AAA Affittasi moglie

di gaccia
(/viewuser.php?uid=122907)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** nuovo lavoro ***
Capitolo 3: *** venti minuti ***
Capitolo 4: *** il sogno ***
Capitolo 5: *** matrimonio vero? ***
Capitolo 6: *** primo bacio ***
Capitolo 7: *** doccia fredda ***
Capitolo 8: *** nuova famiglia ***



Capitolo 1
*** prologo ***


 

 

Lo so, ho già due storie in piedi, di cui una stenta a funzionare (almeno nella mia testa) in più siamo quasi ad agosto con tutte voi in ferie o quasi ed io che partirò tra poco e quindi interromperò le mie storie e cosa faccio?  Posto questa, che, come sempre prometto di finire.

Non picchiatemi e leggete. Ci sentiamo sotto.

******************************************************************************

 

Come avevo fatto ad arrivare a questo punto?

Io non ero così, ero romantica, sognatrice, volevo il principe azzurro.

 

Continuavo a fissare il soffitto e quella crepa che si vedeva appena vicino al lampadario, mi sembrava sempre più grande, quasi facesse copia con quella nel mio cuore.

 

Mi voltai verso di lui, bello, sexy anche quando dormiva, con quell’aria angelica che gli si disegnava in faccia quando era rilassato.

 

Mi alzai facendo meno rumore possibile. Guardai l’anulare della mia mano sinistra e sfilai il cerchietto d’oro. Forse quell’anello era l’unica cosa vera in tutta la faccenda. Lo posai sul comodino.

 

Non potevo continuare quella farsa. Le vacanze erano quasi finite e io non sarei riuscita a resistere un minuto di più.

 

Presi il borsone che avevo riempito la sera prima, prima che lui mi fermasse, prima di questa notte di sesso, e silenziosamente uscii dalla camera.

 

Era l’alba, nella enorme villa bianca dormivano tutti, tranne … lei: Elisabeth, la nonna, colei di cui tutti avevano paura.

 

«Vai via?» chiese

 

«Si. Ora potrà essere felice e liberarsi di me» risposi semplicemente mentre trascinavo il borsone vicino al portone di ingresso

 

«Lui ti ama» mi disse come se fosse una constatazione naturale

 

«Non credo» e mi chiusi la porta alle spalle.

Il tonfo che udii era il mio cuore spezzato.

 

 

*****************************************************************************************************

Angolino mio:

è l’introduzione, è piccola e deve solo dare l’imput.

Prendete questa e prendete la copertina (le due righe di presentazione nella pagina principale), mischiate insieme e poi ditemi se vi piace,

Se ci sarà riscontro domani posterò il primo capitolo.

 

Avevo letto da altre parti su queste pagine una frase che oggi faccio mia:

Mi metto in un angolo, mangiucchiando le unghie, in attesa.......

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** nuovo lavoro ***


 

 

 

Sono emozionata. Non so cosa dire, un prologo di 21 righe e mi ritrovo con 10 recensioni, 6 preferite, 1 ricordate e ben 40 seguite (più delle altre storie che ho in piedi da più capitoli) in più ho registrato più di 300 visite solo ieri ….. NON CI POSSO CREDEREEEEEEEEEEEE! Ho la tremarella. E adesso ho paura, paura di deludere le persone che gentilmente mi hanno incoraggiata in questo modo.

Spero tanto di essere all’altezza delle vostre aspettative.

Nelle mie intenzioni questa storia sarà una commedia romantica con qualche bella scena comica e molto imbarazzante. Sono aperta a ogni suggerimento.

Adesso vi lascio al primo capitolo. Buona lettura

 

*****************************************************************************************************

 

 

Due mesi prima

 

Erano ormai quasi due anni che non vedevo Rosalie.

Avere un’amica che organizzava un gruppo di escort, non era proprio una cosa di cui vantarsi o chiacchierare con le colleghe in ufficio.

Soprattutto per il fatto di essere la figlia perfetta del perfetto sceriffo della cittadina sperduta nelle lande desolate della penisola di Olimpya nello stato di Washington. Forks, non compariva neanche nelle cartine con scala 1 a 1000.

Per questo dal college in avanti ero fuggita a gambe levate e mi ero fiondata nella metropoli di Seattle.

L’università non era stata propriamente uno spasso, ma neanche mostruosa.

Avevo fatto le mie esperienza positive e negative, complete di sesso e sbronze colossali, partecipazione a feste più o meno private, avevo conosciuto un ragazzo che si era dimostrato un vero stronzo facendomi sentire brutta e stupida (Paul) criticata dopo essere andata a letto con lui ed ero uscita qualche volta con un ragazzo che mi aveva fatto sentire bellissima e sexy (Mike) per poi innamorarsi di me dopo una focosa notte di sesso e da cui mi nascondevo ancora oggi. Ormai pensavo di denunciarlo per stalking.

La laurea in lettere era arrivata con la lode, il lavoro ideale invece doveva ancora fare capolino nella mia vita.

No, intendiamoci, lavoravo come impiegata in uno studio notarile, ma non era il lavoro dei miei sogni. Avrei preferito di gran lunga insegnare, aprire la mente al mondo scritto a tutti quei ragazzi che non prendevano un libro in mano per paura che fosse portatore sano di chissà quale malattia.

All’università avevo fatto amicizia con ragazze fantastiche, una di queste era proprio Rosalie.

Avevo saputo il lavoro di sua madre tre anni dopo la nostra conoscenza, quando la sua vecchia (come la chiamava lei) mi chiese se volevo accompagnare a cena un suo cliente che era a Seattle per affari ed adorava le ragazzine, visto che aveva più di sessanta anni, lo faceva sentire giovane.

Io ero inorridita mentre lei imbarazzata guardava Rosalie come a chiederle perché non mi avesse mai detto nulla.

Quella sera, nella mia stanza, Rosalie mi raccontò tutto. Sua madre era a capo di una scuderia di escort, squillo o come diavolo si dovevano chiamare. Non erano prostitute, erano accompagnatrici, ma alla fine quasi tutte andavano a letto con il cliente che le accompagnava. Per questo venivano profumatamente pagate e una lauta percentuale andava alla madre che organizzava gli incontri.

«Ma non è illegale?» chiesi perplessa

«Certo » fece lei alzando le spalle «come tante altre cose. Capirai quindi che questo è un segreto e non ti preoccupare se tu non mi vorrai più vedere, ma ti prego non una parola»

Sorrisi e in nome di tutte le lezioni per le quali Rose mi aveva passato gli appunti, oltre a tutte le volte che si era dimostrata una vera amica, risposi «Non potrei mai cancellarti dalla mia vita e ti prometto: mai una parola»

Da quella volta diventammo inseparabili. Lei mi consigliava su questioni di ragazzi, io le consigliavo le letture più interessanti.

Poi la laurea e la morte improvvisa di sua madre ci allontanarono, senza volerlo.

Adesso mi trovavo sotto il suo “ufficio” agitata.

Ci sentivamo per telefono ma non ero mai stata qui.

Suonai al citofono con scritto “Blue Hale” e una voce maschile chiese il mio nome.

«Isabella Swan» risposi chiedendomi se non avessi dovuto riferire un nome falso.

Bah ormai era fatta, tanto valeva entrare e pranzare con Rosalie ricordando i vecchi tempi

«Prego si accomodi. Piano attico»

Entrai nella hall raffinata di questo palazzo d’epoca.

Seattle era sempre stata piena di sorprese in fatto di architettura: un palazzo in puro stile barocco in mezzo a palazzi di vetro e acciaio. Certo, ottima sede per un’impresa di escort.

Infilai rapida l’ascensore aperto mentre il portiere tornava al suo posto dopo la probabile pausa “meglio così, non mi ha vista”

Pigiai piano attico e tranquillamente attesi che le porte si riaprissero.

Quello che non sapevo è che mi ritrovai nel bel mezzo dell’appartamento della mia amica.

Entrai direttamente in un corridoio con il pavimento coperto da una morbida moquette marrone e quadri astratti alle pareti illuminati da faretti.

Sembrava quasi una galleria d’arte.

Senza dubbio Rosalie aveva migliorato i suoi gusti in fatto di pittura, visto che al college non distingueva un Picasso da un Raffaello.

Un uomo alto quanto un armadio, biondo e con un auricolare, mi apparve dinnanzi spaventandomi.

«La signorina Hale la attende, da questa parte» e mi condusse verso un balcone enorme dove si godeva una splendida vista.

Su un lato del balcone, la mia migliore amica ai tempi del college, seduta a un tavolo apparecchiato, mi aspettava in ….. reggicalze e vestaglia rosa ciclamino.

I capelli erano acconciati alla perfezione, il trucco era in condizioni ottimali, come appena fatto e lei sembrava…… pronta per una sessione di sesso selvaggio.

Sgranai gli occhi e deglutii pensando che forse avevo fatto male a farmi convincere per questo pranzo.

«Bella! Tesoro come sono felice che tu sia venuta» e mi venne incontro per stringermi le mani e baciarmi sulle guance.

«Rosalie stai ….. ehm, benissimo» dissi con un sorriso tirato

«Bella smettila di prendermi in giro» rise tirandomi un buffetto sulla spalla

«Ho fatto preparare qui fuori. Ti va?» chiese indicandomi il tavolino imbandito

«Perfetto» risposi sussurrando. Ringraziai il cielo che eravamo a casa sua e non in un ristorante in centro, vestita così  avrebbe dato un po’ nell’occhio.

«Jared! Vai a prendere il carrello che ha preparato Claire in cucina» ordinò al bodyguard che non si era schiodato dalla finestra sino a quel momento.

Poi tornò a guardarmi con attenzione e rividi nei suoi occhi la malizia del tempo del college. No, decisamente Rosalie aveva cambiato abbigliamento ma non carattere. Sorrisi.

«Allora come mi trovi?» chiese facendo una giravolta su se stessa, in modo che potessi notare la vestaglia svolazzante che le esaltava morbidamente le curve.

«Sfrontata come una sgualdrina» risposi ridendo e lei mi seguì subito dopo.

«Ho esagerato. E per la cronaca non mi vesto mai così. Ma la tua faccia è stata impagabile» e continuò a ridere mentre anche io cominciavo ad asciugarmi gli occhi.

«Se mi aspetti un attimo vado a cambiarmi» mi disse posandomi una mano sulla spalla.

«Neanche per idea, mi piace troppo stuzzicarti così e credo che apprezzi anche quel guardone del palazzo di fronte» dissi indicando il tizio appena scoperto, che frettolosamente si nascose dietro le tende.

«Appunto per questo. Ormai le mie grazie le faccio vedere solo a chi voglio io» e corse in casa, tornando poco dopo con un paio di jeans che fasciavano il suo fondoschiena in maniera fantastica e un maglioncino avorio a girocollo con una generosa scollatura a vu sulla schiena.

«Ora mi sento davvero insulsa rispetto a te» dissi con un broncio degno del più capriccioso bambino.

«E’ vero, sei un cesso» mi diede ragione facendomi ridere nuovamente

«Sei la solita» le dissi

«E’ vero» ammise ridendo.

Non era cambiata in quei due anni, lo sapevo al telefono e ora lo vedevo di persona. Il suo viso era più maturo, i suoi occhi meno brillanti ma nel complesso era la mia pazza Rosalie quella che avevo davanti, una vera amica.

«Dimmi di te ora, avevi accennato ad alcuni problemi di lavoro» ricominciò a parlare dopo aver mangiato dei meravigliosi spaghetti ai frutti di mare, rischiando più volte di macchiare i vestiti e ridendo per la nostra inettitudine.

«Problemi a dir poco. Sono stata licenziata, dopo che quel porco mi ha pure messo le mani addosso» sputai la verità come se fosse veleno.

Dio quanto odiavo il mio capo ufficio.

E i titolari dello studio avevano creduto a lui e alla scusa che ero stata io a provocarlo. Come? Con le minigonne, come se un pezzo di stoffa più corto sulle gambe fosse una specie di pistola puntata alla testa per costringere alle molestie sessuali.

«Adesso che farai?»

«Cercherò un altro lavoro. Ho fatto domanda per un posto da insegnante di lettere a vari licei e scuole inferiori, pare che a settembre uscirà una cattedra» risposi speranzosa, ma forse neanche io ci credevo.

«Siamo a giugno, come pensi di sopravvivere sino a settembre? Di aria e di amore? Se non ricordo male non volevi chiedere soldi a tuo padre ne tornare a Forks» obiettò Rose.

«Lo so Rose, sono nei guai e credo che alla fine del mese tornerò alla casa paterna» dissi con scherno.

«Non è che hai bisogno di una segretaria?» chiesi speranzosa evitando di ridere a quella che sembrava una battuta.

«In realtà avrei un lavoro per te» disse Rosalie fissandomi come a soppesare la mia reazione

«Non da squillo voglio sperare. Non sono ancora a quei livelli e non voglio entrare nella tua scuderia» risposi agitando le mani davanti a me.

«No. Non sarebbe un lavoro di questo tipo. A dire la verità è piuttosto buffo ed ero tentata di rifiutare la proposta. Si guadagnerebbe bene e sarebbero due mesi di accompagnamento e assolutamente niente sesso» mi sorrise Rosalie

«Perché? C’è qualcuno che ti contatta per non avere del sesso?» domandai stupita.

«Oh tesoro, non sai quanti! La stragrande maggioranza degli uomini vuole un’accompagnatrice non una donna per il letto, quelle potrebbe averne ad ogni angolo di strada. Io offro il contorno, una donna come dovrebbe essere» sembrava che si facesse pubblicità

«Ti ho già detto che non mi faccio assumere da te» ripetei sorridendo

«Questo lavoro ti piacerà: il tizio cerca una donna per farla passare per sua moglie. Deve passare due mesi con la famiglia a Miami»

«E perché ha bisogno di una finta moglie?»

«A dire la verità ha accennato a qualche cosa tipo famiglia,o un’altra donna. Onestamente non ho fatto molta attenzione, mi ero più concentrata sul lasso di tempo e il fatto che volesse solo una accompagnatrice senza implicazioni» finì la spiegazione Rosalie facendo spallucce

«E per questo vuole una moglie? Da presentare a madre, padre e figli?» chiesi sempre più stupita.

«No niente figli. Questa è una famiglia molto ricca e numerosa, madre, padre, fratelli, zii, cugini, insomma tutto il bastimento. Credo che ci sia anche una matriarca, vecchia cornacchia, che comanda tutti a bacchetta» e rise come avesse detto una battuta comica.

«Allora è un pazzo» chiusi l’argomento convinta

«Un pazzo con un sacco di grana, un bel lavoro e un fisico discreto, ti faccio vedere il suo profilo» si alzò e sparì dentro l’appartamento per tornare con una cartellina.

Me la aprì sotto il naso e mi mostrò la foto di un ragazzo di circa trenta anni, con occhiali rettangolari, capelli un po’ lunghi tirati indietro e barba lunga rossiccia

«Potrebbe essere un teppista, ci manca solo l’orecchino e l’anello al naso» protestai

«Invece è un avvocato e anche famoso» mi rispose

«E dici due mesi, finta moglie e niente sesso?»

«Due mesi, finta moglie e assolutamente niente sesso, a meno che tu non voglia» mi sorrise ammiccando

«Non ho detto che accetto» protestai ridendo

«Cos’hai da fare adesso?» mi chiese

«Nulla ma non sono una tua ragazza e non intendo diventarlo» risposi mettendo fine alla discussione.

Continuammo la nostra amichevole rimpatriata fino a quando mi accorsi che si era fatto davvero tardi e dovevo assolutamente tornare a casa o il mio gattino maschio mi avrebbe fatto a pezzi il divano e le tende dalla fame. Quando le dissi che lo avevo chiamato Rose, rise. Mi disse che se aveva delle devianze sarebbe stata solo colpa mia.

Arrivai a casa e presi la posta nella mia buca delle lettere.

Fatture, fatture, solleciti, oh, anche una lettera del padrone di casa

La aprii e sospirai, non avevo pagato l’affitto quel mese e mi stava sollecitando prima di passare la pratica al legale. Insieme c’erano le bollette di luce, gas e acqua.

Per usare un raffinato francesismo: ero nella cacca. Ok urgeva trovare una soluzione.

Rose si mise a miagolare.

«Dici sul serio?» chiesi come se avessi capito quello che aveva detto

«Mauooooooo»

Telefonai a Rosalie «Ciao» sospirai «Accetto a una condizione» dissi

«Tutto quello che vuoi, non te ne pentirai» promise il mio nuovo capo

«Dovrai darmi un anticipo per pagare tre mesi di affitto e spese e … Prenderti cura del mio gatto soriano»

«Tutto ma il gatto no!» protestò Rosalie, era allergica al pelo di qualsiasi animale

«Allora non se ne fa niente» ricattai

«Ok va bene, lo consegnerò a Claire che vedrà di farmelo stare alla larga» sospirò per poi continuare allegra e felice

«Ti telefono domani per i dettagli. Notte Bella»

«Notte Rose» risposi posando poi il cellulare sul tavolino.

Avevo la sensazione di essermi appena cacciata in un enorme guaio

 

*****************************************************************************************************

Angolino mio:

dunque, piaciuto? Spero di si.

Questo primo capitolo spiega come Bella ci si è trovata in mezzo.

Credo che mi prenderò una settimana per sentire le vostre reazioni e finire il capitolo 2.

Buona domenica e

baciotti

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** venti minuti ***


 

 

 

Oggi ho avuto un lungo problema a collegarmi con il sito, ho anche fatto saltare la mia password ed ero nel panico perché non ricevevo quella nuova. Cosa ho fatto allora? Mi sono sfogata ed ho scritto, ma al posto di andare avanti con le storie che posto normalmente il martedì (Si dice – In Vino Veritas    e    Sakura – Fiore di ciliegio) mi sono messa a scrivere il capitolo di questa.

Dire che sono emozionata e riconoscente a tutti coloro che hanno letto è riduttivo: 18 recensioni al primo capitolo (anche una neutra che fondamentalmente era positiva), con 12 preferite, 4 ricordate e 73 seguite (per quanto mi riguarda un plebiscito) ed è un ottimo carburante per mettere giù parole su parole.

Ecco perché, visto che sono piuttosto impegnata questa settimana, mi tolgo subito la soddisfazione di postare in capitolo due che ho scritto di getto.

Spero che vi piaccia e vi auguro

Buona lettura

 

----oooOooo----

 

Quella notte riuscii a dormire si e no due ore, a pezzi, mi rigiravo nel letto peggio di quei polli sullo spiedo. Avevo anche controllato che non ci fossero briciole o formiche e alla fine avevo pure cambiato le lenzuola. Niente. Insonnia.

Fui tentata diverse volte di telefonare a Rosalie per disdire l’accordo, arrivai a comporre il numero al cellulare, ma al momento di schiacciare il tastino verde, cancellavo tutto.

Maledizione.

 

Avrei dovuto fare l’accompagnatrice? Non ero una squillo! E in effetti avrei dovuto davvero accompagnare il ragazzo, come se fossimo vecchi amici che andavano in campeggio.

Sospirai profondamente. Niente sesso! Fondamentale!

L’ultima mia relazione seria con un elemento di sesso maschile, a parte il mio caro Rose, era un certo … Oddio! Meglio neanche pensarlo quel nome, che brividi.

Mi concentrai: era luglio dell’anno prima … Mamma mia 11 mesi! Ero diventata una suora di clausura! Dunque, lui era un contabile dello studio, certo! perché cercarsi qualcuno in  giro, era più comodo così. Ma poi era grassoccio, presuntuoso e sudaticcio.

Ah! Ecco perché non aveva funzionato: era sudaticcio e io odio chi suda appena respira. Quella pelle viscida mentre ti tocca … bleah! Che schifo.

Infatti dopo qualche uscita, l’avevo gentilmente invitato a non farsi più risentire.

Ma, a ben pensarci, ero andata a letto con lui? Cristo santo! Probabilmente anche quello era una cosa da dimenticare, come del resto avevo fatto.

 

Ok dopo questa analisi mi potevo ritenere nuovamente vergine.

Non che al college avessi avuto chissà quante storie, cinque, no, sei ragazzi tra fissi e storie di solo letto e prima solo il classico fidanzatino liceale. E dopo il college? Era da li che avevo cercato di prendere i voti mi sa: un paio di storielle e basta.

Cacchio avevo poi ventisei anni, va beh quasi ventisette, non potevo chiudere bottega!

«Ma che cavolo stai dicendo?» mi sgridai da sola.

Mica volevo fare sesso con il cliente di Rosalie, che adesso, per inciso, sarebbe diventato un mio cliente.

Dovevo subito mettere in chiaro con lui: niente sesso, assolutamente niente sesso.

Io ero una futura insegnante e non ero una squillo. Se si fosse saputo una cosa del genere potevo dire addio all’abilitazione ad insegnare che avevo appena preso.

 

L’alba arrivò con un sole radioso, come se prendesse in giro la mia faccia da zombie.

Non avrei tollerato nulla quella mattina. Rose saltò sul letto e prese a miagolare affamato.

«Vattene via maschio ingrato!» sbuffai mentre mi alzavo ed arrivavo saltellante in cucina per versare la scatoletta nella sua ciotola.

«Mangiatore a sbafo Rose! Perché non ti trovi un lavoro anche tu? Ci devo pensare solo io ai conti di casa? » poi quando mi guardò con quegli occhi tipo il gatto con gli stivali di Shrek, non potei fare a meno di ridere «Perdonami ma dopo tanti pensieri per questa notte, oggi odio tutti gli uomini» e me ne andai in bagno a farmi una lunghissima doccia, sperando che l’acqua mandasse via tutti i miei guai finanziari e magari scoprire che l’accordo con Rosalie fosse stato solo un sogno.

 

A metà mattina squillò il telefono e sul display comparve il nome del mio nuovo capo

«Ciao tesoro! Hai dormito bene questa notte? Conoscendoti direi di no!»

«Ciao Rosalie, buon giorno» risposi atona. Che dovevo dire? Mi conosceva meglio delle sue tasche.

«Allora? Cambiato idea?» chiese con voce falsamente allegra. Mi sembrava di essere presa in giro, non avevo trovato altre soluzioni per risollevare la mia situazione economica quindi? No non avevo cambiato idea. Magari ero solo un po’ nauseata di me stessa per essere caduta tanto in basso.

«No Capo. Non ho cambiato idea. Aspettavo con ansia ed entusiasmo la tua telefonata per mettermi sull’attenti e scoprire come si fa ad impalmare un uomo per finta» sorrisi tra il triste e il divertito.

Effettivamente sarei stata una donna sposata. Io! Che non mi vedevo neanche con un fidanzato fisso. Era come saltare i convenevoli e passare alle vie di fatto. Forse sarebbe stato divertente. Dai, Miami, il mare, la spiaggia, il sole. Echissene! Se voleva una finta moglie lo sarei stata! In spiaggia a fare la cotoletta!

 

«… Così ho prenotato. Sei d’accordo?» mi chiedeva Rose in quel momento.

Muta. Sulla mia faccia si era disegnato un enorme punto  interrogativo e le mie guanciotte ricordavano pericolosamente Heidi dei cartoni animati (e si! Adoro i cartoni)

«Non rispondi? Da che frase ti sei persa, Bella?» sospirò Rose ridacchiando. L’ho già detto che mi conosceva come le sue tasche?

