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Autore: chi_lamed    24/03/2012    5 recensioni
Sconfitto Voldemort, la pace è tornata, ma non nel cuore di una giovane Grifondoro che sente di aver ancora molto da dire all'uomo che si è sacrificato per tutti. E lo farà a modo suo. Storia che ha partecipato al primo turno del concorso "Sei personaggi in cerca d'autore" indetto dal Magie Sinister Forum, classificandosi prima.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
 
Nota 1: il gesto compiuto da Hermione si ispira ad un preciso atto che appartiene al rito funebre taoista, il cui svolgimento è quasi identico a quello qui descritto, così come la finalità.
 
Nota2: questa storia è stata scritta per il primo turno del concorso “Sei personaggi in cerca di autore” indetto dal Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/?t=49313746 ) classificandosi prima.

 
 
 

L’ultima scintilla
 

 
Il crepuscolo avanzava pian piano, portando con sé le ombre della sera.
Sul grande prato vicino al Lago Nero, Hermione sentiva i fili d’erba solleticarle il viso, cullata dallo sciabordio delle onde e dalla brezza sottile che increspava le acque. Nei cieli di Hogwarts le scie degli aerei correvano da una parte all’altra dell’orizzonte simili a misteriosi e leggiadri arabeschi, si intersecavano gentilmente e lentamente si dissolvevano in piccoli sbuffi di vapore che il tramonto tingeva di rosa.
Le era sempre piaciuto guardarle, rimanendo per ore sdraiata con il naso all’insù ad inventare per ciascuna un fantasioso racconto. Era fatta così, fin da bambina giocava a vederci le storie degli uomini, ognuna a sé stante ma destinata prima o poi ad incontrare quella di altri per tratteggiare assieme il grande disegno della vita. Una poi spiccava su tutte: percorreva solitaria una buona metà del cielo formando un lungo arco e poi si intrecciava con altre in un bizzarro arzigogolo, andando a morire subito dopo.

Gli somigliava.
Sbuffò infastidita. Anche quel tentativo di estraniarsi dalla realtà era fallito miseramente. Fu risucchiata ancora una volta in un caleidoscopio di emozioni che non la lasciavano in pace. Stupore, ammirazione, incredulità, nostalgia. E amarezza. Tanta. Per i ricordi di lui e quelli di Harry visti nel Pensatoio, che ora la tormentavano con un feroce senso di incompletezza, come se non tutte le tessere del puzzle fossero al loro posto, come se mancasse qualcosa di vitale importanza. C’erano cose non dette e azioni non fatte e per nessuna di loro c’era rimedio.
Il professor Piton era morto, punto.

