Recensioni per
Stracci
di E niente

Questa storia ha ottenuto 28 recensioni.
Positive : 28
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
02/05/23, ore 08:51

Non è facile parlare del sole con parole così umane, in termini ora graffianti, ora carezzanti.
"Quel giorno": un giorno di ieri come un giorno di oggi. Anche se tutto intorno cambia e l'inverno è già passato.
Con l'antipatica sensazione di essere sempre "in ritardo".
E di tornare sempre al punto di partenza.
Complimenti.

Recensore Master
02/05/23, ore 08:50
Cap. 16:

La scrittura è quella giusta, con la lingua che batte dove il dente duole.
Distici diversamente elegiaci.

Il contenuto è sensazionale, nel senso che risveglia le sensazioni, mette voglia di diversità, di fare a modo proprio. Di stare a letto fino a tardi quando fuori c'è un sacco di cose da fare.
Il lieve narcisismo del sentirsi inutile in mezzo a tanta gente troppo utile.

"Se per te vale" mi è piaciuta molto.
"E non so cos'altro dirti".
Buona giornata 😊

Recensore Veterano
30/10/22, ore 13:47
Cap. 8:

Ciao, eccomi di ritorno (sì, ogni tanto trovo ancora la forza di imbarcarmi in questo viaggio chiamato recensioni)!
Sai, l'impressione che mi trasmettono alcuni brani – alcuni più di altri – è quella di dialogare con gli altri testi della raccolta. Non so se questo derivi inevitabilmente dall'insieme di sentimenti che ti ispira a scrivere e che si riflette nell'atmosfera generale della raccolta, ma è questo, più o meno, che mi è venuto in mente: un dialogo. Qui, ad esempio, mi è tornata in mente l'immagine del davanzale di qualche brano fa (e, nella mia percezione temporale da lettrice, di un bel po' di tempo fa^^), del tornare a respirare, di non saper come far coesistere presenza dell'altro e personale "distensione" (la propria calma ed equilibrio interiori). Qui, oltre le contraddizioni che si dibattono sotto una superficie apparentemente immobile e indisturbata, apparentemente indifferente, quell'avvicinare e allontanare costante, oltre il cuore vulnerabile e palpitante, "pieno di paura", custodito sotto strati difensivi, mi ha colpito molto la fine, soprattutto le due righe finali (appunto, quell'aprirsi quando l'altro si allontana – era proprio questa parte che mi ha fatto ripensare all'altro brano, come dicevo su). Insomma, mi piace questo dialogo costante, sia perché è oggettivamente interessante, sia perché rende la lettura dinamica, invita a non soffermarsi sul singolo brano (che pure è un'esperienza che si può comunque fare), ma a tenere lo "sguardo" aperto e recettivo. Che dire, forse questa recensione non avrà alcun senso, mi sembra incredibile tornare con recensioni sempre un po' peggiori rispetto alla precedente, ma ci tenevo a riprendere la lettura e a ritornare da queste parti.
Alla prossima e ancora tanti complimenti! :)

Recensore Veterano
20/08/22, ore 13:27

Ciao!
Mi era mancata questa raccolta (e la sua malinconia).
Mi era mancato questo ritmo spezzato, questo tono (ormai riconoscibile) un po' "sconfitto", questa voce bloccata, affaticata quasi, che non può fare a meno di "ricercare in altri" e "chiedere in prestito", di vivere imparando "la vita degli altri".
E mi è piaciuta proprio tanto la conclusione, sai, di quell'apparenza che "nasconde assenza", della superficialità costruita sul vuoto, del rumore che assorda per coprire il silenzio.
Che, forse, in fondo, anche "gli altri" annaspano nell'apparenza, nel rumore di una realtà vacua; cerchiamo tutti l'un l'altro di rubarci brandelli di concretezza, di mettere le mani su qualcosa che resti...
Insomma, sì, questa raccolta mi era proprio mancata (un po' meno mi era mancato scrivere recensioni, ma per stavolta mi farò bastare questa breve incursione).
Alla prossima, un abbraccio!♡

