua mossa a qualche metro da lei. Non poteva negare che in fondo avesse ragione: i suoi scrupoli, la sua coscienza, la sua morale, mai le avrebbero consentito di ricorrere a una scappatoia così meschina per abbattere i suoi avversari e far valere ciò per cui si era reso necessario lottare; che senso e che credibilità avrebbe avuto, d’altronde, un ideale di giustizia ristabilito attraverso una serie di atti fondamentalmente ingiusti?
Nessuno, si rispose la giovane strega, mentre il duello con Rookwood si era riacceso e assumeva, però, delle sfumature profondamente diverse da quelle che avevano caratterizzato lo scontro precedente. La brama di vendetta non l’aveva certo abbandonata, ma anzi forniva un contributo essenziale a mantenere sempre in vita quella buona dose di rinnovata determinazione che aveva totalmente stravolto l’approccio di Margaret all’intero combattimento. I suoi colpi erano mirati, funzionali e soprattutto decisi, e davano l’impressione di essere molto più efficaci di qualsiasi altro attacco la ragazza avesse sferrato nel corso di quella sera fino a quel momento.
Il Mangiamorte, prevedibilmente, perse in poco tempo il controllo della situazione e si ritrovò in balìa delle sue azioni. Era diventato troppo difficile starle dietro, anticiparla, e anche il pensiero di poter per lei rappresentare una plausibile minaccia era diventato molto meno realistico.

Emblema del trionfo della Stevens fu quello Stupeficium che, potente e rabbioso, colpì l’uomo in pieno petto e lo Schiantò con inaudita violenza a diversi metri di distanza. Il rumore della testa dell’uomo che impattava contro il pavimento fu cupo, quasi tetro, o almeno così fu avvertito dalla ragazza, che con cautela e con la bacchetta sempre levata iniziò ad avvicinarsi a quel corpo immobile che – come lei stessa poté scoprire poco dopo – mai più avrebbe ricominciato a muoversi.
Aveva appena ucciso una persona. La sua mente non riusciva a pensare ad altro, mentre con lo sguardo indugiava apaticamente su quella nauseante pozza di sangue e sugli occhi ormai privi di vita di quell’uomo che tanto odiava e della cui morte si era irrimediabilmente macchiata. Ma non si sentiva in colpa: quella notte l’aveva posta davanti a un bivio, l’aveva costretta a scegliere tra il sopravvivere ricorrendo a qualsiasi mezzo si fosse rivelato necessario e l’arrendersi e morire.
O lui, o lei. Non aveva dubbi che la sua vita fosse infinitamente più importante di quella di un assassino.

«Maggie» Abigail la chiamava, con la voce rotta dal pianto: aveva continuato a farlo per tutto il tempo, ma fu solo in quel momento che lei riuscì a sentirla.
Margaret iniziò a sudare freddo. Non voleva voltarsi, non voleva scoprire cosa fosse accaduto, non voleva fare i conti con qualcosa che non sarebbe riuscita a sopportare e che era ormai certa fosse accaduto. Non voleva, ma dovette costringersi a farlo, e una volta che lo fece il dolore fu troppo grande e lacerante perché le sue gambe potessero reggere ancora. Sentiva il petto dilaniarsi, l’ossigeno abbandonare i suoi polmoni, le lacrime inondarle il viso e annegarla. Provò a rialzarsi, ma furono pochi i passi che riuscì a compiere prima che le sue ginocchia cedessero di nuovo. Ogni nuovo respiro la uccideva, le procurava delle fitte al cuore cui non credeva di poter sopravvivere, mentre quello di Desmond Stevens aveva già smesso di battere per sempre e lei ne diventava atrocemente consapevole mentre gli accarezzava i capelli in un pianto silenzioso.
Abigail la guardava, distrutta, desiderosa di infonderle un coraggio che neanche lei sentiva più di avere, ma Margaret non ne voleva sapere di ricambiare il suo sguardo, né quello di chiunque altro. Si limitò ad accasciarsi sul petto esanime di suo padre e a stringerlo a sé tra i singhiozzi, nell’illusione di poter in qualche modo accompagnarlo verso qualsiasi cosa esistesse dopo quella vita.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per estraniarsi, per entrare di nuovo in quella bolla insonorizzata e lasciare i sentimenti e il mondo intero fuori, adesso che si sentiva divorare con sadica lentezza dai rimpianti per il tempo che aveva sprecato, per gli abbracci non dati, per tutte quelle parole e quei semplici e un po’ scontati “ti voglio bene” che avrebbe voluto dirgli ma che alla fine aveva preferito tener dentro. Le lacrime continuavano a scendere sul suo viso, amare, bruciandole la pelle, e i sensi di colpa per non aver fatto quel poco di più che sarebbe bastato per evitare quanto appena accaduto avanzavano veloci e la torturavano, acuendo il suo dolore.
A Margaret non importava più di niente. Non le importava della battaglia che ancora imperversava tra le mura del Castello, o della possibilità di un nuovo attacco del nemico, così come non le importava di quel rumore di passi che rapidamente raggiungevano lei e sua cugina.

Qualcuno le si inginocchiò accanto e le passò un braccio sulle spalle, tentando in qualche modo di stringerla. Era una presa forte, familiare, che per un troppo breve e volatile istante le fece quasi dimenticare tutto il dolore che provava.
«Non lasciarmi» pregò in un impercettibile sussurro soffocato, cercando la sua mano.
Fred accontentò la sua tacita richiesta e la strinse un po’ più forte a sé. Non l’avrebbe mai lasciata. «Sono qui.»


- Angolo dell’autrice

Hi guys, ben ritrovati! ♥

Lo so, non posso usare continuamente le solite scuse per giustificare le mie assenze sempre più imperdonabili, ma credetemi se vi dico che fino a una settimana fa a malapena esisteva la metà di questo capitolo (e infatti ho finito di scriverlo ieri sera). C’è addirittura stato un periodo in cui ho fermamente creduto che non sarei più riuscita a continuare, quindi davvero spero che il risultato globale sia quantomeno decente perché se così non fosse non potrei perdonarmelo. Giuro però che i sensi di colpa per avervi lasciati sulle spine in maniera così subdola mi hanno tormentata per mesi. ♥

Ma alla fine ce l’ho fatta, ed ecco che SBEM, il nostro Fred è vivo e vegeto e prometto che ci rimarrà per molto, moltissimo tempo. Così come George, così come Abigail, così come la cara Margaret che – povera stella – certamente non attraverserà un bel periodo, ma si riprenderà.
Diciamo che in questo capitolo non l’ho certo risparmiata: dalla gamba rotta, alla Maledizione Cruciatus (scrivendo tutti quei flashback e quelle riflessioni mi sono un po’ uccisa), a tutto ‘sto casino con Rookwood, fino ad arrivare alla morte del nostro povero Desmond che proprio non se la meritava una fine del genere.
Il problema è che qualcuno doveva pur morire, è toccato a Desmond perché sono una persona cattiva volevo che si trattasse di qualcuno di molto vicino a Meg per rendere un po’ più tormentati e interessanti i prossimi capitoli (anche se non è detto che ci riesca, eh). Tra l’altro, prima che arrivasse quel guastafeste di Rookwood, Desmond stava per confessare una cosa importante a Meg e Gail, ed ecco che mi tocca darvi un’altra brutta notizia: è morto anche un altro personaggio. Non posso anticiparvi di chi si tratta, ma verrà spiegato nel prossimo capitolo – e sono certa che quando lo scoprirete non sarete per niente contenti della mia scelta.

Quanto invece alla scelta di Rookwood, tutti sappiamo che nei libri è lui il responsabile della morte di Fred, mentre qui è rallentato (e poi ucciso, ma lui se lo meritava eccome) dalla presenza di Desmond, Gail e Meg e dal conseguente combattimento. D’altronde, tutta la storia è un What If?, e l’introduzione di un solo personaggio può stravolgere tutto – figuriamoci quindi cosa possa fare l’introduzione di 3820940 nuovi personaggi, come nel nostro caso. Poi, ho voluto che fosse Meg a ucciderlo sia perché in tal modo avrebbe quantomeno vendicato suo padre, sia per provare a rendere ancora più difficile e interessante la sua ripresa nel dopo-guerra.
In tal senso, secondo la scaletta i capitoli relativi al primissimo periodo del dopo-guerra dovrebbero essere due (il secondo dei quali, se riuscirò a scriverlo bene, è in lizza per diventare uno dei miei preferiti), poi ci sarà un piacevolissimo salto temporale di qualche annetto che ci porterà solo cose belle. ♥ Penso comunque che il prossimo sarà veramente triste, spero solo di non incontrare troppe difficoltà come quelle che mi hanno letteralmente assalita durante la stesura di quest’ultimo. *sospira*

Mi dispiace solo di non potervi lasciare alcun trafiletto, dato che del prossimo capitolo non esiste neanche una parola. Posso però anticiparvi che tratterà dell’immediato ritorno a casa dopo la Battaglia (o almeno dovrebbe), quindi be prepared.