«Non ho cambiato idea» risposi pronta come una brava bambina quando è interrogata

«Cioè ti sei persa venti minuti di vita. Sei incredibile, vorrei dormire ad occhi aperti come fai tu» mi disse Rosalie

Venti minuti che parlava? Guardai terrorizzata l’orologio appeso al muro. E io dove mi trovavo in quel periodo? In un mondo parallelo? Devo essere sicuramente affetta  da un deficit dell’attenzione.

 

«Dai Rose non prendermi in giro. Please» implorai mentre il mio micio miagolava chiamato in causa: difficile gestire due omonimi.

«Dopo averti detto che vorrei vederti a pranzo per definire meglio la questione, ti ho riferito che ho prenotato una estetista e parrucchiera per una seduta completa, ovviamente a spese mie e mi chiedevo se ti stava bene» mi spiegò

«Questi non sono venti minuti!» urlai piccata

«Ok. Ti ho preso in giro ma è così facile con te. Non posso farne a meno» e si mise a ridere sommessamente mentre io gonfiavo le guance stizzita.

«Rosalie? Hai finito? Stai perdendo altri venti minuti di vita, quella che ti servirà per curarti dal pugno sul naso che ti arriverà se non la smetti» minacciai

«Spero che il colpo al naso non lo voglia tirare al cellulare, sai, di lì non passerebbe» e continuava a ridere. Mi arresi e continuammo con le battute sceme per i famosi venti minuti.

 

«Allora capo, ci vediamo per pranzo? Da te?» chiesi

«No. Questa volta niente casa, niente vestaglie. Pranzo in centro»

«Uhm, se questo è il trattamento per un si potrei abituarmi» dissi sorridendo

«Ma io sono a tua disposizione, sei fantastica, potrei farti diventare una delle più richieste, le tue tariffe diventerebbero …» cominciava a delirare

«Rosalie! Frena! Scherzavo!» telegrafica, essenziale, diretta, chiara.

«Scusa, stavo fantasticando»  rispose con un sospiro di rimpianto

«Ti mancano ragazze?» chiesi

«Oddio Bella! Se ti offro un lavoro non vuol dire che sono con l’acqua alla gola. Semplicemente che saresti un volto nuovo. Le novità nel nostro giro sono bene accolte, esattamente come le esperte» mi spiegò con pazienza.

 

«Allora per pranzo, dove e quando» chiesi

«Ore 12,30 al Dinner Lucius» alla faccia dell’eleganza, forse il miglior ristorante del centro. Per un tavolo dovevi solo prenotare con settimane se non mesi d’anticipo.

«Ma quello non è un ristorante, è uno status. Non sono all’altezza» protestai

«C’è una ragione se andiamo lì. Non ti preoccupare e preparati. Se hai difficoltà sull’abito ti posso prestare qualche cosa di mio … Che ne dici della vestaglia?» rise Rosalie

«Il tempo di mettermi le scarpe e arrivo» dissi sicura. Tanto qualsiasi cosa avessi messo, lei avrebbe avuto da ridire. Il mio guardaroba gridava pietà da tanto di quel tempo che quasi non lo sentivo più. Quando aprivo le ante vedevo solo desolazione: cinque tailleur che alternavo in ufficio (una volta almeno) alcune gonne mediamente corte (ero consapevole di avere belle gambe) e alcune camicette che avevo comperato durante il college. E poi magliette, corte, lunghe, larghe, strette e jeans di ogni blu inventato su questa terra. E sicuramente non sarebbe stato l’abbigliamento adatto.

 

Impiegai molto meno tempo rispetto al giorno prima ed arrivai sotto l’ufficio di Rose. Questa volta il portiere non era in pausa e mi aprì la porta deferente. Quando gli dissi che andavo da Miss Hale, mi squadrò da capo a piedi, e giuro sulla Bibbia, che vidi una goccia di bava uscire dall’angolo delle sue labbra. Mi ricordava il contabile sudaticcio. Bleah. Che schifo!

Giocai. «Scordatelo amico. Sono troppo per te» e ancheggiando mi diressi verso l’ascensore.

Mi voltai per guardare l’effetto appena schiacciato il pulsante, e lì lo vidi: il perfetto esemplare di … pesce lesso, dove gli mostri una briciola di pane e gli fai fare quello che vuoi. Una volta lo chiamavo il potere della figa… un sonoro dling mi avvisò dell’arrivo della cabina.

 

Questa volta mi venne a prelevare una ragazza altissima, longilinea e con un fisico da modella, insomma l’invidia di tutte le ragazze normali come me.

Mi fece cenno di seguirla e mi condusse in un grande salone dove mi aspettava la Rosalie imprenditrice, immersa nel suo lavoro di organizzatrice di incontri (detto in modo soft)

«No Judy. Il cliente ha ragione, se ha chiesto una babysitter noi gli dobbiamo una babysitter. L’incarico era chiaramente specificato nel file che ti ho mandato. … no! Ho davanti a me la copia… non mi prendere in giro, sai che non mi piace. … ok … si va bene … ecco questa mi piace. … si credo che così salveremo capre e cavoletti … no sono d’accordo . ti chiamo io … Ok ciao» sbuffò dopo aver staccato l’auricolare

«Dio come odio quando vogliono fare di testa loro. Fanno solo un gran casino» commentò rivolta a nessuno in particolare. Era interessante vedere Rosalie nelle vesti di maitresse. Intrigante.

 

«Bene Bella. A noi! Vieni con me» ordinò

«Cosa dobbiamo fare in questo ristorante?» chiesi mentre ci avviavamo verso una delle stanze dell’appartamento

«Guardare e mangiare, poi parlare» rispose criptica

«Nell’ordine?» chiesi

«Preferibilmente. Vediamo cosa può andarti bene» ed entrammo in quello che mi sembrava una boutique di Parigi. Una intera stanza piena di vestiti. A vedere così anche i fazzoletti da naso erano firmati li dentro.

«Vediamo questo? No. Questo? Noooooo. Questo qui? Oddio che schifo. Questo? Forse di un altro colore. Uhm questo?» continuò per circa venti minuti a prendere e posare vestiti senza neanche interpellarmi. Mi sentivo una barbie.

«Eccolo. Perfetto. provalo» mi rifilò nelle mani un vestito di seta leggerissimo, grigio topo con un drappeggio sul seno e una fascia che segnava l’inizio della gonna stile impero. Spalline sottili e lunghezza al ginocchio. Una stola più chiara e un paio di sandali dal tacco vertiginoso, slanciavano e completavano il look da pranzo.

Porca paletta, io così sarei andata a una cerimonia, lei a un semplice pranzo. Non avevo proprio gusto, ammisi a me stessa.

 

«Ora possiamo andare» la guardai. Sportiva con un paio di pantaloni neri fluidi e un top argento con giacchino tono su tono. Adorabile.

Andiamo. Sorrisi e ci avviammo alla sua macchina.

Avevo sempre adorato la sua ferrari, rossa fiammante nel più classico dello stile classico.

Delle ferrari ovviamente.

Rosalie non aveva una guida tranquilla e nonostante il traffico e un paio di semafori che bruciammo al limite, arrivammo entro l’orario stabilito. Uscite dall’abitacolo, Rose lanciò le chiavi al parcheggiatore e, prendendomi per un braccio, mi condusse all’interno del ristorante.

 

Subito il maitre ci venne incontro ossequioso «Desiderate?»

«Un tavolo, possibilmente appartato ma con una buona vista sulla sala» rispose sicura Rosalie

«Avete prenotato?» chiese sempre compito

«No, ma credo che per questo favoruccio, Mark le sarebbe molto grato» rispose Rose, strizzando l’occhio prima di sistemare il farfallino al maitre.

«Mark Harmon?» chiese titubante stirando le labbra in un sorriso forzato

«L’unico e il solo. Anzi se vuole domani sera glielo saluto personalmente. Il suo nome?»

«Non si preoccupi» rispose l’uomo con un inchino per poi continuare «Prego mi segua» e ci condusse verso un tavolo perfetto. Appartato a metà parete, semi coperto da una pianta offriva una visuale su tutta la sala.

«Per quanto vi occorra, Samuel è a vostra completa disposizione» e detto questo il maitre si allontanò

«Samuel» sussurrò Rosalie allungando al nostro cameriere due banconote da cento dollari «Quando arriverà l’avvocato Cullen, potresti farlo accomodare a quel tavolo in modo che possiamo vederlo bene? Sai è un così bel ragazzo…» lasciò la frase in sospeso e fece un sorrisetto complice al ragazzo che divenne rosso pomodoro ed annuì prima di correre a portarci il menù.

 

«Avrei qualche domanda. Posso?» chiesi con fare da inquisizione. Qualche cosa non quadrava

«Non era proprio in questo ordine che dovevamo passare il tempo, ma… spara!» e mise le sue mani incrociate sotto il mento appoggiandosi al tavolo mentre serena aspettava.

«Primo chi è  Mark Harmon? Secondo chi è l’avvocato Cullen? … no questo lo so! È lui! Terzo, che poi sarebbe il secondo, non avevamo nessuna prenotazione vero?» a parte una piccola dimenticanza il resto non mi tornava.

«Mark Harmon è il padrone di questo posto. Non avevamo nessuna prenotazione e non lo vedrò domani ma non è necessario che lo sappiano tutti. Giusto?» sorrise sorniona

«Comunque è vero che lo conosco. A dire la verità l’ho incontrato un paio di volte in giro per feste, ma conosco molto bene i suoi assegni … ti lascio immaginare perché» e rise.

 

«Quindi adesso è come se restituissi qualche cosa» constatai

«Non ci penso neanche!» disse scandalizzata

«Non hai intenzione di pagare? E cosa dovremmo fare? Sgattaiolare di nascosto dopo il dolce» chiesi ironica

«Non dire sciocchezze. Essermi presentata a nome di Mark mi farà offrire il pranzo come gradite ospiti» mi spiegò.

Alta società? Sembrava di più un villaggio pieno di scozzesi. Avevano i chiodi puntati sulle dita per non far sfuggire neanche un dollaro. Avrebbero fermato un taxi in pieno incrocio per una monetina per terra.

Ordinammo quanto di buono poteva offrire quel ristorante, e per quanto mi riguarda, spaziai dall’antipasto al dolce, tanto non pagavo io comunque.

 

Eravamo lì da circa venti minuti (la maledizione temporale della giornata) e stavo iniziando a gustarmi il mio gratin di patate con gamberetti in salsa di avocado e pere quando Rosalie si sporse verso di me e sussurrò

«Eccolo. Ti presento Edward Cullen» io mi voltai e vidi il teppista in carne ed ossa, con un completo gessato, che elegantemente, si sedeva al tavolo di fronte al nostro e chiamava il cameriere. Avrei detto che vestiva in pelle, ed invece il suo abbigliamento proveniva sicuramente dallo stesso luogo dei vestiti che mi aveva mostrato Rose al mattino.

 

Mi si era seccata la bocca e le mani iniziavano a tremare. Cosa dovevamo fare? Mi chiesi guardando alternativamente Rosalie e il teppista.

«Non ci pensare neanche. Non voglio che tu vada a conoscerlo adesso, non prima di averti restaurato a dovere sopra, sotto, dentro e fuori» mi ammonì leggendo il mio pensiero

«Sopra lo posso capire, sotto preferisco non indagare, fuori credo di sapere cosa sia, ma…. Dentro?» mi ero lasciata distrarre dall’operazione restauro. L’ho già detto del mio deficit dell’attenzione?

«Tisane depurative» ma seppure ridesse non riuscì a nascondere una smorfia di disgusto a quella risposta. Adesso si che avevo paura. Cosa mi voleva propinare?

 

Tornai con l’attenzione al mio quasi cliente, finto marito, teppista.

Aveva i capelli di uno strano colore castano tendente al rosso con striature più chiare, come a dare profondità. “vanitoso” pensai immaginandolo dal parrucchiere con chili di alluminio Domopak in testa. Mai e poi mai avrei creduto che quel colore era naturale. Era troppo bello, praticamente perfetto (neanche la ricrescita si vedeva).

 

«Allora è avvocato?» chiesi con noncuranza mentre continuavo a scannerizzarlo.

Sul naso diritto si posavano gli occhiali rettangolari, con la montatura nera, spessa, moderni. Sotto dovevano esserci degli occhi fantastici: non ero riuscita a distinguerne il colore ma sembravano chiari ed io andavo letteralmente pazza per gli occhi chiari, probabilmente perché io li avevo di un caldissimo anonimo marrone scuro.

Le labbra si intravvedevano senza distinguerne i contorni e la forma. Spuntavano timide in mezzo a un curato cespuglio di peli rossicci, che aveva la presunzione di chiamarsi barba.

Chissà se alle orecchie aveva l’orecchino come pensavo io.

Nulla deturpava la perfezione del naso invece. Avrei ucciso per un naso così lineare (magari più piccolo, diciamo da donna) il mio era un po’ all’insù e tutti contenti a dire “alla francese”. Un cavolo naso alla francese: le puzze mi arrivavano prima che agli altri e se disgraziatamente avevo il raffreddore, tutti potevano vedere il mio muco giallo che spingeva per uscire.

 

«Un avvocato molto famoso, uno dei soci più giovani dello studio legale più importante di Seattle» rispose Rosalie compiaciuta mentre anche lei guardava il teppista.

«Quello Studio?» chiesi sgranando gli occhi dopo aver collegato quello che mi aveva appena detto

«Esatto» rispose. Lo studio dove lavoravo fino a due mesi prima, era praticamente una succursale dello studio legale. Non facevano altro che fare atti per loro. Chissà come mai non mi ricordavo di averlo incontrato. Uno così, alto più di un metro e ottanta, con quelle spalle (il resto non l’avevo ancora radiografato) quel viso e il fascino che emanava… se l’avevo incontrato, mi avevano dato una botta in testa subito dopo ed ero soggetta ad amnesia, perché era impossibile da dimenticare.

 

«Allora cosa ne dici?» chiese Rosalie curiosa, studiando sul  viso le mie reazioni

«Non l’ho mai incontrato in ufficio» risposi seguendo i miei pensieri

«Non intendevo quello. Meglio se non l’hai conosciuto, sarebbe stato più imbarazzante. Io volevo sapere cosa ne dici di LUI?» sibilò un pochino più alterata

«Oooooooooh. scusa» risposi mortificata, poi mi voltai nuovamente verso di lui

«E’ davvero un bel ragazzo. Io gli taglierei la barba e gli accorcerei i capelli ma per il resto devo dire che se lo vedessi in giro credo che cercherei di conoscerlo» risposi sorridendo.

«Sapevo che ti sarebbe piaciuto. E’ proprio il genere di ragazzo con il quale uscivi al college» rispose Rosalie con gli occhi brillanti. Aveva appena mangiato il topolino, che nel caso specifico ero io. Mi ero fregata da sola.

 

«Non correre Rose. Piacere esteticamente è un conto ma tutto il resto è un altro paio di maniche. E poi scusa, non è un cliente? Non mi deve piacere per forza» mi sentivo a disagio per questo suo entusiasmo.

«Bella, ho capito cosa vuoi dire e che non vuoi implicazioni di altro tipo, ma sarai a contatto con lui per due mesi ogni giorno, 24 ore su 24. Deve almeno essere un po’ piacevole. In ogni caso non costringo mai le mie ragazze a scatola chiusa e loro possono sempre rifiutare l’incarico. Per questo ho le ragazze migliori» ecco che quando si parlava del suo lavoro si vantava. Però era consolante l’attenzione che mostrava verso le sue … protette?

Continuammo a mangiare alternando cibo a sguardi interessati all’avvocato capellone e commenti più o meno caustici sullo stesso soggetto.

 

Come previsto da Rosalie, il pranzo fu gentilmente offerto alle gradite ospiti, dopo di che ci recammo alla sede della mia operazione restauro.

«Quando lo incontrerò?» chiesi tranquillamente mentre ero distesa sul lettino per la pulizia di viso e corpo

«Questa sera. C’è una festa per beneficienza ed io ho i biglietti. Lo troveremo lì» rispose Rosalie godendosi le mani che stavano massaggiando il suo corpo.

«Oh mamma!» bisbigliai con lo sguardo terrorizzato mentre lo stomaco mi si chiudeva dalla paura. L’ora X stava arrivando.

 

----oooOooo----

 

Angolino mio:

Questo capitolo è un po’ più lungo del precedente, doveva finire alla presentazione di Rose, poi però mi sarei trovata a dover fare ancora tanti capitoli prima della partenza ed io ho fretta esattamente come voi.

In più ho inserito alcune righe bianche. Voi potete non apprezzare ma io quando vedo la pagina pubblicata ho paura di perdermi le righe (e ogni tanto mi capita) alcuni spazi ogni tanto mi aiutano nella concentrazione.

Quindi, posto questo capitolo con quattro giorni di anticipo.

Non posterò nulla venerdì (tranne Sakura che è già pronto) e ci risentiamo la prossima settimana

baciotti

 

________________________________________________________________________

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** il sogno ***


 

 

 

Buona serata a tutti, ho finito la settimana ed ho deciso di farmi/vi un regalo.

Sono sempre più emozionata per il consenso che questa storia sta avendo da voi e vi voglio ringraziare uno per uno stringendo mani e regalando baciotti sulle guance a tutti.

 

Detto questo ho due precisazioni che dovevo fare al termine del capitolo precedente e mi erano sfuggite: il ristorante Dinner Lucius? Non esiste, quindi non cercatelo. Il gratin di patate con gamberetti in salsa di avocado e pere? Credo che questa ricetta vi farebbe venire una crisi all’intestino (non so se mi spiego) non ho la più pallida idea se questa cosa esiste, volevo solo indicare qualche cosa di altisonante degno di un ristorante a 4 stelle michelin (false pure quelle). Prego chiunque sia un cuoco di perdonare il mio peccato culinario, era solo una licenza poetica (e mi cospargo il capo di cenere perché con il cibo non si scherza: per qualcuno è una fede)

 

Mi è stato fatto notare che la pulizia del viso non deve essere fatta nello stesso giorno di un appuntamento perché potrebbero venire delle macchie. A me non è mai successo, però potrebbe. A questo punto gioco il jolly: le hanno fatto una pulizia particolare senza conseguenze e non aveva macchie e anche la depilazione non lascia traccia. Eheheheheheh. Fregati!

Chiedo scusa per le imprecisioni che potrebbero esserci (normalmente non approfondisco se non sono sicura ma potrebbe scapparmi)

 

Nel presente capitolo si toccheranno argomenti sensibili, prego di leggere anche le note sotto prima di arrabbiarsi con la sottoscritta.

Adesso, dopo avervi abbondantemente “rotto” vi lascio al capitolo e

Buona lettura

 

----ooo00O00ooo----

 

 

L’operazione restauro continuava spedita sul mio povero corpo. Mentre sorseggiavo quello che doveva essere una tisana, presumo alla cicuta visto il sapore pessimo (mi sentivo morire), mi stavano depilando … tutta. Ma proprio tutta. Proprio tutta tutta.

Avevo posto un veto solo: no ai capelli,  a quelli ci tenevo e non avevano il permesso di depilarmi li.

Sembravano tante assatanate contro i peli molesti, poverini. Se non fosse per il dolore lancinante che stavo provando, avrei avuto quasi pietà di quei filini neri che  adornavano, indesiderati, le mie membra.

A ogni imprecazione, degna del più sboccato scaricatore di porto, Rosalie sghignazzava nello stanzino di fianco. Volevo picchiarla per quella tortura.

 

«Ripetimi perché devo essere così ripulita e morbida» ringhiai all’ennesimo strappo vicino all’inguine.

«Perché sei la moglie di un avvocato e si presume che tu sia impeccabile» rispose paziente Rose. Sicuramente lei era rilassata a leggere una rivista di gossip. Bastarda.

«Rose, non credo che andrò in giro nuda» puntualizzai

«Tesoro sarai in costume da bagno, praticamente nuda» rispose Rose come se dovesse avere a che fare con una bambina petulante … e forse lo ero. Sbuffai.

«Ripetimi perché mi sono lasciata convincere a tutto questo» ringhiai di nuovo allo strappo successivo sul pube.

«Perché hai bisogno di un lavoro. Pensalo come un corso di pubbliche relazioni.» rispose paziente

«Già! Proprio pubbliche relazioni» questa era pura ironia.

 

Mi ripulirono e riallinearono (parole loro) anche le sopracciglia e fecero sparire i miei già inesistenti baffetti. Questa fu una vera lotta: io continuavo a negare di averceli ma loro erano più testarde di un mulo. Secondo me, mi avevano fatto il trapianto mentre ero distratta, perché dopo il disboscamento (sempre parole loro) esultarono entusiaste come se avessero estirpato una pianta parassita dalla mia faccia, ma io i baffetti NON CE LI AVEVO!.

Odiavo Rosalie ogni secondo di più, si stava divertendo come una matta. Non fosse perché le servivo per l’avvocato occhialuto, mi avrebbe trattenuta a Seattle solo per portarmi con lei dall’estetista: evidentemente ero meglio di un film comico.

 

«Adesso la chioma!» gridò felice dopo la conclusione di quella maratona. Credo che un percorso di guerra dei marines sarebbe stato più rilassante per me.

«Rose, tesoro, ti prego niente tagli corti, lo sai che ho le orecchie a sventola, mi vergogno» pigolai nella speranza della sua pietà.

«Bella, non sei Dumbo! Ma quante volte te lo devo ripetere. Non hai le orecchie a sventola! In ogni caso ti voglio solo far dare una puntatina e un po’ di correzione al colore, messa in piega morbida et voilà, pronta per questa sera» era felice come una bambina a Natale. Ed io ero il pacco.

La parrucchiera effettivamente era una pacchia dopo quello che avevo subito.

Mi rilassai e chiusi gli occhi. Sentivo le donne agitarsi attorno a me, o meglio, attorno alla mia testa, ma non me ne curai e proseguii con il mio rilassamento ad occhi chiusi.

«Oddio Bella! Cosa hanno combinato! Mi dispiace!» gridò Rosalie per poi mettersi a ridere

 

Aprii gli occhi terrorizzata cercando di vedere quale fosse lo scempio fatto ai miei stupendi capelli. Invece erano bellissimi, mi avevano fatto alcuni colpi di sole di qualche tono più chiaro per movimentare il mio caldo naturale castano. Avevano creato delle morbide onde che incorniciavano il mio viso dalla forma a cuore e, mentre alcune ciocche erano magistralmente scappate dalle forcine, la mia chioma era raccolta in un ricco chignon. In una parola ero elegante e sofisticata.

Il trucco che mi avevano fatto era assolutamente perfetto e talmente naturale da esaltare la pelle tanto da farla sembrare trasparente.

Se non lo avessi saputo avrei detto di essere acqua e sapone.

«Dovrete solo aggiungere un po’ di ombretto, magari che ricordi il colore dell’abito oppure qualcosa come questo» diceva l’estetista rivolgendosi a Rosalie e mostrandogli i prodotti.

Il mio capo era estremamente soddisfatta e onestamente anche io mi vedevo … bella.