Recensore Veterano
05/03/22, ore 23:30
Cap. 6:

Ciao! :)
Riesci a credere ai tuoi occhi? (Se non ci riesci, ti capisco... non ci credo neanche io, che sono finalmente qui!).
Non credo tu abbia una vaga idea di quante volte io abbia letto questo brano, ogni volta cercando di mettere per iscritto una mia impressione, un'emozione, qualsiasi cosa!, fallendo miseramente ogni volta. Ciò che, però, inevitabilmente, si verificava a ogni lettura (e si è verificato anche stavolta) è il nascere di una – neanche tanto lieve – inquietudine, un senso di oppressione, quasi, e impotenza, che credo siano non dico "proprio" le reazioni che volevi suscitare, ma comunque qualcosa che si avvicina al risultato sperato.
So che non dovrei cimentarmi in analisi troppo audaci, non quando sono stanca morta, ma, insomma, ogni volta che leggo questo brano, avverto come due piani diversi, quasi come se riuscissi al contempo a mostrare al lettore una facciata esterna, di una persona apparentemente "normale" (che poi, a costo di suonare banale, chiedo: cosa, ormai, si può ritenere tale?) e quello che accade "dietro", dietro la maschera. C'è quello stacco forte, tra il "mentre sorridi" e "lui infila le dita tra le persiane
della casa buia coi vetri rotti", che mi fa pensare proprio a qualcosa di oscuro che si acquatti nel petto della persona, qualcosa che attende il momento propizio per "esplodere" e trascinare con sé nell'abisso. Ancora, nelle righe successive, ritorna (già richiamato da quell' "a fatica" posto in primo piano) quel leitmotiv dello sforzo, del costante impegno a fare, a provarci (a "ridere" o a stringere i denti, insomma, a sopravvivere), anche se invano. Ho adorato il contrasto tra la prima scena e la seconda, tra il momento di compagnia, di normalità artificiosa conquistata a fatica e il momento successivo di solitudine agognata – è come se il lettore riuscisse, assieme alle tue parole ("Circola aria, entra in casa
nelle narici
È l'unica ora in cui puoi aprire
l'unica"), a respirare brevemente, prima di tornare a trattenere il fiato, in apnea. Perché c'è quel sentirsi travolti e sommersi dalla folla, dal rumore, dalla luce e allora viva il buio, viva il silenzio e la quiete, viva la solitudine.
Il lettore arriva alla fine quasi stremato e non può non tirare un sospiro di sollievo per essere scampato anche lui al pericolo, per essere "in salvo".
Insomma, come dicevo, come al solito i tuoi brani mi sembra possano essere letti in tanti modi, mi paiono stratificati e complessi e anche stavolta non ho potuto fare a modo di intravedere "di più"; ad esempio, in questo "davanzale" mi sembra ci sia qualcosa di molto più profondo di quanto non si indovinerebbe a una prima lettura, come se la casa buia coi vetri rotti non sia altro che la mente e il davanzale il confine estremo, che separa il dentro dal fuori, quello da cui affacciarsi per provare (provare soltanto!) a tornare alla realtà, salvo poi, sopraffatti, tornare a rinchiuderci in noi stessi.
E... davvero, cosa dirti se non, ancora e sempre, "brava"? Non voglio suonare ripetitiva, ma questa raccolta continua a entusiasmarsi come se fosse la prima volta. Perciò, complimenti!!
Alla prossima! :)