Detto ciò, ringrazio come sempre:

7_always_7AlileFreedomAngel_Maryaurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_MiDoraBaggins, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, huntingwithwolvesIce_DP, JeckyCobainjuly95, KariWhiteKatherineThomas06, Krista Kane, ladyw, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSik, Moon95Orma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_SSoleil Jonestenna96valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, winterlover97Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

And RiddleCalypso_, EmmaDiggory15, feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367GoodbyeStregatto, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasleyMeissa Antaresorange_weasleysara9703, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darksidewinterlover97, Zarael_Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

 7_always_7, Azazel_Frederique Blackhuntingwithwolves, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, maryanne armstrongmax85MelodySong99Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

La meravigliosa Meissa Antares, che ha recensito il capitolo precedente. ♥

Quanto ai credits, il titolo ovviamente è lo stesso di quello della volta scorsa, mentre la canzone in apertura è Resistance, delle mie amorevoli nutrie infami preferite che ormai conoscete tutti e che sono i Muse. ♥

Non mi resta che salutarvi. Spero davvero di riuscire a scrivere il nuovo capitolo in tempi decenti e di non farvi aspettare altri sei mesi, sebbene non possa garantire niente. Adesso tra il tirocinio e la tesi di laurea e le materie che mi restano sarà un enorme casino, ma ci proverò. ♥                   
Nel frattempo, spero di trovare qualche parere – che mi fa sempre molto, molto, molto piacere – e vi mando un enorme e affettuosissimo abbraccio.

Jules

 

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Capitolo 29
*** Forse ci piace il dolore, forse gli siamo legati, perché senza di esso non capiremmo ciò che è reale ***



Capitolo 29




Forse ci piace il dolore, forse gli siamo legati,
perché senza di esso non capiremmo ciò che è reale


 
War is all around, I’m growing tired of fighting
I’ve been drained and I can’t hide it
But I have strength for you
You’re all that’s real anymore
I am coming home now, I need your comfort

 
Margaret credeva di non avere più lacrime. Aveva provato a trattenerle, varcata la soglia di casa di ritorno da quella mortifera battaglia, ma vani si erano rivelati i suoi sforzi quando, posata la testa sul cuscino, quelle avevano ripreso a sgorgare e a ferirle il viso come fossero lame affilate e impregnate di veleno.
Fred le si era disteso affianco e l’aveva stretta a sé, in un silenzio rispettoso del suo dolore, preoccupandosi di riscaldarla perché totalmente congelata. L’aveva sentita tremare tra gli innumerevoli, laceranti singhiozzi, e in quei momenti si era sentito morire dentro un po’ anche lui.

Non aveva mai creduto che Margaret potesse crollare in questo modo, semplicemente perché il crollo non era contemplato nella sua natura. L’aveva vista cadere più volte, durante quegli ultimi mesi, e anche prendersi il suo tempo prima di riuscire a rialzarsi, ma mai era stato previsto lo schianto; adesso, però, che l’imprevedibile era venuto a prendersi ciò che credeva gli spettasse, come quel sapore di sofferenza e fallimento, Fred si chiedeva se avrebbe avuto la forza di aiutarla. Ci avrebbe provato, non disposto a lasciarle affrontare i suoi mostri da sola, ma sapeva che non sarebbe stato semplice e che qualsiasi passo macinato lungo quel sentiero non asfaltato, insidioso, sarebbe potuto risultare falso.

A un certo punto si era addormentata, esausta, ma il suo non era stato un sonno tranquillo. Il ragazzo aveva provato a stringerla più forte e a lottare contro quei tremori che la scuotevano, ma la paura di farle inavvertitamente male o che quel tentativo di proteggerla si mostrasse controproducente l’aveva frenato dal fare di più.
Era come trovarsi di fronte a una persona nuova, sconosciuta, della quale non si conoscono né si possono prevedere le reazioni, ma troppo fragile da poter lasciare sola.

Ora, che era di nuovo sveglia ma a corto di lacrime, Fred percepiva l’urgenza di farle avvertire la sua vicinanza non più solo fisicamente.
Desiderava che gli parlasse, che anche indirettamente gli dicesse che lei c’era, che era lì con lui, presente e non estranea a se stessa, e che ce l’avrebbe fatta ad andare avanti.
Le accarezzò il viso, soffermandosi su quella ferita all’altezza del mento che aveva già iniziato a cicatrizzarsi ma che mai più sarebbe andata via, come ricordo eterno e non gradito di ciò che quella notte le aveva inevitabilmente marchiato addosso; forse consisteva proprio nella memoria, nel perpetuo rivivere quegli istanti di disperazione, il prezzo da pagare per aver scelto di sopravvivere.
«Posso fare qualcosa?» le chiese in un sussurro, mentre ancora la teneva stretta e le sfregava lentamente e con delicatezza le spalle per riscaldarla.

Margaret, immobile e con lo sguardo, spento, fisso sulle pieghe delle lenzuola, attese una ventina di secondi prima di rispondergli.
«Ve bene così» disse con voce roca, incerta, e la sua mano sinistra si mosse a stringere debolmente quella con cui Fred non aveva smesso di sfiorarle il volto. Sentiva che solo lui avrebbe potuto capirla davvero. «È tutta colpa mia.»
«No che...» s’interruppe, lui, percependo la pelle della ragazza tremare di nuovo; così, senza allentare la presa, provò a girarsi un po’ sul fianco per guardarla meglio. «No che non è colpa tua, Meg. Doveva... Doveva succedere, non potevi farci niente.»
«Sì, invece... se solo fossi stata meno stupida, tutto questo n-non...» ribatté lei, ma il resto della frase non poté vedere la luce, destinata ad annegare tra le lacrime di quel nuovo pianto che rapidamente si era fatto strada fino alla gola e poi fino a quegli occhi troppo rossi e troppo stanchi e che troppo avevano sofferto.

Fred non sapeva come comportarsi.
Non sapeva cosa fare, cosa dire, quasi non riusciva neanche più a pensare, e quelle fitte pungenti che gli stringevano il petto erano nulla se confrontate alla sgradevole frustrazione che provava nel vedersi così inerme al cospetto di quel dolore.
Soprattutto, temeva di sbagliare. Pensò che se fosse stato zitto, se solo non le avesse chiesto niente e si fosse limitato a starle accanto, probabilmente quell’ennesima ricaduta non ci sarebbe stata. Magari sarebbero rimasti in silenzio per qualche altra ora, o forse per tutto il giorno, e le parole avrebbero trovato spazio in un altro momento, uno più appropriato.
Ma, d’altra parte, se c’era una cosa che in quegli ultimi anni aveva imparato, questa era che non ci riusciva proprio a guardare Margaret e a fare, immediatamente dopo, qualcosa di coerente con quanto fino a un istante prima aveva pensato. Per quanto buoni fossero, i suoi propositi finivano continuamente per destrutturarsi ed essere rimessi in discussione ogniqualvolta incontrassero quelle iridi verdi sempre in grado di cambiare gli equilibri in gioco.
Fu per questa ragione che, nonostante si fosse un po’ maledetto in precedenza per aver rotto quel rumore fatto di silenzi, comprese che con ogni probabilità sarebbe imploso se non avesse quantomeno provato a dirle ancora qualcosa. Così, con un pollice le sospinse dolcemente il mento per portarla a sollevare di poco il viso e tenne gli occhi fissi su di lei con insistenza, tant’è che alla fine questa sfacciata perseveranza convinse la giovane strega a ricambiare il suo sguardo, seppure con un pizzico di vergogna e riluttanza.
Le sfiorò appena la fronte con le labbra, asciugandole al contempo le guance con entrambi i lembi delle maniche della sua maglia. «Tu non c’entri niente, niente, con quanto è successo stanotte. Tuo padre, tua nonna...» esitò per un solo istante, dato che anche lui percepiva distintamente il bruciore dilaniante che quelle perdite avrebbero procurato per diverso tempo ancora. Dovette trarre un profondo e ammortizzante respiro prima di continuare. «Loro non avrebbero voluto che tu ti sentissi in colpa per qualcosa che non potevi evitare. Hai fatto del tuo meglio, hai salvato la vita a tua zia, a tuo cugino e a tanta altra gente, adesso non puoi condannarti per ciò che materialmente non ti era possibile fare. Non lasciare che tutto questo ti distrugga.»
Margaret non rispose. A fatica, si limitò ad annuire, e solo lei poteva sapere quanto quel semplice gesto le costasse. Era stato un po’ come mentire: d’altronde, come poteva garantirgli che non si sarebbe lasciata annientare quando tutto, dentro di lei, urlava tanto forte da convincerla del contrario?
Distolse lentamente lo sguardo e tornò a posare la testa sul suo petto; aveva bisogno di sentire quel cuore pulsare, martellare con insolenza contro la gabbia toracica, inondarle le orecchie di un suono che sapeva di vita. Troppa era la morte che avevano incontrato i suoi occhi quella notte, più di quanta il suo corpo potesse sopportarne. Aveva bisogno di espellerla, di allontanarla da sé, ma più ci provava e più la nausea, quel malessere diffuso, quel senso di oppressione si impadronivano di lei, ravvivati da quegli inarrestabili sensi di colpa che sicuramente era ancora troppo presto per lasciare andare.
A ogni nome senza più futuro, a ogni volto ormai pallido e privo di calore, le contrazioni e gli aggrovigliamenti del suo stomaco si facevano più decisi, dolorosi, e la tormentavano.
Desmond, Vittoria, Remus, Tonks, la signora Edwards: credeva di poterli sentire, uno a uno, con i loro commenti di biasimo e i loro sguardi fissi su di lei, come se al suo posto ci fosse una bambina ingenua e inadatta a vivere, mentre davanti a lei persino l’immagine del cranio rotto di Rookwood la portava a chiedersi se in realtà non fosse ella stessa un mostro. In fondo, aveva pur sempre ucciso un altro essere umano: un essere umano spregevole, privo di qualsiasi umanità, ma pur sempre un essere umano; qualcuno che magari aveva una madre, una famiglia che l’avrebbe pianto allo stesso modo in cui lei, adesso, stava piangendo suo padre e sua nonna.