 

«Adesso torniamo all’appartamento per il vestito e le spiegazioni per questa sera» ordinò Rose, ormai partita per la tangente. E chi la fermava più adesso!

Il sole stava terminando stancamente la sua parabola. Illuminava i tetti e le parti alte dei palazzi con i suoi raggi accecanti, come a dare l’ultimo  saluto prima della notte.

«Che ore sono?» chiesi rendendomi conto di quanto tempo fosse passato

«le sei e mezzo» rispose secca, il mio autista mentre era impegnata nel sorpasso di una berlina nera. Ammiravo la grinta di quella macchina, la ferrari non aveva paura di nessuno.

 

«Adesso ti devo spiegare qualche cosetta» cominciò a parlare Rosalie mentre parcheggiava nel box sotterraneo del palazzo.

«Questa sera andremo ad una festa di beneficienza per raccogliere fondi. Credo che sia per il nuovo reparto neonatale del Children’s Hospital» chiuse l’auto e si diresse verso l’ascensore

«Vieni anche tu? Non credi di venire riconosciuta se ci sarà gente famosa?» chiesi imbarazzata. Essere beccata in giro assieme a una delle maitresse più conosciute della città, non era certo un bel biglietto da visita. Non mi vergognavo di Rosalie, sia chiaro, solo che non volevo essere additata come squillo, neanche avessi un cartello appeso alla schiena.

Rosalie si fermò e mi guardò sorpresa «Ti vergogni di me?»

«No no» mi affrettai a rispondere «Solo che pensavo,… probabilmente ci saranno anche tuoi clienti alla festa … non vorrei che ci fossero problemi»

«Dai Bella. Ti conosco da sette anni. Lo so che non è per me. E voglio subito tranquillizzarti: io non ho mai incontrato un cliente. Ho solo comunicato con il telefono o via mail. Non ho mai dato il mio nome ma solo Blue Hale. E se proprio vogliono incontrarmi, Claire è ben felice di guadagnare un extra» spiegò soddisfatta

«Quindi tu non compari mai?» chiesi stupita. Mi sembrava un film di James Bond.

«Solo il capo della polizia conosce la mia identità. Ci facciamo dei favori a vicenda, io occasionalmente gli passo delle informazioni e lui chiude gli occhi» fece spallucce come se fosse una cosa poco importante, ma il suo sguardo aveva avuto un lampo di odio al nominare questo personaggio. Chissà perché?

«Oh, ok» dissi mentre si aprivano le porte dell’ascensore direttamente nell’appartamento.

 

«Adesso vieni che scegliamo il vestito e nel frattempo ti spiego il piano di questa sera» mi prese per mano e mi trascinò nuovamente nella sua boutique privata

Questa volta sembrava non avere dubbi, andò sicura verso una custodia che racchiudeva un prezioso abito da sera color pesca

«E’ bellissimo» sussurrai accarezzando la stoffa con venerazione.

«Indossalo dai» mi incoraggiò Rosalie

Presi il vestito dalla stoffa impalpabile e cominciai ad infilarlo. Il bustino, senza spalline, ricordava vagamente gli abiti settecenteschi dei dipinti, mentre la gonna scivolava a corolla sino ai piedi nascondendo tra le onde uno spacco che arrivava a metà coscia. Avendo tirato in su i capelli, il mio collo spiccava lunghissimo e il mio decolleté sembrava ancora più candido.

«Sei splendida» mi disse Rosalie, commossa come una mammina che guarda la sua creatura con il primo abito da sera.

«Adesso tocca a te!» la spinsi ridendo

Anche lei aveva preparato il suo abito da sera, rosso scuro, fasciante, con strette spalline e una balza  all’orlo che richiamava l’intreccio presente sul busto. La gonna aveva un piccolo spacco sul dietro dal quale si vedevano spuntare le magnifiche gambe di Rosalie.

«Adesso un ultimo ritocco» annunciò sedendosi davanti a uno specchio pieno di luci. Era davvero una postazione professionale, c’erano così tanti trucchi e cosmetici su quella consolle da chiedersi se veramente si era in una casa privata.

 

«Non dovremmo cenare prima?» chiesi titubante. Non ero abituata a queste cose e non avevo idea di come funzionassero

«No cara, andiamo a questa festa completa di buffet» rispose trionfante Rose.

«E adesso a noi Bella. Questa sera incontrerai di persona il nostro avvocatuccio. Tu ti presenterai come Isabella Swan e parlerai tranquillamente di quello che vorrai. Dovrai fare semplicemente della conversazione. Tutto chiaro?»

«No! Sei matta? Mi presento lì e gli dico: Ehi ciao, io sono la moglie che hai affittato come va? Piacere mi chiamo Isabella Swan ma puoi chiamarmi Bella, sono la tua escort!» iniziai anche a gesticolare dall’agitazione.

«Bella! Calmati! E non dire sciocchezze. È un normale ragazzo e tu ti avvicinerai a lui esattamente come facevi con altri ragazzi al college. Non è mica difficile» sorrise mettendomi le mani sulle spalle, come a cercare di calmarmi, poi continuò

 

«Guarda che lui non sa che ci saremo anche noi. Ho fatto in modo di sapere se aveva intenzione di intervenire all’evento ed ho semplicemente ottenuto due biglietti. La nostra sarà una conoscenza … informale. Tu parli, lui parla e basta. Devi solo capire se potrai fare il lavoro oppure no e senza avere nessuna costrizione. Conoscilo, parlagli, se vedi che è uno stronzo chiudiamo la faccenda qui e subito» e dopo un ultimo sguardo diretto ai miei occhi, come a convincermi delle sue buone intenzioni, mi lasciò andare.

Guardando il fatto da questo punto di vista era perfetto. Avrei potuto parlargli come una normale donna che parla con un uomo appena conosciuto, senza antefatti e senza costrizioni. Poi avrei potuto decidere con più tranquillità. Sbirciai Rose con la coda dell’occhio, stava tranquillamente aspettando che il mio cervellino smettesse di lavorare, appoggiata allo stipite della porta, con le braccia incrociate sul seno. Un leggero sorriso increspava le sue labbra perfette. Era davvero bellissima quella sera, ma sapevo che io non ero da meno.

Cosa sarebbe potuto succedere? Avrei parlato del tempo con uno sconosciuto, avrei visto l’alta società di Seattle al completo e dopo sarei tornata a casa dal mio Rose, più tranquilla di  prima.

 

«Ok Rose. Andiamo pure. Avvicinerò come per caso il teppista e troverò un argomento per parlare, magari il tempo» e risi divertita mentre Rosalie mi faceva eco e prendeva le borsette per uscire.

Come facesse a camminare su quei trampoli era un miracolo divino, almeno per quanto mi riguardava: tacco si, ma non più di 5 o 7 centimetri, in ufficio era d’obbligo stare comodi. Un tacco 12 era decisamente troppo per le mie caviglie. Invece Rosalie era semplicemente superba, anche nella camminata sensuale. Uff! che invidia! Sbuffai.

Salimmo nuovamente sulla ferrari e ci dirigemmo alla festa. Adesso che sapevo di essere in incognito ero decisamente più tranquilla. Rosalie fermò l’auto davanti all’entrata dell’hotel sede del ricevimento e consegnò le chiavi al posteggiatore, poi entrammo.

 

Era assolutamente fa-vo-lo-so , lampadari di cristallo, stucchi alle pareti e tappeti persiani stesi sul marmo, in pratica profumo di soldi nell’aria. Ci dirigemmo nel salone principale e consegnammo i nostri inviti.

All’interno della sala c’erano già parecchie persone e fu facile farci fagocitare dalla folla.

Un’orchestrina di quattro elementi suonava musica soft in un angolo del salone.

Forse era la mia agitazione, ma sentivo di essere osservata con insistenza e mi guardai attorno con curiosità.

Fu allora che lo vidi, alto, imponente, elegante nel completo di taglio sartoriale, con capelli e occhi neri mi stava fissando con insistenza. Strinsi il braccio di Rose ma non fu necessario informarla, visto che l’uomo, dopo aver preso due calici di champagne, iniziò ad avvicinarsi a noi.

 

«Rosalie, tesoro. Non mi presenti alla tua amica?» chiese con un sorriso malizioso lo sconosciuto (per me, ma evidentemente non per Rose)

«Royce King, Isabella Swan. Bella, il capo della polizia di cui ti ho parlato» fece le presentazioni con riluttanza e, vedendo il soggetto, capii il perché

«Bella, lei è semplicemente incantevole» mi fece un leggero inchino e mi porse il flute che teneva in mano

«Dobbiamo brindare al nostro incontro» disse sorridendo rivolgendosi a Rose subito dopo

«E’ una tua protetta?» un lampo di cupidigia passò nel suo sguardo

«No. Come hai detto tu è una mia amica» rispose piccata andandosene verso il buffet e tirandomi via con sé. Posai il calice nel vassoio di un altro cameriere senza berne una goccia: l’incontro con quel tipo non era certo da festeggiare.

«Scusami Bella. Royce non è certo una buona compagnia» mi disse mentre prendeva un piatto per servirsi alcune pietanze

«Non mi è piaciuto» risposi chiarendo il mio punto di vista

«Meglio cambiare argomento o ci rovineremo la serata» fece una pausa, poi le si illuminarono gli occhi e si avvicinò al mio viso

 

«Ecco il nostro Cullen, è arrivato» sussurrò

Mi voltai di scatto e lo vidi stagliarsi al centro della porta. Mi sembrava più alto ed imponente rispetto a quando l’avevo visto al ristorante.

Indossava uno smoking nero che lo rendeva elegantissimo. Non portava gli occhiali questa volta e si, avevo ragione, aveva gli occhi chiari.

Entrò nel salone con una camminata fluida ed elegante, niente di rozzo o affettato, semplicemente naturale. Probabilmente era abituato a quel genere di cose. Certo, mi ricordai, la sua famiglia era ricca e poi lui lo era di suo.

 

Cominciò a salutare alcune persone e a fermarsi a parlare con alcuni personaggi attempati, probabilmente clienti. Ma non si mostrava ossequioso, era sicuro e spigliato.

Io e Rosalie continuammo a riempirci il piatto e poi cominciammo a girare tra i quadri appesi. Erano gli acquisti di questi quadri che avrebbero portato soldi all’ospedale.

Mi voltai leggermente e con la coda dell’occhio vidi che il teppista ci stava seguendo con lo sguardo. Non potevo dargli torto, non c’erano tante donne giovani in queste occasioni.

«Rose, credo che abbia puntato, vai a trovarti un altro osso mentre vedo di agganciarlo» mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quante volte avevo usato questa frase ai tempi del college. Rosalie rise e si indirizzò verso un uomo di mezza età ma molto affascinante che stava esaminando un quadro astratto con lo sfondo rosso. Sicuramente, vista la collezione che aveva in casa, non avrebbe dovuto avere troppi problemi a fare conversazione. E io? Respirai profondamente. Si comincia! Indossai il migliore dei miei sorrisi, voltandomi verso il dipinto che avevo di fronte.

 

Sentii il rumore di alcuni passi che si fermarono al mio fianco. Mi voltai, era lui. Sorrisi.

Una voce bassa, calda e decisamente piacevole arrivò alle mie orecchie

«Le piace?» mi chiese guardando la tela davanti a noi. Era un bel dipinto che raffigurava un tramonto sulla spiaggia con le onde che si infrangevano sugli scogli sulla destra, dove erano seduti un uomo e una donna che si baciavano.

«Il dipinto non molto, il sogno si. Lo adoro» risposi posando il mio piatto nelle mani di un cameriere che passava di lì.

«Una romantica allora» sorrise malizioso

«Chi non ha mai sognato di baciare il proprio partner al tramonto sulla spiaggia?» dissi sorridendo indicando il quadro con il palmo alzato

«Sugli scogli vorrà dire» puntualizzò ironico.

«E’ un dettaglio. Spiaggia, scogli, mare, è il sogno quello che conta» risposi guardandolo direttamente in viso per la prima volta. Aveva gli occhi verdi. Adorabili, invidiabili occhi verdi. Accidenti, ma perché non si è tagliato questa barba? E i capelli? Dovevo spiegargli che le forbici non erano armi letali, a volte potevano essere utili.

 

«Non ci siamo presentati» mi disse come se fosse una dimenticanza involontaria.

«Edward Cullen. E lei?» e mi prese la mano per portarsela alla bocca con galanteria

«Isabella Swan ma gli amici mi chiamano Bella» risposi sorridendo mentre finiva il baciamano

«E io posso considerarmi un amico?» chiese impertinente

«Per ora conoscente, ma se mi dice il suo sogno potrei promuoverla sul campo» risposi

Lui mi indicò il quadro «L’ho dipinto io, tanto tempo fa» un lampo di tristezza passò nei suoi occhi. Subito riprese il controllo e mi guardò aspettando la mia reazione.

«Oh mi scusi. Non sapevo… non volevo dire che non era bello … Oh cielo che stupida» non sapevo cosa fare, ero arrossita. Si sarebbe offeso. Avevo rovinato tutto. Volevo scomparire, magari se chiedevo una pala a qualcuno, avrei potuto cominciare a scavarmi la fossa.

«Stavo scherzando» rispose ridendo di gusto «non l’ho dipinto io, ma è mio. L’avevo comperato perché era il mio sogno. Un sogno che non ho mai realizzato» terminò la frase con un sussurro ma io lo sentii chiaramente.

Chi era la donna che lo aveva rifiutato? Era per sostituire lei che voleva una moglie? L’idea di Rosalie di parlargli insieme prima di mettere le carte in tavola si era dimostrata vincente. Adesso ero curiosa. Perché vuoi una moglie Edward Cullen?

 

«Adesso siamo amici?» chiese ritornando allegro e cortese.

«Possiamo passare al tu. Ma per te sono ancora Isabella» risposi maliziosa accettando il flute che mi porgeva, per poi spostarmi ad un altro quadro.

«Oh che tenero questo cervo» pigolai mentre ammiravo un dipinto che rappresentava un momento di vita della foresta

«Animalista?» chiese alzando un sopracciglio

«No. Dico solo che è un bell’animale» risposi tranquilla

«Quindi se ti dicessi che ti farò indossare una pelliccia di volpe linciata della Groenlandia, cioè quella bianca, tu la metteresti senza problemi?» voleva mettermi in difficoltà

«La indosserei per la stessa ragione per cui mangio una fetta di carne e tu indossi delle scarpe di cuoio. Tutti questi animali sono morti e non credo che siano più felici se sono finiti in un piatto o su una donna o ai tuoi piedi. Per me un pollo ha la stessa dignità di un vitello e di una volpe. O sei vegetariano o sei un’ipocrita» risposi lapidaria mentre mi guardava sorpreso ed ammirato. Continuai

«L’unica cosa su cui sono d’accordo è evitare l’estinzione della specie e dare una morte più rapida ed indolore possibile, per quanto possa essere indolore la morte. Uccidere un animale facendolo morire di fame e sete per avere una pelliccia integra. Questa è la crudeltà» ripresi a camminare spostando l’attenzione al prossimo dipinto

 

«Ho passato l’esame o sei iscritto al WWF?» chiesi ironica

«Direi che mi hai sorpreso Isabella. Per te non esiste il grigio? Solo bianco o nero?» era davvero sorpreso allora. I casi erano due: o scappava o l’avevo colpito.

«Io sono fatta di grigio. Tornando al discorso di prima, appunto perché non sono vegetariana io mi giustifico, nello stesso tempo non condanno perché io per prima non sono perfetta.» risposi guardando poi il quadro che avevamo davanti, che rappresentava un paesaggio cittadino con tetti, palazzi, gente stretta che passava ignara del suo vicino.

«E di questo invece, cosa pensi?» chiesi ammirando il suo profilo mentre era assorto sulla tela. Bevve un sorso di champagne con un gesto calibrato ed elegante e mi chiesi come aveva potuto sfuggire al suo fascino la donna del quadro.

Un campanellino trillò nella mia testa. Non parliamo di fascino, è una parola proibita.

 

«Troppe corse, troppa fretta, troppa ansia. Direi che se il primo quadro era il sogno, questo è il modo migliore di perderlo» rispose asciutto senza voltarsi

«E’ così che lo hai perso? Il tuo sogno intendo» chiesi. Non era curiosità, era desiderio di sapere per consolare. Vederlo triste mi faceva male al cuore. Perché? Colpa della mia indole da crocerossina presumo. Florence Nightingale sarebbe stata fiera di me.

«Forse» rispose enigmatico, poi si voltò verso di me con un sorriso nuovo e uno sguardo pieno di speranza «Ma forse non tutto è perduto e potrei anche recuperarlo»

«Te lo auguro davvero di cuore» risposi chinando il capo. Bevvi un lungo sorso per mascherare la mia agitazione.

Questa risposta mi aveva spiazzato. La finta moglie gli avrebbe riportato il sogno? Come? Cosa avrei potuto fare io, quando quella donna lo aveva rifiutato? E perché legarsi a una donna quando ne cercava un’altra? Questa conversazione stava minando la mia sanità mentale.

 

«E tu cosa ne pensi?» mi chiese Edward riportandomi alla realtà

«Hai ragione tu. Questo è il contrario del sogno. Diciamo l’incubo» risposi ridendo

«Potremmo farne una coppia. Il pro e il contro» propose allegro, spostandosi al quadro successivo

«E questo astratto? Qui non si parla di cosa ne pensi ma di cosa di ispira» disse indicando la tela

«Oddio. Questo mi ispira un grande spreco! Non credo si possa considerare arte una tela completamente bianca con un pallino blu al centro» risposi ridendo di gusto

«Questo l’ho dipinto io» rispose lui serio guardandomi fisso

«No. Non ci casco. Non è possibile» ma lui non cedeva sul suo cipiglio scuro «Cioè … davvero non ci credo … sul serio l’hai dipinto tu? … non pensavo … » stavo di nuovo balbettando e cercando una pala con la coda dell’occhio, mentre le mie guance diventavano di fuoco.

«Ahahahahahah! Sei incredibile. Ma sei proprio una pesciolina» e ridendo mi diede un buffetto sul naso, mentre io gonfiavo le guance stizzita. Poi, rendendomi conto che a comportarmi da bambina non avrei risolto nulla, risi anche io.

 

Continuammo a chiacchierare guardando i quadri per tutta la sala. Era infinitamente piacevole la compagnia di questo giovane avvocato teppista.

Al termine della serata fece un’offerta per due quadri e se li aggiudicò senza problemi.

«Perché hai acquistato il sogno? Era già tuo e non lo volevi più» chiesi perplessa, mentre guardavo consegnare l’assegno

«Perché adesso ha il suo negativo. Il pro e il contro. Adesso sono completi» mi rispose tranquillamente. Probabilmente non gli dava più fastidio come prima, sperai. Grazie a me? Forse.

Ci salutammo con un bacio sulla guancia all’entrata della sala. Era tardissimo e probabilmente Rosalie mi stava aspettando sulla ferrari

 

«Tra due giorni dovrò partire per andare dalla mia famiglia e non tornerò prima di un paio di mesi … » sembrava imbarazzato e si grattava la nuca senza sapere cos’altro fare.

«Forse ci rivedremo al tuo ritorno, o forse ci rivedremo prima. Il mondo è piccolo» risposi, presi la stola e la borsetta che avevo lasciato all’ingresso e lo salutai con la mano per poi dirigermi verso Rosalie che mi aspettava impaziente

«Allora?»

«E’ un uomo fantastico, e interessante. Decisamente affascinante e un po’ misterioso e triste ma anche simpatico» riassunsi entusiasta le caratteristiche che avevo visto in Edward.

«Bene. Deduco che tu sia pronta per l’incontro ufficiale di domani» mi disse Rosalie mentre mi accompagnava a casa.

Il mio cuore iniziò a fare gli straordinari per la tensione.

Speriamo bene, tra meno di 24 ore avrei avuto un marito.

 

 

----ooo00O00ooo----

 

 

Angolino mio:

non uccidetemi (potrei mancare a qualcuno), non linciatemi (per la stessa ragione) e non gettate pomodori (costano e non mi piace lo spreco ingiustificato).

Nella conversazione tra Edward e Bella sono stati toccati diversi punti, prima di tutto mi scuso con chiunque si possa essere sentito toccato, non è mia intenzione offendere, MAI. Le mie sono solo opinioni, e sono disponibile a qualsiasi scambio di idee, purché pacato.

Altra precisazione, i discorsi tra i due non sono neanche da definire psicologia spicciola, perché non ho studiato la materia e non mi voglio erigere a santone. Dall’alto della mia ignoranza mi inchino a chiunque volesse specificare qualsiasi passo che ho male impostato.

Detto questo e tornando alla storia, mi auguro che vi sia piaciuto il capitolo e vi rimando al prossimo dove finalmente i due si incontreranno per cominciare questa avventura insieme.

 

Ultimissimo avviso: alla fine della prossima settimana arriverà ferragosto. Posterò ancora un capitolo di questa storia e poi interromperò per ferie. Ebbene si! Le faccio anche io. Continuerò a scrivere e a leggere in vacanza ma non avendo idea della connessione, non posterò nulla. Tornerò il 12 settembre e per quella data prometto di aggiornare tutte le mie storie e magari postare quella nuova.

Baciotti a tutti

____________________________________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** matrimonio vero? ***


 

 

 

Vi posto un nuovo capitolo di questa storia, siamo all’incontro ufficiale, dove verranno messe le carte in tavola e non solo metaforicamente.

Vorrei ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato la loro recensione, con tanto tanto affetto, oltre a quelle che hanno messo la mia piccola Affittasi nei preferiti o ricordati o seguiti (questi siamo a più di 100: impazzisco di gioia) e ai numerosissimi lettori silenziosi.

In ultimo voglio ringraziare le mie Tre Colonne e la mia Trilli che mi hanno aiutato sui vezzeggiativi da usare qui e nei prossimi capitoli (adesso sono quasi un’enciclopedia)

Vi lascio alla lettura ……

 

----ooo00O00ooo----

 

 

«A che ora domani?» chiesi cercando di calmarmi.

«A pranzo, in un ristorantino italiano. Questo è l’indirizzo» Rosalie mi passò un foglietto con nome, indirizzo e orario del pranzo.

Salii in casa e mi diressi direttamente nel letto, crollandoci completamente vestita. In una nuvola di tulle e chiffon. No! Era meglio spogliarsi prima che le stecche del bustino bucassero i polmoni.

Mi rimisi la vecchia maglietta bucherellata che usavo da pigiama, era enorme ed era comoda: aveva prese d’aria in posti strategici, e non dico altro.

Una volta l’avevo anche usata per … ok va bene, evitiamo di pensarci altrimenti mi passava il sonno e avrei deambulato per tutta la casa cercando una consolazione che non c’era.

 

Non passò molto che cedetti a Morfeo e mi accoccolai tra le sue forti braccia. Uhm proprio forti queste braccia! Che muscoli!

Morfeo era stranamente famigliare, capelli di un castano rossiccio, particolari. Strano me li ricordavo più lunghi. E i suoi occhi? Verdi, intensi. Wow Morfeo, ti amo solo per gli occhi che hai. Non riuscivo a capire la linea della mascella, la vedevo sfocata, indistinta ma rosea, e allora perché quando passavo la mano per accarezzare la sua guancia sentivo del pelo?

