Carissima Shilyss,
Sappi che sto combattendo contro me stessa per lasciare andare questa storia. Oh, l’ho letta, l’ho riletta, ne ho amato ogni singola parola, e poi sono andata a rispulciarmi i giri di frase preferiti; quelle pagine e quelle atmosfere che mi hanno lasciato una suggestione speciale; e gli altri arpioni narrativi, le suggestioni, che si tingono di una nuova compiutezza alla seconda lettura, nella luce del finale, quando le somme sono state tirate, tutti i nodi sono venuti al pettine, tutto è compiuto. Eppure, sedermi qui a lasciarti un pensiero conclusivo su questo tuo delizioso lavoro ha un quid di finale, rende quel “fine” in calce definitivo, reale, almeno per questo giro sulla ruota della vita – scegli tu se quella delle tradizioni religiose passate o orientali, o col kitsch d’ordinanza (per cui propendo io) quella della canzoncina del Re Leone. XD Scriverti qualcosa di relativamente unitario e complessivo – ahimè, temo di dover rinunciare in partenza alla vana illusione di riuscire ad essere coerente – mi forza tuttavia ad emergere da quella suggestione, che ho ritrovato qui, di continuità, di ciclicità, di un eterno ritorno scritto a fuoco nel fato e, forse, anche un po’ nella volontà. Mi piace quando la morte – con il luogo oltremodo classico della morte degli amanti – ha un sapore di lieto fine, che resta addosso come una promessa di cui ci si fida. È una morte, è una fine, speranzosa; è solo un altro capitolo, ce ne saranno molti altri, ma intanto si tirano le somme di un percorso, di un racconto nel racconto più grande che lo racchiude, in cui le pagine si perdono, ma non si confondono. Forse tutto l’amore – quello epico, quello che valga la pena di raccontare e di farsi raccontare, senza belletti superflui, ma dove l’assolutezza è la sostanza – è così, o dovrebbe esserlo: come un respiro cosmico, un prendere ed un lasciare il fiato, magari trattenendolo un pochino, per un momento profondo fin dove arrivino i polmoni. Però, la ruota, per questa storia, ha compiuto la sua rotazione; ci sono altre storie, ci saranno altre storie – spero tante, perché quello che scrivi è tutto così bello! – , ma per ora il giro si ferma qui e devo fermarmi anch’io a contemplarlo nel suo ultimo moto e nel compimento. E forse è questo che mi mette malinconia, infinitamente di più della tragedia amorosa che si è consumata, perché non sa affatto di tragedia, ma di una risoluzione pulita, piena di potenziali nuovi ed inesplorati – e che finale più lieto potrebbe mai esserci della pura possibilità di un nuovo inizio che preservi la costanza delle cose più amate, in un modo o nell’altro? Insomma, ho amato moltissimo questa storia, in tutti i suoi aspetti: nella caratterizzazione dei personaggi, inclusi i comprimari che circondano questi due meravigliosi piccioni, dando spessore ed una verità, una realtà vissuta al contesto, al mondo in cui si muovono; nell’accuratezza storica, ricca di echi letterari, che dà una qualità dettagliata, visiva e quasi tattile, a quello spazio definito dalla posizione dei personaggi nel mondo; nella tua prosa, corposa ma fluida, che scorre via così piacevolmente; nella ricchezza concettuale e tematica dei tuoi contenuti, sottesi alla trama e che la integrano così splendidamente. Questa storia è un gioiellino di equilibrio e di misura.
Il finale di partita non è mai scontato: i giochi sono fatti, sì; tutti i movimenti possibili sono già piazzati, aspettano solo di essere eseguiti; ma l’esecuzione, quella è una questione delicata, che è facile affrettare una mossa, infilarsi in un angolo. La tua esecuzione e la tua chiusura rimangono impeccabilmente eleganti. Il progetto stesso è impeccabilmente elegante: è una fiaba gotica e non è assolutamente AU, per niente. È radicata nel mito. Presuppone il mito. Ingloba il mito. Sarebbe un piacere già solo come idea seminale, quelle che rimangono nella mente del Creatore (niente, perdonami, in questi giorni sto facendo una scorribanda non particolarmente desiderata nell’alto e medio medioevo ed ho dunque queste cose piantate in testa ventiquattr’ore su ventiquattro); ma l’attuazione è una meraviglia. Tiri con grazia tutti i fili che devono essere tirati; e quei nodi sui cui avevi portato l’attenzione, o che avevi anche solo lasciato intuire, li sciogli in un modo che dà tanta soddisfazione a chi legge.
