Interessante.
Credo sia la prima cosa da dire, no?
Yuri on Ice offre diversi spunti - per ragioni diverse - e ammetto che a volte il cervello è volato sulla Storia, ma confesso anche che mi sembra difficile vedere questi personaggi in un contesto crudo, disumano - e ai limiti dell'umano, paradossalmente - come la guerra.
E qui Yuri mi è parso diverso e uguale.
Diverso, perché non sembra il ragazzo che lotta con le unghia e con i denti che abbiamo conosciuto nell'anime. Uno che non mollerebbe mai, pur di arrivare al suo obiettivo. Ma allo stesso tempo è lui, perché, appunto, Yuri ha fatto una scelta.
Come quando è andato via da Victor, nell'anime, dopo aver capito che non lo avrebbe MAI scelto, per farsi una vita solo sua, per costruirsela da solo... Beh, qui fa lo stesso.
Qui decide di non vivere più una vita che si sente stretta. Una vita che non ha mai scelto. E sappiamo bene che Yuri non si accontenta. Yuri punta al meglio. Yuri punta ai suoi obiettivi, non a quelli prefissati dagli altri.
Fa anche un po' strano leggere di lui e di suo nonno in questi termini ma, diciamocelo, se l'ambientazione fosse sempre stata quella della Seconda Guerra Mondiale... Probabilmente sarebbe andata così. E poi questo è solo il prologo. È solo l'assaggio di come la guerra viene vissuta da Yuri e Otabek e di come, il loro incontro, li farà - credo - sopravvivere a... Tutto quello.
Nutro un grosso fascino per le guerre mondiali. Perché ho sempre pensato che annullino completamente l'essere umano e allo stesso tempo... Esaltino l'umanità.
Quando devi ammazzare un tuo simile, solo per vincere una guerra... Quando non sai se tornerai mai più a casa, quando pensi che sarai seppellito in una fossa comune... Quando non importa chi cade sotto il tuo fuoco, basta che cade... Dove finisce l'umanità?
Dove finiscono le piccole cose?
Dove finiscono le sensazioni che due semplici occhi verdi possono lasciarti?
Sembrano frivoli. Sembra non esserci mai tempo, per quelle cose... Ma sono quelle piccole cose, quella parvenza di normalità, quella parvenza di umanità perduta, alla quale ci si aggrappa. Come una vecchia polaroid stretta prima dell'alba. Prima del fuoco.
Ricapitolando.
Hai giocato molto col fandom.
Hai mantenuto l'incontro di Yuri e Otabek e il loro rincontrarsi. Hai mantenuto l'effetto che questo incontro, fatto di soli sguardi, ha avuto su Otabek - e in questo caso anche su Yuri.
Yuri che tre anni dopo se lo ritrova accanto al proprio letto. Yuri che deve innalzare i suoi muri. Yuri che quasi non ci crede di averlo ritrovato una seconda volta.
Yuri, che quegli occhi, non li ha mai dimenticati. Yuri che non crede alla guerra come, forse, fa Otabek. Yuri che non si sente un soldato, perché non lo ha mai scelto.
Otabek forse si sente un soldato. Vuole servire la sua patria, ma non capisce la guerra. Sa solo che va combattuta e che deve essere conclusa, in un modo o nell'altro.
Otabek che, nel profondo, è più vicino a Yuri di quanto questi due possano immaginare. Ed è bello che, anche qui, sia sempre lui a tentare la prima mossa. A farsi avanti. A fare conversazione. LUI. OTABEK.
Per il momento, il prologo si divide tra il 1943 e il 1940. ( Ho apprezzato il modo in cui hai deciso di suddividere queste due fasce temporali, e intendo visivamente, oltre che nella stesura).
Mi piace molto questo avanti-indietro. Dà... Un sapore diverso al presente e al passato. Dà un sapore diverso a quello che si è letto prima e quello che si legge dopo.
Yuri e Otabek... Sono particolari.
E voglio proprio vedere cosa vuoi farne, di loro, in questo contesto.
Il titolo è già un programma, no?
In più, nelle note, accenni al nuovo anno. Ad una sfida.
E io non posso sapere quale sia. Ma credo di aver compreso le sensazioni e il tipo di storia che intendi raccontare.
E credo che ce ne sia bisogno. Nel bene e nel male. Credo... Sia una bella sfida.
E io voglio respirare ancora di più, questa ambientazione.
Voglio respirare di più.
Hai parlato dell'ospedale. Della situazione precaria. Hai parlato dello schiaffo che Yuri ha ricevuto, del cibo che mangiava senza apprezzarlo.
Hai parlato della passione per i fiori che aveva la mamma di Otabek. Hai accennato a fratelli e a una sorella neonata. Hai accennato l'idea di una fossa comune.
Hai accennato il brivido della notte. L'insicurezza scaturita dalla convinzione di non essere mai al sicuro. I nervi tesi. Dormire sull'attenti.
Perché in guerra non c'è tempo per distrarsi. Riposi davvero solo con una pallottola nella carne. Riposi solo una volta che riesci a spirare.
Dunque, alla luce di tutto questo, io mi chiedo una cosa importantissima: MA OTABEK AVRÀ MODO DI CHIAMARE YURI GATTO OPPURE NO?
Le priorità. Quelle giuste.
Credo tu l'abbia scritta vinta o soggiogata da alcune sensazioni. Non lo so, a farmelo dire sono le parole che hai scelto volutamente di evidenziare.
Non conosco ancora il primo capitolo, che è lì, ma sono curiosa.
E... Te l'ho detto. Voglio respirare di più.
Voglio tutti i dettagli che riesci a inserire. E voglio capire come, 'sti due, sopravviveranno a tutto questo.
E voglio capire quanto ancora giocherai con questo fandom. Quanto rimodellerai le situazioni, i rapporti.
Tanto, sappiamo che non ne sei ossessionata, no?
Quindi. Adesso voglio proprio vedere cosa farai.
Voglio proprio vedere. |