«Tagliati questa barba Morfeo» sussurrai al dio del sonno tirandogli quello che sentivo sotto le dita.

«Mmmaaaaaaaooooooooooooooo!» urlò Morfeo … Oh mio dio Rose!

Mi sedetti di scatto al suono del miagolio di dolore che aveva fatto il mio gattino.

Ora mi guardava con odio in un angolo della camera leccandosi la zampa e soffiando verso di me.

«Oddio! Rose! Scusami piccolo» cercai di farmi perdonare e mi avvicinai a lui gattonando sullo scendiletto, ma quando lo stavo per raggiungere, si lanciò in una corsa disperata per fiondarsi sotto il divano. L’avevo fatta davvero grossa.

 

Mi girai attorno per cercare di focalizzare la stanza. Ormai ero abbastanza sveglia, chissà che ora era?

Girai su me stessa e gattonai tornandomene a letto, poi mi allungai per prendere in mano la sveglia. Puf, solo le 11 e mezza, non è neanche mezzogiorno!

Mezzogiorno? Ho qualche cosa da fare a mezzogiorno? …

Spalancai gli occhi terrorizzata! Mezzogiorno no ma alla mezza SI!

Dovevo sbrigarmi. Doccia. Denti. Capelli. No! Prima i capelli poi i denti! La faccia con la doccia, facciamo prima. Mi chiedevo perché, quando avevo fretta, mancavo dell’organizzazione nelle cose più basilari!

Ero ancora con lo spazzolino in bocca e l’asciugamano a turbante in testa che il cellulare squillò imperioso.

 

«Bella! DOVE SEI!» urlò Rosalie. Si sentiva anche il ringhio quando urlava così.

«M st prfspslrnd» risposi

«Che c’è? Stai male?» decisi di ripulirmi la bocca prima di rispondere

«Sono lavata e profumata. Devo asciugare i capelli e vestirmi, poi venire da te» risposi chiara

«Non c’è tempo! Hai visto l’ora? Arrivo io da te» e chiuse la telefonata

Effettivamente era quasi mezzogiorno. Presi il phon ed iniziai ad armeggiare sui capelli “forza forza forza” pensavo intensamente, in modo che l’apparecchio si sbrigasse prima.

Poco dopo arrivò il mio capo come una furia. Aveva portato una camicetta  bianca, severa, sciancrata ma senza fronzoli e un … tailleur blu.

«Rosalie, anche io ho dei tailleur» risposi. D’accordo che potevo essere fuori moda, ma in ufficio mica ci andavo nuda!

«I tuoi sono vecchi e a guardarli così sembra anche che puzzino. Metti questi» mi passò le buste con tutto il necessario. Trovai di tutto: intimo, vestiti, scarpe, fermaglio per capelli di corno e strass e anche un paio di occhiali.

«E con questi che ci faccio?» chiesi perplessa uscendo dal bagno.

«Sono di vetro. Te li ho portati in modo che tu possa avere qualche cosa da toccare durante la conversazione con Cullen, senza sembrare una demente» spalancai gli occhi. Le pensava proprio tutte. E poi l’ho sempre detto: mi conosceva come le sue tasche!

 

Sicuramente durante il pranzo avrei gesticolato in modo stupido, invece in quel modo avevo un oggetto che naturalmente poteva diventare la mia pallina antistress.

«Come sto?» chiesi posandomi gli occhiali sul naso.

«Una cozza. Mi ricordi quella zitellaccia della prof. di letteratura classica» rispose ridendo

Mi riguardai allo specchio: avevo tirato indietro i capelli catturandoli con il fermaglio dietro la testa in una mezza coda, poco trucco, lucidalabbra, occhiali … «Oh mamma! Professoressa McQueen!» ed iniziai a ridere anche io.

Perlomeno il vestito era serio ma giovanile, con la gonna sopra il ginocchio e la giacchetta strizzata in vita.

Versai il cibo di Rose nella sua ciotola e annunciai «Usciamo! Sono pronta!»

 

Ancora una volta Rosalie mi accompagnò con la sua ferrari e arrivammo dieci minuti prima dell’appuntamento. Secondo me avevamo usato il teletrasporto.

Rose mi consegnò una valigetta 24 ore in pelle nera e una borsetta blu che faceva coppia con i sandali che avevo in quel momento

«Dentro la valigetta c’è il contratto con l’agenzia. Ovviamente si parla di accompagnamento e niente altro, di spese per vitto, alloggio, spostamenti e spese correnti a suo carico. Spese per servizio sanitario a nostro carico, così come cose necessarie che esulano dall’incarico. Dovresti farglielo firmare prima di terminare il pranzo.

Questa è una carta di credito a tuo nome, per le spese che potresti sostenere. Oggi il pranzo lo offriamo noi,  quindi pagherai con questa carta. » mi snocciolò le informazioni come una guida turistica. Io ero ripiombata nel panico.

 

«Bella, stai bene?» mi chiese dolcemente mentre mi stringeva una mano con calore.

«Non … non so» balbettai arrossendo

«Senti. So che questa è la parte più antipatica, ma ti assicuro che passata questa tutto il resto è in discesa» mi abbracciò con calore. Sentii ancora il suo sussurro … fidati … poi scesi dall’auto e, con le mie borse da donna d’affari, entrai nel ristorante dove aspettava il mio futuro marito.

 

Mi avvicinai al cameriere cercando Edward, ma non vedevo nessuno.

«Desidera?» mi chiese il ragazzo sorridendo

«Ho una prenotazione. Hale, per due» risposi atona

«Da questa parte, prego» e mi accompagnò a un tavolo d’angolo, discreto e raccolto.

Mi posizionai con le spalle rivolte alla porta. Non volevo vederlo se non quando si fosse trovato davanti a me, oppure potevo avere la tentazione di scappare, prima ancora di spiccicare una parola

«La signorina Hale mi sta aspettando» una voce alle mie spalle chiedeva di ... Me. Era come la sera prima: bassa, calda e piacevole ma aveva anche un tono serio, non era rilassata. Iniziai ad agitarmi nuovamente e presi gli occhiali dalla borsetta posandoli di fronte a me. Attesi.

 

«Prego da questa parte» i passi arrivarono veloci. Il mio cuore accelerava con loro. Tum tum tum. Diedi un’occhiata, era decisamente bello, come la sera prima, capelli tirati indietro e niente occhiali. Elegante con il completo grigio e la ventiquattro ore. Un uomo d’affari. Come sempre pensai “peccato la barba”.

«Scusi il ritar… Isabella?» mi guardò sorpreso «Cosa ci fai qui?» chiese

«Ti stavo aspettando Edward, prego siediti» gli dissi cortese guardandolo negli occhi. Gli indicai la sedia davanti a me ed aspettai la sua mossa. Adesso che avevo rotto il ghiaccio ero stranamente calma. Probabilmente la calma che precede la tempesta.

«E’ uno scherzo questo vero?» chiese mentre la sua voce cercava di trattenere una nota rabbiosa «Non mi piace essere preso in giro, non in questo caso»

 

Sospirai, non sarebbe stato facile, avevamo giocato con lui e adesso dovevo riguadagnarmi la sua fiducia. «Non è uno scherzo, tu hai fatto una richiesta ed io sono la tua risposta» dichiarai cominciando a giocare con le stanghette degli occhiali.

«Ecco i menù. Posso cominciare a portarvi da bere?» chiese il cameriere che si era avvicinato

«Più tardi per cortesia» rispose Edward continuando a guardarmi con rabbia. Il cameriere posò le due liste e si allontanò discretamente.

«Allora spiegami perché la farsa di ieri sera. E magari il perché mi avete spiato a pranzo» mi sorprese. Era stato attento.

«L’agenzia mi ha mandato a pranzo in quel ristorante semplicemente per vederti e ieri sera era una prima conoscenza senza alcun vincolo, una cosa semplice»

«Per me era semplice, per te era uno studio della vittima. Ripeto. Non mi piace essere preso in giro. Soprattutto da una squillo» lo disse come un insulto. Assolutamente gratuito e cattivo. Era ancora arrabbiato, eppure la sua postura era meno rigida. Forse era curioso. Sperai, poi mi sarei arrabbiata per gli insulti.

 

«Non sono una squillo. Sono stata contattata dall’agenzia perché conosco una ragazza che lavora lì ed ha fatto il mio nome. Ma io non sono una squillo» dissi piccata continuando «In ogni caso si può parlare tranquillamente senza offendere, o per lo meno così fanno le persone mature, adulte ed educate» colpito ed affondato, brutto maleducato spocchioso. Chi ti credi di essere? Insomma, non sono una squillo.

«Ok scusa. Voglio solo sapere il perché di tutta questa commedia» chiese serio, sembrava più tranquillo adesso.

Sospirai per prendere coraggio «Ero senza lavoro, ero stata licenziata e ti lascio immaginare il resto. La mia amica mi ha parlato di questo incarico ben retribuito e senza … Ehm … Implicazioni … Sentimentali e … come dire?»

«Fisiche? » intervenne ed io annuii continuando la mia spiegazione. Mi accorsi di avere gli occhi lucidi e una piccola lacrima, dovuta all’agitazione e alla paura della sua reazione, che mi aveva attanagliato lo stomaco sino a quel momento, sfuggì dal mio controllo.

Immediatamente l’asciugai, sperando assurdamente che non se ne accorgesse. Impossibile visto che mi fissava.

 

«L’agenzia mi ha dato la possibilità di vederti e di parlarti… diciamo per tranquillizzarmi. Ti ripeto, non sono una loro ragazza e non ritenevo di potermi assumente questo incarico. Loro mi hanno proposto di parlarti insieme e … Se tu … non …» non riuscivo più a parlare, mi si era seccata la bocca e continuavo a giocare con gli occhiali senza guardarlo.

Sentii una mano sulle mie a fermare il tremito. Era grande, affusolata, calda e … non sudata. Fiufffff. Punto a suo favore.

«Ed ho superato l’esame?» chiese, questa volta sorrideva

«Sono qui! No?» risposi semplicemente sorridendo a mia volta «Adesso tocca a te» dissi, pensando che era meglio distrarre l’attenzione dalla sottoscritta.

 

Fu la sua volta di sospirare per prendere coraggio «Non so neanche io da dove mi sia venuta questa idea. Un giorno ho preso il telefono ed ho telefonato in agenzia»

«Come facevi ad avere il numero?» chiesi, per lo meno volevo sapere se era un cliente abituale.

«Un mio cliente. In una causa era uscito questo numero di telefono. Solo che la moglie era meglio non lo trovasse, così … » fece spallucce con sufficienza e sorrise malizioso. Allora non era cliente ma aveva coperto un marito fedifrago.

 

«Quindi hai deciso di chiamare. Ok. Ma perché una moglie?» inutile che cercavi di scappare. Ero troppo curiosa.

«Uff. va bene. Ho una famiglia impossibile e per una volta vorrei che mi lasciassero in pace.»

«Non centra niente il sogno?» chiesi sorniona

«Ma chi sei? Il tenente Colombo? Ok ok. Anche il sogno»

«Se vuoi ingelosirla perché non ti sei procurato solo una fidanzata?» ormai ero lanciata, non ne sarebbero rimaste che ossa a biancheggiare al sole. Avrei saputo tutto. Forse.

«E’ un pochino più complicato. Senti ti spiace se parliamo d’altro?» riccio. Si era chiuso a riccio e non avrei potuto sapere di più. Oggi. L’indagine era rimandata a data da destinarsi ma non avrei ceduto. Dovevo sapere: era per lavoro. Il fatto che non credessi neanche io alla mia stessa scusa era assolutamente irrilevante.

 

Il cameriere tornò ed ordinammo.

Ora era più semplice parlare tra di noi.

«Allora, raccontami qualche cosa di Edward Cullen» chiesi mentre mi gustavo la pasta che mi avevano appena portato

«Ho trent’anni appena compiuti, sono avvocato, piuttosto in gamba dicono. Vivo a Seattle, sono single e adesso sto per sposarmi con te» e sorrise strizzandomi l’occhio

«e tu Isabella Swan? Quali sono i tuoi più turpi segreti?»

«Ho quasi ventisette anni, ho lavorato sino a due mesi fa in uno studio notarile … »

«Ecco dove ti avevo già vista! Mi sembravi un volto conosciuto!» esclamò battendo le sue dita sul tavolo, soddisfatto per il lampo di memoria.

«Io non mi ricordo di te» risposti quasi a scusarmi

«Probabilmente non mi trovi abbastanza affascinante» e si passò una mano tra i capelli come fosse un divo del cinema. Risi

«Oh se è per questo, il fascino è l’ultimo dei tuoi problemi. Ne sei fornito in abbondanza» appena mi resi conto di quello che avevo detto la mia mano si fiondò sulla bocca a velocità della luce. Per quanto mi riguarda avrebbe dovuto farlo con un po’ più di forza: un auto ceffone me lo sarei proprio meritato. Stupida! Non si dicono certe cose. Fu il suo turno di ridere.

 

«E così mi trovi affascinante? Allora come hai fatto a non notarmi prima? Ti assicuro che sono sempre stato così, magari senza barba» e mi guardò divertito. Adesso ero abbastanza imbarazzata. Trovai una via d’uscita.

«A proposito di barba! Come mai  lunga? E anche i capelli. Secondo me dovresti tagliarli più corti»

«Pesciolina, non siamo ancora sposati e già cerchi di cambiare il mio aspetto? Aspetta almeno la luna di miele» si stava divertendo e si vedeva.

«Amore, ti ho già detto che ti trovo affascinante, non voglio cambiarti, era solo una domanda» e sbattei le ciglia. Flap flap. Sarebbe stato un magnifico effetto se non mi fosse entrato un bruscolino in un occhio.

«Ahi!» cominciai a fare le facce più impensabili per liberarmi del fastidio. Evidentemente ero proprio buffa perché Edward non faceva altro che ridere.

«Aiutami!» ordinai, cominciavo a piangere.

Si alzò, si inginocchiò di fronte a me, cercando di trattenere il sorriso. Mi prese il viso e soffiò delicatamente sull’occhio, poi mi prese la ciglia superiore e me la pose sopra quella inferiore, in modo da far lacrimare il bulbo oculare.

«E questa dove l’hai imparata avvocato?» chiesi mentre mi tamponavo le lacrime. L’occhio bruciava un po’ ma ora era libero da cose indesiderate

«Discovery Channel» fece spallucce tornando a sedersi

 

Finimmo di mangiare, compreso un formidabile ed ipercalorico tiramisu

«Ma tu mangi sempre così? Come fai ad essere così magra?» mi chiese indicando il mio piatto carico

«Non sono magra. Sono normale» mi giustificai pulendo attentamente il cucchiaino: mai sprecare la cioccolata. Nell’elenco personale dei miei peccati era il primo della lista: portava direttamente alla scomunica e poi all’inferno.

Ordinammo il caffè. Bisognava cominciare a parlare di affari.

 

«L’agenzia mi ha dato un contratto da firmare» dissi sommessamente, quasi a scusarmi di disturbare quell’atmosfera rilassata che avevamo cominciato a provare

«Anche io ti devo far firmare qualcosa. Ok cominciamo» e tirammo fuori i rispettivi documenti. Io gli passai i miei e lui dopo averli letti con occhio esperto me li restituì firmati e siglati.

«Ora tocca a te» e mi sporse i suoi fogli

«Cosa sono? Sai io non sono un avvocato» mi giustificai sorridendo

 

«Sono i documenti del nostro matrimonio piccola» mi rispose, sorvolai sulla piccola.

«Ma doveva essere una commedia … Cioè io non avevo capito … legalmente?» stavo balbettando in maniera sconnessa, il mio cuore batteva furioso come a dirmi “che cavolo stai facendo?” e la mia mano stava sudando sulla penna. Anche io sudaticcia? Bleah. Che schifo!

«Mio cugino, che incontrerai in Florida, fa il detective e la prima cosa che farà quando ti presenterò come mia moglie, sarà prendere informazioni sul tuo conto e sul nostro matrimonio. Devo fare le cose per bene» replicò cercando di spiegarmi

«Aspetta un momento! Tuo cugino farebbe dei controlli? Ma in che famiglia sei cresciuto?» ero sufficientemente sconvolta. Se avessi detto a mio padre che mi ero sposata, lui avrebbe semplicemente chiesto se ero felice, chi era il marito e se stavamo bene insieme. Da questo ad andare negli uffici a controllare dei documenti ce ne correva, e parecchio anche.

«Credo che si chiami deformazione professionale» rispose placido

«Io la chiamerei bisogno di uno psicologo, ma uno bravo» risposi acida. Continuai

«Quindi spiegami. Io firmo queste carte e siamo legalmente marito e moglie? Senza contratto prematrimoniale?» un sorriso malizioso spuntò dalle mie labbra

«Adesso non esageriamo. Ho stilato anche quello. E non ti passerò gli alimenti angelo, quando torneremo annulleremo il tutto. Io racconterò che tu mi hai lasciato perché non sopportavi più l’invadenza della mia famiglia. Così avrò anche la scusa per farli sentire in colpa» e ghignò

«Quindi possiamo litigare, ti posso prendere a calci e minacciarti di chiederti il divorzio ogni minuto della giornata? Ma ti ho sposato solo per i soldi? Allora sono un’arpia» allargai le braccia, ed io che pensavo di essere così dolce.

«Ma io ti amo lo stesso e cercherò di far funzionare questo matrimonio in tutti i modi, per almeno due mesi» e mi indicò dove firmare.

 

«Esattamente dove ci siamo sposati?»  chiesi mentre firmavo

«A Las Vegas. È l’unico posto dove potrei sposarmi senza invitare la famiglia. Una notte pazza. Puoi anche dire che eravamo ubriachi e non ci ricordavamo» rispose mentre spostava le carte per farmi firmare altri fogli. Me lo stavo già guadagnando quel matrimonio, ma quante firme ci volevano?

«Non mi sembra molto bello da raccontare ai tuoi. Forse sarebbe meglio far finta che sia stato più romantico» la mia vena melodica si faceva sentire. Arrossii

«Fai tu, io sarò ubriaco. Altrimenti non mi crederebbero» insistette.

Perché non gli crederebbero? Il sogno? La sua famiglia sapeva del sogno?

«Perché?» non potevo resistere.

«Fidati. Non mi crederebbero. Bene abbiamo finito. Adesso vieni con me, c’è una ultima cosa che dobbiamo fare prima di concludere questo accordo» e iniziò a tirare fuori la carta di credito per pagare il pranzo. Che gentiluomo!

 

«Aspetta! Ho avuto l’ordine di pagare io!» e a mia volta posai la carta di credito sul tavolo

«Non dire sciocchezze» sbuffò cercando di restituirmela

«Non sono sciocchezze. Sono ordini quindi ti prego non farmi fare una figuraccia in agenzia» implorai con occhioni stile cucciolo. Avrei dovuto imparare dal mio Rose, lui si che era imbattibile.

«Ok se è un ordine» ritirò la carta di credito. Se da una parte ero soddisfatta, dall’altra mi aveva stupito la facilità della sua resa. Sospirai: un altro scozzese sulla mia strada. Al peggio non c’è mai fine.

 

«Andiamo?» mi posò una mano sulla schiena per condurmi fuori dal ristorante, non appena ritornò il cameriere con il conto e la mia carta.

«Dove esattamente?» chiesi curiosa mentre salivo sulla sua macchina. Mi aspettavo qualche cosa di sportivo ed appariscente, chiaro sentore dello status che doveva mantenere, ed invece mi trovai di fronte a una volvo grigia metallizzata. Bella si, ma funzionale, elegante ma non appariscente. In una parola discreta, per uno come lui (per me sarebbe stato il sogno per il quale uccidere, ma io ero della plebe)

«Dal gioielliere» mi rispose semplicemente, ma ero sicura che con la coda dell’occhio controllava le mie reazioni, perché sorrise non appena spalancai la bocca emettendo un suono strozzato non meglio identificato.

Poco dopo arrivammo davanti a una delle gioiellerie più in voga ed eleganti di Seattle. Non era Cartier, era qualche cosa di meglio: un negozio artigianale a conduzione famigliare che vendeva prodotti esclusivi in tutto il mondo. Alcuni suoi pezzi erano anche finiti in alcune esposizioni famose.

Credo che quando qualcuno entrava lì, gli srotolavano anche il tappeto davanti per farlo camminare meglio, sino al bancone.

 

Entrammo «Vorremmo delle fedi» dichiarò Edward al commesso.

Compito, questo ci mostrò una decina di coppie di varia fattura.

«Quale preferisci cucciola» mi soffiò nell’orecchio stringendomi a se. Certo che come attore era davvero bravo, quasi quasi ci credevo anche io che fosse innamorato di me. Ho detto quasi. E poi Cucciola? Aspetta che ti faccio vedere io

«Mi piacciono queste, e a te zuccherino?» e lo guardai con lo sguardo più amorevole  che mi venne. Mi guardò, un lampo stupito passò nei suoi occhi, poi sorrise e mi rispose indicando le fedi che gradiva di più.

Erano anche le mie preferite, semplici, con alcuni taglietti diagonali che rendevano l’anello più brillante, ma non troppo frivolo, in oro giallo. Semplici e perfette.

«Cosa devo incidere?»

«Edward nel suo e Isabella nel mio, e la data del 25 giugno» rispose al commesso baciandomi la mano con trasporto. Si! Era decisamente bravo. Il commesso ci provò la misura dell’anulare sinistro «Saranno pronte per domani mattina» annunciò

«Perfetto, andiamo tesoro?» domanda retorica visto che salutò e mi accompagnò gentilmente alla sua macchina

«Perché il 25 giugno?» chiesi. Forse era la data del mio matrimonio

Rise «Hai firmato i documenti senza leggerli? Ci siamo sposati il 25 giugno. Adesso vado a depositarli» Ok era effettivamente la data del mio matrimonio. Buono a sapersi.  

 

«Allora mogliettina dove ti porto?» mi guardò sorridente, quasi divertito nell’usare quella parola.

«A casa… la mia ovviamente, devo andare a prendermi cura di qualcuno» risposi soprapensiero, e gli diedi l’indirizzo

«Ci siamo appena sposati e già mi tradisci?» chiese mettendo in moto ed inserendosi nel traffico del primo pomeriggio

«Certo, cosa credi! Il mio amante pesa circa tre kili, ha quattro zampe, una coda, miagola e non è della nostra razza, ma io sono cosmopolita» risposi voltandomi verso di lui. Rideva.

«Un gatto? Come si chiama?» chiese

«E’ un soriano e si chiama Rose» risposi. Nella mia voce traspariva tutto il mio affetto per quella palla di pelo

«Ne parli come un maschio. Perché Rose?» era perplesso

«E’ il nome della mia migliore amica. L’ho trovato gettato in un cassonetto e all’inizio ho pensato fosse femmina» risposi

«Credo che gli farai venire dei dubbi» commentò

«Anche tu? Insomma! E poi comunque l’ho fatto castrare.» mi guardò quasi terrorizzato

«E’ una tua abitudine o queste pratiche le rivolgi solo ai gatti? A titolo esclusivamente informativo s’intende» chiese

Risi «Comportati bene e sarai salvo» sentii un sommesso sospiro di sollievo e risi più forte

Quando arrivammo davanti a casa mia, si sporse verso di me e mi prese le mani stringendole tra le sue.

