Questo tuo scritto mi ha fatto pensare alla comunissima e banalissima allegoria del tunnel.
Hai usato dei riferimenti quasi agghiaccianti. Ghiacciati quanto l'inverno che ti ha fatta morire.
Sei spietata. E' come giocare a tiro a segno: tu hai conficcato quell'affilato coltello nell'intimità del lettore e ci hai ''giocato'' morbosamente fino a deteriorarlo completamente.
Avevo intravisto una luce. O forse l'avevo solo immaginata.
''Ma io. Io.'' ... mi aspettavo quasi di vederti risalire a galla. ''Io non sono''.
Cioè ... tu non sei viva, non sei morta, tu non sei.
Sì, mi considererai una secchiona, eppure per farti comprendere ciò che ho sentito io scorrere nelle vene quando l'ho letta devo per forza farti l'esempio: Democrito. L'essere e il non essere. Il vuoto e la materia. Gli atomi e il niente.
Tu non sei viva, non sei morta, non sei, non esisti.
La definisco inquietudine.
E se tu non fossi o se tu fossi nulla e quindi: se tu non esistessi ... come saresti capace di sentirti ''scavata'' dal dolore? Il nulla non può essere neppure pensato. Il ''non essere'' non è, non esiste, non è comunicabile, visibile o pensabile.
Tu sei. Ma cosa? Ma chi?
Hai definito la mia poesia cruda e cruenta. Beh, ti dico che questo componimento non lo è.
Il crudo e il cruento sanno solo colpirti, rapirti, inchiodarti.
L'inquieto entra in te e permane fino a dissolversi e a far parte di te.
Ripeto: sei stata spietata. E il risultato sai qual è stato? Il radicale avvicinamento tra te ed il tuo pubblico.
Il tuo dissidio è diventanto il nostro dissidio.
Mi complimento per la tua bravura, ma soprattutto mi inchino per il tuo saper tramutare il male in un male ''comune'' a tutti noi. Questa è la tua valvola di sfogo e la sai manovrare benissimo.
Un grosso saluto, davvero brava.
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