Mio caro Cavaliere, accolgo il vostro ritorno con piacere anche se, dall’incipit, temo sia un passaggio radente che lascia spazio a quello che appare come un addio, magari temporaneo, ma comunque un addio. Forse andrete a giocare in altri tavoli, più o meno amichevoli, ma prima di lasciarci avete voluto omaggiarci di questo che è molto più di un regalo per tutto ciò che contiene.
Un regalo che non si osserva e apprezza dall’involucro, ma solo quando lo si scarta, ed è allora che appare ai nostri occhi di lettori tutta la meraviglia che contiene.
Il ritorno non poteva che essere corale, con tutti quei personaggi che hanno fatto da degno corollario alle vostre storie che hanno allietato, e fatto riflettere al contempo, i nostri pomeriggi o le nostre serate. E non ne avete scordato proprio nessuno, perché ognuno ha regalato a voi e a noi un pezzettino di sé, e per questo Vi ringraziamo.
In questo caso ci avete immerso in un universo alternativo, di quelli che a Voi tanto piacciono, nonché nei pensieri di André. Questa volta avete voluto giocargli uno scherzo, che però ha fatto riflettere, e anche tutti i personaggi a raccolta hanno deciso di partecipare allo scherzo.
Poche sono questa volta, fortunatamente per Voi, le parole che posso spendere su questo esperimento metaletterario, forse proprio come il primo con cui ci avevate allietato e con il quale vi avevamo conosciuto, scoprendo la vostra vena creativa e narrativa, avendo Voi stesso già scritto tutto e pure di più, lasciandoci qualche perla che non scorderemo.
Mi sono focalizzata su due passaggi che mi hanno colpito particolarmente:
” Mio amore, io non so chi sei. Conosco le tue tempie, i tuoi polsi, le rughe sulla tua fronte, il tuo profumo, conosco i tuoi pensieri, i tuoi desideri che neanche tu conosci, e i tuoi rari sorrisi, e le tue trasversalità, quello che non dici di fronte agli specchi, quello che neghi a te stessa; conosco quello che ti fa ridere e quello che ti fa piangere, il suono della tua voce quando è sottile e quando è pieno, e conosco la tua ironia quando disprezzi e la grazia quando la risata è solo nascondersi, negare la profondità. E conosco gli sguardi, sempre gli sguardi: diretti, obliqui, incerti, sognanti, umidi, alati, dispersi. Conosco i tuoi pensieri: onesti, limpidi, distratti, offesi, tristi, onirici, colmi, sempre colmi, e profumati. Conoco il tuo cielo che è del colore dei tuoi occhi, conosco le tue mani che sfiorano ogni cosa, che impugnano tutto, che tutto conoscono. Ma non so chi sei. Non so chi sono io stesso. La Verità è un sogno e un prisma. Io ho sognato la mia vita, l’ho attraversata a passi felpati, lento come son lento nel comprendere, e troppe volte bestemmiando in silenzio Dio e la mia condizione. Tu non usi mai “chiunque” come soggetto di una frase. E quando parli inizi con un avverbio, come se ti ricollegassi a un discorso già sospeso, o con un nome proprio, a richiamare tutta l’attenzione. I tuoi desideri son desideri di luce. Come sono arrivato a questo?”
Essenza pura di un amore che non ha confini né di tempo né di spazio, un discorso muto ma continuo con l’anima.
E poi ancora:
“Da te ho imparato molte cose. Che se prendi un secchio col suo coperchio e lo porti fuori, di notte, puoi intrappolare un raggio di luna. Che esiste la generosità silenziosa. Che puoi aver voglia di vendetta per anni e poi ti capita l’occasione giusta, quella che aspettavi, e non te ne importa più niente. Che tutti coloro che sono segretamente convinti di essere migliori degli altri in realtà sono esattamente uguali agli altri. Che i biscotti sono più buoni se mangiati in buona compagnia. Che se cammini dietro a una persona, il profumo dei capelli si sente in maniera più intensa a un mezzo metro di distanza quando il vento spira bene. Che l’onestà è una gran cosa. Che un soldato deve prima agire e poi pensare, ma se un soldato non pensa finisce ammazzato prima degli altri. Che esistono le persone, prima, e poi tutto il resto. Che l’amicizia può essere eterna. Che l’amore può essere eterno. Che all’alba il cielo possiede colori che non diresti mai quando lo vedi al tramonto. Che desiderare qualcosa senza possederlo davvero può essere appagante. Che gli altri, che tutti considerano stupidi, possono vedere qualcosa che tu non vedi. Che non è necessario far pesare la propria superiorità quando è evidente. Che tutti quelli che si preparano ad affrontare un evento pensano a un evento drammatico, non a uno bello. Che il tempo non cambia niente. Che concentrarsi intensamente su qualcosa può far venire i capelli bianchi. Che chi crede di sapere tutto non sa niente. Che “io” è il più lurido dei pronomi. Che il dolore, quando è davvero forte e ti sembra di non poter resistere oltre, tuttavia non ammazza. Che la preoccupazione per come gli altri ti considerano sparisce quando ti rendi conto che le persone pensano ad altro. Che le persone cattive esistono. Che le persone buone esistono. Che le persone buone non umiliano gli altri. Che i coltellini devono avere il manico rosso. Che il passato è il futuro cui diamo un altro nome.”
Un pensiero che non è solo riferito ai personaggi e al contesto da voi descritto, ma che va oltre e che può essere declinato su ognuno di noi, indipendentemente dal fatto che il racconto possa piacere o meno.
E come ogni addio che si rispetti, Vi siete voluto calare Voi stesso all’interno delle vicende, e non poteva essere che una parte incisiva, come quella dell’officiante di questa particolare cerimonia, forse per sentivi ancora più vicino ai personaggi e tentando di sistemare le cose a modo vostro prima di andarvene, in quanto loro tanto hanno dato a voi e, per una sorta di vasi comunicanti, avete voluto che anche noi lettori potessimo quasi esserne parte integrante, avendo fatto parte del percorso insieme e chiudendo così idealmente un cerchio.
Ormai temo di aver esaurito le parole, ma mai il piacere di leggerVi.
Dovunque andrete, spero che il destino Vi arrida sempre, e questo è l’augurio della vostra dama d’altri tempi.
Ancora grazie e buon proseguimento per tutti i vostri progetti futuri. |