~ One-shot scritta per la AkaRen Week 2025 ~
La notte era un manto nero, spesso e silenzioso, che avvolgeva i vicoli stretti e angusti di un piccolo quartiere malfamato, dove le mura di mattoni umidi sembravano quasi richiudersi su se stesse. Akaza si muoveva agile nell'ombra, i passi leggeri come piume, senza produrre alcun suono, e i sensi acuti in allerta. L'odore del sangue era nell'aria, forte e dolce, un richiamo che gli faceva fremere i muscoli e risvegliava la sua fame.

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La notte avvolgeva la casa dei Rengoku con un silenzio ovattato, rotto solo dal respiro lento e regolare dei due corpi abbracciati sul futon. Akaza se ne stava lì, indugiando più a lungo del solito, abbandonato al calore che solo Kyojuro sapeva donargli. Di norma, si sarebbe già alzato per evitare i primi raggi di sole che per lui erano una condanna a morte, ma quella notte la volontà di restare era più forte, come se il tempo stesso avesse rallentato per lasciargli assaporare ancora un po’ quel dolce momento sospeso.

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La casa dei Rengoku era rimasta chiusa per decenni. Quando gli eredi lontani decisero di venderla, nessuno pensava che dentro ci fosse ancora qualcosa.
Fu un restauratore, durante i lavori in soffitta, a trovare la scatola. Dentro, avvolte in panni di lino, c’erano delle lettere. Alcune bruciate ai bordi, altre macchiate di sangue e pioggia. Nessuna firmata interamente - solo nomi: Akaza e Kyojuro.

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Il ronzio del palazzetto sembrava ovattato, come se il tempo avesse deciso di rallentare solo per lui. Akaza aveva le mani strette attorno alla palla, le dita tese, i muscoli delle braccia vibranti di adrenalina. Il tempo scorreva rapido sul tabellone: 46 a 47, meno di venti secondi alla fine della partita.
Ma dall’altro lato del campo c’era lui, il capitano più forte e determinato che avesse mai incontrato in tutti quegli anni: Kyojuro Rengoku. Non poteva negarlo. Ogni volta che lo vedeva muoversi, il modo in cui dominava la partita con quell’energia esplosiva, Akaza sentiva qualcosa scuoterlo dentro. Non era solo ammirazione: era qualcosa di più profondo. Kyojuro non era solo il capitano della squadra avversaria; era l’ostacolo più grande, la sfida più eccitante – in tutti i sensi.

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Akaza guardava Kyojuro con i pugni chiusi lungo i fianchi, le unghie infilate dolorosamente nei palmi e le nocche bianche. Il Pilastro della Fiamma lo fissava di rimando con l'unico occhio che gli era rimasto, un sorriso stanco a increspargli appena le labbra. Di fronte a quello sguardo così rassicurante, Akaza non poté fare a meno di stringere la mascella e digrignare i denti.
Era come se Kyojuro gli stesse dicendo che non era colpa sua, che non poteva farci nulla se le cose erano andate in quel modo, se aveva perso l'occhio sinistro ed era sopravvissuto per miracolo allo scontro con una delle Lune Crescenti di Muzan; ma lui non poteva fare a meno di sentirsi responsabile per ciò che era accaduto.

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Akaza non ricordava più quando tutto aveva avuto inizio, quando aveva preso impulsivamente la decisione di presentarsi per la prima volta davanti lo shoji della dimora dei Rengoku senza sapere esattamente cosa stesse facendo. Forse era stato la notte stessa del combattimento con Kyojuro, quando aveva seguito silenziosamente i disperati tentativi della squadra di soccorso di tenere in vita il giovane Pilastro della Fiamma; oppure quando lo aveva spiato durante la sua lunga convalescenza, guardandolo rimettersi in forze con estrema fatica.

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«Kyojuro, ricordi ancora la prima volta che ci siamo incontrati?»
Akaza pose quella domanda con un mezzo sorriso, quello che usava quando sapeva di toccare un nervo scoperto. Era steso sul divano, una gamba penzoloni e lo sguardo fisso su Kyojuro, che aveva appena fatto l’errore fatale di mostrargli il profilo della guancia arrossata. Il sorriso sulle sue labbra si allargò a dismisura e si trattenne a stento dallo sghignazzare divertito. Sapeva che Kyojuro se lo ricordava – eccome se lo ricordava! –, ma non perdeva mai occasione per tirare fuori il discorso, solo per godersi la sua adorabile reazione.