Vedi che non ti ho dimenticata....Il tuo modo di scrivere e ciò che racconti li ho messi al sicuro tra le “Storie da recensire”, e penso che, leggere delle osservazioni che possano testimoniare la qualità dei propri pezzi, per un Autore/trice sia molto utile. Detto questo, arrivo al presente capitolo.
C’è un primo commento da fare che riguarda la forma del testo. Infatti hai impostato il capitolo con la struttura di un blog, del blog di John, per la precisione.
Questo ci regala un punto di vista privilegiato perché possiamo leggere il flusso di pensieri che John fissa sullo schermo. Il tuo stile, qui, si adegua perfettamente al contenuto perché non ci sono, volutamente, strutture stilistiche complicate in quanto sono discorsi e, quando si parla a ruota libera, il modo di costruire le frasi è meno “ingessato”, cioè segue ciò che esce dal cuore. Così veniamo accompagnati, in quello che dovrebbe essere un percorso di elaborazione del lutto, da una raffica di pensieri che si accavallano l’uno sull’altro e che tu hai espresso con una sequenza prevalentemente di verbi, scelti con cura, che ricostruiscono un panorama emotivo in completo subbuglio.
Sappiamo che lo scrivere, diario tradizionale o blog che sia, non ha importanza, è uno degli aspetti della terapia che Ella ha consigliato a John dopo il tragico “volo” di Sh dal tetto del Barts. John trova la forza per farlo e, nelle prime righe troviamo, dilaganti, un senso di vuoto, di rabbia, di frustrazione e, ovviamente di dolore, oltre alla terribile nostalgia di Sh e l’incredulità per ciò che è successo. Però, progressivamente, andando avanti nella lettura, si notano prima delle quasi impercettibili aperture alla realtà circostante, poi quella che sembra una convinta rassegnazione, nonostante rimanga, silenzioso ma vivo, il sogno assurdo che Sh ritorni (l’ormai mitico “Please, Sherlock, don’t be dead”).
Penso proprio che sia stato un lavoro molto difficile il tradurre un percorso psicologico così particolare e mantenergli la caratteristica fondamentale della credibilità. Ma a te è riuscito molto bene infondere una solida verosimiglianza introspettiva alla confessione di John. Interessante è il reiterare di termini che si riferiscono alla rabbia (“...sono ancora arrabbiato...così arrabbiato...”) soprattutto nell’ultima parte, prima del momento in cui hai riportato un passo del vero blog di John. Dal punto di vista psicologico risulta ciò che resta dopo l’annichilimento iniziale, il disorientamento, i complessi di colpa...A John rimane soprattutto la rabbia e questo mi ricorda moltissimo il John che abbiamo visto nella S4, che ancora non è riuscito a perdonare Sh per averlo lasciato fuori dai suoi piani. Parlavo prima di aperture alla realtà che il medico manifesta nelle sue parole: mi riferisci, per esempio, al fatto che venga citata “una persona” che è riuscita a farlo sorridere. Ed il fatto che venga citato questo particolare accanto all’esortazione rivolta a Sh di tornare, beh, è decisamente rivelatore dello stato d’animo di Watson. Sei cioè riuscita a tradurre il suo dolore, la sua disperazione ma anche la forza per riuscire ad andare avanti. Ma c’è anche l’irrazionale (ma reale!) sensazione che Sh possa tornare. Penso proprio che, la persona che viene citata e che è riuscita a trasmettergli qualcosa di positivo, sia Mary. E qui mi viene l’ansia perché quel personaggio non l’ho mai potuto sopportare.
Questo capitolo mi è piaciuto perché mi riporta al tragico clima di TRF, grandissima puntata dello Sh dei Mofftiss, in cui John si trova di fronte ad un delirio che sconvolge la sua vita. Del dopo Reichenbach, dai Mofftiss non sappiamo più alcuna notizia che ci possa dare un’idea del suo stato psicologico. Con la tua storia ne stai ricostruendo un quadro credibile, senza banalità o facili risvolti lacrimevoli.
Brava. |