Fu solo quando Fred emise un piccolo lamento strozzato che Margaret si accorse di aver conficcato le unghie sulla sua spalla. Allentò la presa, scusandosi, ma non passò molto prima che si allontanasse totalmente da lui e si alzasse dal letto.
«Ho bisogno di... di bere e di prendere un po’ d’aria» rispose, sofferente, alla sua espressione interrogativa e per ovvi motivi preoccupata.
Si trascinò a piedi nudi fino al bagno, e una volta dentro si richiuse la porta alle spalle e s’inginocchiò vicino al gabinetto, legandosi rapidamente i capelli con l’elastico che teneva al polso. La verità era che quella nausea non le dava tregua; stava male, terribilmente male, e mentre i conati la scuotevano, quasi non dandole la possibilità di fermarsi un solo istante e respirare, l’unica speranza che poteva avere era di riuscire in tal modo a liberarsi anche un po’ del suo dolore.

Quel bruciore alla gola era quanto di più fastidioso fosse obbligata a sopportare subito dopo. Provò a darle un po’ di sollievo concedendosi un sorso d’acqua fresca, non prima di aver sciacquato la bocca e il viso, poi premette entrambe le mani sul bordo del lavandino e si costrinse a guardare la sua immagine riflessa allo specchio. Tante volte, per un motivo o per un altro, aveva dovuto farci i conti, ma quella era senz’altro la più dura. Ogni piccola cicatrice, ogni bruciatura, ogni livido e persino quelle occhiaie date dalla stanchezza le riportavano alla memoria quanto accaduto quella notte, e lei non poteva fare altro che chiedersi se le sue spalle sarebbero state sufficientemente forti da reggerne il peso.
I suoi occhi corsero ai capelli ancora attaccati, incolti e pesantemente trascurati: quasi non ricordava quanto fosse passato dall’ultima volta in cui era riuscita a dar loro una forma. Probabilmente un mese, o forse due. Comunque, non ci rimuginò per molto, poiché non perse tempo a sciogliersi la coda fatta poco prima e ad acconciarne un’altra, stavolta un po’ più bassa. Aveva dimenticato la bacchetta sul comodino della camera da letto, ma non si crucciò ed estrasse un paio di forbici dal secondo cassetto del mobile posto affianco al lavabo; fu allora che, senza pensarci troppo – onde evitare di cambiare idea –, diede un taglio netto all’altezza dell’elastico e circa trenta centimetri di capelli caddero sul pavimento.
Non si premurò di raccoglierli, né di degnarli di un ulteriore sguardo. Semplicemente, posò le forbici al loro posto e uscì dal bagno con gli stessi passi silenziosi di quando vi era entrata.

Stavolta, però, non tornò in camera; piuttosto, si mosse in direzione delle scale e, scalino lentamente calpestato dopo scalino, raggiunse il piano inferiore.
Il corridoio era deserto, e le uniche voci che vi giungevano provenivano dalla sala da pranzo e non erano più di un incomprensibile mormorio indistinto, filtrato dalla porta chiusa. Margaret non si preoccupò di verificare a chi appartenessero, dato che era quasi certa che si trattasse di Abigail e George; si mosse dunque verso l’ingresso e, una volta varcata la soglia, si lasciò investire dal fresco odore di salsedine di quel pomeriggio di maggio.
La sabbia era timidamente scaldata da un sole che, seppur mite, spiccava in un cielo stranamente terso che a tratti sembrava sorriderle. Le piaceva percepire il contatto della pelle con i granelli; le faceva ricordare di quando era piccola e delle vacanze al mare con i suoi genitori, nonché di quell’abitudine che mai aveva perso di arricciare le dita dei piedi per trattenervi la sabbia in mezzo. Sentì una fitta di nostalgia, mentre l’acqua fredda le bagnava le caviglie appena lasciate scoperte dai jeans e le procurava i brividi.
Pochi istanti dopo, si sedette sulla battigia e si abbandonò all’indietro, respirando a pieni polmoni quell’aria pulita che le avrebbe asciugato il viso, e non le importava dell’umidità che le impregnava i vestiti e che presto le avrebbe attraversato la pelle per arrivarle alle ossa.
Forse, in fondo, non le importava quasi più di niente.
 


***

 
States are crumbling, walls are rising high again
It’s no place for the faint-hearted
But my heart is strong ‘cause now I know where I belong
It’s you and I against the world, we are free
 
 

L’acqua sul fuoco stava già bollendo, ma ci vollero circa due minuti prima che George se ne accorgesse.
Vagava con lo sguardo al di là della finestra socchiusa della cucina, assente, quando il fischio della teiera lo costrinse a tornare in sé.
Spense distrattamente il fornello e filtrò il liquido in due delle intoccabili tazze di porcellana della cognata, certo che quello sarebbe stato il più trascurabile dei suoi problemi, poi le prese e le portò nell’adiacente sala da pranzo, chiudendosi la porta alle spalle con una spinta del piede. Le posò entrambe sul tavolo; una dove di lì a poco lui stesso avrebbe preso posto, come lasciava intendere quella sedia vuota e appena scostata, e l’altra esattamente di fronte, vicino al gomito che Abigail teneva pressato contro la superficie per sorreggersi la testa.
George notò che non si era mossa: era in quella posizione, con le spalle ricurve e un braccio mollemente abbandonato davanti a sé, da quando una decina di minuti prima l’aveva lasciata sola per andare nell’altra stanza. La mano poggiata sul tavolo disegnava su di esso, con lentezza e pigrizia, dei cerchi concentrici con l’indice, mentre il palmo della sinistra le sosteneva la fronte e le dita si aprivano e chiudevano ritmicamente tra i capelli.
Osservandola, al ragazzo venne da pensare che un banalissimo tè non poteva essere sufficiente. Prese allora una bottiglia di Whisky Incendiario dalla credenza a vetri che occupava buona parte della parete ovest della sala e ne versò una dose generosa in entrambe le tazze.
Quando si sedette, fu stupito nel vedere le labbra di Abigail incresparsi appena in un piccolo, quasi invisibile sorriso.
«Tu sai sempre cosa fare» commentò lei, a bassa voce, lisciando con cura le pieghe della vestaglia in seta verde che indossava.
Erano le prime parole che gli rivolgeva da quando la Battaglia era finita.
Avevano preferito comunicare con i soli sguardi, come in un tacito accordo, facendo regnare il silenzio sulle loro labbra sigillate, e si erano comunque capiti. Era stato piuttosto facile, tutto sommato, comprendere le rispettive intenzioni affidandosi unicamente al semplice contatto visivo e alle più invadenti percezioni.
Non si era infatti rivelato difficile, per lui, interpretare i gesti di Abigail quando quest’ultima gli si era stretta al petto, di ritorno nella camera degli ospiti che da mesi li ospitava, e lo aveva guardato fisso con un paio d’occhi inumiditi da poche lacrime che, una volta versate, si erano mischiate sulle sue guance un po’ pallide alle gocce d’acqua che le ricadevano addosso dai capelli bagnati. Le braccia aggrappate alle sue spalle cercavano un sostegno, un appiglio che le consentisse di non affondare, allo stesso modo della bocca che nella sua si appropriava di quel tanto di ossigeno che le bastava per sentirsi nuovamente respirare.
Senza chiederlo, senza rifletterci, senza domandarsi se in quel momento fosse giusto o meno, si erano ritrovati nelle loro fragilità a fare l’amore come unico antidoto a quel dolore, e forse era stato solo allora che erano riusciti a vedersi veramente per la prima volta senza alcuna impalcatura, oltre i lividi e le ferite, nella loro genuina e pura essenza.
Era stato in quell’istante che George si era reso pienamente conto di quanto avesse rischiato di perdere quella notte.