Recensore Veterano
03/08/21, ore 17:04

Eccomi di ritorno! "Così presto" avrei aggiunto, se non fosse per il fatto che già l'altra volta mi sono auto-elogiata e credo che la dose di autocompiacimento raggiunta in quella sede sia più che sufficiente. Passando invece alla parte seria della recensione, sai che questo capitolo mi ha ricordato i toni del primo? Ho ritrovato quel senso di opaca insoddisfazione, di frustrazione, il leitmotiv del "non abbastanza" che ritorna e opprime, che schiaccia – in questo senso, ho apprezzato il ripetersi di quell'idea di "piatto", di scarso spessore, richiamato anche dal titolo. Titolo che, in effetti, ribalta un po' la concezione ordinaria della prospettiva: laddove la prospettiva serve a trasmettere profondità, ecco che qui ritorna, marcatamente, ossessivamente quasi, l'immagine di un orizzonte piatto, "bianco" e indistinto, in cui tutto si amalgama e perde il suo senso. Un orizzonte – quello dominato dal bianco dell'assenza e dell'indistinto – chiuso, di cui non si scorge l'uscita (un eterno, insuperabile livello base, appunto). Insomma, come già nel primo capitolo, credo tu abbia svolto anche qui davvero un buon lavoro nel restituire questo senso di piatto grigiore e di insoddisfazione e non posso che continuare a seguire te e questa raccolta con grande interesse.
Alla prossima!

Recensore Veterano
26/07/21, ore 10:42

Stavolta salto i convenevoli (anche se, lo ammetto, sono davvero fiera di me per non aver fatto trascorrere un paio di mesi prima di tornare^^) e affermo subito che ho adorato questo brano, così pregno di concretezza (ti ci sono volute pochissime righe per immergere il lettore nella scena descritta: sembra proprio di sentire l'odore di soffritto e il rumore dell'olio che sfrigola sul fuoco!). È un brano che definirei particolarmente plastico – mi ha fatto pensare alle nature morte, sin dalle primissime righe. Ma quello che ho adorato ancora di più è come tu abbia saputo avvalerti della materia per scavare in un legame che va ben al di là del piano materiale. Sembra di essere accanto a una madre che guardi sua figlia e, nel farlo, come tutte le madri, non può non vedere oltre il presente, al momento dell'indipendenza di colei che ha generato (indipendenza e crescita che, nel corso naturale della vita, non può che implicare infine l'assenza dello stesso genitore – un po' come se il cordone ombelicale venisse realmente reciso solo con la morte). È uno sguardo, quello materno, che abbatte i piani temporali o, volendo, li abbraccia tutti in un'unica occhiata: passato, presente e futuro assieme (che è da capogiro, in effetti) ed è un modo di mettere in prospettiva che se, da un lato, non può che incutere legittimamente timore, dall'altro alimenta e fortifica l'affetto e l'orgoglio e anche un po' di speranza di immortalità e continuità in quel "Perché sarai mamma /Di te stessa/E mi farai vivere/Nei tuoi gesti" (che, davvero, è una parte bellissima, complimenti!). E forse la madre, con i suoi timori e le sue speranze, anticipa di troppo i tempi, proiettandosi sempre oltre il presente (credo che l'angoscia/ansia della propria assenza sia l'elemento imprescindibile nel rapporto genitore-figlio); perciò, alla fine, lo sguardo materno non può che aggrapparsi all'attimo condiviso, a questa cucina che sa di soffritto e cipolle e pesce che è intimità presente, è un momento in cui l'altro non ha ancora "spiegato le ali". Ecco, in quel "però guardami" ho avvertito tutta l'esigenza di chi, abituato a precorrere i tempi della propria assenza, senta la necessità di ancorarsi all'attimo che si sta vivendo, alla purezza di questo attimo di semplice, concreta intimità. Che dire, come al solito, nelle recensioni a questa raccolta, mi faccio un po' prendere la mano dalle considerazioni, ma – come dicevo su – questo brano mi ha colpito tantissimo. Bravissima, come sempre. Un abbraccio!

