Recensioni per
Le ragazze del Barbizon Hotel
di Beauty

Questa storia ha ottenuto 13 recensioni.
Positive : 13
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
30/04/25, ore 11:55

Buongiorno, cara poetessa che non scrivi poesia.
Ogni tanto mi capita di vagare raminga in terre non mie, alla ricerca dei poesie che plachino il mio animo irrequieto.

Oggi ho scoperto, ahimè con vergognoso ritardo, questa tua raccolta.
Mi ha incuriosito il titolo.
"Le ragazze del Barbizon Hotel".
Un titolo incredibilmente evocativo.

Sia chiaro, io non ho mai sentito parlare di questo Hotel di New York.
Ma il nome mi ispira.
E la tua poesia è davvero ricca di suggestioni.
L'apprezzo, e non poco.
Mi piace proprio perché è poesia intrisa di prosa.
E io con la prosa ci vado a nozze.
Mentre non so scrivere versi.

Bellissime queste ragazze che nomini.
Mary e Sylvia.
Francie ed Harper.
Abigail e Ruby.
Anna e Joan.
Sarah. Amy, Vera.
Juliet, Brooke, Nicole ed Elizabeth.

"Non sono più tornate,
mai più torneranno
al Barbizon Hotel."

Mi piace come scrivi poesia, senza scrivere poesia.
L'adoro.

A presto
Manuela

Recensore Master
07/12/24, ore 11:30

Quella recensione era del 5 giugno! Mi hai fatto tornare indietro nel tempo, e per me è sempre dilettevole, specialmente quando dall’inverno che sta per iniziare si ritorna all'estate appena iniziata.

Mi sono riletto la tua risposta, e la frase finale - “passata a difendere il suo affetto e le sue scelte dalla cattiveria del mondo” penso che si possa adattare anche a questa figura. Qui c'è la guerra di mezzo, la guerra che tutto uccide e tutto ferisce.

L'amore ha infinite sfaccettature, ma ognuna di essa ha qualcosa che lo sporca. A volte è inquinato dal sesso, a volte dal possesso, a volte dalla sottomissione, a volte da un'ammirazione innaturale. Direi che quest'ultimo è il caso di Juliet Gray.

Sempre ammirato invece io per la tua vasta cultura (non conoscevo Carole Lombard, ma Wikipedia mi è stata amica).

Una bella poesia, ricolma di trasognati sensi e fiabeschi riferimenti, con quell'impostazione drammatica che sgorga irruente nelle ultime due strofe, e che la rende grandiosa.
Un abbraccio.

P.S. A proposito della “cattiveria del mondo” ho letto di recente una “poesia” della giovane poetessa canadese di origine indiana Rupi Kaur, poesia che potrebbe essere presa come filo conduttore del tuo pregevole lavoro:

qual è la più grande lezione che una donna dovrebbe imparare
che fin dal primo giorno
ha già in sé tutto ciò che le occorre
è stato il mondo a convincerla del contrario

Recensore Master
02/12/24, ore 08:57

Lo so… commentando l'Angolo Autrice: la vita si riappropria spesso dei suoi spazi, potente e prepotente, non lascia posto né voglia per la poesia.
Sono felice comunque che siano tornate le “nostre” ragazze, i loro sospiri che sempre toccano gli animi.
Stavolta il terreno è scivoloso, infangato.
Sono stato fatto ed educato così: personalmente odio scherzare coi Santi. E qui ce n'è da vendere. Ogni verso è come il grano di un rosario.
Non c'è, peraltro, scherzo. L'ambiente è pesante. Lo sguardo è basso, sulle bassezze e gli abbrutimenti che impone la vita, specialmente ai più deboli.
Donne invogliate, donne ingannate. Spesso, come forse in questo caso, dai governi che cavalcano sull'onda dei bisogni umani, delle miserie imposte dalle guerre.
Come sempre la poesia stimola all'approfondimento, e così ho scoperto la figura di Rosie the riveter, a cui sembra alludere la Santa Rivettatrice.

Sono contento per il tuo ritorno: ti citai nella mia “poesia” Sul cocuzzolo, a quasi due mesi dalla tua sparizione.
Adesso è come essere tornati indietro nel tempo
Un abbraccio.