«Come stai?» le chiese, indugiando sulla fantasia floreale che impreziosiva la sua tazza.
Lei si sistemò meglio sulla sedia e trasse un profondo respiro, scostando i capelli di lato. «Sono viva. Siamo vivi. Mi basta questo, al momento» rispose, mentre nel frattempo stirava di poco le labbra in un sorriso stanco quanto triste e tornava a trafiggerlo con i suoi occhi grigi. «Tu?»
George parve rifletterci per qualche secondo, ricambiando il suo lungo sguardo, ma alla fine annuì. «Stessa cosa.»
Bevve un sorso del tuo tè corretto, ignorando il bruciore inferto all’esofago dal passaggio del Whisky; in quell’ultimo mese la necessità di rilassare i nervi era stata così impellente da spingerli a ricorrere a quel rimedio casalingo tanto spesso che quello adesso rischiava di rivelarsi quasi inefficace.
Abigail, invece, continuava a rigirarsi la tazza tra le dita, soffermandosi di quando in quando per sfiorarne i bordi con i pollici. Le piaceva imprimere i polpastrelli su quel raffinato strato di ceramica e percepirvi il confortevole calore della bevanda attraverso: era una sensazione che sapeva di famiglia, di quotidianità, di autunni vissuti a osservare la pioggia dalle finestre, di pigri pomeriggi delle domeniche trascorsi a scaldarsi le mani cercando una comoda sistemazione sul divano; sapeva di casa, di memorie malinconiche che facevano tremare il cuore, di sorrisi silenziosi e speranze taciute. Era tutto troppo prezioso perché lei non gli riservasse la giusta importanza e il giusto tempo.

«È finita per davvero?» si ritrovò a chiedere, portandosi la tazza alle labbra per concedersi finalmente un sorso di tè.
George, d’altra parte, non batté ciglio, per nulla stupito di sentirsi porre quella domanda. «Sì, Gail. È tutto finito.»
«Cosa ci assicura che non ci saranno altre ripercussioni? Cosa ci rende tanto certi che altra gente non morirà per le stesse assurde ragioni?» ribatté prontamente la ragazza, rianimandosi; dalla vestaglia appena scostata si poteva intravedere il soffione che aveva deciso di farsi tatuare diversi mesi prima. «L’ho già vissuto, George, ed è per questo che lo chiedo. Erano passati sei anni dalla fine della Prima Guerra Magica, io ne avevo otto. Ne sono trascorsi altri undici, e ancora non so chi abbia ucciso mio padre, quel maledetto 10 marzo del 1987, né tantomeno perché.»
L’altro tornò a guardarla, e stavolta negli occhi con cui la inchiodava la sorpresa era lampante. Aveva sempre creduto che Matthew Thompson fosse morto in un qualche incidente, o a seguito di una qualsiasi malattia; non l’aveva mai sfiorato il pensiero che la sua scomparsa potesse essere stata un assassinio, e d’altronde lei non ne aveva mai fatto accenno se non molto vagamente. «Io... Tu non...»
«Non te ne ho mai parlato, lo so. Forse perché fa ancora troppo male farlo.»
«Non devi, davvero.»
«No, hai il diritto di sapere» gli disse Abigail, prendendogli la mano che teneva sul tavolo, a poca distanza dalla sua, in una stretta rassicurante. Sarebbe stato difficile, e lo sapeva, affrontare il suo passato, riportare a galla quella sofferenza che mai come durante quella notte era tornata a farsi sentire in maniera così viva, ma si trattava di una sfida che era disposta a intraprendere. «Andrew e John erano a Hogwarts, quando è successo. Mamma era tornata presto dal lavoro e aveva deciso di preparare una bella torta di meringhe, la sua preferita... era il loro anniversario di matrimonio.»
Si costrinse a bere un altro sorso di tè, dato che la voce si era appena incrinata su quelle ultime parole.
George si era premurato di accarezzarle con gentilezza il dorso della mano, intuendo e giustificando il suo disagio, e con lo sguardo sembrava suggerirle di prendersi tutto il tempo di cui avvertisse la necessità.
Lei lo ringraziò in silenzio, intensificando la presa, e dopo aver inspirato a fondo si decise a proseguire con il suo racconto. «Era bello aspettare che papà tornasse a casa, e a dire il vero era una delle cose che preferivo fare durante il giorno. Apriva la porta e insieme ai suoi sorrisi entrava il buonumore, i problemi li lasciava tutti fuori.» Un’espressione intenerita s’impossessò dei suoi lineamenti, ma fu subito oscurata dall’ombra che prontamente le attraversò il volto. «Quel pomeriggio il suo turno finiva alle sei. Come ogni anno sarebbe passato dal fioraio a comprare le camelie per la mamma, motivo per cui i primi dieci, quindici minuti di ritardo non ci sorpresero più di tanto. Presto, però, quei dieci minuti divennero trenta, poi un’ora, dopo ancora due... Fu solo alle otto e mezza che qualcuno si degnò di bussare alla porta per farci sapere cosa fosse accaduto. A volte riesco ancora a sentire le urla strazianti di mia madre.»
«Gail, può bastare. Non devi farlo per forza» la interruppe George, avendo notato un certo nuovo rossore tormentarle gli occhi. Non pensava sarebbe riuscito a sopportare di vederla piangere di nuovo.
Lei, però, gli sorrise dolcemente un’altra volta, avendo apprezzato quel suo fare tenacemente premuroso. «Ce la faccio» lo rassicurò, protendendosi un po’ di più verso il suo viso per lasciarvi una tenera carezza. L’altro chiuse le palpebre, volendo bearsi appieno di quel tocco gentile che gli solleticava la guancia, poi le catturò la mano nella sua e se la portò alle labbra per imprimervi un bacio sul palmo.
Abigail non ne fu stupita; da quando stavano insieme, George non si era mai risparmiato dal dispensarle quei gesti d’affetto, quelle piccole attenzioni che profumavano di essenziale e che più di ogni altra cosa riuscivano a rimetterle in sesto il cuore quando il suo peso iniziava a gravare troppo sulle costole. La sua presenza era la sola di cui in quei momenti avesse realmente bisogno.
«Quattro mesi dopo ci trasferimmo a Roma. Mia madre accettò quel lavoro di insegnante di Difesa contro le Arti Oscure alla Scuola di Magia italiana e i miei fratelli terminarono gli studi lì, io li iniziai due anni dopo. Adesso come allora mi chiedo perché l’abbiano ucciso, e non so darmi una risposta. Ciò che però non mi ha mai dato pace è quel testamento scritto esattamente cinque giorni prima della sua morte... un po’ come se in fondo se lo sentisse, un po’ come se sapesse che la fine era vicina.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla sua tazza per metà vuota e un pensiero terribile gli attraversò la mente. «Siamo... Siamo sicuri che si sia trattato di un omicidio? Non potrebbe essere stato un... che so...»
«Un suicidio? No» negò Abigail, che al contempo scuoteva la testa. «L’hanno colpito alle spalle, in un vicolo. Non hanno neanche avuto il coraggio di guardarlo in faccia, prima di ucciderlo... prima di privare tre figli di un padre» aggiunse, e stavolta la rabbia e l’amarezza erano ben udibili nelle sue parole.