Recensore Master
02/07/21, ore 05:44
Cap. 13:

buongiorno,
la poesia è molto carina, anche se molto personale, secondo me. Inoltre è come un velo, sento che cela qualcosa al lettore, anche perché sembra affrontare una situazione reale e non conoscendola non si può aggiungere nulla.
Posso dirti che il testo è molto verosimile, ma soprattutto molto ispirato :)

Recensore Veterano
26/06/21, ore 15:34

Ciao! (Sto forse fingendo che il tempo non sia trascorso così angosciosamente rapido dall'ultima volta – prima e ultima – che sono passata di qui, ripromettendomi di tornare "presto"? Sì, è spudoratamente quello che sto facendo!). Vedi, era da un po' che non mi soffermavo a leggere qualcosa qui sopra e avevo proprio voglia di qualcosa di "bello", semplicemente questo, perciò... eccomi qui! In risposta all'altro mio messaggio avevi parlato di coincidenze e, non so, ho trovato alquanto buffo ritrovarmi poi davanti questo secondo capitolo (o, dovrei dire, davanti alla mia interpretazione di questo secondo capitolo). Insomma, forse tu volevi scrivere di un addio, esprimere quella necessità che abbiamo di "trattenere" la persona con cui si è condiviso qualcosa, ma, non so perché, io ho pensato subito a degli sconosciuti. Ho pensato a incontri casuali e istanti fortuiti, alle piccole coincidenze della vita quotidiana che sembrano insignificanti eppure, in qualche modo, riescono a lasciare un segno: incontri che non sono altro che uno sfiorarsi e che, nonostante tutto, riescono a risvegliare qualcosa in noi. Quante volte un viso incrociato per caso, una persona che magari (per una coincidenza – le nostre giornate sono intessute di coincidenze, di casualità) si ritrova a condividere con noi un tratto di strada, un tratto momentaneo di vita, ci dà da pensare, ci sospinge a osservare quella vita estranea che ci si è seduta davanti in treno o sulla nostra stessa panchina al parco. Sono quei momenti in cui lo sappiamo entrambi – sia noi, che lo sconosciuto vicino – che una volta scesi alla propria fermata, una volta alzati da quella panchina condivisa e una volta che ci si è "persi per strada", non ci rivedremo più. E forse è proprio lì che sta tutto il bello di quei momenti e di quella curiosità reciproca: in quel ritrovarsi casuale (una coincidenza di tempi e luoghi condivisi per qualche momento) minato dall'inevitabilità dell'addio. Credo che questa manciata di parole, letta in un certo modo, sappia cogliere tutta la bellezza di uno scambio autentico, genuino; la parola chiave, per me, è stata quell' "incondizionato" posto alla fine: ho ritrovato in questo capitolo uno scambio, uno di quelli in cui non c'è il peso di un passato che grava sulle persone coinvolte e non ci sono aspettative per il futuro, in cui ci si incontra semplicemente nel presente e finché il presente dura.  C'è libertà, in quel sorriso incondizionato, in quel guardarsi per poco, sapendo di perdersi, in quella casualità che ha fatto incrociare giusto per pochi attimi. Sappi che c'è una citazione di Faber che ho avuto in testa, mentre leggevo, questa qui:  "A quella quasi da immaginare tanto di fretta l'hai vista passare dal balcone a un segreto più in là e ti piace ricordarne il sorriso che non ti ha fatto e che tu le hai deciso in un vuoto di felicità."  Ripeto: forse non era affatto questa la tua intenzione; forse tu volevi parlare di un' "amica persa per strada", di qualche persona conosciuta (che abbiamo vissuto e poi perso, per seguire sentieri diversi), eppure la bellezza di questo testo è la possibilità di lasciarsi interpretare in modi differenti. Al di là dell'interpretazione precisa (e probabilmente avrei fatto meglio a non divagare tanto al riguardo), è "l'atmosfera" creata dalle tue parole che anche stavolta mi ha convinta. Spero che non sia troppo penoso per te leggere queste digressioni e che tu capisca quanto ho apprezzato anche questo secondo capitolo. Ora levo le tende, alla prossima!♡

