Mia cara,
So di arrivare qui con un imperdonabile ritardo, ma ho avuto bisogno di assaporare lentamente queste parole e di assimilarle, prima di lasciare traccia del mio passaggio.
Leggere questi tre capitoli è stato un po’ come andare sulle montagne russe: siamo passati con una velocità a tratti spiazzante da quella che aveva tutto il sapore di una ritrovata serenità, fatta di ricordi che sembravano non fare più male, a un nuovo – e a mio parere inevitabile, come se fosse nell’aria e minacciasse già da tempo di verificarsi – crollo di Sally, che di lacrime ne ha versate e me ne ha fatte versare. La sua sofferenza è sempre un pugno dritto allo stomaco: insieme riuscite quasi a farmela sentire mia, e senza averlo programmato mi ritrovo un po’ a parteciparla e a viverla, rimuginando su di essa, come se comprenderla potesse aiutarmi a scoprire una qualche verità universale.
Ho letto il primo di questi tre capitoli con un sorriso intenerito dipinto sul viso. Il piccolo John è stato una sorpresa meravigliosa: una di quelle che ti fanno portare la mano al cuore e ti lasciano con gli occhi un po’ arrossati, ma innegabilmente felici.
Il Masterplan ha fatto il suo corso e ha concesso a Kristin il regalo più bello che potesse darle, quasi come se in tal modo stesse cercando di chiederle perdono per ciò che le aveva tolto. Un nuovo essere umano che nasce per riempire il vuoto lasciato da chi ormai si è spento: in fondo è questa, la vita, nella sua accezione più globale; energia che non muore, ma che si trasforma in altro per continuare ad esistere. John vivrà sempre in quel figlio che non ha mai conosciuto, e che da grande potrà solamente essere orgoglioso di suo padre.
Liam, il caro Liam, l’ho apprezzato a dismisura, con il suo classico atteggiamento e con quei soliti modi che riescono sempre a fare sorridere e che ci regalano una bella ventata di freschezza.
Lui e Sally, insieme, sono uno spettacolo imperdibile; portano sulle loro spalle lo stesso passato, la stessa storia, che – nel bene e nel male – ha sempre contribuito a unirli, a tenerli vicini, ed è meraviglioso come tra di loro non servano le parole per comprendersi. Ho letteralmente amato, poi, che Liam abbia fatto quel discorso a suo fratello: è quello che abbiamo pensato tutti, ed è quello che io stessa, fossi stata lì in mezzo, gli avrei urlato addosso parecchio tempo addietro.
Il capitolo successivo è stato uno schiaffo in piena faccia, ma non era del tutto inaspettato: sapevo che Sally non avrebbe potuto lasciarsi il passato alle spalle per davvero. Era stata una felicità, uno stato di benessere drammaticamente illusorio, ed è bastata quest’amata e amara Inghilterra a togliere ogni dubbio a riguardo.
La nascita di Victoria è stata pura gioia – a proposito, bisognerebbe complimentarsi con Kate per il nome meraviglioso –, ma, per quanto immensa, non è stata sufficiente a impedire a Sally di fare i conti con se stessa. È incredibile quale effetto riesca a farle, quella maledetta pioggia.
Solo la settimana scorsa mi sono ritrovata a scrivere qualche riga di un nuovo capitolo di una mia storia, e sorrido se penso a come quelle parole da me frettolosamente e inconsapevolmente appuntate possano, a modo loro e con estrema umiltà, richiamare quanto ho appena letto, ed è per questo che mi sento in dovere di condividerle con te:
“[...] La pioggia inglese [...] non è una semplice precipitazione atmosferica, quanto piuttosto una vera e propria forza esterna capace di scavarti sin dentro le ossa, di rimanere in circolo nelle vene, di rimescolare le carte in tavola, fino a quando tutto non sembra diverso, fino a quando tu stesso non sei diverso; e, nelle tue narici, l’odore di quell’acqua che ti ha appena bagnato il viso sa degli sbagli che hai commesso, delle scelte che hai fatto, degli amori che ti hanno distrutto dall’interno e di quelli per cui hai lottato fino a non avere più aria nei polmoni. La pioggia inglese saprà sempre come costringerti a fare i conti con te stesso: sta a te decidere se lasciarti sopraffare o se combattere per rimanere in piedi”.