Abbassò lo sguardo sulla superficie del tavolo, e lo stesso fece anche George; si sentiva a disagio, fuori posto alla stregua di un intruso o di un ladro di ricordi, tanto inadeguato quanto pensava sarebbe stata qualsiasi cosa avesse detto in quel frangente. Persino il banale e in quei contesti profondamente abusato «Mi dispiace» che le sussurrò subito dopo gli parve così sfacciato da non potersi considerare accettabile.
Lei, però, non risultò dello stesso avviso, poiché tornò a guardarlo con amorevole riconoscenza.
«Lo so, e a me dispiace di averti sovraccaricato di una sofferenza che in fin dei conti non ti appartiene. Adesso, però, sai perché ti ho fatto quella domanda» disse, terminando il suo tè senza mai rompere il contatto visivo; trovavano sempre il modo di scavarsi dentro a vicenda. «Cosa mi assicura che domani, tra un mese, fra tre anni, mentre starò rientrando a casa dal lavoro o starò semplicemente passeggiando, qualcuno non mi punterà una bacchetta contro e non mi ammazzerà come un cane? Come faccio a ritenermi certa che nessuno busserà mai alla porta di casa, della nostra casa, e mi dirà che qualcuno di cui non si conosce l’identità ti ha appena ucciso? Come possiamo illuderci che finalmente potremo ricominciare a vivere facendo finta che tutta questa merda non ci sia mai finita addosso?»
«Non possiamo, è semplice» convenne lui, pensieroso; dopo quanto gli aveva appena raccontato sarebbe stato assurdo contraddirla. «Non ci resta che andare avanti; provarci, almeno, o non ne usciremo più. Ed io sono convinto per davvero che stavolta sia tutto finito, o meglio voglio crederci: dopo stanotte non posso accettare che non sia così.»
«Vorrei anch’io essere tanto ottimista» commentò Abigail, scivolando un po’ più giù sulla sua sedia per appoggiare la testa al bordo superiore dello schienale. Il breve silenzio che seguì fu debolmente disturbato dal rumore dello scatto che la porta d’ingresso fece nel richiudersi. «Era Meg, vero?»
George annuì lentamente, soffermandosi a osservare le tende delle finestre, pur sapendo di non poter intravedere nessuno sulla porzione di spiaggia da lì appena visibile. «Sono preoccupato per lei.»
«Pure io» sospirò l’altra, contraendo i lineamenti del volto in un’espressione sconsolata. «Ma la capisco, George. Mio zio era un uomo pieno di spigoli e di contraddizioni, ma non ha mai mancato di dimostrarle quanto incondizionatamente la amasse... Persino con me, che sono... ero sua nipote, si è spesso comportato più come un padre che come un qualsiasi altro parente. So quanto male faccia, so cosa si prova, e non posso biasimarla... E non dobbiamo neanche dimenticare che ha accidentalmente ucciso una persona; più ci penso e più mi ripeto che avrei dovuto farlo io, al suo posto.»
Il ragazzo si mostrò immediatamente turbato da quell’ultima constatazione. Si mise a sedere in maniera più composta e corrugò leggermente la fronte, poi puntò un gomito sul tavolo e poggiò la guancia sul palmo aperto della mano. «Perché dici questo?»
Lo sguardo di Abigail divenne grave, le labbra si arricciarono. «Lei non voleva farlo, e mai avrebbe voluto; lei combatteva per difendersi, per difenderci, per sopravvivere. Io avrei combattuto per ucciderlo.»
«Abbie, smettila» mormorò lui, non celando negli occhi appena sbarrati lo stupore suscitato da quella confessione.
Lei, invece, prese a fissarsi le unghie, mentre ancora si tormentava le dita, e scosse di poco la testa in un lento movimento da destra verso sinistra, e viceversa. «Perché dovrei? È la verità» disse, piano, mordicchiandosi una pellicina attorno all’unghia del pollice. «Prima di ammazzare Rookwood, Meg non aveva capito cosa fosse accaduto... io sì. È stato così straziante che io... se lei non si fosse rialzata, se non avesse ripreso a combattere, e se solo io avessi avuto la forza di rimettermi in piedi al posto suo, penso non mi sarei fatta alcuno scrupolo di coscienza. Non avrei avuto pietà, né inutili sensi di colpa, esattamente come lui non ne avrebbe avuti uccidendo una ragazza di vent’anni con un’intera vita davanti, o un padre di un bambino di appena due mesi» spiegò, e nel frattempo lanciò una rapida occhiata al passeggino dove, a poca distanza da loro, il piccolo Richard sonnecchiava tranquillamente, salvo poi reindirizzare la sua attenzione sul ragazzo che, seduto di fronte a lei, la scrutava con un pizzico di velata apprensione. «Non voglio che tu pensi che io sia una potenziale assassina, George, perché non lo sono. Sono solo una donna impulsiva, e forse per questa ragione un po’ immatura, che detesta le ingiustizie e che quando ne vede commettere una non ci riesce proprio a non comportarsi di conseguenza. Probabilmente... Probabilmente avrei continuato a vivere avvertendo perennemente questo marchio sulla pelle, ma almeno avrei vissuto con la consapevolezza di aver fatto la cosa che per me e in quel momento era la più giusta. Mia cugina, invece, ha degli ideali tali che per lei sarebbe stato impossibile convivere con le conseguenze morali di un simile gesto... un po’ come te, ed è per questo che ti ho chiesto cosa intendessi fare quando ho creduto che volessi far fuori quell’inutile Mangiamorte, in quel corridoio. Ecco perché dico che avrei preferito esserci io, al suo posto: questo è un peso che Margaret non potrà mai accettare di sopportare.»

George non smise di osservarla, silenzioso, mentre lei si alzava e si avvicinava alla finestra per aprirla quel che bastava a fare entrare un po’ di aria pulita e rimaneva lì, con lo sguardo un po’ perso a fissare un punto imprecisato al di là dell’inferriata, lasciandosi solleticare il viso da una dolce folata di vento che le mosse i capelli ancora un po’ umidi. Non era certo di sapere cosa le passasse per la testa, cosa si nascondesse oltre quel cipiglio indecifrabile e dietro quelle dita che nervosamente tamburellavano sul marmo color sabbia del davanzale, ma credeva di poterlo intuire; la percepiva, quell’insistente necessità di farsi giustizia che sapeva lei stesse provando e che probabilmente si portava dietro da metà della sua vita, e in fondo la giustificava, perché sarebbe stato un ipocrita se avesse detto di non condividerla e di non sentirla ormai un po’ anche sua. Lo sbigottimento aveva già lasciato il posto a un’empatica e rassicurante comprensione.
«Non penso che tu sia una potenziale assassina» le disse, riprendendo le parole che lei stessa aveva utilizzato poco prima, in un invito a focalizzarsi di nuovo su di lui. «Io non... non credo te ne avrei fatto una colpa. Sento di capire perché lo avresti fatto, al di là del desiderio tutto sommato nobile di proteggere tua cugina, e più ci rifletto e più mi dico che non avrei mai potuto giudicarti per questo. Nessuno ha mai pagato per la morte di tuo padre... forse era arrivato il momento che tu stessa ti prendessi quella rivincita che ti spettava.»
«Forse sì» annuì lei, spostando lo sguardo sul parquet del pavimento. Ammetterlo le era costata più forza di quanta pensava le fosse rimasta. «Voglio chiudere questo capitolo, George, ricominciare da capo. Voglio farlo già da domani, perché sono esausta... e perché non credo di poter continuare a vivere così.»
«Ci riuscirai. Ci riusciremo. Stavolta non ti lascio sola.»
«Lo so» fece ancora Abigail; le prime timide lacrime le avevano già rigato il viso fino al mento. «E voglio che ci riesca anche lei. Mia nonna Vittoria non... non avrebbe voluto che ci riducessimo così. Ci diceva sempre che una vera donna affronta il dolore a testa alta, con la schiena dritta e le spalle che non s’incurvano per darla vinta alle intemperie. Io lo so, lo so, che tutta questa sofferenza è fisiologica, che non possiamo farci niente, che è troppo presto per pensare di rialzarci, ma come faccio a...» esitò per qualche secondo, strizzando le palpebre per provare a resistere al pianto, ma sarebbe stato un tentativo vano quello di combattere il magone che aveva in gola. «Come... Come faccio ad accettarlo?»
George non perse tempo e le andò incontro, stringendola in un abbraccio forte e intenso che fu l’unica ragione per la quale la ragazza riuscì a restare in piedi nonostante le gambe avessero iniziato a tremarle, troppo dolenti e troppo stanche di quell’angosciante peso che non erano più in grado di portare.
Le passò una mano dietro la nuca, intrecciando quel groviglio di capelli biondi tra le dita, e poté sentirla rilassarsi appena mentre gentilmente abbandonava la testa sulla sua scapola. Era difficile, a tratti destabilizzante, vederla tanto fragile, così impotente contro i suoi tormenti, oltre le inevitabili e sempre più larghe crepe di quell’ostinazione a fingere che tutto le sarebbe facilmente scivolato addosso. Più volte si era creduto certo di amarla soprattutto per quegli aspetti più duri e testardi della sua personalità, per quegli spigoli terribilmente interessanti da scoprire ed esplorare ma troppo ardui da smorzare, quando la verità era che mai come negli istanti in cui ogni maschera e ogni ingombrante armatura veniva sfilata via e messa da parte si sentiva così profondamente e pienamente connesso con lei.
«Fidati di me» le sussurrò all’orecchio, cullandola nel calore di quella stretta rasserenante, salvo poi prenderle il volto tra le mani e accarezzarlo con rinnovata dolcezza, dal mento alle tempie, passando per gli zigomi, soffermandosi infine su quel taglio che le attraversava in altezza il sopracciglio destro e del quale si sentiva in parte responsabile; si disse pure con un pizzico di ingenuità che avrebbe potuto fare di più perché di quegli ematomi e di quell’occhio tumefatto non ci fosse traccia.
Abigail intercettò i suoi pensieri oltre quel repentino mutamento di espressione – divenuta un po’ più cupa e corrucciata – e uno sguardo le bastò per svincolarlo da ogni inesistente colpa; si asciugò il viso con la manica della vestaglia, sfoggiando una piccola smorfia di finto disappunto quando le dita finirono per toccare superficialmente la stessa ferita che qualche istante addietro aveva rapito l’attenzione del ragazzo. «La cicatrice non andrà più via, lo so. Mi troverai meno interessante, adesso?» scherzò, inchiodandolo con uno sprazzo di irresistibile malizia nelle iridi grigie e nell’angolo della bocca solo vagamente incurvato.
Lui accolse con piacere e con velata speranza quell’inaspettato spiraglio di luce e, mettendo per un attimo da parte lo stupore iniziale, le sorrise di rimando. «Ti troverei interessante anche se fossi ricoperta di pustole.»
Anche lei sorrise, solo più dolcemente, e finalmente un lieve rossore le andò a colorare le guance pallide, restituendo loro un po’ di vita. Iniziò a carezzargli le spalle, sentendosi stringere di nuovo. «Provo a riposare un po’. Tu vieni?»
«Ti raggiungo subito» le assicurò, allentando la presa per lasciarla andare. Lei, però, non si mosse; non prima, almeno, di essersi sporta verso di lui e averlo baciato in una sorta di muto ringraziamento.
«Ti amo, George» gli disse, piano, sulle labbra, forse indecisa se imprimervi addosso ancora una volta le sue o se lasciarle libere di decidere quale sarebbe stata la mossa successiva.
«Ti amo anch’io, Abigail

