Questa storia mi ha ammaliata, come del resto s’addice perfettamente ad una fiaba.
Ho meditato lungamente su cosa scrivere e da dove cominciare, perché c’è così tanta ricchezza di stile e di intertestualità, così tanta pregnanza di mito e di letteratura (all my favourite things!, parafrasando la canzonettta), che è difficile calmare gli entusiasmi e mettere a tacere la vocina che da ieri mi sta salmodiando in testa un costante bella, bella, bella, bella, per lasciarti un commento un minimo coerente. In ogni parola, in ogni giro di frase, c’è un incanto.
A me piacciono le fiabe, le riscritture delle fiabe, ed i pastiche letterari sulle fiabe – ai tempi dell’università, ebbi una breve ma intensa fase d’entusiasmo per Angela Carter e da allora mi gusto le riscritture di fiabe in tutte le salse. La fiaba è, per sua natura, profondamente intertestuale. Per sua natura, la fiaba è una riscrittura – evidente nella fiaba rinascimentale e barocca, che riscrive e ribalta i classici (ah, Perrault!); ma anche in quella romantica e vittoriana, che aggiunge alla componente classica ed al dialogo con la letteratura precedente anche il lato di folklore, almeno nelle dichiarazioni d’intenti. Che poi le undine, da cui le sirene di Andersen, siano le undine germaniche o gli spiriti delle acque di Ovidio & co., o un innesto delle due, ha poca importanza. Quello che conta è che la fiaba si presti ad essere intrecciata e tessuta con altri materiali narrativi, che sia essa stessa un tessuto di materiali narrativi disparati. E qui tu ci stai intessendo un nuovo arazzo prezioso, di cui ho l’impressione che tu ci stia lasciando scorgere ancora solamente un angolo, scorcio incantevole, nascondendoci ancora la composizione completa, deliberatamente. E giustamente, ché le storie migliori si raccontano così.
Nel complesso, questa storia mi sembra un tesoro sommerso, in acque apparentemente calme, cristalline: tutto riluce, fino all’ultimo doblone. Però, i tesori sommersi che, per caso o miracolo, riusciamo a intravedere sul fondale, sono innanzitutto un riflesso, un’immagine falsata. Ed io qui tengo bene a mente la tua apertura, la premessa di cui rendi immediatamente partecipe il lettore: questa è la storia di come il dio dell’inganno riuscì a raggirare gli dèi di Asgard grazie a uno dei suoi molti, crudeli, intrighi. E, sì, sei bravissima a farci stornare lo sguardo, a farci navigare su questa drakkar solida e veloce, meravigliosamente snella, che arriva in porto; ci culli con un tono da fiaba della buonanotte, in cui riecheggia la solennità dell’epica e del mito, ma ingentilita; ci fai sognare di Midgard con Sigyn, ci fai sentire con lei la fuggevolezza del tempo, la malinconia del crepuscolo, il dolore delle cose perdute, lo slancio – sempre e necessariamente sconsiderato – dell passione. Però, io proprio non riesco a dimenticare che questa storia sia innanzitutto la storia d’un inganno di Loki alle spese degli dèi di Asgard, perché è bene che i moniti, soprattutto se in incipit, siano tenuti a mente. D’altronde, le acque intorno allo Skagerrak sono pericolose e ingannevoli anche quando in apparenza sembrano calme. E questa storia profuma di rena e salsedine, profuma di mari del Nord.
P.S. Sempre vieni dal mare in epigrafe è una scelta giustissima, ché finora abbiamo in fondo letto di un viavai di onde: di quello che ci porta la risacca che poi, inevitabilmente si ritira.
Non so perché, ma ho piantati in testa i primi versi della strofe da te selezionata: Come buoni nemici/ che non s’odiano più…. E, sì, sì, lo so che non è bene legger tra le righe, né tantomeno aggiungere righe da leggere, lo so, ma sono in preda ad una suggestione marina.
Grazie mille di questa lettura incantevole! <3 |