 

«Spero che andrà tutto bene in questa avventura. E spero che diventeremo amici e che lo resteremo anche dopo che sarà tutto finito. Ti chiedo solo di avere pazienza con i miei e aiutarmi in questi due mesi. Conto molto su di te» non sapevo cosa pensare. Sembrava così tenero e indifeso. Sciolsi una mano e gli carezzai la guancia

«Mi sento tua amica e sono dalla tua parte» volevo consolarlo e fargli sentire che gli ero vicina,  volevo essergli di aiuto. La mia missione da crocerossina usciva prepotente dal cuore. Adesso ne ero sicura: ero la reincarnazione della Nightingale!

«Allora adesso posso chiamarti Bella!» disse trionfante. Risi annuendo.

«Partiremo dopo domani con il volo delle 10. devo venire a prenderti?» chiese premuroso

«No ci vedremo direttamente all’aeroporto» risposi

«Allora a dopo domani Bella» e dopo avermi aperto la portiera mi aiutò a scendere, mi diede un bacio sulla guancia e se ne andò.

 

Quel pomeriggio parlai con Rosalie, le raccontai tutto e mi diede appuntamento per l’indomani mattina per preparare i miei bauli (io avrei preferito delle valigie ma lei fu irremovibile. Con un paio di bauli si risparmiava tempo e spazio?!?)

Quella notte la passai nuovamente tra le braccia di Morfeo. Tradivo mio marito, per lo meno nei sogni, già la prima notte di nozze.

 

 

----ooo00O00ooo----

 

 

Angolino mio:

Devo prendere l’abitudine di scrivere i commenti man mano che rileggo il capitolo, altrimenti mi scappano. Allora mi sono venute in mente queste puntualizzazioni:

So perfettamente che qui in Italia occorre fare le pubblicazioni e ci sono tempi tecnici per i matrimoni. a Las Vegas, i film fanno sempre vedere che i matrimoni sono lampo e senza fronzoli burocratici. Io mi sono basata su questo e sul fatto che Edward è un avvocato, socio di un grande studio. Se non sanno loro come si fanno le cose… Quindi prendete questa pratica per buona. Questo è un finto matrimonio ma perfettamente legale. (contorta eh?)

Il contratto dell’agenzia è ovviamente un pro forma. Per stabilire le competenze visto che la durata dell’incarico è molto lunga.

Dubito che una agenzia di escort sia solita fare dei contratti, ma in questo caso è come se si affittasse una attrice, e agli attori i contratti si fanno. Prendetela come licenza poetica se la cosa non vi convince.

Spero che questo capitolo con il matrimonio vi sia piaciuto.

Con il prossimo episodio ci sarà la partenza e un inizio di scoppiettante ……… leggete e saprete

 

E adesso ……. Ferie: 15 giorni di lavori in casa e poi 15 giorni di mare in Toscana !!!!!!!!!!

Ci sentiamo tutte il 12 o il 13 settembre. Giornata topica per scuola, lavoro e postaggio.

 

________________________________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** primo bacio ***


 

 

Eccomi! Sono tornata!

Ecco cosa capita a scrivere i capitoli a pezzi invece che in ordine: volevo fare una cosa e invece mi è venuto tutto diverso. Questo capitolo risulta diviso in due parti. Avrei potuto postare due capitoli distinti, in quanto si prestavano, ma ho fretta di arrivare a Miami, come voi, quindi ho preferito aggiungere anche una seconda parte in modo di dedicare il prossimo capitolo alla destinazione.

Ringrazio con immensa commozione e una lacrimuccia, le recensioni (27, mio record assoluto) e chi ha messo la storia nei preferiti, ricordati e seguiti (dei quali sono arrivata a 154, il massimo per me, sogno mostruosamente proibito, oltre a ben 47 preferiti e 16 ricordati) e tutti i lettori silenziosi (complessivamente più di 700 accessi l’ultimo capitolo postato). Non so se merito tanta attenzione ma vi ringrazio di tutto cuore e spero di non deludervi nel proseguo della storia.

Adesso vi lascio a questo capitolo fiume, dalla gestazione lunga e complicata, Buona Lettura

 

----ooo00O00ooo----

 

 

La mattina dopo mi svegliai senza alcun incidente. Ancora con gli occhi chiusi tastai l’altro lato del letto, tanto per verificare se Morfeo se ne era andato. Avevo sognato cose inenarrabili quella notte. Un marito nuovo e undici mesi di astinenza mi stavano facendo saltare gli ormoni e questo era altamente pericoloso.

Dovevo trovare una soluzione. Scartando la prima ipotesi di violentare il mio novello sposo, visto le implicazioni che potevano nascere da questa faccenda, sospirai e indirizzai la mia mente alla seconda ipotesi: auto soddisfazione. Il tradimento non era contemplato nei miei pensieri, anche se palpare un petto o un paio di natiche sode sarebbe stato sicuramente meglio.

Avevo appena iniziato a toccarmi il seno con una mano, mentre con l’altra scendevo verso le mie mutandine, quando il cellulare squillò sadico.

«Merda!» protestai, mentre mi allungavo per prendere l’infernale aggeggio e rispondere.

«Bella, ci sei? Oh bene sei sveglia. Devi venire qui subito. Oggi abbiamo un sacco di cose da fare e preparare per la tua partenza. Sbrigati. Ciao, cara». Rosalie? Credo di si! Mi chiesi se avrebbe avuto nulla da ridire se le avessi chiesto una prestazione sessuale, tanto per togliermi l’insoddisfazione che stava montando tra le mie gambe. Ripetei «Merda!». L’avevo sempre trovata una esclamazione così pittorica, profumata e con un certo spessore culturale, in fin dei conti, se l’aveva usata un generale di Napoleone, chi ero io per schifarla? E poi quando ci vuole ci vuole!

Mi alzai e mi preparai per l’incontro con Rose.

Preparai la portantina per il mio piccolo a quattro zampe ed iniziai a rincorrerlo per tutta la casa, che tra parentesi, non era neanche grande. Riuscii ad acciuffarlo dopo due tazze, una cornice, un quadro, due tende e un pezzo del divano fatti a pezzi. Un tornado avrebbe fatto molti meno danni.

«Rose, micetto, sei stato proprio cattivone con la tua mamma, che ti vuole tanto bene» a giudicare dai miagolii furiosi, dai soffi e dalle unghie che mostrava non credo che in quel momento l’affetto fosse reciproco.

Una maglietta larga e dei jeans furono sufficienti per consentirmi di uscire con la portantina e il borsone con gli oggetti del mio caro amico a quattro zampe. Cominciavo subito con il trasloco dell’elemento più importante. Poi avrei provveduto a tutto il resto.

Questa volta il portiere di Rosalie, mi guardò con aria schifata. O aveva trovato una donna, o ero proprio messa male quella mattina.

Optai per l’indifferenza, che mi guardasse o meno non erano problemi o affari miei.

«Bella, finalmente! COSA E’ QUELLO!» l’acuto della mia amica fece tremare i vetri dell’appartamento e credo anche quelli del piano di sotto.

«Ti ho detto che ti portavo Rose» risposi pacata «Dove lo metto?»

«Di sicuro non qui! CLAIREEEEEEEEEE!» ma che fine aveva fatto la sua educazione? Neanche uno strillone dei giornali urlava in quel modo. Rischiavo il mal di testa di primo mattino (le 10 e trenta per la cronaca, cioè l’alba per me da quando non lavoravo)

La stangona anoressica arrivò di corsa, in bilico sui trampoli stellari. Ok adesso la mia già precaria autostima poteva andare a farsi friggere.

«Prendi il gatto e toglilo di torno, deve stare ad almeno 2 stanze lontano da me. Trattalo bene! È della nostra cara Bella, che non ha la minima considerazione per la mia allergia!» ma cosa aveva mangiato quella mattina a colazione? Latte scaduto? Troppo poco, qui centrava anche lo yogurt avariato e l’olio di ricino.

«Adesso che abbiamo risolto il caso di Tope…» disse

«Rose! Il gatto si chiama Rose, proprio come te! Non è difficile» interruppi leggermente esasperata, adesso però basta!

«Va bene, ROSE. OK?» concesse. Ricominciò con un tono più dolce.

«Scusami ma questa mattina e ieri sera è successo di tutto ed ho dovuto stare alzata buona parte della notte per risolvere alcuni problemi. Adesso sono un pochino stanca» in effetti i suoi occhi erano un po’ marcati e la pelle appariva visibilmente tirata ma faceva comunque la sua splendida figura, proprio come me a giudicare dal portiere (e questo era sarcasmo).

«Va bene. Adesso dimmi perché mi hai chiamato con tutta questa urgenza» ritornai al problema principale.

«La ragione è una sola: Abiti» rispose telegrafica Rosalie.

 

Perché ci fosse tutta quella fretta e quell’ansia racchiuse in una sola parola, non lo seppi mai. Rosalie possedeva un guardaroba grande quanto l’archivio notarile di stato, perché agitarsi?

«Prima di tutto! Destinazione Miami, quindi Florida. Uhm… caldo, sole, luglio e agosto».

«Quando finirai di elencare le cose più ovvie, chiamami» risposi sbadigliando ed accomodandomi sulla poltrona che mi aveva fatto cenno di avvicinarmi con il bracciolo.

Avevo le allucinazioni da sonno, dovevo vergognarmi?

«Stavo solo ragionando a voce alta. Dunque, dobbiamo portare vestiti per otto settimane. Quindi ci saranno otto venerdì, sabati e domeniche e anche giovedì non si sa mai» elencò Rosalie assorta

«Anche otto lunedì, martedì e mercoledì se è per quello» risposi ridendo.

«Io pensavo a quanti abiti per la sera dovevi portare, però hai ragione. Non è il caso di fossilizzarsi sono sui fine settimana».

«Sei pazza? Vuoi rifilarmi sessanta abiti da sera?» adesso mi sentivo come una rana: con gli occhi fuori dalle orbite.

«Veramente pensavo più a trentacinque, però se pensi che non siano sufficienti…» mi guardò come se aspettasse davvero una risposta affermativa.

«Rosalie. Sai chi sono? Ti ricordi come mi chiamo? Hai battuto la testa tra ieri e oggi?» ero preoccupata. Se non mettevo un freno a questa aliena, mi sarei ritrovata la sua stanza stipata nelle mie valigie, pardon, bauli.

«Dai Bella. Stavo scherzando. Certo avrai bisogno di alcuni abiti per tutte le occasioni, ma non credo che ti picchierà qualcuno se, per una determinata occasione, tu andassi a comperare quanto necessario. Ti ho consegnato le carte apposta, in ogni caso non ti riempirei mai solo di vestiti da sera…» e guardando la mia faccia con la mascella cascante, iniziò a ridere, tanto da arrivare alle lacrime.

Me l’aveva fatta un’altra volta.

«Direi che una decina di abiti da sera sia più che sufficiente, poi ci vorranno degli abiti da cocktail e alcune cose meno eleganti, costumi, prendisole, vestaglie di seta, negligé, biancheria intima un pochino più ricercata della tua di cotone…» però stava lo stesso elencando un guardaroba. La interruppi piccata.

«Cos’hai contro la mia biancheria?».

«Assolutamente nulla, se la mettesse mia nonna. Per mia madre avrei già qualche cosa da ridire, per te… te la vieto assolutamente.» rispose puntandomi il dito contro.

«Non devo fare pubblicità alla tua impresa, Rosalie».

«Ma devi fare pubblicità a te stessa. Potresti trovare un nuovo amico interessante a Miami, che ne sai?» mi disse ammiccando.

«Ti rammento che sono legalmente sposata. E sei stata tu a mettermi in questa situazione» la accusai

«Certo. Ma sei sposata con una data di scadenza. Nulla vieta di guardarsi intorno. Basta che ti lanci dopo aver avuto l’annullamento. A meno che… non ti interessi il nuovo marito». Sempre più stronza la ragazza. Se questi erano gli amici, chi aveva bisogno dei nemici?

«Non ho alcuna intenzione di farmi trascinare in qualche cosa con Edward. Lui è un cliente e io devo recitare una parte. Sentimenti o cose personali non hanno nulla a che fare con tutto questo» adesso ero seria. Mi piaceva Edward, era un ragazzo affascinante, ma se avessi mischiato il lavoro con il piacere, sicuramente avrei perso un pezzo del mio cuore.

Potevo essere una ragazza allegra, che voleva divertirsi, ma non ero stupida.

«Non ti volevo mettere pressione addosso. Scusami. Torniamo ai vestiti?» propose conciliante il  mio capo.

Sorrisi ed annuii. Potevo anche essere asociale, non vestirmi in maniera decente, ma anche io amavo i vestiti, ninnoli, scarpe e ammennicoli vari, come ogni donna che si rispetti (e chi dice di no, mente spudoratamente), poi, che addosso a me, facessero tutto un altro effetto, che i tacchi mi piacessero meno che non in vetrina nei negozi, che trovassi la parola comodo esattamente l’inverso della parola moda… beh, quello era un altro paio di maniche (tanto per rimanere in tema sartoriale).

 

«Claire! Il numero di telefono di Cullen!» Quella casa era enorme a giudicare dalla potenza che Rosalie usava per chiamare la sua segretaria.

«Eccolo Miss» deferente, la “modella anoressica” portò la cartellina personale di Edward, con il numero di cellulare scritto sotto l’intestazione.

Rosalie digitò il numero sul suo cordless ed attese la risposta, tappandosi il naso.

«Pronto? Signor Cullen? La Blue Hale! … come?... No, no, tutto ok. Ho telefonato solo per sapere l’indirizzo della vostra residenza a Miami, per inviare gli effetti della signorina Isabella… esatto… Può ripetere?... perfetto. La ringrazio e mi scusi per il disturbo… sì, confermato per domani. Buona giornata a lei» e, chiudendo la telefonata, tolse le dita dal naso.

Ero paonazza nel trattenere le risate, che scoppiarono fragorose, non appena mi guardò in faccia.

«Eri davvero bellissima. Che voce sexy» dissi ridendo

«Me lo hanno detto in molti» rispose ridendo anche lei. Mi aveva detto che cercava di non comparire, ma arrivare a contraffare la voce al telefono… era quasi paranoico e molto comico.

Una volta decisi i vestiti, questi volarono letteralmente nei bauli, disposti in bell’ordine, piegati con amorevole cura dalle sapienti mani di Rosalie. Sembrava che non avesse fatto altro nella sua vita, se non preparare valigie, usando la tecnica tetris in 3D: era tutto incastrato in maniera perfetta.

La parte relativa all’abbigliamento notturno e l’intimo, mi fece arrossire in maniera quasi infantile.

C’erano di quei completi da dichiarare illegali, talmente trasparenti da essere inesistenti, qualsiasi uomo, o presunto tale, non avrebbe resistito a tanto spettacolo

«Ma non dovevo evitare la seduzione di qualche esemplare maschile?» domandai prendendo in mano un perizoma color pesca.

«Non credo che questi siano più sfrontati della tua maglietta. Perché usi ancora la groviera, vero?» effettivamente la mia maglietta con i buchi era molto di più di un vedo non vedo, era piuttosto: vedo molto e immagino poco. Annuii.

«Evita di portartela dietro» mi ordinò Rosalie, senza dilungarsi in altri commenti. Insomma, era vecchia, rotta, ma mica puzzava. Annuii nuovamente, incrociando le dita dietro la schiena.

«E non incrociare le dita» ma aveva delle telecamere nascoste? Sospirai sconfitta ed annuii nuovamente, niente groviera. Sigh! Chissà se sarei riuscita a dormire lo stesso con addosso solo quelle sottovesti di seta?

Finalmente i bauli furono riempiti. Due immensi bauli, pieni di tutto quanto necessario per passare due mesi tra spiagge, feste e relax, facevano bella mostra di se al centro della stanza-guardaroba.

«Adesso operazione trucchi, creme e acconciature, bigiotteria e scarpe» annunciò Rosalie, aprendo il terzo baule, un pochino più piccolo dei precedenti di circa cinque centimetri di altezza, profondità e larghezza uguali. Dov’era più piccolo? Personalmente era enorme, esattamente come gli altri due.

Ormai non mi chiedeva più nulla, si limitava a fare domande retoriche alle quali rispondeva da sola andando avanti e indietro per la stanza.

Mi ricordava una figura dei cartoni animati quando corre, si distingue il corpo, le braccia ma non si vedono più le gambe. Spostava talmente tanta aria passando, che il condizionatore era diventato superfluo.

«E con questo abbiamo finito!» annunciò trionfante. Aveva scalato l’Everest, vinto la medaglia d’oro ai mondiali di atletica e preso l’Oscar come miglior attrice, tutto in una volta sola. Non credevo che i miei bagagli le avrebbero fatto questo effetto.

Tra un baule e l’altro ci eravamo concesse un tramezzino, ma adesso, con una giornata faticosa alle spalle, come questa, avevamo bisogno di rifocillarci in modo adeguato.

«Cena fuori?» propose Rosalie.

«A spese tue? Sono a disposizione!» risposi.

Usufruii nuovamente del guardaroba di Rosalie e, tirate a lustro, uscimmo per una cena tra amiche, con l’intento di divertirci senza pensieri. Proprio quello di cui avevo bisogno.

Andammo in un ristorantino fuori mano, intimo e discreto e mangiammo divinamente.

A metà serata, mi sembrò di riconoscere Edward, ma mi diedi della pazza. Era un bel giovane, ma mancavano barba e capelli lunghi, non poteva essere lui.

Rosalie mi riportò a casa presto: «Domani mattina alle 10 hai l’aereo per Miami. Mi raccomando, un’ora prima in aeroporto. Ti telefonerò per controllarti. Per i vestiti ho lasciato volontariamente fuori i jeans e le magliette. Prendine qualcuna. Tre al massimo e altrettanti jeans! Non di più, se no ti metteresti solo quelli»

«Posso prendere le scarpe da ginnastica?» chiesi ridendo.

«Solo un paio. E adesso vai a dormire e fatti bella, altrimenti tuo marito chiederà subito il divorzio» e mi spinse fuori l’abitacolo.

«Abbi cura del mio Rose!» urlai mentre la macchina sgommava via. Una mano mi fece un gesto non meglio comprensibile e sperai, per il mio piccolo batuffolo, che fosse una rassicurazione.

 

Quella notte mi addormentai subito e profondamente. A parte un paio di vestiti che cercarono di mangiarmi, non feci altri incontri, e alla mattina mi svegliai veramente fresca e riposata e alle 8 e venti ero già pronta e vestita, ovviamente con la mia t-shirt bianca senza scritte strane (linda, pulita, anonima, in una parola, perfetta) e i miei jeans leggermente sbrindellati sul fondo, aderenti sino al ginocchio, splendido esempio di stile anni settanta, se non fosse per la vita leggermente bassa.

Spazzolai i miei capelli, con cura, lasciandoli sciolti sulle spalle, in morbide onde.

Preparai il borsone con i miei effetti personali, un paio di cambi, scarpe e abbigliamento concesso da Rosalie, incluso, ovviamente, groviera. Magari riuscivo a metterla lo stesso.

Alle otto e mezza in punto, il mio cellulare cominciò a suonare come un ossesso. Sicuramente era Rosalie con la sveglia che mi aveva promesso.

«Pronto?... Si capo! Sono pronta e stavo per uscire» dissi con il cellulare in bilico, sostenendo borsa, borsone e chiavi di casa. Sentii un clacson suonare, con un antipatico effetto stereo al mio orecchio. Che palle! Era venuta a prendermi!

Neanche mia madre si era mai comportata così con me. Anzi, non si era comportata affatto.

«Buongiorno giovane! Il sole splende, la vita ti sorride e tuo marito ti aspetta all’aeroporto per partire alla volta della vostra luna di miele» Ma quanta energia aveva? Io tutta quella gioia non la stavo provando affatto. Poi, luna di miele? Con la famiglia? Avrei divorziato solo per una proposta del genere, figuriamoci accettarla. Solo per quello, non ero credibile come novella sposina.

«Ciao» bofonchiai  accomodandomi sul sedile confortevole della ferrari. Ormai conoscevo più questa macchina che la mia. (e su questo caliamo un pietosissimo velo, non nominerò neanche la marca, basti sapere che era entrata di diritto nella categoria delle auto storiche, cioè quelle che hanno più di trenta anni dall’immatricolazione ed era culo e camicia con la ruggine).

Rosalie mi guardò nuovamente ma evitò di esprimere ulteriori commenti. Intelligente la ragazza! Avviò l’auto e in men che non si dica, arrivammo all’aeroporto, esattamente un’ora e dieci minuti prima della partenza ufficiale.

«Posso lasciarti qui? O devo accompagnarti dentro come una bambina?» chiese Rosalie sorridendomi.

«No, mammina, tranquilla. Adesso entro e parto felice e contenta con il mio nuovo maritino» risposi leggermente sarcastica. O era paura quella che sentivo adesso?

«Non devi preoccuparti. Andrà tutto bene, lo sento. Questo viaggio ti cambierà la vita in meglio e sono felice di essere stata io a procurartelo» mi rincuorò rassicurante.

«Ne sei assolutamente sicura?» mi sentivo sull’orlo di una crisi di panico.

«Assolutamente? No. Diciamo che mi sento molto ottimista». E con quelle parole, mi aprì lo sportello della ferrari e spinse fuori me e il borsone.

«Ciao, Bella! Divertiti e non fare strage di cuori!» gridò Rosalie prima di scomparire dalla mia vista.

«Sì, come no? Strage di cuori! Neanche fossi una regina!» borbottai.

«Regina magari no. Ma hai tutte le potenzialità per diventare un killer del cuore di tanti maschietti» mi bisbigliò una voce all’orecchio.

Sorrisi. Ormai conoscevo quella voce calda e bassa, che era capace di far venire i brividi a una statua di ghiaccio. Mi voltai e…

«Edw… ma lei chi è? Mi scusi sto aspettando una persona» e così dicendo mi allontanai rigida. Insomma, abbordata così, all’aeroporto, appena scesa dalla macchina.

Certo, era un bel ragazzo, con quei capelli un pochino lunghi, disordinati ad arte, di un colore indefinibile, tra il castano e il rosso. E quegli occhi verdi… come il mio Morfeo… e niente barba…

«Bella, scusami…» cercò di dire. Mi voltai e spalancai gli occhi. Sarebbero anche potuti schizzare fuori dalle orbite per lo stupore di quello che vedevo in quel momento.

Edward era davanti a me in tutto il suo splendore. Ma che dico, magnificenza era il termine più adatto. Si stava grattando la nuca imbarazzato e mi guardava con uno guardo timoroso. Si era tagliato i capelli lasciandoli un pochino più lunghi sul capo e aveva tagliato la barba, tutto quel cespuglio che lo nascondeva agli occhi del mondo.

E ne era uscito un adone! Chi cavolo glielo aveva detto di mascherarsi così prima? 

«Allora? Che ne pensi?» aveva capito che l’avevo riconosciuto.

«E… f… a… s…» risposi sconclusionata.

«Isabella? Stai bene?» si avvicinò  guardandomi preoccupato.