Recensore Veterano
20/04/21, ore 13:54

Ciao!
Devi sapere che sto "corteggiando" questa raccolta da un po' – rigorosamente fra me e me, quasi ammiccandole da lontano.
L'ho letta a stralci, questo capitolo qui l'ho letto più volte, ogni volta tentando di recensire in maniera adeguata senza mai riuscirci, come risulta evidente (del resto, mi sembra coerente con il contenuto stesso di questo brano, questo anelito che non trova mai sfogo o definitivo compimento).
Dal momento che, però, per quanto io ti abbia dedicato apprezzamenti silenti, prima o poi avrei dovuto esternarti la mia opinione, ho deciso di passare senza pensarci più di tanto, anche correndo il rischio di lasciarti un messaggio superficiale e frettoloso (meglio quello, piuttosto che il silenzio, dico io).
Non so se la data di pubblicazione corrisponda effettivamente a quella di elaborazione del testo ma, prima ancora di adocchiare la data, avevo pensato che questi pochi versi siano perfettamente in sintonia con lo stato d'animo "da pandemia" (che poi, certo, va anche al di là di questo ultimo periodo, ma diciamo che lo trovo particolarmente adatto all'umore che mi accompagna ormai da più di un anno a questa parte).
Sono immagini, immagini "pigre" e sospese, che trasmettono perfettamente il senso di immobilismo, di tempo che si trascina vuoto e sempre uguale, in cui i pensieri vagano senza una meta, senza appuntarsi su nulla, esprimono efficacemente una potenzialità, appunto, "bloccata". E c'è quel fastidio, disappunto verso un mondo, una vita che continua lasciandoci indietro, ma vi ho intravisto anche tanta insoddisfazione – anch'essa interrotta, anch'essa sospesa, come se l'insoddisfazione stessa fosse stremata e si esaurisse in un nulla di fatto.
Insomma, a me questo testo è piaciuto tanto e mi ha trasmesso qualcosa che forse non va neanche tanto indagato, ma solo riconosciuto (e che va riconosciuto a te!). Perciò, sì, ecco, posso dire – sinceramente – "brava"? Se posso dirlo... brava, davvero brava.
Spero di poter passare presto anche dagli altri capitoli, anche se il mio "presto" ha durate tutte variabili e imprevedibili.
Intanto, è stato un vero piacere (e sollievo) "rompere il ghiaccio" con questa raccolta.
Un bacio, alla prossima!

Nuovo recensore
31/03/21, ore 16:25

UNA poesia dell'impossibile,dell'anacoluto.Un insieme di sgorghi,di declamazioni su quadri di vita lasciati a rabberciare come vile sostanza.Non credo sia poesia questa.Spero di leggerti meglio.
Pastam31/3/21

Nuovo recensore
12/03/21, ore 07:37
Cap. 10:

Una poesia che trascende,che vive di piccoli orizzonti.Parli di rubinetti quando fuori la gente muore come gli asparigi,a mazzi.Un saluto.
Pasta 12/3/21

Recensore Master
12/03/21, ore 06:04
Cap. 10:

Buongiorno,
ci sono tanti modi per conoscere e solo alcuni sono materiali.
Basta leggere le anime che trapelano tra le righe varie... ^^
Bella poesia :)

Nuovo recensore
23/02/21, ore 07:29
Cap. 9:

Si coglie il senso di una rustica metafora.Quel vago motivo del tempo perduto.La trovo densa di fascino questa bella poesia.Complimenti.
Pasta 23/2/21

Nuovo recensore
25/01/21, ore 07:32
Cap. 8:

Nella mia vita ho anche pescato ricci in determinati mesi dell'anno ma non ne ho mai visti aperti.Con i guanti di solito.A mani nude vai a sbattere nel dialogo poco chiaro che hai scritto.Bene comunque.Un saluto.
Pasta 25/1/21

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