La seguì con lo sguardo fino a quando la sua figura non sparì oltre la porta della sala da pranzo; avrebbe continuato a farlo anche al di là di questa, imitando quei passi lenti e certo che ci sarebbe stato un po’ di spazio anche per i suoi, se solo tutte quelle nuove emozioni che chiedevano di essere metabolizzate non fossero state così pressanti.
Si appoggiò con entrambe le mani al bordo del tavolo, chinando il capo per fissarne la superficie. Erano ore che voleva farlo; ore durante le quali si era imposto di mettere un po’ da parte i suoi tormenti per dedicare la giusta attenzione a un dolore sicuramente più grande.
Adesso, solo in quella stanza, tutto ciò che voleva era il vuoto; un vuoto che anestetizzasse i sentimenti, o che almeno li rendesse meno intensi, e che fosse in grado di fermare per un istante il tempo e restituirgli in quell’attimo di immobilità l’equilibrio che sentiva di aver perso. Che poi, forse, quello che davvero gli serviva era proprio che il mondo si prendesse una pausa di un minuto. Sessanta secondi di eterno in cui annullare le leggi spazio-temporali e le percezioni, in cui non ci fosse posto per pensieri e riflessioni, in cui fosse possibile semplicemente ridimensionare le colpe e le responsabilità, gli “avrei potuto” e i “se solo avessi fatto”; perché a nulla sarebbe servito nutrirli ancora, se non a dar loro le giuste armi per abbatterlo.
Ma il mondo non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Andava avanti, insensibile, non disposto a dispensare attimi di tregua, e George – per quanto ci provasse – quella testa non ci riusciva proprio a spegnerla; era pesante, sovraffollata, quasi sadica nell’affliggerlo con mille e più ricordi, nell’alimentare quell’angosciante dubbio che gli faceva chiedere a se stesso se forse non avrebbe potuto dare qualcosa di più durante quella notte.

Furono i lamenti di Richard, che da appena udibili divennero presto più insistenti, a salvarlo da un’introspezione che certamente si sarebbe rivelata tragicamente deleteria.
Si approssimò al passeggino e prese in braccio il bambino, stringendoselo al petto; profumava ancora di quel bagnoschiuma alla vaniglia che lui e Abigail, in uno slancio di improvviso istinto genitoriale, avevano usato per fargli il bagnetto prima di cena. Gli lasciò un bacio sulla testolina, mentre le braccia lo cullavano quasi automaticamente allo stesso modo in cui più volte aveva visto suo fratello tentare di rasserenare Alexander ogniqualvolta qualcosa lo turbasse. Per un istante si chiese se sapesse, si chiese se capisse cosa stava accadendo e se fosse proprio questa la ragione del suo malessere.
«Andrà tutto bene» gli sussurrò, chiudendo gli occhi. Era un mantra che si ripeteva ormai da ore, tanto spesso da averlo trasformato in una reale e ferma convinzione.
Dubitava, però, che le cose sarebbero state così semplici, e i suoi tentennamenti non facevano che intensificarsi a ogni secondo trascorso con quel neonato stretto al cuore. Un neonato che sarebbe cresciuto chiedendosi dove fosse suo padre, in un primo momento troppo piccolo per comprendere che non sarebbe mai tornato e successivamente troppo consapevole per accettarlo; un bambino che non aveva nessuna colpa, se non quella di essere nato in un’epoca atrocemente sbagliata che così tanto gli aveva tolto e che tanto presto l’aveva fatto. Gli piaceva pensare che, se davvero esisteva una via d’uscita da tutta quella merda, loro l’avrebbero trovata anche e soprattutto per lui.

«Fate un bel quadretto» esordì la voce di Fred, inattesa, riportandolo al presente.
Il fratello stava entrando esattamente in quel momento nella sala da pranzo dalla porta della cucina, portando con sé un biberon appena riscaldato; aveva un’espressione che voleva fingersi quasi spensierata, ma la sofferenza e la stanchezza erano ben visibili nelle sue occhiaie.
George non aveva minimamente prestato attenzione ai rumori che poco prima avevano animato la stanza accanto; concentrato com’era nel cullare Richard, ogni suono diverso da quello dei suoi pensieri era totalmente passato in secondo piano, compresi gli ancora insistenti lamenti del bambino.
«Penso proprio che questo potrebbe esserti utile» aggiunse Fred, porgendogli il biberon, ma esitò un istante prima di lasciarglielo. «Sai farlo, vero?»
George inarcò le sopracciglia, un po’ risentito, e si appropriò di quel piccolo contenitore. «Scherzi, vero?» domandò, retorico, prendendo posto e sistemandosi meglio il piccolo tra le braccia. «Quasi non ho fatto altro per un anno intero.»
«Hai ragione» convenne Fred, stavolta in un sorriso accennato, sedendosi anch’egli. «Ma così non va bene, devi sollevargli la testa.»
«Lo so» bofonchiò l’altro, correggendo immediatamente la postura per non darla vinta al gemello, che già se la rideva sotto i baffi. «Non tutti possono essere bravi come te, papino
«Sono d’accordo. È difficile eguagliare la perfezione, ma ti ci puoi comunque avvicinare» scherzò Fred, incapace di resistere alla tentazione di una battuta così accuratamente servita su un piatto d’argento, e non si meravigliò troppo quando si accorse di essere riuscito a strappargli un sorriso. Era sempre stato semplice, tra loro, trovare le parole giuste; non sarebbero di certo state le ferite di una guerra a permettere il contrario. «Come ti senti?»
«Prova un po’ a indovinare» lo invitò George, restituendogli uno sguardo abbastanza eloquente.
L’altro si finse pensieroso e prese a scrutare il soffitto. «Stupido, tremendamente inadeguato, inutile?» iniziò dunque a elencare, contando ogni aggettivo con l’ausilio delle dita.
Il fratello annuì, palesemente sconsolato. «Non avrei saputo dirlo meglio» convenne, spostando distrattamente qualche ciuffo di capelli dalla testolina di Richard, che dal modo in cui ciucciava soddisfatto il biberon non poteva certo considerarsi sazio.
Fred chinò la testa e cominciò a tormentarsi le unghie, avendo ben chiara in mente e sulla pelle quella sensazione. «Provo le stesse cose anch’io» ammise, tornando a guardare quella sua perfetta copia seduta dalla parte opposta del tavolo; erano identici persino in quel dolore. «Ho visto Abbie, però, prima di venire qui.»
«Oh» fece George, incupendosi; improvvisamente, iniziò ad avere paura di ciò che avrebbe potuto ascoltare.
Tuttavia, Fred colse subito il suo disagio e non tardò a rassicurarlo, rivolgendogli un’espressione benevola. «Mi è sembrata più tranquilla. Esausta, certo, ma qualcosa mi dice che aveva solo tanto bisogno di sfogarsi, e tu le hai dato l’opportunità di farlo. Non devi sentirti inutile; le fai più bene di quanto immagini.»
«Io non ho fatto proprio niente» lo contraddisse il fratello, scuotendo la testa, mentre posava il biberon quasi vuoto sul tavolo e si portava nuovamente il bambino al petto, dandogli dei leggerissimi colpetti sulla schiena. Arricciò le labbra, per nulla convinto, anche se in fondo non poteva che sperare che il gemello avesse un po’ ragione.
Questi, d’altra parte, sollevò le sopracciglia, scettico. «Non posso credere che sia solo opera del Whisky Incendiario.»