Certo che stavo bene! Che credeva? Dovevo solo connettere il cervello al resto del corpo e la cosa era fatta! Sarei riuscita nuovamente a pronunciare una frase in senso compiuto e non sentirmi così deficiente come ora.

«Sì… sì sto bene. Scusami deve essere stato un calo di zuccheri», già, zuccheri nel sangue e ormoni da tutte le altre parti! Le mani mi prudevano dalla voglia di toccare quella zazzera sulla testa, che si ritrovava ora. A occhio, sembrava morbidissima.

Mi ero di nuovo persa nell’ammirazione minuziosa del suo cambiamento e non mi ero accorta di aver portato la mano sulla sua guancia, sino a quando non me la coprì con la sua richiamandomi alla realtà

«Bella, ti ho chiesto cosa ne pensi? Sto bene o stavo meglio prima?» mi richiese.

«No. Cioè sì.» decisamente il mio cervello era ancora in vacanza.

«Ecco. Lo sapevo, meglio capelli lunghi e barba. Mi era sembrato che preferissi così ma evidentemente ho capito male… aveva ragione Jes…» adesso stava farneticando qualche cosa di stupido, lo sentivo e mi svegliai del tutto.

«Non dire stronzate! Sei semplicemente stupendo! Dovevi toglierti quei peli superflui molto tempo fa» dichiarai puntandogli il dito sul petto.

Mi accorsi in quel momento che indossava una semplice maglietta blu e un paio di jeans azzurri, uno stile casual che indossava con la stessa eleganza della giacca. Era davvero perfetto.

«Stai bene vestito così. Non ti avevo mai visto con un abbigliamento più… come dire? informale» sorrisi maliziosa indicandolo.

«Anche tu stai bene in versione sportiva» mi rispose ammiccando.

Adesso però stavamo diventando troppo melensi e le mie guancie si tinsero di un tenue rossore, e non era fard.

«Hai solo quel borsone?» chiese. Santo ragazzo, intelligente al punto giusto, tanto da cambiare diplomaticamente argomento per evitare ulteriori imbarazzi.

Nel frattempo ci eravamo recati verso l’imbarco ed attendevamo la chiamata per il nostro volo.

«Sì, ho solo questo. Il resto è stato spedito direttamente a Miami. L’agenzia mi ha fornito addirittura tre bauli tra vestiti, scarpe e ninnoli vari» risi vedendo la sua faccia spaventata.

«Sei una maniaca della moda?» cosa nascondeva la sua voce tremante?

«Decisamente no. Mi piacciono i bei vestiti e tutto quanto è moda, ma non sono schiava dello shopping, ne del voler apparire a tutti i costi. Su su! Respira tranquillo» e risi più forte. A vedere come stava iper ventilando, direi che era veramente terrorizzato.

«Scusami. È che mia sorella è una stilista di moda e sono cresciuto insieme a questa ossessionata, tanto che detesto qualsiasi cosa abbia a che fare con i vestiti» mi rispose spiegandomi la sua reazione.

«Da come ti vesti, però, non si direbbe. Voglio dire, non ti metti certo degli stracci addosso» mi aveva sorpreso. L’avevo visto sempre impeccabile, da dove arrivava quel gusto? Forse era una cosa innata, genetica, considerando la sorella.

«Mia madre e mia sorella vengono a casa mia ogni quattro mesi e mi forniscono il guardaroba con quello che serve, così io evito lo shopping» mi spiega.

«E come fai a misurare i vestiti se ti vanno bene?» chiesi curiosa. Se una giacca fa difetto, non puoi accorgertene dopo mesi dall’acquisto.

«Mia sorella Alice, utilizza il suo fidanzato. Abbiamo la stessa corporatura, la stessa taglia, addirittura la stessa età. È come se fossimo gemelli» spiegò ridendo. Un pochino pigro però.

In quel momento annunciarono l’imbarco per il nostro volo e noi ci alzammo dalle poltroncine di attesa. Stavo per raccogliere il mio borsone quando Edward mi bloccò il polso fermandomi e facendomi voltare verso di lui.

«Aspetta! Prima di salire sull’aereo dobbiamo fare una cosa» e tirò fuori dalla tasca dei jeans, una scatoletta lunga. Capii subito: le fedi. Prese la mia mano sinistra, l’anello e me lo infilò al dito.

«Isabella Swan, con questo anello io ti sposo, in nome del contratto prematrimoniale, del contratto di matrimonio, della mia famiglia asfissiante e… del sogno» sorrisi divertita e presi il suo anello e la sua mano sinistra.

«Edward Cullen, con questo anello io ti sposo, in nome del contratto con l’agenzia, della mia amica che mi ha spinto, o meglio cacciato, in questa avventura, di queste che per me saranno delle vacanze, almeno spero e… del sogno che voglio fare mio» e gli infilai il cerchietto d’oro all’anulare.

«Dovremmo baciarci?» chiese tra l’ironico e l’imbarazzato.

«Credo di si» risposi diventando rossa.

Ci guardavamo e i minuti passavano senza che ci muovessimo.

«Oh Cristo! Tanto dovremo farlo davanti agli altri, tanto vale fare pratica» esclamò e con decisione mi prese tra le braccia, chinò la sua testa verso di me e si impossessò delle mie labbra.

Oh Dio! Sono in paradiso! Un brivido di puro piacere mi percorse la spina dorsale! I miei trasmettitori neurali stavano facendo gli straordinari! Le sue labbra schiacciavano, vezzeggiavano, massaggiavano le mie, da prima con forza, poi sempre più con dolcezza come ad assaporare sino in fondo quel contatto. Le mie braccia non rispondevano più ai comandi del cervello. Sentii vagamente i suoi capelli tra le mie mani e in un angolo della mia mente mi chiesi come erano arrivate sin lì. Mi strinsi al suo corpo, non che ce ne fosse bisogno, visto che lui faceva altrettanto con le sue braccia.

Mi adattai perfettamente alla sua forma e giuro, stavo così comoda che non mi sarei più staccata.

«Ehm ehm! Giovani d’oggi! Che vergogna!» borbottò una signora attempata che era seduta vicino.

Rimanemmo abbracciati e lentamente staccammo le labbra. Vidi distintamente lo stupore nei suoi occhi, prima che li chiudesse e appoggiasse la sua fronte sulla mia, aprendo la sua bocca a un sorriso malizioso.

«Baci molto bene pesciolina, sei sicura che non sia il tuo lavoro?»

Risi e staccai le mie braccia da lui tirandogli uno scappellotto sul braccio mentre anche lui rideva e cercava di scansarsi.

«Ti ho già detto che non è il mio lavoro. E per la cronaca io sono un’insegnante. Ho preso l’abilitazione e sto cercando una cattedra per il prossimo anno scolastico» risposi.

Ci avviammo alla partenza.

«Così sei una maestra. Ma non lavoravi come impiegata?» già, lui non sapeva del mio nuovo indirizzo lavorativo!

«Ti avevo detto che mi avevano licenziata. Ho cercato di crearmi altre possibilità e ho sostenuto l’esame di abilitazione all’insegnamento» risposi mentre salivamo sull’aereo

«Capito. E adesso cosa insegneresti?» chiese curioso.

«Mi sono laureata in lettere, quindi cerco una cattedra in materie umanistiche. Letteratura sarebbe l’ideale».

L’hostess ci accompagnò ai nostri posti in prima classe. Mi accomodai sul morbido sedile, sospirando di piacere. Non ero abituata a queste cose e decisi di godermele sino in fondo.

«Quindi ti piace leggere» non era una domanda e mi limitai ad annuire.

«Uhm, a guardarti bene, direi che il tuo ideale di libro non è il genere di fantascienza, eviti l’horror, puoi apprezzare i gialli e il genere di avventura, i saggi sono letti solo se su determinati argomenti, ma quello che adori di più è il romanzo, romantico preferibilmente, impazzisci per i classici e almeno una volta all’anno leggi Orgoglio e pregiudizio. Ho indovinato?» mi chiese sogghignando, avvicinandosi pericolosamente al mio viso.

I miei occhi scesero sulle sue labbra, così vicine, e ripensai al bacio di poco prima, diventando di un bel colore rosso peperone sulla faccia.

«Forse» risposi ambigua cercando di darmi un tono. Cacchio! Neanche mi conoscesse da quando avevo due anni. Aveva fatto un’analisi così perfetta sui miei gusti da mettermi in agitazione. Che mi avesse spiato? Nah, ridicolo.

«Direi che ho indovinato, allora» si sistemò sulla sua poltrona con una faccia soddisfatta.

«Oooooh. E va bene. Hai indovinato. Sono così trasparente?» ammisi sconfitta.

«No. Sei mia moglie, chi potrebbe conoscerti meglio di me? Sei la luce dei miei occhi» rispose ridendo sbattendo le ciglia.

«Stupido» borbottai facendogli il verso.

Sentii il rollio dei motori e i sobbalzi dell’aereo intento al decollo. Automaticamente arpionai la sua mano e la strinsi. Lui intrecciò le dita con le mie.

«Tranquilla, ci sono io» bisbigliò rilassandosi sul sedile accanto al mio.

Cercai di imitarlo e, grazie anche al contatto tra le nostre mani, mi sentii decisamente meglio.

Non era poi tanto male volare, per lo meno, non in prima classe. Con tutti i comfort possibili, offerti da hostess disponibilissime, soprattutto con il mio maritino, che rivolgeva sorrisi assassini come se fossero caramelle.

«La smetti di fare il cascamorto? Sei quasi patetico!» ringhiai all’ennesimo sguardo lascivo che gli lanciò la passeggera vicino a noi. Non bastavano le hostess, pure le altre donne.

Sembrava una calamita per il sesso femminile.

«Ma che ho fatto? Ho solo ringraziato per il caffè. Non è colpa mia se la ragazza si è presa una cotta» si giustificò agitando le mani.

«Non mi riferivo a quella. Ma a quella lì» indicai con il dito le possibili pantere che erano rimaste affascinate dall’esemplare seduto accanto a me.

«Stellina, sei gelosa per caso?» mi chiese sogghignando e baciando il palmo della mia mano, guardandomi negli occhi.

«Ma neanche per idea, biscottino. Tanto so che ami solo me» e mi avvicinai baciandogli la guancia, sorridendo, a totale beneficio della nostra vicina.

«Allora facciamo altra pratica» sussurrò attirandomi di più a se, fino a posare le sue labbra sulle mie per un bacio veloce ma intenso. Quasi mi girava la testa.

«Direi che la nostra vicina si è girata schifata e le hostess stanno piangendo la mia perdita… sei soddisfatta adesso?» mi soffiò nell’orecchio mentre mi stringeva in un caldo abbraccio. Mi misi a ridere.

«Sei un grande attore» ammisi.

«E chi ti dice che abbia recitato?».

 

----ooo00O00ooo----

Angolino mio:

“Chi ti dice che abbia recitato?” una frase del genere detta da un Edward del genere ed io svengo tra le sue braccia! Nei primi intenti non doveva esserci il secondo bacio, come non dovevano esserci gli attentati delle assistenti di volo (all’italiana), trovo ridicolo questo fatto che basta guardare qualcuno per sospirare come delle ventole, ma questa scena si è scritta da sola, lui quasi inconsapevole, lei gelosa e lui che la bacia e le dice che non ha recitato!

Adesso tranquilli, non precipitiamo le cose: non ci sono ulteriori avvicinamenti in vista… forse.  

Prima atterriamo a Miami e vediamo cosa succede da quelle parti, magari ci sono ancora tante cose interessanti e divertenti da leggere.

 

Questa storia la voglio fare per benino, quindi posterò il prossimo capitolo non prima di una settimana, sempre se è pronto. In caso contrario vi avviserò.

 

Ho scoperto con Sakura, che  piace molto avere il titolo del prossimo capitolo, è un po’ come uno spoiler, quindi, se avrò le idee chiare, farò così anche qui.

Oggi ho le idee chiare, quindi vi annuncio ufficialmente che il prossimo capitolo si intitolerà: Doccia fredda.

Vi do un indizio: è una doccia in senso figurato.

 

Permettetemi ora, un poco di pubblicità sulle mie storie

Grazie a Valli (la mia personal trainer informatica, delle quale consiglio le storie per una scarica di adrenalina, sono forti e fanno discutere) sono riuscita a fare i collegamenti. Doppia Hola per me!

[Sakura – Fiore di ciliegio]  in corso,  racconto storico, romantico, avventura, la storia di Bella dalla natia Irlanda a partire dal 1884 portata dal destino, in giro per mezzo mondo.

[Ciao Edwardina]  in corso, racconto comico, una scommessa costringe Edward a frequentare il liceo per due mesi vestito da donna.

[Si dice – In Vino Veritas]  in corso,  racconto  generale romantico, una sfida tra una Bella ricca e viziata che vuole l’azienda vinicola di Edward

[Boy e girl – scambio d’identità] conclusa,  racconto comico romantico, scambio di corpi, un Edward nel corpo di Bella alle prese con i problemi femminili e Bella viceversa, alle prese con i problemi maschili e un obbiettivo .

[Acqua che cade] conclusa,  mini fic. racconto misterioso, fantasy, Bella adora la particolare pioggia di Forks, che sembra mandata apposta per lei.

[Prima di essere un pensiero]  one shot  commedia fantasy, cosa potevano essere i nostri eroi, prima di essere concepiti? Questa potrebbe essere la risposta.

[Un colpo sul retro] one shot  commedia, una giornata particolare, dove quattro ragazze senza pensieri vogliono solo divertirsi.

 

Grazie per l’attenzione e

baciotti

Grazia

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** doccia fredda ***


  

 

Gente, eccomi di ritorno,

credo di aver fatto un pochino di confusione lo scorso capitolo: dovevo ancora scrivere un pezzo che, adesso, è finito in questo!

Il titolo di questa parte è: Doccia Fredda! Voglio sperare che non mi uccidiate, visto che mi riferivo, sadicamente, a…Voi.

Capitolo un pochino più corto di quello precedente, con l’inserimento di alcuni nuovi personaggi.

Anche questa volta è doveroso ringraziare tutte le persone che con le recensioni, e inserimento tra le proprie preferenze, o anche solo con il semplice accesso e lettura, apprezzano questa storia, in particolarissimo Bambola_e_Bibola, come già detto sono commossa e con lacrimuccia agli occhi, grazie.

 

Vi lascio alla lettura e per i commenti ci sentiamo in fondo.

Buona lettura

 

----ooo00O00ooo----

 

 

 

«E chi ti dice che abbia recitato?».

«E chi ti dice che abbia recitato?».

«E chi ti dice che abbia recitato?».

Quella frase mi stava rimbombando in testa con la forza di un cannone.

«E chi ti dice che abbia recitato?». Cosa voleva insinuare? Che gli piacevo? Che era attratto da me? Oddio Signore, il Cielo Onnipotente!

Avevo appena detto a Rosalie che non potevo avere nulla a che fare con Edward sul piano sentimentale, ero certa che in presenza del sogno, non avrebbe esitato a mollarmi uno a zero, e io non avevo alcuna intenzione di raccogliere i cocci del mio cuoricino. L’avevo custodito talmente bene in questi anni! Nemmeno una crepa a guardare con il microscopio! Perfetto!

Ora arrivava lui… ed io andavo in fibrillazione?

Però… quando ero all’università, non ci avrei pensato sopra neanche un momento, lui mi piaceva, io gli piacevo, perché non divertirsi? All’epoca avrei ragionato così.

Cos’era cambiato da allora per farmi pensare in modo diverso? Ero diversa io? Ero diventata talmente romantica da volere il principe azzurro e sospirargli dietro come un ventola? Perché no? Ero cresciuta e il mio principe (o un rospetto da trasformare tale) me lo meritavo!

 

Lo guardai piena di imbarazzo, e lui si rese conto di quello che mi aveva risposto e borbottò uno “Scusami” appena sussurrato, prima di girarsi verso l’oblò.

Mi rilassai sul sedile e decisi di sonnecchiare, nella speranza che l’incoscienza mi portasse consiglio. Forse uno stato comatoso sarebbe stato meglio, ma in assenza, dovevo accontentarmi.

Ad occhi chiusi, quel bastardo di Morfeo, continuava a farmi gli occhi dolci, a stringermi e a baciarmi, in un modo vagamente famigliare. Ma porca paletta! Mica avevo deciso di dormire per essere sedotta pure da questa parte. Volevo un poco di calma per riflettere e invece quel diavoletto mi stava baciando il collo e quando muovevo la mano per allontanarlo, come una mosca fastidiosa, questo sogghignava sadico.

Cosa devo fare, Morfeo? Devo cedere al fascino di mio marito e prenderla così come viene, oppure rimanere rigida sulle mie posizioni, restare fredda, recitare e alla fine andarmene per la mia strada senza voltarmi?

A pensarla così, mi sentivo quasi un cowboy che se ne va alla luce del tramonto, come nei film classici di Hollywood.

Se da una parte poteva esserci la mia dignità, dall’altra c’erano undici mesi di astinenza e un bellissimo pezzo di manzo disponibile (o almeno, avevo tutto il diritto di approfittare di lui, documenti alla mano)

Farselo o non farselo. Amleto poteva avere un dubbio esistenziale, ma il mio non era da meno… beh forse un pochino più banale, ma molto importante per me e la mia vagi… ehm, sì, proprio quella li.

 

Non so esattamente quanto rimasi nel limbo incosciente (beato cervello inattivo) e venni svegliata di soprassalto, quando fui urtata dalla gamba di mio marito che tornava da qualche parte.

Aprii gli occhi e lo guardai interrogativa, mentre lui si sedeva, o meglio stramazzava, sul sedile, visibilmente agitato.

«Ero in bagno» mi disse senza guardarmi in faccia.

“Vuole nasconderti qualche cosa” la mia vocina interiore stava starnazzando come un’oca per cercare di darmi la sveglia. Non che ce ne fosse bisogno: il rossetto sul suo collo parlava da solo.

«Con chi?» chiesi secca.

«Nessuno, perché?» mi chiese e si voltò per guardarmi negli occhi con una espressione ingenua da oscar.

In quel momento passò, vicino al mio sedile, la hostess di prima, lanciandomi un sorriso soddisfatto.

«Almeno chiudi la patta dei pantaloni. Tieni, per il rossetto sul collo» sibilai, passandogli un kleenex.

Edward, in quel momento, ebbe la delicatezza di arrossire dalla vergogna, mentre si sistemava: «Non è come sembra».

«Senti, Edward, non mi devi nessuna giustificazione. Il nostro è un rapporto di lavoro. Punto. Ti chiedo solo un poco di rispetto» gli dissi piccata, voltandomi dalla parte opposta.

Dopo alcuni minuti di silenzio, sentii soffiare al mio orecchio: «Sai, dolcezza? Hai ragione! Non ti devo nessuna giustificazione. Scusami per la mia “mancanza di rispetto”» e lo sentii allontanare.

Il gelo, stile Antartide, calò tra noi due, poteva servirmi una sciarpa in pieno luglio. Neanche quando mi aveva beccata al pranzo del nostro accordo, avevamo avuto questa atmosfera. Mi dispiaceva, si era instaurato un bel rapporto, mentre adesso…

Se anche ci fosse stata una possibilità con il mio novello sposo, Edward aveva deciso per tutti e due.

A ben pensarci, però… come mi aveva detto Rosalie, a Miami avrei potuto incontrare qualche bel ragazzo, perché negarmi questa possibilità? Ripresi a dormire, il sonno porta consiglio, forse.

 

«Isabella, su svegliati, stiamo atterrando». Una mano mi stava gentilmente strattonando.

«Uhm. Edward. Che succede?». Non ero ancora in grado di ragionare, perché mi parlava?

«Ho detto che stiamo atterrando» e così dicendo, iniziò ad armeggiare con la cintura del sedile, bloccandomi.

Che lo facesse apposta o meno, strusciò le mani sui miei fianchi. Che gran bastardo! Non gli bastava la hostess bavosa?

Gli schiaffeggiai la mano e lui le ritrasse come scottato: «Ahi!».

«Paperotto, ti ringrazio ma faccio da sola» sibilai.

«Non c’è di che, ranocchietta» mi rispose a tono. Ranocchietta? Si stava comportando come i bambini dell’asilo, solo perché lo avevo chiamato paperotto, che poi sono anche carini! Ma ranocchietta! Per favore! Avrei dovuto chiamarlo viperotto! Forse sarebbe stato più appropriato.

 

Qualche decina di minuti dopo, l’aereo era atterrato: ben sei ore sulla mia povera schiena! Non ero solo distrutta, mi sentivo disintegrata, nonostante il dormiveglia.

Più che un sonnellino, forse era un trattato di psicologia sui sentimenti da portare nei confronti di un marito fedifrago, magari con reazione alla Bobbit. (il taglio fa scuola).

“Bella! Ti stai comportando come una moglie gelosa. Posso capire la prima parte, ma non la seconda” grazie vocina interiore! Sempre dare retta alla propria coscienza, non porterà mai male.

Mi chiedevo solo se, al momento di firmare le carte, la suddetta coscienza, fosse partita per le isole Cayman, visto che non avevo sentito un fiato.

 

Finalmente a terra! Quasi mi inginocchiavo a baciare il pavimento! Mai più un viaggio così lungo in una sola gittata. Dovevo nuovamente imparare a deambulare.

Il mio coniuge, invece, sembrava appena sceso da un’auto dopo un giretto di appena dieci minuti: era perfetto e fresco come una rosa. Certo! Con la puntatina la bagno che aveva fatto! Grrrrrrr. Che nervi!

“Sei gelosa! Lui si e tu no!” ecco appunto, sono gelosa perché… sono in Astinenza da 11 mesi! Cribbio!

 

«Vado a prendere le mie valigie. Aspettami qui» mi disse Edward, lasciandomi nell'immensa sala di aspetto dell'aeroporto. Lo vidi allontanarsi, le spalle larghe, quel sedere perfetto fasciato in modo indecente dai jeans...

«Sei stato uno stupido!» borbottai sospirando.

«Adesso cosa ho fatto? Non mi conosci neanche e mi dai dello stupido?». Una voce alle mie spalle stava chiaramente rivolgendosi a me, divertita.

Mi voltai e mi ritrovai davanti agli occhi un petto, costretto, per qualche strano motivo, in una maglietta di qualche taglia più piccola.

Avevo sentito parlare di abbigliamento aderente ma quello era ridicolo, tanto valeva tatuarsi una t-shirt: potevo distinguere a occhio nudo ogni singolo fascio di muscoli, ogni riga della benedetta tartaruga sul ventre che mi stava urlando “toccami, toccami”.

«Cominciamo bene» sussurrai. Fui quasi compiaciuta del mio eccezionale autocontrollo, quando, invece di palpare tutto quel ben di dio, alzai la testa per guardare in faccia la persona che avevo davanti, oltre ovviamente a monitorare tutto il resto della mercanzia.

«Ehi! Come va? Visto che mi hai già inquadrato come stupido, almeno lascia che mi presenti! Ciao, io mi chiamo Jacob! Sei qui in vacanza?» mi tese la mano mentre il viso si apriva a un sorriso contagioso.

