Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora
Anna Frank
C’è lo scarto tra ciò che chiedono la Terra e il Cielo e ciò che l’uomo s’immagina chiedano la Terra e il Cielo.
La favola converge questi desideri e riesce, attraverso parole dirette e asciutte, ad attenuare un poco questo scarto, regalando un cambio di programma, come se la Terra e il Cielo d’improvviso avessero avuto pietà e si fossero mossi per rifiutare quel sangue innocente – ormai vergine o meno, poco importa - in ogni caso puro, della purezza di chi appartiene a se stesso e a nessun altro, della purezza di chi semplicemente non accetta d’essere strumento di bieca superstizione, quella che l’uomo si mette davanti agli occhi per giustificare ogni proprio abuso di potere sulla vita altrui e persino sulla morte.
La realtà di cui si è già parlato non possiede purtroppo questi limiti, non vi è favola lieta, non v’è modo di appartenersi sul serio, ma la realtà qui subisce la lenitiva carezza della favola, che regala il dono di sfuggire all’orrore, al taglio secco della carotide, al sangue che sarebbe sgorgato a nutrire il ribrezzo della Terra e del Cielo, sotto la falce di luna d’argento o d’acciaio.
Mi riallaccio un istante al capitolo precedente, al ricordo di Oscar bambina che osserva suo padre trasfigurato e commosso al ritrovamento di una vecchia compagna di vita, un ricordo potente - forse estemporaneo, ancora per me lo è, non so se è estemporaneo e basta, perché non v’è necessità che tutto abbia una sua propria ragion d’essere, oppure perché ancora la ragione non è svelata – ma forse necessario a portare e dare senso a ciò che accade, a quel cambio di programma inaspettato e sorprendente come sono le lacrime di un padre che rammenta quando era stato figlio, bambino di certo, legato ai miti e alla propria incrollabile speranza verso il futuro, che però per un istante scompare inghiottita dall’effige di una vecchia cavallina perduta di vista e ritrovata, latrice di quella bellezza che è racchiusa nel tempo perduto.
Forse quel ricordo è necessario a dare un senso al proprio essere sbaglio di natura, che alla fine si è sbagli, tutti, sin quando non si trova la propria strada nella vita, ma in fondo non lo si è mai perché qualunque strada scelta è quella a cui apparteniamo.
S’intrecciano il passato, al presente, al tempo vissuto e al tempo che nessun personaggio vive, quello oltre la Morte, quello di chi è rimasto sospeso tra Paradiso e Inferno perché non trova ragione alcuna alla perdita della propria vita e non si rassegna e resta lì, aggrappato non più alla propria vita ma a quella degli altri, da torturarla e disperderla proprio come è accaduto alla propria.
La purezza di Lorraine e di Thérese è la stessa di Foret – Il bastardo, figlio di nessuno - e siccome Foret non ha origine, non ha passato, egli ha avuto pregio di colmarsi il cuore della vita degli altri, di quegli eroi quotidiani che trattengono la sua stessa vita a galla e generano – assieme, forse nemmeno sapendolo – quel cambio di programma, quell’inversione stupenda a tingere la realtà dei colori della favola.
Il demiungo è diabolico là dove punge André nel suo desiderio più fondo, la vita di Oscar contro le parole di Oscar, la salvezza di lei contro la conoscenza di lui, perché solo in punto di morte, con la gola di lei ormai recisa, André potrebbe conoscere se davvero lei lo ama, potrebbe leggere nei suoi pensieri.
André potrebbe mai farle questo? Anteporre la propria conoscenza alla sua vita?
Sono corsa con André, allora, sulle sue gambe, nel buio di una vigna, e solo per un istante i tralci son divenuti edifici, come se lui fosse rimasto vivo nella giornata epocale per la Storia, per grazia del demiungo, che alla fin fine forse è sempre magnifico perché si lascia corrompere il cuore da questa favola e allora pure lui sta correndo e sta pensando – ci sta pensando sul serio, lo spero - di regalarsi e regalarci la bellezza di questo amore che sembra sgusciare via tra le dita e disperdersi come sangue chiesto dalla Terra, che forse non lo vuole quel sangue, e dunque ci sta pensando, il demiurgo, a fermare quella falce di luna, come se lui, André – se André l’avesse saputo ma lui, cavaliere innamorato, non può saperlo – un giorno potrà trattenere a sé i mille proiettili d’acciaio che quella vita la spezzeranno.
Anch’io sono felice che André sia giunto sin lì, stravolto e stranito, il solo nome di Oscar appeso alle labbra e nessun altro desiderio che baciarla nel suo sorriso dolce.
Credo che lei l’abbia davvero pensato ed evocato così da chiamarlo e ritrovarlo.
Perdona l’azzardo, in un certo qual modo a Foret un piccolo bacio pure a me sarebbe saltato su d’appoggiargli sulle labbra. Per dirgli di tornare indietro, per suggerirgli che nessun sacrificio dovrebbe essere invocato per placare ira e rabbia e che a Parigi, Parigi la disperata, c’è ancora uno scampolo di vita da vivere, anche se non si diventerà eroi.
Forze ctonie s’addensano sulla trama, ringrazio per il pensiero sempre gentile e auguro per ora una buona estate.
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