L’altro, ancora una volta, si ammorbidì, come facevano ben notare i suoi lineamenti appena più rilassati. «Sai che può fare miracoli» si giustificò, distendendo le labbra in un mezzo sorriso, poco prima di piegare la testa di lato e fare spallucce. «Lei... Lei è forte, meravigliosamente forte, e ha coraggio da vendere. Lei non lo sa, ma riuscirebbe ad affrontare tutto questo casino anche da sola. Io voglio unicamente starle accanto e farle da promemoria quando crederà di non esserne in grado; sarà difficile, ma dopo che ho rischiato di perderla non sarà una crisi – per quanto delicata possa essere – a spaventarmi.»
«Vorrei poter dire la stessa cosa» confessò Fred, istintivamente, quasi vergognandosi di quel sussurro in cui una piccola, infinitesimale parte delle sue paure aveva finalmente trovato uno spiraglio che le consentisse di farsi ascoltare con maggiore attenzione.
Poggiò entrambi i gomiti sul tavolo e si portò la testa tra le mani, socchiudendo gli occhi; si sentiva sotto attacco, vulnerabile, troppo stanco per elaborare uno straccio di strategia che potesse considerarsi accettabile, inondato da un flusso inarrestabile di pensieri e di preoccupazioni. Si era sforzato di far finta che fosse tutto sotto controllo, di essere in grado di gestire quel sovraccarico emotivo, persino che non gli pesasse; erano bastate quelle poche parole di suo fratello a mandare in frantumi quell’illusione che da quando aveva lasciato la camera da letto si era impegnato a costruire.
George lo osservò, adesso ragionevolmente preoccupato, ma era convinto di sapere quale fosse il motivo di un tale sconforto. «È così terribile?» gli chiese, e lo sguardo tetro che ricevette in risposta lasciava ben poco spazio alle speculazioni.
«Un disastro» ammise il gemello, quindi, in ogni sillaba marcata di frustrazione. «Ha pianto per ore, e più provavo a stringerla e più lei tremava. Qualunque gesto sembrava fuori luogo, qualsiasi parola era sbagliata. Mi sono sentito l’essere più inutile dell’Universo... mi sento l’essere più inutile dell’Universo.»
«È normale, Fred. Noi non possiamo neanche immaginare quello che sta provando. Ha perso suo padre, ha perso sua nonna, ha ucciso Rookwood... e la Cruciatus subita, il peso di dover guardare sua madre negli occhi e darle quel dolore atroce... Cosa vogliamo saperne noi?»
«Nulla, ma era forse troppo sperare di non risultare così ridicolo?» ribatté Fred, che nel frattempo prese una coda di capelli castani dalla tasca della felpa e la gettò con riluttanza sulla superficie di fronte a sé.
George vi indugiò per qualche istante, a metà tra il sorpreso e lo sconvolto, salvo poi reindirizzare l’attenzione sul fratello, sconcertato almeno quanto lui. «Sono suoi?»
«Li ho trovati in bagno» spiegò quest’ultimo, spostando il peso della testa su una sola mano per permettere all’altra di seguire distrattamente le venature del legno del tavolo. «Ho anche fatto un salto al secondo piano... volevo accertarmi di come stesse Gloria, ma non ho neanche avuto il coraggio di bussare alla porta. Piangeva così disperatamente che mi sono sentito morire.»
«Povera donna...» commentò George, amareggiato, stringendo Richard un po’ più forte a sé in un gesto istintivo, parzialmente dettato da un rinnovato bisogno di allontanare quanto più possibile quelle angosce e quelle riflessioni che ancora una volta tornavano a minacciare di invadergli la mente.
Fred annuì lentamente, come a volersi prendere un altro po’ di tempo per soppesare quanto sentiva l’insistente bisogno di dire; erano ore che si chiedeva se avrebbe avuto la faccia tosta di ammetterlo, ma mai come in quegli istanti la risposta gli era parsa così nitida e sfacciata. «Io non... Io non penso di essere in grado di affrontare tutto questo.»
«Prego?» fece l’altro, basito. Certamente non l’avrebbe biasimato, ma non riusciva a credere che quella potesse davvero essere la verità.
«Non so cosa fare, George. Non so come comportarmi, non so cosa dirle, e lo so che serve tempo e che non sarebbe facile per nessuno... ma è come se, anziché difficile, per me fosse proprio impossibile aiutarla.»
«Ma certo che puoi aiutarla, Fred. È stata una notte orribile per tutti noi... e tu sei molto stanco. Non dovresti darti colpe che non hai.»
«Non è solo questo, non è solo stanchezza» obiettò Fred, massaggiandosi delicatamente l’angolo interno degli occhi con il pollice e l’indice. «La guardo ridotta in questo stato e riesco soltanto a stare male. Meg meriterebbe di meglio di qualcuno che non è neanche capace di starle accanto e di darle conforto.»
«Stai esagerando, questo lo sai?» controbatté George, corrugando la fronte con fare turbato. «Devi avere più fiducia in te stesso e in lei. Queste prime settimane saranno terribili, ma la conosciamo; saprà come rialzarsi, e a quel punto sono convinto che sarai pronto a porgerle una mano.»
«Lo so, è che...» s’interruppe, non avendo effettivamente idea di come e se sarebbe stato possibile, per loro, giungere a un traguardo tanto auspicabile quanto apparentemente inarrivabile. Sospirò, abbandonandosi contro lo schienale della sedia, giusto prima di destinare al fratello uno sguardo quasi supplicante. «Tu cosa faresti?»
Questi sgranò impercettibilmente gli occhi, colto alla sprovvista. «Io?» mormorò, facendosi seguire da un leggero colpo di tosse. «Be’...» provò, ma nulla di minimamente intelligente parve passargli per la testa in quel momento. Si morse il labbro inferiore, in evidente difficoltà, ma proprio quando l’altro stava per fargli cenno di lasciar perdere, la soluzione accorse in suo aiuto nella migliore delle sue vesti. «Portala via.»
«Portarla... via?» commentò il gemello, scrutandolo con un’aria interrogativa un filino comica.
«Sì, accidenti, portala via. Lascia passare il compleanno di Alexander e poi costringila a fare quella maledetta valigia e andatevene. Venti giorni, un mese lontani da tutto questo schifo. Volevate andare in Grecia, per la luna di miele, o sbaglio?»
«Sì, ma... non penso sia una buona idea. Cioè, potrebbe esserlo, ma lei...»
«Lei cosa?» lo fermò George, stupito. «Ne ha bisogno – e ne hai bisogno anche tu – e non solo per via di quanto accaduto stanotte. Negli ultimi mesi non ha fatto altro che chiudersi a riccio, rimuginare e lasciarsi divorare dal nervosismo. Quando è stata l’ultima volta che ha dormito per tutta la notte, senza svegliarsi ogni due ore in preda agli incubi e assicurarsi che tu fossi ancora vivo?»
«Febbraio, credo.»
«Bene, allora eccoti la risposta che cercavi: andatevene

Fred non aveva ben chiaro cosa dire. Contrasse i lineamenti del viso, ovviamente pensieroso, e si perse a fissare le linee del parquet. Rifletté che, tutto sommato, l’idea del fratello non era certo da considerarsi malvagia: parecchie volte, in tempi abbastanza recenti, lui e Margaret si erano ritrovati a fantasticare su quante di quelle cose avrebbero potuto fare una volta che la guerra fosse finita, spesso nel tentativo di scacciare quell’ombra fitta e ingombrante in cui trovavano condensazione molte delle loro paure più indicibili; quel viaggio, programmato dal primo all’ultimo e più piccolo dei dettagli, non aveva mai mancato di riempire le loro conversazioni lente, consumate in dei sussurri per timore di disilludersi se il volume della voce avesse superato quello dei pensieri.
«Dobbiamo riaprire il negozio. Ci sono troppe cose da sistemare, non puoi farcela da solo.»
«Prima è meglio lasciare che le acque si calmino, penseremo a tutto quando sarai tornato» lo rassicurò George, con tanto d’occhiolino. «Quanto ad Alexander, ci penseremo io e Abigail.»
«Neanche per sogno» si oppose, però, il fratello, sollevando le sopracciglia; sovraccaricarli di una responsabilità così grande avrebbe unicamente contribuito ad alimentare i suoi già troppo invadenti sensi di colpa. «Non è giusto che voi vi occupiate del bambino mentre noi ci prendiamo una vacanza. Meritereste anche voi un po’ di riposo.»
«Ehi, è pur sempre del mio nipotino preferito che stiamo parlando. So già che ce la spasseremo alla grande, con lui... potrebbe persino essere terapeutico!» puntualizzò l’altro, ora più allegro, suscitando nel suo interlocutore una sana e a tratti divertita perplessità.
«Vestire i panni di genitori per un paio di settimane?»
«Perché no?»
«Non ne uscirete vivi» sentenziò Fred, quindi, mostrando le mani in segno di resa. Sapeva perfettamente che non sarebbe finita bene – le probabilità che andasse tutto liscio come l’olio erano pressoché inesistenti –, ma cominciava a trovare terribilmente allettante la prospettiva di testare fino a che punto suo fratello e Abigail sarebbero stati in grado di resistere. D’altra parte, una sola parola e sua madre non avrebbe esitato a correre in soccorso di quei due poveri sciagurati.
«Ci sottovaluti un po’ troppo, sai?» commentò George, fingendosi risentito, ma ebbe proprio il tempo di terminare la frase che Richard, in un tempismo eccezionalmente perfetto, gli rigurgitò sulla maglietta.
Sollevò il bambino, scrutando quella macchia di vomito sulla spalla con disgusto; un disgusto che, ovviamente, s’intensificò non appena le sue narici furono invase da uno sgradevole odore imputabile al pannolino sporco.
Fred scosse la testa di serena rassegnazione, distendendo finalmente il viso in un sorriso. «Confermo: non ne uscirete vivi.» 

