Carissima,
Non sto qui a dirti da quanto tempo tu sia nella mia lista da autori da leggere, ma siamo nell’ordine degli anni – sì, io sono un pochettino scandalosa di mio e, quando la vita e gli impegni ci mettono lo zampino, questo è il risultato…
Come dicevo, è un po’ che punto la tua bibliografia, perché si concentra sia su personaggi bistrattati e da Kurumada – sommo cialtrone tra tutti i cialtroni – e dal fandom, che quanto a cialtronate di riflesso non scherza affatto; sia su personaggi per cui ho un debole celato male, Aphrodite su tutti.
Del resto, di deboli, io ne ho tanti, inclusa la brevità – narrativa; ahimè, come noterai, nel commentare, tendo a dilungarmi oltre i limiti della decenza, e te ne chiedo venia sin d’ora. La brevità forza chi scrive alla cura per l’importanza del dettaglio e chi legge ad una maggiore attenzione, a cogliere il peso di ogni parola. Raccontare una storia, evocarla, raccogliere un concetto chiaro e concluso, in un unico giro di frase è un esercizio di stile che fa onore a chi ci si cimenti con successo – già ti dico: cheapeau! – e che, soprattutto, arriva al lettore con un’immediatezza che scritti più articolati sovente tendono a perdere. La brevità non fa sconti, a nessuno. Sarà per questo loro lato così spietato, che le cose brevi tendono a piacermi immensamente.
Comincio, dunque, da qui, perché c’è bisogno di più storie come la tua, di più riflessioni, studi, racconti su personaggi come Misty – su di lui, credo di essermi sinora imbattuta soltanto in un paio di drabble di Francine.
Ho letto questa tua raccolta tutta d’un fiato. È ammirevole come questi tasselli, frammenti di un uomo, singoli giri di frase, vengano assieme in un mosaico per nulla scontato, tratteggiando un ritratto complesso, sfaccettato, di quello che è sì un antagonista – senza scuse – ma che tu presenti in una luce più sottile, cangiante, di quella che appiattisce gli antagonisti sulla cattivissima cattiveria, in fin dei conti di poco interesse. Ho riflettuto su se lasciarti un pensiero d’insieme, conclusivo, ma sono giunta alla conclusione che limitarmi a ciò non avrebbe reso onore alla struttura frammentaria di questo lavoro, all’importanza di ogni parola. Farò però del mio meglio per evitare di scriverti un commento interlineare – rischio serissimo: deformazione professionale – un poco alla volta.
Mi piace la tua scelta di caratterizzare il rapporto che Misty ha con la propria bellezza come una forma di consolazione – la sola che conta, in fondo: quella di fronte al pensiero della propria fallibilità e dunque della morte. Mi piace perché, in fondo, è una caratterizzazione che va dritta al sodo. Così come la consapevolezza di un vuoto interiore – di quella che più avanti definirai un’aridità dell’anima – che quest’uomo ha, assieme alla consapevolezza che è quel vuoto, quel senso di abbandono a spingerlo a cercare amore, ammirazione, la celebrazione della propria bellezza, delle proprie gesta. Qui, però, a me sorge il sospetto che Misty stia prendendo una grandissima cantonata nella propria valutazione di sé, o che sia un caso di autoinganno bello e buono, perché tanta consapevolezza di sé, nel bene e nel male (soprattutto nel male) mal si concilia con l’essere davvero completamente vacui e superficiali. Questo Misty è una contraddizione, come tutte le persone vere, in fondo; e nell’essere così contraddittorio è vero, è vivo, è credibile. Anche solo in un giro di frase. |