Era davvero bellissimo, capelli cortissimi neri e occhi espressivi scuri, un viso dai lineamenti leggermente spigolosi e fieri. Aveva la pelle ambrata e ricordava gli indios, ma lui era talmente bello da poterne fare il capo.  Ed era altissimo, più di Edward.

A proposito! Dove era mio marito in questo momento? Beh, non c'era nulla di male nel conoscere un ragazzo che pareva simpatico, oltre al fatto che sembrava della mia età o poco meno.

«Non era rivolto a te, ovviamente. Ciao, io sono Isabella, ma puoi chiamarmi Bella e non sono qui solo per vacanza» risposi. A ben pensarci, chissà come dovevo definire quella trasferta? Lavoro? Vacanza? Piacere? (magari!)

«Allora anche per lavoro... e che cosa fai? Qui a Miami, a luglio». Ecco! Questo sì che è un bel problema, e ora? Che gli dico?

 

«Ehi, killer! Hai trovato una nuova vittima? Ricordati che io ho la precedenza!». Non ero mai stata più felice di sentire quella voce, come in quel momento.

Un braccio mi avvolse da dietro e io mi appoggiai al torace che doveva essermi così famigliare e sorrisi.

«Ciao, Edward» disse Jacob.

Oh mamma! Ma si conoscono? E come?

Come se non bastasse, il mio caro maritino possessivo, aveva infilato la mano sotto la t-shirt e mi stava carezzando con il pollice appena sopra la cintura dei miei jeans procurandomi una serie di piacevoli brividi. Bastardo! L’avevo già detto? Beh allora riconfermo. Bastardo! Dentro e fuori!

Conosceva Jacob? Un’idea malsana mi attraversò la mente. Voleva la guerra? A disposizione!

«Ciccino mio, conosci Jacob?». Il mio sguardo era quanto di più innocente c’era, mentre mi ero leggermente voltata a guardare in faccia il mio caro Edward.

Evidentemente non aveva apprezzato molto il mio nomignolo, visto il pizzicotto che mi fece, nascosto sotto la maglietta.

Intanto Jacob aveva iniziato a ridere della grossa: «Ciccino mio? Oddio Eddy, appena lo saprà Emmett sarai finito. A vita!» iniziò anche ad asciugarsi gli occhi e io ringraziai mentalmente questo Emmett che avrebbe contribuito a rendere la vita di Eddy più dura (Eddy? Potevo anche chiamarlo Eddy?)

«Lucciola mia, Jacob è mio cugino, fa parte della terribile famiglia Cullen che stai per incontrare». Una piccola frase che racchiudeva così tante informazioni!

A parte il lucciola mia... era per caso un fortuito riferimento alla mia pseudo condizione di affittata? Sperai che non fosse tanto meschino e passai all'informazione più importante: Jacob era suo cugino! Tra tanti ragazzi, anche bei fusti, disponibili sul mercato, io chi ti andavo a trovare? Il cugino! Ma questa è sfiga!

Non riuscivo a trovare le parole adatte, il mio cervello stava ancora elaborando le informazioni (e poi dicono che la nostra materia grigia è il computer più veloce ed efficiente! Sarà, ma allora, in quel momento, avevo senza dubbio un problema al processore)

Edward prese la mia mano sinistra con la sua ed incrociò le nostre dita in modo che apparissero le due fedi vicine, poi si strinse più forte a me e guardando Jacob negli occhi, gli mostrò le nostre mani, dove brillavano i due cerchietti.

«Jacob, ti presento Isabella Swan Cullen, mia moglie».

 

Se prima il ragazzo rideva, senza prendere fiato, adesso boccheggiava come se gli mancasse. Pareva un pesciolino rosso in una vasca d'aria: stava soffocando.

Mi venne un brivido di inquietudine. Era così strano che Edward fosse sposato? Va bene che dovevamo raccontare di esserci sposati a Las Vegas, nottetempo, ma lo stupore doveva durare pochi minuti, qui stavo quasi per decidermi a chiamare un'ambulanza, prima che gli partisse un embolo dallo shock.

«Spo... sposati? Cioè? Proprio marito e moglie? Tu?» balbettava ed era sempre più stranito. Ma che stava succedendo?

«Sposati Jacob. Su, non è difficile da capire» adesso era Edward che lo prendeva in giro, visto che stava cominciando a ridere sempre più forte, man mano che lo stupore del cugino aumentava.

«E allora Jes...» tentò di obiettare Jacob.

«Mi sono sposato con Isabella. Non c'è altro da dire. Fammi le congratulazioni e sii felice per me!» adesso era tornato serio e perentorio. Qui c'era molto di più sotto le fattezze cordiali di questi due. Che Jacob sapesse della ragazza che era diventata il sogno di Edward?

«Ah Jacob! Giù le zampe da mia moglie!» e qui era tornato allegro e scherzoso.

«Ma per chi mi hai preso Eddy?» rispose il ragazzo, alzando le mani in segno di resa.

 

«Edward, ragazzo mio! Sei arrivato anche tu?» ci voltammo tutti verso un signore sulla cinquantina che, evidentemente conosceva mio marito.

«Zio Billy! A questo punto Bella, è meglio fare le presentazioni corrette» si staccò da me, mi prese per mano e mi presentò.

«Isabella Swan, ti presento mio zio William, detto Billy, Black e suo figlio Jacob Black. Zio ti presento mia moglie, Bella». Wow che presentazione ufficiale! Chissà quanti erano e a quanti altri sarei stata presentata così.

«Come, moglie?». Ecco, ci risiamo. Spero che gli altri si abituino prima o passerò questi due mesi a portare sali e acqua a chiunque abbia la necessità di svenire per il fatto di sentire che Eddy è sposato.

Ihihihihihih! Eddy!... troppo carino come nomignolo... fa tanto chihuahua.

«Sì moglie, mi sono sposato dieci giorni fa a Las Vegas.» annunciò Edward.

«Eri ubriaco?» chiese lo zio.

Ma... ma... ma che cafone! Mica sono una cozza io! Non sarò una modella, ma ho un visino passabile, e un corpo con culo, fianchi e tette al loro posto, se mi tappo bene posso anche sembrare bella. E che cavolo!

Senza rendermene conto iniziai a battere la punta della scarpa sul pavimento in modo irritato e irritante, esattamente come mi sentivo io.

«Papà! Non sei molto gentile nei confronti di Bella!». Jacob, hai guadagnato 1000 punti, oltre ad avere un fisico da urlo, sei anche simpatico e intelligente.

Per lo meno, Billy Black, ebbe la decenza di arrossire.

«Chiedo scusa, Isabella. Non volevo rivolgermi a lei, e tantomeno offenderla. Era solo la sorpresa per questo nipote, che non ha fatto partecipare nessuno a questo evento. Come vedrà siamo una famiglia numerosa e molto unita. Avremmo fatto una festa bellissima! E lei sarebbe stata una regina!» disse lo zio prendendomi alla sprovvista, in un abbraccio stritolatore. Aiuto, soffoco di troppo affetto.

«Regina al posto della nonna?» chiese Jacob sarcastico.

 

«Ok, ok. Credo che adesso sia il momento di raccattare le nostre cose e cominciare a muoverci per andare al kingdom» intervenne mio marito, caricando il mio borsone sul suo carrello e trascinandomi letteralmente fuori dall'aeroporto.

Avevo la sensazione di stare per entrare nella fossa dei leoni, e visto che non volevo essere il pasto giornaliero, affrontai il mio coniuge, nella vana speranza di chiarirmi le idee.

«Vuoi spiegarmi cosa sta succedendo? E perché tutta questa sorpresa? E cosa centra tua nonna? E...» tirai un attimo il fiato ed Edward ne approfittò.

«Posso risponderti o hai intenzione di continuare così per altri trenta minuti? Anche perché è il tempo che mi resta per chiarire qualche punto, se mi lasci parlare, altrimenti dovrai dar fondo alla tua capacità creativa» concluse finendo di caricare le valigie sul taxi.

«Dai! Adesso non mi sottovalutare. Potrei stupirti. ok. Faccio la brava. Racconta» ordinai accondiscendente. Sorrise.

«Più che creativa, secondo me sei curiosa... Va bene. Il Kingdom è un albergo 4 stelle durante tutto l'anno, tranne nei mesi di luglio e agosto. In questi due mesi l'albergo chiude e viene ripulito da cima a fondo. Mia nonna si trasferisce dalla depandance alla suite presidenziale e noi utilizziamo le stanze per ritrovarci. Facciamo feste, riallacciamo i nostri rapporti famigliari, tutto sotto lo sguardo attento e amorevole della nostra capofamiglia». Non riuscivo a capire se questa uscita era sarcastica o semplicemente un riassunto della situazione, condito con incondizionato amore. Continuò.

«Ci troveremo con i miei genitori, mia sorella e il suo fidanzato, zii, cugini e figli di cugini... sai, credo di non averli mai contati...» iniziò a guardare il soffitto dell'auto e a gesticolare con le dita

«Con noi due... dovremmo essere 26 persone, più o meno». Strabuzzai gli occhi, 26 persone? Quando io mi riunivo con il parentato per le feste comandate, eravamo in otto, e  riuscivamo anche a litigare, chissà come era con così tante persone... o ci ammazzavamo o la sanità mentale andava a farsi friggere, o... sarebbe stato divertente.

Forse opterò per l'ultima opzione, è la più rassicurante.

«Come si chiamano i tuoi? Alcuni dei tuoi ovviamente, se me li elenchi tutti mi perdo dopo cinque nomi» chiesi e lui sorrise accondiscendente.

«Carlisle è mio padre, fa il medico, mia madre si chiama Esme ed è la classica casalinga dedita alla famiglia e alla carriera del marito. Mia sorella, Alice, lavora in una casa di moda come stilista ed è fidanzata con Jasper Whitlock, che praticamente è il suo capo». Pausa.

«Quindi è Jasper il tuo finto gemello» affermai ricordando quanto mi aveva detto a Seattle.

«Esattamente… adesso che ci penso, tra te finta moglie e lui finto gemello…» e si mise a ridere. Effettivamente la situazione era buffa, e anche io risi di gusto.

«Dai, andiamo avanti che mancano solo dieci minuti» incitò «… poi c’è mia nonna, la signora e padrona, Elisabeth, vedova di Edward Cullen, beneamato nonno di cui porto il nome. Billy, che hai incontrato, è il marito di mia zia Sara, la sorella di mio padre. Sfortunatamente mia zia è ricoverata in una casa di cura. E’ una situazione delicata, Bella, ti pregherei di non accennare». Annuii comprensiva.

«Billy ha due figli: Jacob più piccolo e Rachel più grande e già sposata con Paul. Hanno anche due bambini James di 4 anni e la piccola Victoria di 8 mesi, che conoscerò per la prima volta. In queste vacanze festeggieremo il battesimo della piccola, tra le altre cose».

Evvai! Cominciamo con le feste, ero quasi preoccupata a non poter usare tutti quei meravigliosi vestiti che Rosalie mi aveva propinato.

«Chi è Emmett?» domandai ricordando il nome che era saltato fuori con suo cugino.

«E’ il figlio di mio zio Peter e sua moglie Charlotte. Purtroppo i genitori sono morti in un incidente stradale una decina di anni fa. Emmett è il detective che ti dicevo, quello che ti controllerà la vita per scoprire tutto il marcio che c’è» mi spiegò sorridendo.

«Quindi lui è la ragione del mio matrimonio legale? È il pazzo maniaco che ha bisogno dello psicologo per frenare il suo naso?» chiesi piccata.

«Dai, Bella. È molto simpatico, è il burlone della famiglia, dagli una possibilità. Non chiedo altro». Come faceva a sembrare tanto angelico? Mi persi per alcuni secondi nei suoi occhi. Cielo! Che occhi! Morfeo!

«Mi sembra che la possibilità la dovrò dare a un esercito, non solo a una persona» asserii, facendogli notare l’ovvio.

«Vero!» per lo meno era d’accordo anche lui.

Quella sarebbe stata una luuuuuuuunga vacanza! Se vacanza si poteva chiamare.

Ok, ricapitoliamo: Carlisle, Esme 2, Alice e Jasper 4, Billy, Sara, no, Sara no, Jacob, Rachel, Garrett, Emmett, James e Victoria, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 4, 11, io e Edward… 13. Oh Cristo! Ne mancano ancora altrettanti e io mi sto già confondendo. Poi c’è la sovrana del Kingdom: Elisabeth. Respira, Bella, respira che ti conviene ossigenare bene il neurone altrimenti potresti chiamare Victoria tua suocera, e non sarebbe carino darle della poppante.

 

Nel frattempo il taxi si era fermato davanti a una imponente costruzione bianca con una entrata sottolineata da 4 colonne che sostenevano una specie di porticato.

Più che sembrare un albergo, quello sembrava un castello, una villona enorme che neanche Bill Gates possedeva in giro per il mondo…

Mi guardai attorno, un prato curatissimo e alcune siepi e roseti, facevano bella mostra di sé, interrotti da un viale che portava al cancello, che si scorgeva qualche metro più in là.

Pur essendo vicini al mare e alle vie di intenso traffico, i rumori giungevano ovattati. Stupendo, eravamo in centro essendo isolati. Il sogno di molti!

Appena sceso dal veicolo, Edward venne letteralmente travolto da una ragazza dai capelli biondo scuro, più o meno della mia età.

«Edward! Amore! Sei arrivato finalmente! Ero terribilmente ansiosa, nessuno mi diceva quando ci avresti raggiunti!»

«Tanya! Tesoro! Come vedi sono arrivato» rispose mio marito restituendo l’abbraccio caloroso.

Chissà chi era questa? Mentre formulavo questo pensiero, mi voltai verso il portone di ingresso del palazzo e vidi, su un lato, due ragazzini di circa 12 anni, che mi guardavano seri con le braccia incrociate.

“Sì, decisamente ne vedremo delle belle qui” pensai, mentre un brivido percorreva la mia spina dorsale.

 

----ooo00O00ooo-----

 

 

Angolino mio:

cominciamo a conoscere qualcuno: Billy e Jacob, che ne pensate?

Certo che Bella è proprio sfigata! Se Edward ha fatto lo stupido e lei aveva deciso di rivolgersi ad altro, chi ti trova? Il cugino.

Chi è questa Tanya? Perché chiama Edward amore?

Prima che vi lanciate in congetture acrobatiche vi stoppo subito: non è il sogno.

Io, se fossi in voi, terrei sotto controllo i due ragazzini…

Eccoci finalmente al vero punto di inizio della storia: da qui, ne vedremo delle belle!

 

Mi auguro che anche questo capitolo vi sia piaciuto, ma per saperlo c’è solo un modo: scrivete, scrivete, scrivete le vostre opinioni e anche i vostri suggerimenti.

Chi mi recensisce da tempo, sa che sono più che disponibile al dialogo (forse anche troppo) e mi piace scambiare idee.

 

Il titolo del prossimo capitolo sarà: Nuova Famiglia.

Una conoscenza globale di tutti.

Posterò il prossimo capitolo sabato 01 ottobre, prima proprio non posso.

 

Grazie ancora per l’attenzione e tanti

baciotti

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** nuova famiglia ***


 

 

 

Salve a tutti, tutti, tutti.

Sono in ritardo di 8 giorni, dramma totale. Mi dispiace tantissimo, perché sembra che abbia voluto sospendere la storia, mentre invece è stata solo mancanza di tempo.

In primo luogo, voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno recensito, tantissime davvero! Oltre ovviamente, a chi ha messo questa storia nelle ricordate, preferite e seguite (addirittura qui abbiamo superato i 200! Non credo di poter eguagliare una considerazione simile in futuro). Ringrazio inoltre gli oltre 800 personaggi che hanno osato entrare nell’ultimo capitolo per gustarsi in silenzio le avventure di questa versione di Bella (e anche Eddino, và).

 

Siamo arrivati a Miami! Nel villone-albergo. Cominceremo a incontrare i nuovi parenti di Bella, e sarà un bagno di folla! Speriamo bene…

Mi auguro che questo capitolo vi piaccia, come è piaciuto a me scrivere alcune cosette…

Buona lettura!

 

 

----ooo00O00ooo----

 

 

Tornai a guardare incuriosita la ragazza che stava cercando di fare l’arrampicata sul corpo di mio marito. Uffa! Prima la hostess e adesso questa? E basta! Stavo per partire alla carica come un bisonte, quando Edward si girò innocente verso di me.

«Isabella, ti presento mia cugina Tanya, l’unica parente che non mi stressa la vita! Cuginetta, ti presento Isabella Swan, mia moglie». Ok, sganciata la bomba rimasi immobile a verificare l’effetto shock. Svenimenti, crisi isteriche, ictus, ormai ero pronta a tutto… invece…

«Moglie? Finalmente sei guarito! Grande! Isabella, lasciati abbracciare, sei bellissima, sai? Mio cugino ha trovato il buon gusto da qualche parte! Vieni con me, ti porto dentro così ti presento gli altri». Ero stata travolta, un paio di braccia mi tirarono verso l’entrata senza che io potessi impedirlo. Non era molto più alta di me, ma cacchio se ne aveva di forza questa. Mi voltai un attimo verso il mio coniuge, che risultava incurante del mio rapimento.

«No, devo aiutare Edward…» provai a dire. Aiuto! Non voglio incontrarli tutti da sola!

«Ah, non ti preoccupare, è normodotato e se la caverà benissimo da solo» rispose con una scrollata di spalle.

«Lo sai, Isabella, che sei la prima donna della nostra generazione a entrare in famiglia? Noi cugini siamo sette femmine e tre maschietti, Eddy, Jake ed Emm, e loro sono sempre stati un po’ restii a farci conoscere le loro fiamme… chissà perché?».

“Già, chissà perché? Forse essere assalite e rapite senza poter dire nulla ha il suo peso” pensai ironica.

Sulla porta trovai ad aspettare i due ragazzini che avevo scorto in precedenza. Braccia incrociate sul petto e cipiglio scuro non promettevano niente di buono. Nel frattempo anche Edward era arrivato con due valigie e il mio borsone.

«Ciao, scimmiette. Questa è Isabella, la moglie di Edward, loro sono Alec e Jane, i figli adolescenti e pestiferi di mia sorella Kate e suo marito Garrett» Tanya fece le presentazioni.

«Chissà da chi hanno preso! Ciao ometto, ciao scricciolo» salutò Eddy.

«Non sono uno scricciolo! Sono grande adesso!» rispose piccata Jane, voltandosi ed entrando in casa.

 

«Adolescenza! Brutta bestia!» commentò Tanya, vedendo il volto sorpreso di mio marito.

Venni nuovamente arpionata ed entrai nel grande atrio del villone-hotel. Una enorme scalinata si apriva circolare sul fondo e portava ai piani alti, sulla destra un lungo e lucido bancone, che doveva essere la reception, era coperto da vasi di fiori, bicchieri di cristallo e tartine varie. Nella sala erano sparsi divanetti e poltroncine dove erano accomodati alcune persone.

Ero quasi intenzionata ad avvicinarmi al bancone, dal mio stomaco si stava per levare una di quelle musiche cavernicole da imbarazzo totale, invece mi feci condurre verso quelli che dovevano essere i miei nuovi parenti.

Mi voltai, dove diavolo era mio marito?

«Hola! Figlia numero tre, chi mi porti? Una donzella smarrita?» un signore grassottello e quasi completamente calvo, si alzò allegro dalla poltrona avvicinandosi baldanzoso verso di noi.

«Isabella, ti presento mio padre, lo zio di Edward, Eleazar. Credi alla metà di quello che dice e non fare nulla di quello che suggerisce e riuscirai a sopravvivere senza traumi, come faccio io» e in questo modo, Tanya presentò suo padre.

«Terza! Mi rovini la piazza così!» protestò l’uomo facendomi l’occhiolino. L’azzurro dei suoi occhi era qualcosa di assolutamente disarmante. Vista l’altezza e i lineamenti fini, doveva essere stato uno splendido giovane ai suoi tempi, e nonostante le rughe lo avessero avvizzito, aveva ancora un certo fascino simpatico.

«Perché ti chiama terza?» sussurrai alla mia accompagnatrice.

«Perché sono la sua terza figlia e lui si è sempre lamentato di avere solo femmine» rispose Tanya ridendo. «Quella la in fondo, bionda, vicino al mulatto carino, si chiama Irina ed è la seconda, accanto a suo nuovo marito Laurent. Sono sposati da sei mesi, stare vicino a loro rischi una congestione di zuccheri» poi mi guardò.

«A parte che credo che anche per te ed Eddy sia uguale, no?» e cominciò a sventolare le sopracciglia con fare malizioso e senza farmi rispondere aggiunse «Papà, lei è Isabella, la moglie di Edward».

Stavo quasi per arrossire alla allusione sesso, mi bloccai all’effetto bomba: Eleazar tirò fuori un urlo talmente possente da zittire l’intera sala.

«Edward sposato! Urrà!». Tutti si voltarono verso di noi e incominciarono ad avvicinarsi.

«Questa è mia sorella Kate, la prima, e lui è suo marito Garrett… loro sono i felici genitori dei due angeli che hai incontrato prima… io avevo già suggerito il bromuro, ma loro non mi ascoltano» Tanya fece le presentazioni ed io iniziai a stringere mani.

«Isabella, la moglie di Edward» sussurravo a ogni mano, arrossendo sempre più.

«Non credere a tutto quello che dice mia sorella, la pazzia di mio padre è ereditaria» mi sorrise Kate.

«Loro sono mia cugina Rachel e suo marito Paul, con il piccolo James» e mi indicò un bambinetto biondiccio di quattro o cinque anni che stava correndo curioso verso di noi,  «E la pargoletta è la piccolissima Victoria, il penultimo neoacquisto della famiglia»

«Visto che l’ultimo sei tu» mi giunse all’orecchio la voce calda e bassa di Edward.

Come presa da un tic nervoso, cercai subito la sua mano e la strinsi in modo spasmodico quando la trovai, come se fosse un’ancora di salvezza… stavo annegando tra i corpi dei parenti.

«A proposito, Rachel, tuo fratello?» chiese Tanya all’ultima cugina presentata. Mi ricordava qualcuno, aveva lineamenti famigliari, ma forse era perché erano tutti parenti.

«Jacob e mio padre stanno arrivando, sono scesi dall’aereo circa 40 minuti fa» rispose.

Ecco chi era, la figlia di Billy Black.

«Lei è Leah, un’altra cugina… credo che dovrai farti spiegare tutte le parentele per benino da Eddy, altrimenti farai una gran confusione» e mi presentò anche a quest’altra che mi guardava con un’aria talmente stupita da farmi pensare a un probabile svenimento. La sorpresa Edward sposato, aveva colpito ancora.

 

All’improvviso si zittirono tutti mentre dalla scalinata stava scendendo una signora molto anziana, sostenuta per un braccio da un affascinante uomo di mezza età e poco dietro una piccola donna che teneva un cane dalmata per il collare.

«Nonna Elisabeth, papà, mamma!» esclamò Edward trascinandomi oltre le persone che avevo appena conosciuto per arrivare ai piedi della scala.

