Recensioni per
La leggenda del violinista sull'oceano
di Inathia Len
Ti prego, dimmi che hai cambiato la fine, perché se finisce come il libro io ho la sensazione che salterò per aria con il mio Lock. Sì, Lock, perché diciamocelo: Sherl fa cagare. O come minimo morirò di disidratazione. E Dio, signori e signore: F. Andom (inutile, non lo chiamerò mai con il suo nome completo) shippa Johnlock. Un applauso al nonno. Ok, vado a mororire, ciao ciao. |
Sai che la mezza-citazione del "quadro" mi ha fatto sorridere? Sì, ho pensato troppo al film che mi ha fatto soffrire come non mai. |
La tristezza. E la recensione potrebbe fermarsi qui. Sul serio. Questo capitolo è davvero la tristezza. Ma, da brava masochista (leggasi fangirl) confido in capitoli ancor più strappalacrime, for angst in the only way. La bellezza di questo capitolo giace nel essere completo dal punto di vista di John, ma non da quello di Sherlock. Per John è giunto il momento di tirare le fila, la storia è conclusa, le confessioni svelate. Per Sherlock non è così, lui ha ancora spiegazioni da fornire, ancora deve raccontare dal suo punto di vista l'impossibilità di scendere dal Virginian e l'ingloriosa fine della nave - e della sua vita. |
Vorrei trovare le parole per commentare questo capitolo, ma sono letteralmente incapace di tradurre a parole ciò che ho provato leggendo, perciò ti descriverò la mia situazione appena finito di leggere, poche ore fa. Immobile davanti al computer, non riuscivo a guardare lo schermo, un po' come John non riesce a guardare il viso di Sherlock alla fine di The Sign of Three (ma senza tutta quell'allegria); continuavo a muovermi e a massaggiarmi il naso e la mascella come John dalla psicoterapista, preso dallo sconforto e dal disagio, e lo sto facendo anche adesso mentre scrivo, ricordando come mi sentivo prima. E come John ritornando al 221B dopo due anni ha dei flash dei bei vecchi tempi in cui viveva lì con Sherlock, le immagini che mi sono creata leggendo ora mi danzano davanti agli occhi: il quadro che cade e cade e continua a cadere. Il fatto che Sherlock e John sono un po' come il quadro e il chiodo: sempre attaccati, ma senza mai comunicare davvero; un chiodo senza quadro è infelice e fuori luogo, ma un quadro senza chiodo non serve a nulla, perché non lo puoi appendere alla parete e quindi non puoi ammirarlo; il quadro dà uno scopo al chiodo, e in cambio il chiodo lo sorregge; e anche se il quadro oscura completamente il chiodo, tu sai che quello è lì, perché senza di lui il quadro giacerebbe a terra, dimenticato, in una qualche stanzetta buia. Come un covo di drogati. Ad esempio. E John che finalmente ammette APERTAMENTE i suoi sentimenti, e il Nonno che si comporta come un'adolescente maliziosa. Sherlock e John che ridono e fanno progetti su un futuro che non si avvereranno mai. La loro... paralisi, al momento di salutarsi (Fun Fact: avevo digitato "suicidarsi" al posto di "salutarsi" e me ne sono accorta solo mentre rileggevo tutto quanto. HOW VERY TELLING). "Bitterness is a paralytic. Love is a much more vicious motivator" diceva Sherlock, e guarda come corre John quando realizza che Sherlock è ancora sul Virginian... |