Io sono una donna frivola che si sofferma sulle cose di contorno, un po’ per partito preso, un po’ perché il contorno è fondamentale per inquadrare la portata principale. Dunque mi ero molto gongolata nel Branduardi a far la spina dorsale delle epigrafi di questa storia – sì, tiro sotto Branduardi anche la Commedia (che il Poeta non me ne voglia!), ché appena l’ho vista lì mi è partita in testa la versione musicata. Eppure, l’inizio e la fine, i tue capitoli caporali di quella che è la storia d’una vita, una delle tante che si ripetono a vivere questo amore, hanno ben ragione di avere una demarcazione diversa, per segnare la presenza di uno stacco, fosse anche solo quello tra il silenzio e la narrazione. Poi, banalmente, a me quella canzone piace molto. E, soprattutto, al di là del gusto personale, si adatta splendidamente ed oggettivamente al contenuto. Sia perché i piccioni non scappano, nossignore, ma vanno a sposarsi (‘sto matrimonio si aveva da fare! Grazie della soddisfazione! <3 ) e stand their ground, come si dice da quel lato della Manica. Sia perché c’è un disegno più grande sullo sfondo, il laccio del fato cui non si può scappare. E forse è proprio così che gli dèi di Asgard non hanno neppure provato a fuggire il proprio destino al vaticinio della Völuspá. E chissà, forse, ogni autentica profezia è di quelle che si compiono da sé, o che risultano in una constatazione di fatto, anche se il fatto è futuro – e che differenza ci sarebbe, allora, tra una profezia ed una condanna? Forse, tra arroganza e saggezza non c’è poi troppa differenza, né a conti fatti, né nella sostanza.
È tante cose, questa storia; e riesce ad esserle tutte magnificamente, senza pecca. È un romanzo d’amore; è un romanzo d’epoca; è il romanzo della ricerca – ora lo sappiamo: della condanna – di una conoscenza assoluta, che in fondo non è altro che un’assoluta conoscenza di sé, echeggiando il γνῶθι σεαυτόν classico – mediterraneo, certo, ma indoeuropeo abbastanza da prestarsi bene anche per i nostri cugini del nord. Romanzo di una vita tra le vite, romanzo epico, continuo ad avere ancora che sia anche un romanzo di formazione – e la formazione, forse, non si raggiunge, non si compie, se non con la morte. L’uccisione del padre – qui spirituale, intellettuale, il che forse è anche meglio, se possible – è necessaria, dovuta, inevitabile; e contribuisce a quest’impressione, o almeno io me ne convinco ancor di più perché sono una pessima lettrice. Indubbiamente, è una storia di Fedeltà, che trascende tutto, la vita, il fato; che è l’ossatura dell’amore. Gli dèi dei nostri avi, in fondo, sapevano incarnare le pure assolutezze della natura umana, finendo con l’essere più umani degli uomini; ed in un certo senso era quello il punto.
Ti avevo già detto di quanto mi sia piaciuta la caratterizzazione di Laufey, nel necessario raffronto con Loki e con il fu Odino – qui vero padre, ma anch’egli mago e alchimista, per quanto redendo, anch’egli ossessionato dalla morte, dal bisogno di scoprirne i segreti? E mi chiedo se anche Odino, se anche Laufey, non siano spiriti vaganti, ciascuno nel proprio ciclo, nella propria cerca, al pari di Loki e Sigyn.
Diamine, mi piace finanche la caratterizzazione della madre di Sigyn, che entra in scena come null’altro che un ricordo, il fantasma che si vorrebbe evocare, ed è così vivida, così brillante, in così poche parole. E mi piace che la medium abbia uno scorcio tutto suo, un piccolo ritorno, per confermare i dubbi ed i sospetti che il lettore già aveva: non è una digressione e serve ad espandere, ad approfondire, l’atmosfera. Tutti coloro che muovi sulla scena hanno una loro credibilissima realtà: sono personaggi fatti e finiti, che convincono chi legge.
Potrei sdilinquirmi ancora per pagine e pagine su questa storia, sui dettagli di questo capitolo (parliamo dell’accuratissima pistola che s’inceppa? Che altro potrebbe fare, con tutto quell’umido un’arma di quell’epoca? XD) e sulle questioni di ampio respiro attraverso l’intera storia. Ma temo di essermi già dilungata oltre i limiti della decenza e non vorrei annoiarti troppo, dopo che tu mi hai intrattenuta così piacevolmente in questi mesi. Potrei spendere pagine e pagine a sdilinquirmi su singoli giri di frase, su come siano ben cesellati, su come il loro significato affondi come un macigno nella mente o nel cuore di chi legge. Il giro di frase che qui mi porto a casa: L’immaginazione è una creatura strana, è un drago che spesso si avvolge nelle sue stesse spire creando mondi possibili, aprendo porte affacciate sulle scelte che non abbiamo fatto. Bellissimo, verissimo ed evocativo.
Grazie di aver scritto e condiviso questa storia meravigliosa. <3
Al prossimo giro di giostra,
Sherry |