Oddio! Stavo per conoscere i miei suoceri ed ero appena scesa da un aereo dopo sei ore di volo! Ma gli uomini sono proprio imbecilli! Sicuramente i capelli erano in disordine, i vestiti stropicciati, il trucco sbavato o inesistente, ero un disastro insomma! E lui mi trascinava a conoscere i suoi così? Ma cos’hanno nella testa questi esseri maschili? Semi di zucca?

«Isabella, loro sono mia nonna, mio padre Carlisle e mia madre Esme… Lei è Isabella Swan, mia moglie» finì la presentazione quasi in un sussurro, mentre, con la coda dell’occhio vedevo che arrossiva leggermente.

“Allora è umano anche lui!” pensai con una punta di soddisfazione.

Subito mi sentii abbracciare, due braccia esili appartenenti a quella che doveva essere mia suocera, mi stringevano con affetto «Mia cara, benvenuta in famiglia, è un piacere conoscerti». Era alta quanto me, con gli stessi occhi verdi di suo figlio dallo sguardo sincero e amorevole, una serie di piccole rughe di espressione segnavano la sua pelle che raggrinziva ad un enorme sorriso emozionato. Una cascata di ordinate onde color caramello incorniciavano il suo viso. Se avessi dovuto pensare al volto materno prototipo, l’avrei immaginato così.

Sorrisi a mia volta ricambiando l’abbraccio «Piacere mio».

«Ti sei sposato?» chiese secca la signora anziana.

«Si nonna, lei è mia moglie» rispose Edward guardando fisso davanti a se.

Mi diede un’occhiata come a valutarmi e già così mi sentii fremere, quando parlò nuovamente fui costretta a stringere la mano di mio marito per rimanere impassibile, quella donna era di una simpatia stellare.

«Potevi avvisarci prima. Andiamo Carlisle, dobbiamo prepararci per la cena» e si avviò verso l’ascensore, sempre al braccio di mio suocero.

Rimasi allibita, che freddezza, non sapevo cosa dire. Poi il padre di Edward mi aveva solo guardato in silenzio, senza dire una parola… ma che famiglia era questa?

 

«Coraggio! Siete sopravvissuti all’iceberg, adesso divertiamoci» ci incitò Tanya, non appena i due personaggi sparirono nell’ascensore.

«Non pensarci cara, vedrai che appena avranno la possibilità di conoscerti, sia mio marito che mia suocera ti adoreranno» mi bisbigliò Esme, stringendo la mano che penzolava inerte al mio fianco.

Al suo contatto mi risvegliai, e, lasciando Edward, abbracciai nuovamente mia suocera con trasporto.

«Dai, ragazza, lascia andare Esme e raccontami come hai fatto a incastrare mio nipote» Eleazar pretendeva attenzione e ridendo mi voltai verso di lui.

«Mi ha rapito nel bel mezzo di una festa e mi ha trascinato all’altare» risposi ammiccando.

Non ci eravamo messi perfettamente d’accordo, ma se lui era intelligente come supponevo, sarebbe sicuramente riuscito ad improvvisare. E poi… che gusto c’era se non lo mettevo un pochino in difficoltà? Mica ero solo io che dovevo soccombere all’assalto del parentado.

«Wow. Cavernicolo cugino!» ridacchiò una nuova ragazza che si avvicinò a me presentandosi.

«Ciao, io sono Kim, la sorella di Leah e tu sei la moglie di Edward? Era ubriaco quando ti ha sposato o gli hai fatto una makumba? Sono anni che stiamo cercando di liberarlo dall’ossessione…».

«Kim ti prego! Basta con questa storia!» intervenne Edward.

«Ok!» alzò le mani in segno di difesa «Devo ammettere comunque che hai dimostrato decisamente un ottimo gusto» disse complimentandosi e scrutando tutto il mio corpo dalla punta dei piedi alle doppie punte dei capelli.

«Come ho già detto al caro Jake... giù le mani da mia moglie, Kim!» ordinò Edward.

Come giù le mani? Cioè solo se fosse stata... oddio! Guardai la nuova cugina con più attenzione.

«Tranquillo, Eddy. Poi sai che i miei gusti sono più simili a quelli di Emm» ribatté ridendo la ragazza. Lesbica.

 

«Ciao gente!». Al saluto mi voltai e vidi un ragazzone, alto quanto Jacob, in costume, che probabilmente tornava dalla spiaggia dopo un bagno, visto che stava gocciolando.

Ma come li alimentavano da queste parti? Era scuro di capelli e con un paio di sorridenti occhi azzurri, resi ancora più maliziosi da un paio di fossette che nascevano ai lati della bocca, anche lei allargata al sorriso. Ma la cosa più impressionante (almeno per me, madama Elisabeth sarebbe scoppiata per il tappeto che il nuovo arrivato stava bagnando) era il torace possente, con dei pettorali e più sotto una tartaruga che faceva a paio con quella del cugino di Edward… e tutte a dire toccami toccami. 

«Ragazza, non ti imbambolare sui loro muscoli! Anche noi vecchietti non siamo messi male» mi prese in giro Eleazar, continuando «Guarda qui! Come loro anche io ho il guscio di tartaruga, loro la parte sotto e io il carapace sopra! Che fisico eh?» e strizzò l’occhio indicando il suo ventre prominente.

Ci misi un secondo per assorbire quello che aveva detto… si dice tartaruga il ventre che mostra i fasci muscolari, perché ricorda il sotto dell’animale, mentre lui si vantava di avere il sopra… iniziai a ridere.

«Se devo essere sincera, apprezzo molto questa curva del benessere, la trovo rassicurante» risposi indicando con un colpetto la sua pancia.

«Edward, questa ragazza è un portento! Se te la fai scappare, a parte disconoscerti, me la piglio io!». Avevo un nuovo spasimante! Wow. Forse era quasi da reparto geriatrico, ma caspita se era simpatico.

«Brutto orso, smettila di spaventarla dicendo stupidaggini! Scusalo, cara, ma quando apre bocca è meglio non ascoltarlo», così dicendo una signora bassina e larghissima, mi arpionò il braccio e mi trascinò in un abbraccio soffocante

«Lei è mia moglie, Carmen, l'unica donna al mondo che ha potuto sopportarmi per più di trenta anni» mi confidò Eleazar mentre io cercavo aria.

«Santa, mi devono fare santa!» commentò la zia «Ma che bella ragazza, Edward, finalmente ti sei deciso» e mi strinse ancora con un sorriso felice.

«Infatti, è quello che dicevo anche io! Avevo quasi perso le speranze con lui. Pensavo che lo facesse andare in pensione» e indicò con il dito un punto non meglio definito sui pantaloni di mio marito.

«Ma zio!» protestò Edward, mentre zia Carmen tirava uno scappellotto a suo marito e tutti gli altri si mettevano a ridere.

«Sino ad ora, la mia consolazione era Emmett, anche se non ci aveva portato a casa le sue ragazze, si dava da fare! Tu sembravi un frate da clausura! Anche io ho una vita sess...»

«Eleazar!». Carmen era rossa in viso e stava sbuffando come un toro. Io avrei avuto paura se fossi stato il marito.

«Tieni a freno la lingua! Vecchio pazzo! O non potrai vantarti ancora per molto!». A questo punto volevo sparire! Ma davvero stavo ascoltando una conversazione sul sesso di due persone di circa sessanta anni? Forse era giunto il momento di chiedersi quando arrivasse la pace dei sensi. Diciamo che la prospettiva di tutta questa attività, in un certo senso, mi rendeva euforica: avevo davanti ancora parecchi anni. Wow.

 

Sentii vicino a me una nuova presenza.

«Ciao, io sono Emmett, la consolazione di zio Eleazar. E tu chi sei, piccola venere?» mi chiese con fare seducente. Non fosse perché ero sposata con suo cugino, che tra parentesi era più carino di lui, e visto che lui era un gran pezzo di figo, era tutto dire, e non fosse stato che era per colpa sua che io ero legalmente sposata con Edward-me-ne-faccio-una-ovunque-anche-in-aereo-Cullen, (e credo che questa cosa mi resterà sullo stomaco ancora per un po') mi sarei lasciata facilmente conquistare… invece di fare un passo verso di lui e pestargli il piede. “Questo è per il matrimonio legale” pensai.

«Ops, scusami. Sono mortificata! Ma che piede hai? È lunghissimo, cammini sulle acque per caso?». Un flap flap innocente dei miei occhi e fui perdonata all'istante per il pestaggio. Avrei voluto usare il tacco a spillo che avevo nel baule, ma non avevo tempo per cambiare scarpe. Pazienza.

«Figurati, sei così leggera che non ho sentito nulla». “Sì, dillo a tua sorella” pensai guardando la smorfia che aveva ancora dipinta in volto.

«In ogni caso, non cammino sulle acque. Quella era una moda di duemila anni fa, ora questi piedi si usano per lo sci d'acqua, o per fare massaggi sulla schiena... vuoi provare?». E questa volta il flap flap dell'occhio innocente era il suo.

«Emmett, sono colpita! Piacere, sono Isabella, la moglie di Edward. Però tu chiamami Bella, preferisco.» e gli tesi la mano, che strinse con vigore, accompagnandola con una risata.

«Edward, tua moglie è proprio sveglia! Bella, mi devi raccontare tutto di te!» mi disse con il sorriso più aperto e sereno che conoscessi. Doppiogiochista!

«Facciamo così, Emmett. Io ti do, nome, cognome, certificato di nascita e codice previdenza e tu indaghi su tutto il resto. Ok?» risposi con il mio miglior sorriso falso come una moneta da tre dollari.

«Edward! Cosa le hai detto!». Stavo per scoppiare a ridere, era quasi furente il detective.

«Solo la verità, cuginetto. Tu non la prendere in giro e lei farà la brava.». Domanda: mi considerava cattiva? Perché se era così, non aveva ancora visto nulla. Ghignai soddisfatta.

«Tigrotto, sono molto stanca, possiamo andare a riposarci un pochino?» mi voltai verso Edward, con l'espressione più naturale che potessi fare. Avevo la faccia che rischiava la paresi.

«Ogni tuo desiderio è un ordine, micetta» mi rispose, cercando di soffocare una risata, che si sfogò direttamente nel suo sguardo divertito. Mi indicò le scale e prendendomi per mano salutammo le persone presenti e iniziammo a salire le scale.

 

Quelle sala era davvero scenografica, vista dall'alto.

Al primo piano si dipanavano tre corridoi in altrettante direzioni.

«Vieni da questa parte» mi invitò Edward, lasciando la mia mano. «I nostri bagagli sono già in camera, compresi i tuoi bauli. Marcus è rimasto decisamente scioccato, ha detto che neanche Alice aveva osato tanto» disse ridacchiando.

«Chi è Marcus?» chiesi, sperando che non fosse un altro parente, per oggi era stato sufficiente.

«Diciamo che è il maggiordomo, il capo supremo delle persone che lavorano qui dentro, una specie di amministratore». Che cosa complicata, quasi rimpiangevo il mio semplicissimo bilocale... mica sono scema, ho detto quasi.

«Eccoci arrivati» e con un gesto teatrale, spalancò la penultima porta del corridoio che stavano attraversando entrando in quella che sembrava un mini appartamento.

 

Appena chiusi la porta della camera tirai un sospiro di sollievo e mi voltai per ispezionare il luogo dove avrei trascorso due mesi in compagnia di Edward. A ben pensarci ero leggermente imbarazzata... insieme, nella stessa camera... di notte...

“Bella non ci pensare neanche! C'è sempre la questione della hostess di mezzo!” certo vocina, certo. Dignità prima di tutto.

In quel momento mi accorsi che mi stava guardando, aspettando che mi svegliassi da questa catalessi che mi aveva presa negli ultimi cinque minuti.

«Ciao, ti ricordi di me?» chiese ridacchiando «Sei incredibile Bella, un momento ci sei e un attimo dopo sei sulla luna».

«E' una di quelle abilità speciali che i professori adorano, li fa sentire presi in giro e ti schiaffano dal preside» risposi con tutta la calma del mondo. Con il preside del liceo avevo anche instaurato un buon rapporto, praticamente ci vedevamo un giorno ogni due, io portavo i biscotti, lui metteva il tè e facevamo il nostro spuntino di mezza mattina.

Mia madre, dopo essersi risposata con un famoso giocatore di baseball, non poteva avere una figlia ignorante, spersa nelle lande desolate di Forks, (non che mi piacesse, infatti ero scappata appena possibile). Così mi aveva mandata in una scuola privata carissima, sempre dispersa nelle lande verdi e desolate dello stato di Washington, dove tutti erano ingessati e in divisa, e lì mi aveva rinchiusa quando non stavo con mio padre. Guai a rovinarle la nuova vita, lei mi accudiva nei mesi di scuola (a scuola), mio padre gli altri, affidamento congiunto lo chiamava...

«... però c'è un letto solo. Va bene?». Ecco lo sapevo, avevo perso altri minuti di vita.

«Come scusa?» chiesi guardando Edward con occhio innocente.

«Bentornata! Dobbiamo fare qualche cosa per questi viaggi, un giorno di questi ti troverai nei guai. Dicevo... Questo è il salottino, lì c'è il bagno e l'altra stanza è la camera da letto, però il letto è uno solo, quindi dovremo dividerlo» mi spiegò rapidamente ma a me rimase in testa l'ultima parola: dividerlo. Ma non se ne parla neanche! Io assieme all'assatanato, nello stesso letto? Con uno che non riesce ad acquattare il suo coso senza scopatina giornaliera? Uno che se ti mette la cintura di sicurezza sembra un polipo? Uno... beh, a ben pensarci, uno così... no no no no no! Neanche morta! Anche perché in quel caso farei veramente poco, correggo il tiro: neanche in punto di morte! Però sarebbe l'ultimo desiderio di un condannato, chi lo saprebbe? No! Neanche... neanche! Punto. (non mi veniva altro per convincermi, ma giuro che mi ero convinta).

 

Presi le mie cose, senza degnarlo di risposta.

«Vado a farmi una doccia» annunciai e mi diressi verso il bagno, mentre lui annuì incupito.

L’acqua calda era rilassante, il doccia schiuma profumato, lo shampoo con relativo massaggio cutaneo tranquillante. In una parola uscii dal box nuovamente allegra, basta poco e i piccoli piaceri della vita possono fare miracoli.

Cercai l’accappatoio tra i ripiani e non trovai altro che asciugamani talmente piccoli da non coprire un neo.

«Bella! Hai finito? Volevo parlarti di quello che è successo oggi in aereo». L’irritazione per la mancanza di un telo adeguato, si sommò alla visione stampata indelebile nella mia memoria: lui e il suo collo rosso, al quale avrei voluto avvolgere la mia sciarpa di chanel, in quel momento. E stringere.

«Lascia stare» intimai.

«No, non lascio stare. Voglio che mi lasci spiegare quello che è successo» alzò la voce.

«E io non voglio sentirti!» risposi alzando anche io la voce per farmi sentire attraverso la porta chiusa. “Oh! Eccoti dove eri finito gran bastardo di un asciugamano. Non è enorme ma mi devo accontentare. Oggi credo di aver utilizzato la parola bastardo un po’ troppe volte. Meglio cambiare con altro… brutto figlio di p… no, non va bene neanche questo: che colpa ne hanno le mamme se i figli gli sono usciti così? Accontentiamoci di bastardo” i miei pensieri andavano pari passo con la conversazione.

«Bella, non fare la bambina! Voglio spiegarmi e tu mi ascolterai!» mi intimò alzando ancora di più la voce. Ormai stavamo quasi urlando.

«Quello che hai fatto è stato più che sufficiente e non credo di avere bisogno del disegnino per capire come funzionano certe cose!». Insomma che pretendeva?

«Oh, certo! Non sia mai che una donna possa ascoltare delle scuse. Se siete voi a dire “Caro devi ascoltarmi” pronti via sull’attenti o sareste capaci di dare fuoco alla casa con le sole parole, ma non sia mai che una di voi si abbassi a sentire gli altri». Ma come si permetteva?

«Io ascolto e vedo!» gli urlai mentre mi frizionavo i capelli. Adesso basta!

«Ma cos’hai? Il ciclo, per essere così acida?». Lo ammazzo! Adesso lo faccio fuori, divento vedova e mi piglio tutta l’eredità. Lo faccio per soldi? No! È la soddisfazione intrinseca nell’atto!

 

Uscii dalla porta come una furia, con l’asciugamano avvolto sul corpo che copriva a mala pena seno e fianchi.

In quel momento la porta si aprì ed entrò un ragazzino di 8 o 9 anni, timido che ci guardava con occhi sgranati

«Oh» riuscii solo a dire, Edward, invece, neanche quello.

Nello stesso istante della mia intelligentissima esclamazione, successero una marea di cose tutte insieme: la porta aperta della stanza fece corrente con l’apertura del bagno, la porta del suddetto bagno si chiuse in modo violento, la risuddetta porta del bagno impigliò un angolo del mio asciugamano chiudendosi, io feci un passo avanti, inconsapevole dell’intoppo e mi ritrovai… nuda. Nuda più di un verme nudo. Io! Che non avevo mai fatto neanche le foto nuda sul lettone quando hai quattro mesi. Io! Che se non fosse perché mi sentirei un pochino strana, nuoterei con il burkini in piscina. In camera da letto sì, ma mi vede solo chi voglio io!

Io nuda davanti a un bambino di 8 anni! Voglio morire! Ti prego pavimento apriti e inghiottimi all’istante! Mi daranno della depravata!

 

Come colpito da una molla, la mano di Edward si lanciò davanti agli occhi del bambino, mentre guardava me con due occhi che stavano per staccarsi dal resto della testa.

Io intanto mi coprivo con le braccia e non sapevo più come nascondermi. Mi voltai e cercai di strattonare l’asciugamano per recuperarlo, offrendo agli occhi di mio marito anche il lato B (tanto ormai…)

«Seth, tesoro, esci per favore» invitò mio marito.

«Ma io voglio vedere» protestò il bimbo. Mica scemo! Solo che era troppo presto per una sessione di Playboy.

«Non c’è niente da vedere. Cosa volevi?» chiese Edward nel tentativo di cambiare argomento, mentre io mi ricoprivo e lui riusciva finalmente a spingere Seth, fuori dalla nostra porta.

«La zia mi ha mandato ad avvisarti che tra un’ora si cena e si è raccomandata di essere puntuali e di litigare sotto voce» riferì compito, cercando di alzarsi sulle punte per sbirciarmi ancora.

«Grazie. Riferisci pure a nonna Elisabeth che saremo puntuali» e chiuse la porta.

Poi si girò sospirando, mi guardò e si mise a ridere. Rideva e rideva con le lacrime agli occhi.

«Cosa ti è saltato in mente? Vuoi traviare un bambino adesso?» riuscì a chiedere dopo essersi leggermente calmato.

Effettivamente la situazione ora sembrava buffa anche a me, e se non fosse stato per evitare di dargli soddisfazione, mi sarei messa a ridere anche io.

Nel frattempo mi ero indirizzata verso la camera a cercare gli indumenti da indossare per la mia prima cena in famiglia.

 

Ero quasi pronta, quando sentii bussare alla porta. Sbirciai. Edward aveva appena finito di fare una doccia ed andò ad aprire con un asciugamano annodato ai fianchi e un altro con cui frizionava i capelli bagnati. Decisamente un bel vedere.

«Seth ci ha detto che qui c’è una donna che si fa vedere nuda» annunciò una voce piena di ilarità, accompagnata da altre che mugugnavano.

«Zio Eleazar, Jacob, Garrett… anche tu Alec? Vergognatevi!» rispose Edward cercando di trattenere le risate. Io, in camera, andavo a fuoco.

«Ma Seth l’ha vista! Perché noi no?» protestò Alec, il ragazzino.

«E’ stato un incidente. Adesso comportatevi da adulti. Garrett, mi vergogno di te! Questo è tuo figlio! Ha solo 12 anni! Zio, è tuo nipote, insomma» cercò di sgridarli, ma la sua voce era tutto tranne che seria.

«Oh! Insomma nipote! Non si è mai finito di imparare! E poi meglio dal vivo che sulle pagine di una rivista, così gli spiego tutto per benino»

«Emmett! Grazie al cielo! Prendi questi quattro depravati e portali di sotto! E ringraziate che non vado dalle vostre mogli e madri a lamentarmi» minacciò mio marito.

«Veramente, Eddy, mi hanno detto che qui ci sono donne nude…» si giustificò il nuovo arrivato.

«Ma siete impossibili!» e chiuse la porta.

Ero ro-vi-na-ta! Potevo tranquillamente tornarmene a casa.

 

Edward, bussò allo stipite della porta facendomi voltare.

Ormai ero pronta, un abito di misto lino, con pantaloni larghi e morbidi e una blusetta a maniche corte e scollo quadrato, color sabbia mi davano un’aria leggermente seria.

«Ho una proposta!» annunciò continuando ad asciugarsi i capelli.

«Parla» invitai, rivolgendo la mia attenzione verso la cintura intrecciata con pendagli, color cuoio, di uno stile leggermente etnico, da abbinare con i sandali.

«Io ti giustifico con tutti e ti faccio da parafulmine, e tu mi ascolti buona buona su quanto è veramente successo sull’aereo». Come proposta non era male, avrei sentito le sue scuse banali, avrei fatto finta di crederci e lui mi avrebbe sostenuto sotto lo sguardo da brividi della matriarca.

«E se non accetto?» lo provocai. Lui mi sorrise serafico, mentre raccoglieva i boxer e si incamminava verso il bagno.

«Te la vedrai direttamente con nonna Elisabeth. Sarà mia cura posizionarti vicinissima a lei, questa sera a cena!» e gli sfuggì un ghigno.

«Vicino a tua nonna? Accetto! No dai, scherzavo! Ti ascolterò talmente buona che ti sembrerò adorabile!» promisi. Tutto pur di evitare cuore di ghiaccio.

«Tu sei adorabile… quando vuoi» confermò chiudendo la porta.

 

Puntualissimi, entrammo nel salone da pranzo dell’albergo. Tutti i tavoli erano accostati alle pareti, tranne uno lunghissimo, al centro, esattamente sotto il lampadario di cristallo.

Stava per iniziare la mia prima cena nella famiglia Cullen.

 

----ooo00O00ooo----

 

 

Angolino mio:

Mi auguro davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, io l’ho trovato divertente (soprattutto i parenti che andavano a vedere la donna nuda…).

 

Allora, abbiamo conosciuto altri parenti, abbiamo incontrato la matrona, lo suocero taciturno, la suocera amorevole, lo zio e la cugina pazzerelli, varie cugine un pochino più serie, e traumatizzato un bambino in età prepuberale!

 

Direi che è andato tutto liscio per poter affrontare la cena,

Non sarà una cosa lunga però, dobbiamo ancora sentire quanto ha da dire Eddino per l’incontro de fuego con l’assistente di volo, e poi, come tutti i bravi bambini… a nanna!

 

Il titolo del prossimo capitolo sarà: Prima notte.

Dopo la prima cena, dove speriamo che non ci siano altri intermezzi imbarazzanti per Bella, proseguiremo sino alla camera da letto. Non pensateci neanche! Pervertiti/e! niente sesso!

Posterò il prossimo capitolo tra 15 giorni, so che è tanto ma vi prometto un capitolo lunghetto come questo!

 

Grazie per l’attenzione e

baciotti

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=772649