Recensore Master
09/06/24, ore 07:55

Sono combattuto fra contrastanti sentimenti di abbattimento per non essere stato capace di cogliere i riferimenti pittorici presenti nella saga di Natalie Miller, nonché di sdegno per essere stati abbozzati, gli stessi riferimenti, in maniera così irriconoscibile 😁.
Ovviamente scherzo, i due unici sentimenti sono di ammirazione per la cultura che è sottesa fra i versi di queste poesie, che mi trova sempre impreparato, come pure di indelicatezza per averti rubato del tempo alla preparazione degli esami.

Dal punto di vista stilistico trovo questa nuova saga fra le più poetiche della serie. Evidentemente è l’afflato di danza che la pervade tutta, pur nel buio dei lampioni spenti, nello squallore di una Salomè senza veli, nella nudità spogliata dei lunghi capelli di Lady Godiva.

Naturalmente non conoscevo la fiaba della cenerentola egiziana, con le sue scarpette d’oro rosso: ogni volta imparo cose nuove.

Il finale della povera Sylvia temo che sia stato drammatico, alla Giuda Iscariota. Probabilmente ha confidato troppo nelle sue gambe sinuose e non si è accorta che non è vero che era “poco amata”.

Recensore Master
07/06/24, ore 11:35

Quant’è vero quello che scrivi nell'ultima tua risposta… Uomini e donne; non basta una vita per inseguirsi e sfuggirsi, colmarsi e svuotarsi, perdersi e prendersi…

Illuminante è stata la tua spiegazione su Amy, in tutti i sensi: ho sempre pensato che un certo numero di matrimoni fosse indizio di leggerezza, mentre Amy è tutto tranne che leggera. Forse è soltanto una per cui non vale il vecchio adagio “sbagliando s’impara”.

Ciò detto - come si dice nei talk show - e cercando di non prendere di nuovo fischi per fiaschi, o lucciole per lanterne, passo volentieri a dissertare della numero sette.
Balza subito agli occhi l’assenza di rime nei versi (tranne quella banale, perché troppo comune, in “-ato” - viene persino il sospetto che sia finita lì per sbaglio). Noto inoltre una più spinta disparità nella lunghezza dei versi. Chissà, forse questo nuovo stile rispecchia la mentalità pragmatica di Natalie, la “Marta che amava la vita attiva”; una insomma che non esita a sporcarsi le mani, senza peraltro sporcarsi il resto.

Ancora una volta illuminante, per uno come me digiuno di tutto, è stato il riferimento ai cataloghi americani per posta di inizio novecento. Io ero rimasto arenato a La Base e Postalmarket, di cui ero un cultore nella mia adolescenza :)
Trovarne alcuni di quei preziosi volumi sul web, venduti allora a 50 cents, e sfogliarli, è stata per me una delle esperienze più interessanti della giornata.

Anche stavolta comunque confesso la mia inadeguatezza a cogliere alcuni sottili riferimenti, soprattutto gli ultimi due versi finali, ripresi nel titolo.
E Courbet? Forse un riferimento all”autoritratto disperato che balza alla mente?
Chissà, in una futura pubblicazione potresti aggiungere delle note a fronte, per coinvolgere anche i lettori più sprovveduti 😉

Rinnovo peraltro i miei complimenti, per quanto questi possano valere, per questa insolita - diciamo - enciclopedia poetica che sei riuscita a mettere insieme, e ti aspetto alla prossima donzella.

Recensore Master
05/06/24, ore 19:04

Più che “meno storicamente contestualizzata” la trovo una sorta di quota azzurra fra le tante storie di donne e ragazze. È infatti tutta incentrata sulla figura di un William, con tanto di figlia e figlio William Boy (illegittimo questo, morto a meno di dieci anni?). Doveva essere un cavaliere distinto ma un po’ sordo (se confonde “storta” con “morta”) 😅
Ammiratore del ballo, valzer e charleston, e soprattutto di chi lo ballava, sposato in non giovane età con Amy, di lui non rimane neanche una lapide, perchè forse le ceneri se ne stanno sulla scrivania.

Si presume che la devota vedova, rimasta senza casa, si sia rifugiata al Barbizon più per disperazione che per voglia di vivere.

Ho dovuto perdere un po’ di tempo anche stavolta, per cercare di riunire i pezzettini del puzzle che ogni volta disperdi fra le tue poesie. Poesie che come forse ho già detto trovo molto originali, nelle quali non è sufficiente gustare lo stile - al tempo stesso nostalgico e sagace (mi ha fatto morire quel “che storia da cantico!”), ma occorre anche ricostruirne la trama.