 

From this moment, from this moment
You will never be alone
We’re bound together, now and forever
The loneliness has gone
 


- Angolo dell'autrice

Miei cari, che dirvi? Ben ritrovati!
Io – dovete credermi – non so più come scusarmi per queste imperdonabili e indecenti attese. Sono passati altri sei mesi; sei mesi in cui io non ho scritto praticamente nulla, per poi ridurmi a buttare giù tutto in due settimane scarse, una volta terminata la sessione invernale.
E il risultato – disastroso – si vede, perché questa roba non mi convince per niente e una volta terminata la stesura avrei solo voluto cestinare tutto. Se devo essere sincera, l’unica parte che mi soddisfa è quella centrale, con il dialogo George/Abigail; per il resto, è tutto un grande, enorme, gigantesco “MA PERCHÉ FA TANTO SCHIFO, SANTO MERLINO!”.
Soprattutto la parte Fred/George: quella mi rifiuto persino di rileggerla.

Perché ho postato, allora, direte voi? Perché sono passati sei mesi, perché avendo qualcosa pronto sarebbe stato indegno farvi aspettare ancora e perché credo proprio che meglio di così, purtroppo, non riuscirei a produrre niente. Non in questa fase della mia carriera da studentessa, almeno: la combo mortale Università + tirocinio continua a sortire i suoi catastrofici effetti; se poi vogliamo anche parlare del mio tutor identico a Brad Pitt, direi che è evidente che le mie probabilità di farcela in questa vita sono pari allo zero. ZERO. *chiama un’ambulanza*

Dunque, mi prostro dinanzi a voi e vi chiedo umilmente perdono. Avrei potuto fare infinitamente di meglio, me ne rendo conto.

Ma direi che adesso è arrivato il momento di parlare, più nello specifico, di questa oscenità di questo capitolo.
Come vi avevo anticipato la volta scorsa (anche se dubito che ci sia qualcuno tra voi superstiti che lo ricordi), il povero Desmond non è stato l’unico a lasciarci le penne. Qualcun altro ci ha lasciato, e come avrete notato questo qualcuno è proprio nonna Vittoria.
Ora, io lo so che mi odiate, perché anch’io mi detesto per aver preso questa orribile, tremenda decisione, ma dovevo. Certo, nessuno stava qui a puntarmi una pistola alla testa, ma una parte di me ha sempre saputo che le cose non potevano andare diversamente. E mi piange il cuore, lo giuro, se penso che non potrò più scrivere di lei, delle sue sbroccature, della sua divertita disapprovazione nei confronti dell’incoscienza dei gemelli, del modo incredibile in cui riusciva a rimettere tutti in riga con quella sua personalità battagliera e incontrastabile. È un personaggio che, in particolar modo negli ultimi capitoli, ho amato e che spero di aver fatto amare anche a voi. Ha avuto i suoi memorabili momenti di gloria, e sono certa che sarà difficile dimenticarli. ♥

Quanto ai nostri sopravvissuti, personalmente ho molto poco da aggiungere. Posso dire, però, che scrivere dei loro sentimenti è stato veramente difficile, anche perché – per fortuna! – non ho idea di cosa si provi, di come ci si senta in delle circostanze tanto destabilizzanti, di quali siano i pensieri che attraversano la mente e di come si possa reagire a un tale dolore. Ognuno di loro lo affronterà in maniera diversa, assolutamente personale, anche se ancora non so precisamente quali saranno questi modi. Saranno loro stessi a suggerirmelo quando arriverà il momento di scrivere nuove – e, mi auguro, migliori – righe (spero molto, molto presto).
Proverò a mettermi al lavoro subito – sessione di aprile permettendo (anche se, in compenso, sto per finire il tirocinio... e allora mi toccherà iniziare a pensare alla tesi. #vdm). Il prossimo è un capitolo che già esiste nella mia testa e che adoro; il problema, come sempre, è riuscire a trovare un modo decente per trasformare queste idee in parole, e qualche volta capita che molta della magia si perda in questa trasposizione.

In teoria, anche stavolta non ho nulla da lasciarvi come anticipazione. Tuttavia, qualche tempo fa ho avuto un improvviso lampo di ispirazione e ho annotato una piccolissima scenetta, quindi penso proprio vi lascerò quella (anche se, ovviamente, non posso sapere se nella stesura finale rimarrà invariata o subirà qualche modifica; di base, però, dovrebbe restare immutata).

Detto ciò, ringrazio:

7_always_7AlileFreedomAngel_Maryaurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Daniela_97, Deader, Delta_MiDoraBaggins, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, huntingwithwolvesIce_DP, JeckyCobainjuly95, KariWhiteKatherineThomas06, Krista Kane, ladyw, lulaan, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSik, Moon95Orma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_SSoleil Jonestenna96, Tia Weasleyvalepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, winterlover97Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica, che seguono la storia;

And RiddleEmmaDiggory15, feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367GoodbyeStregatto, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasleyMeissa Antaresorange_weasleyPretty_little_psychosara9703Shaula_alyssa, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Vivi_AB, Welcome to the darksideZarael_Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

7_always_7, Azazel_Frederique Blackhuntingwithwolves, IpseDixit, Leeyum_isMyBatmanMaia3_93, maryanne armstrongmax85MelodySong99Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

La cara Angel_Mary, che ha recensito il capitolo precedente. ♥ E anche la cara Meissa Antares, che ha anche lei recensito il capitolo precedente, ma – siccome il mainagioia è perpetuo – l’ha fatto proprio in uno di quei giorni in cui – non so se lo sapete – c’è stato quel problema del disallineamento dei server, per cui la sua recensione è andata perduta e ancora non si sa quando – né se – verrà recuperata. Fortunatamente, sono riuscita a leggerla in tempo, e quindi non posso che ringraziarla delle bellissime parole spese. ♥

Per quanto riguarda, invece, gli immancabili credits: il titolo sono andata a pescarlo direttamente dalla 2x05 di Grey’s Anatomy, mentre la canzone che accompagna l’intero capitolo è anche per questa volta un pezzo dei Muse e si chiama Aftermath. ♥

Non mi resta, dunque, che salutarvi. Spero di tornare quanto prima possibile, e vi garantisco che ce la metterò tutta; nel frattempo, se volete farmi compagnia durante quest’attesa con i vostri sempre bene accetti (e fondamentali) pareri/consigli/commenti, sappiate che siete i benvenuti. ♥
Vi mando un calorosissimo abbraccio, e scusatemi ancora.

Con immenso affetto,
Jules  ♥


- Dal prossimo capitolo:
 
Quel giorno, però, George una cosa l’aveva imparata: mai lasciare la bacchetta incustodita se in casa si trova un piccolo criminale di dodici mesi assetato di caos e distruzione.
Non era stata una bella scena quella in cui lui e Abigail, terrorizzati, erano stati costretti a nascondersi dietro ai divani, onde evitare che una qualche combinazione potenzialmente letale di incantesimi lanciati da quel Signore Oscuro in miniatura li stecchisse.
Tenuti sotto ostaggio da un bambino di appena un anno: condizione tanto paradossale quanto terrificante e per niente auspicabile che forse, se qualcuno avesse visto quella scena dall’esterno, sarebbe riuscito a smettere di ridere solo una settimana più tardi.


«Ha finito?» aveva chiesto Abigail, speranzosa almeno quanto stravolta, udendo un improvviso e inquietante silenzio prendere il posto degli strilli divertiti di Alexander a ogni oggetto del salone frantumato.
George, occhi sgranati dal terrore, aveva annuito lentamente con fare incerto. «Forse.»
«Ho paura.»
«Anch’io, ma dobbiamo verificare» aveva osservato lui, ricevendo in risposta uno sguardo atterrito da parte della ragazza. «Calma e sangue freddo. Ci solleviamo un po’, con estrema cautela, e vediamo cosa sta succedendo.»
«Va bene. Se ha posato la bacchetta, tu te la vai a riprendere ed io, nel frattempo, lo distraggo da qui» aveva proposto Abigail, allora, ottenendo il suo consenso.
I due, quindi, dalla loro posizione accucciata, si erano poi messi in ginocchio e avevano raddrizzato la schiena, facendo spuntare pian piano le teste da dietro lo schienale del sofà. Con incredibile lentezza, avevano abbassato lo sguardo verso il pavimento, incontrando poco dopo gli occhioni azzurri e fin troppo malandrini di quel piccolo, spaventosamente dispettoso mini Fred, che non aveva perso altro tempo e aveva ricominciato a ridere sonoramente, agitando con gioia i pugnetti paffuti – che, disgraziatamente, tenevano ancora ben salda la bacchetta.
«GIÙ!» aveva subito urlato George, mentre afferrava Abigail per i capelli e la trascinava insieme a lui per terra, giusto in tempo per evitare che quel nuovo getto di luce li colpisse in pieno.
Lei gli aveva stretto un braccio e aveva sospirato flebilmente, mordendosi il labbro. «Moriremo tutti.»

 

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