In quella pioggia, è come se Sally vedesse se stessa, ciò che è stato, ciò che forse mai più potrà essere. E posso vederla, nitida e reale, mentre combatte contro il mondo, contro i ricordi, persino contro se stessa, mentre quelle dannate lacrime la svuotano e la destabilizzano. Deve riflettere, deve pensare, deve capire cosa vuole realmente, a cosa sarebbe disposta a rinunciare, e cosa invece dovrebbe correre a riprendersi per essere felice. Lasciare andare ciò che potrebbe distruggerci, o fare finta che abbia smesso di accompagnarci passo passo nel caos dei nostri giorni, non sempre è la chiave, e raramente è la scelta giusta. Meglio affrontare faccia a faccia i nostri demoni.
Per cui affrontali, Sally: di petto, a cuore aperto, come se non avessi paura di niente a questo mondo, e non importa se farà tanto male da lacerarti l’anima. È l’unico modo per renderti finalmente, veramente libera.
E Matt ha ragione, terribilmente ragione: è arrivato il momento che Sally cresca, che la smetta di ergere un muro tra se stessa e le persone che la amano e gliel’hanno sempre dimostrato; è giunta l’ora che comprenda che contemplare passivamente il suo dolore è solo un’attività sterile che non potrà aiutarla.
“Sally e Noel cosa sono”. Ce lo chiediamo da parecchio tempo, ormai, e dubito riusciremo mai a trovare una risposta che possa soddisfarci. Vorrei essere in grado di capirlo, di trovare una chiave di lettura, ma mi sono arresa: perché, d’altra parte, definirli? Definire è limitare, e loro non lo meritano.
In quest’ultimo capitolo, Sally ha detto una sacrosanta verità: il suo rapporto con Noel è una malattia. Per quanto riesca a togliermi il fiato, a ridurmi con le lacrime agli occhi, potrei mai affermare il contrario? Sarei una cieca se lo facessi. È una malattia che la logora, che la devasta, che la uccide lentamente. Per un folle istante ho istintivamente pensato a Heathcliff e Catherine di Cime Tempestose e a questo loro amore maledetto, che alla fine ha portato entrambi alla distruzione – non per nulla è uno dei miei romanzi preferiti.
Ho apprezzato la scelta di Sally di non seguire Matt a New York, comunque. Lui mi piace, mi sta simpatico, ma Sally è sempre stata indipendente e sempre dovrà esserlo. È una donna che non è disposta a rinunciare a ciò che ha costruito faticosamente con le proprie mani solo per un uomo, e non potrei essere più d’accordo di così.
Se il Masterplan vorrà far funzionare la relazione tra Sally e Matt, neanche quei tremila chilometri potranno dividerli.
Devo dirti che mi è piaciuta molto, poi, questa “passeggiata” nella vita della nostra blondie attraverso gli anni. Ci hai catapultati in un paio di capitoli dal 2003 direttamente al 2007, come se nulla fosse cambiato e Sally fosse sempre la stessa. Ho sorriso spontaneamente nel constatare che avesse già trentasei anni; d’altronde, l’abbiamo incontrata per la prima volta che era ancora un’adolescente intrappolata tra le strade di Burnage; l’abbiamo vista crescere, amare, ridere e soffrire, e l’abbiamo osservata mentre si realizzava e diventava la splendida donna che è adesso.
Tuttavia, continuo a pensare che lei sarà in eterno quella ventenne che, sempre più incasinata, camminava per i backstage con quella macchina fotografica stretta tra le mani e quell’amore negli occhi che, nonostante tutto, le ardeva dentro e riusciva a farla sentire un po’ più viva.
Ma adesso devo proprio andare. Non so quanto senso possa avere ciò che ho appena scritto, ma questo caldo asfissiante si diverte a liquefare i miei poveri neuroni. Credo di poter giustificare in tal modo i miei deliri.
Ti ringrazio anche stavolta, dolcissimo tesoro, per le perle che ci regali. Trovare un nuovo capitolo della vita della nostra Sally è come bere un tè bollente in una fredda notte d’inverno.
Un abbraccio fortissimo,
Jules |