Non so se io ci sia riuscito a pieno. Oltretutto rimango con alcuni dettagli che non riesco a capire. Perché tre cognomi, Cameron Adler e Harkness?

Alla prossima!

Recensore Master
04/06/24, ore 06:54

Una romanticona, Rose. “Buffona” sì, ma pienotta, dentro e fuori. Me la immagino una cavallona, spontanea, dalla risata facile. Tempra robusta, fibra impermeabile. Sfuggita al mondo dei cow boy va a impantanarsi in quello delle clown girl.
Tutto sommato non affoga nella disperazione e nell’alcool, a lei basta poco, “una tazza di tè”. Il naso rosso non è quello della sbronza.
Ha imparato l’arte e l’ha messa da parte, perché continua a sperare.

Mi accorgo di essere sempre troppo frettoloso nel leggere le tue poesie. Sono talmente ricche di spunti che andrebbero centellinate, come quella tazza di tè, o rilette più volte. Sicuramente da conservare in un libro.

Recensore Master
04/06/24, ore 06:52

Me l’ero persa Linda, chissà come mai… e dire che mi mancavano un po' queste curiose e insolite poesie, con la loro profusione di dettagli e particolari rivissuti in prima persona, a volte attraverso lettere, o pagine di diario, o ritagli di giornale, il tutto attraverso le lenti colorate della tristezza, della nostalgia, della malinconia.
Gente consapevole degli errori fatti, che tuttavia non ha la forza, o la voglia, di rinnegarli. Ormai è troppo tardi. Ormai sarebbe inutile.

Non “aspira” antipatia, Linda. Tutt’al più aspirava qualcos'altro :-)

Avvincente lo stile. Come sempre offre briciole sparse qua e là. Puntini alla rinfusa, che il lettore deve unire, sia pure con tratto insicuro.
Linda ha il pedigree, ha la cultura del Barnard College, ma “il futuro ingabbia”.
Il posto in banca è la morte della borghesia, avrebbe detto un sessantottino.
Meglio affrontare la vita con le scarpe strette.
A volte la vita offre molto da saccheggiare, e lo facciamo a cuore leggero, senza pensare che tutto, poi, ci verrà ripreso. Ci verranno lasciate solo le scarpe strette, che non serviranno più a nulla.
A volte il declino è graduale, non ce ne accorgiamo nemmeno. A volte è improvviso, capita tutto insieme, come il giovedì nero di Wall Street, e fa male.
Fa bene invece, come sempre, leggere le tue belle poesie.

Recensore Master
20/05/24, ore 08:20

Stai tranquilla, non sei obbligata a rispondermi, non lo interpreto come segno di maleducazione. Anzi, mi dispiacerebbe se ti sentissi obbligata a farlo.
Le cose fatte per obbligo o dovere sono le più pesanti, e quelle che riescono peggio.
Anche se le meno incostanti.

Belle è un’altra delle prime, se si considera che Jimmy Walker fu sindaco dal 1926 al 1932: in pieno proibizionismo.
Grande passione per i fatti e cura nei dettagli sono anche qui gli ingredienti che fanno sembrare vere le più elaborate rivisitazioni storiche.
Una perfetta sconosciuta, inesistente nelle cronache rimasteci, eppure così reale grazie a quel malinconico tono leggendario.
Fra l’altro il Poughkeepsie Courier potrebbe essere esistito davvero, Era uno dei tanti Sunday Courier in giro per il mondo (come La Domenica del Corriere).
Figlia di pastore, Belle, un classico, più portata di altre a cercare la luce nell’”oscura” verità, una ricerca finita in risata sguaiata. Iena famelica “di carne d’uomo” e assetata d’alcool.

Le rime sporadiche, le guarnizioni eleganti di parole (“crisi e afrodisi”), confermano in questo nuovo lavoro un modo insolito per me di leggere poesia: ricreare atmosfere attraverso Google aperto (ahimè, non sapevo neanche cosa fossero gli speakeasy).
È una ricerca di poesia intentata da Belle facendo perno sui sospiri “dei miei occhi” e “delle mie labbra”, che si trasforma in poesia di altro e più consistente tenore: quella dei verbi al passato, un passato vissuto a fondo e oggi dimenticato.
Non si fa voler bene per la bellezza esteriore, Belle, ma per un altro tipo di fragilità, molto più interiore.
Benissimo! Alla prossima.

Recensore Master
15/05/24, ore 14:23

La vita sempre più dura.
Prendila così, come se fosse tutto normale anche se non lo è, anche se ti senti in prigione.
Prigioniera di quel mondo che mai e poi mai riconoscerà il tuo valore
Direi che quello che hai scritto è più che chiaro.
Ottimo lavoro di nuovo, tesoro.
A presto

Recensore Master
15/05/24, ore 14:18

E con la calma di un bradipo arrivo a leggere e recensire questa meraviglia.
Innanzitutto ciao tesoro, quanto tempo che non ci si sente con le pubblicazioni e in generale, come stai? Spero bene.
Mi piace questa tua iniziativa di scrivere nella sezione poesia, direi che stai andando alla grande.
Questo Barbizon Hotel è la via di fuga di tutte queste ragazze, queste donne.
Il Barbizon Hotel le faceva sentire libere mentre la loro vita, quella reale, era troppo stretta.
Il tutto in un'epoca dove le donne erano ancora a disposizione degli uomini nonostante i tentativi di emergere.
Ottimo lavoro davvero

Recensore Master
14/05/24, ore 19:24

Sono io che ringrazio te delle tue parole così gentili e della menzione che mi regali, ma, credimi, non ho tutta quell'”approfondimento" che mi attribuisci. Considerami, se ti va, come un allievo diligente, volenteroso quando svolgo i compiti a casa, sia pur tardo, sempre assetato di nuove emozioni, notizie, confronti.

Anche in questo brano, poesia è fatta, e fatta bene.
È quell'amore per il pensiero ai dettagli, che invita suadente alla sintesi durante il ripensamento.
Sono le rime che ogni tanto compaiono, le rime che a mio modesto avviso non fanno mai male. Un modo green - si direbbe oggi - per fare poesia.
Come poesia è fatta dal consueto tono di rimembranza, dal lieve ermetismo degli innumerevoli riferimenti, che invita occhieggiante il lettore ad aprire i browser.
Harper Savage probabilmente non è una delle prime, forse è una delle ultime, quelle “Donne” che al Barbizon rimangono fino alla fine, fino a tutt'oggi credo, trasformate da esempi di ribellione a fonte di saggezza.

Con tutta probabilità Harper Savage, classe A, stanza 212 (già all’ingresso le nostre ragazze venivano classificate e numerate!) non è mai esistita, come le altre che citi, più famose e provenienti da altri contesti che popolavano sogni e speranze: Scout Finch e Jo March.
La immagino con occhi sognanti e volubili, costretta da un destino complicato a ribellarsi contro i suoi stessi genitori, quegli stessi che probabilmente e paradossalmente la chiamarono Harper in onore di Harper Lee o forse di Harper’s Bazaar.

Avvincente, insolita e sconosciuta, per quanto mi riguarda, la grande varietà di tessuti che menzioni, che rendevano belle e audaci le donne di quei tempi lontani: falpalà, calze di nylon, taffettà, interlock e ripstop, percalle lampasso lamè e georgette.

Forse Nellie Bly morì troppo presto per interessarsi del Barbizon Hotel, ma sicuramente ne doveva ancora essere viva la memoria.

Sarà difficile non ripetersi, dopo tutta la carne che hai messa al fuoco, dopo tutte le suggestioni che hai saputo ricreare. Per questo ti auguro un buon proseguimento, convinto che te la caverai brillantemente.

Recensore Master
13/05/24, ore 06:31

Nella mia crassa ignoranza non avevo mai sentito parlare del Barbizon Hotel, eppure mi sembra un luogo estremamente interessante, una sorta di filo conduttore per approfondire la figura della donna a cui viene data la possibilità di essere finalmente libera. Libera di sognare, libera dagli uomini, libera dal pensiero unico del femminismo, libera (forse?) da ogni tipo di ricatto e di ipoteca.
Donne in fuga, donne in rinascita, donne in cerca di sfondare, donne non ancora contaminate dalla metropolitana di New York.
Ma accanto alle vittorie ci sono sempre i fallimenti. Una donna libera ha sempre dei risvolti miracolosi o disastrosi, per sé e per chi le sta vicino.

Mi aspetto molto da questa raccolta di poesie. Difficili da scrivere. Riuscitissimo il primo scritto, quasi un antipasto appetitoso.

I versi forse sono ancora un tantino prosaici, pur contenendo il fascino del posto dimenticato o sparito, dell’accavallarsi di domande retoriche, del refrain. Evocativi più di una qualsiasi evocazione storica.