Provare a parlare nuovamente con il suo ritratto? Pessima idea. Lui non aveva voluto saperne né di ringraziamenti, né di tardivi attestati d’innocenza da parte di nessuno, Harry e McGranitt in testa. Testardo fin oltre la morte.
Eppure doveva pur esserci una soluzione.
Ma esisteva, eccome se esisteva! E da giorni la pungolava incessantemente, come un’ostinata vocina che ripeteva petulante: “Non smetterò finché non mi avrai messo su carta!
Fingere di non sentirla era diventata un’impresa impossibile.
Basta basta basta! Si drizzò a sedere di scatto, prendendo finalmente il coraggio a due mani: a mali estremi, estremi rimedi.
Tolse dalla borsa il suo nuovo diario, piccolo vezzo che si era regalata il giorno prima, passeggiando in una Diagon Alley che lentamente stava tornando alla normalità. Sfiorò con delicatezza la ruvida carta ancora immacolata, inspirandone l’inconfondibile profumo che le dava sempre alla testa.
In un istante i pensieri si tramutarono in parole.
Scrisse tutto quello che provava, mentre i ricordi degli anni passati si dipanavano come filo da un gomitolo e si intrecciavano alle sillabe che veloci riempivano le pagine. Fu costretta ad interrompersi una sola volta, per concedere un po’ di tregua alla mano indolenzita e per farsi luce con la bacchetta, ma si impose di non indugiare un minuto più del necessario: doveva ad ogni costo portare a termine quel proposito quella sera stessa, o un’audacia del genere non si sarebbe mai più ripresentata.
Nuove parole si aggiunsero, altre ed altre ancora, mentre sopra di lei il cielo si trapuntava di stelle.
Finì solo a notte inoltrata, con gli occhi che le lacrimavano per lo sforzo di scrivere con la sola luce di un Lumos.
Che bugiarda.
Erano lacrime di rabbia e rimpianto, non serviva a nulla mentire a se stessa.
Nel tragitto che la riportava al castello contemplò in lontananza quel gigante di pietra appena ricostruito, senza più alcuna traccia dei devastanti crolli che lo avevano deturpato pochi mesi prima. Quanto ingannava l’apparenza! I segni indelebili che la guerra aveva lasciato su tutto e su tutti non erano certo quelli esteriori, ora lo sapeva per esperienza diretta.
Le cicatrici dell’anima saranno pur invisibili, ma sono dannatamente più dolorose.
Non le riuscì di distrarsi da quei cupi pensieri nemmeno guardando le stelle, quelle ingrate la fecero sentire ancora più turbata. Erano luce che viaggiava per secoli, soli lontani visibili a lungo anche dopo essersi spenti per sempre. Meraviglioso e inquietante. Da sentirsi piccoli ed insignificanti in eterno.
Chiuse gli occhi ed il buio si fuse con il riverbero degli astri lontani, creando qualcosa di unico ed inconfondibile: era oscurità scintillante, tenebra dai mille bagliori, erano due iridi d’onice screziate di luce. Strinse forte il diario, sentendo un nodo alla gola e cacciando indietro le lacrime. Al diavolo le stelle, che brillassero quanto volessero; il coraggio di quell’uomo le faceva impallidire al confronto.


C’erano parecchi studenti quell’estate nella scuola. Chi aveva partecipato alla battaglia era anche voluto restare: dopo aver combattuto per proteggere Hogwarts, ora voleva esser d’aiuto per ricostruirla.
Percorse i corridoi con particolare cautela – il coprifuoco non era stato sospeso – e sperò con tutta se stessa di non incontrare nessuno. Questa volta però non per aver violato le regole: la paura che cresceva ad ogni passo era di ben altro genere. E se non avesse funzionato? O se, peggio, fosse stata derisa? No, quell’ultima ipotesi era da scartare a priori, l’uomo che aveva intravisto in quei ricordi non suoi era diverso dall’irritabile professore che l’aveva sempre schernita e sminuita. Nella peggiore delle ipotesi, quando tutto fosse finito, le avrebbe risposto che la cosa non gli importava, giudicandola inutile e l’avrebbe rispedita senza tante storie al suo dormitorio.
I furiosi battiti del cuore ed il tremito delle mani divennero quasi incontrollabili; dove era finita tutta l’audacia di poche ore prima, dove? Dovette respirare più volte – e a fondo – prima di entrare nella stanza che già sapeva esser deserta.
Fu accolta dal buio. Accese solamente qualche candela qua e là, illuminando l’ufficio di un tenue e tremolante chiarore; troppa luce sarebbe stata inappropriata. Il ritratto di Silente non si scompose per nulla, anzi, ammiccò verso quello addormentato del professor Piton e con un occhiolino fece finta di assopirsi. Era solo un ritratto, come faceva a sapere sempre ogni cosa?
 “Rimpiango d’essere morto solo per non poter più togliere punti a Grifondoro, Granger. Ti devo far presente l’ora ed il luogo in cui ti trovi senza alcun permesso?”
Trasalì. Ma allora non dormiva nemmeno lui!
Tanto meglio, le aveva risparmiato l’ardua incombenza di svegliarlo.
Si era preparata a qualche commento pungente, ma le fece comunque un certo effetto sentirlo ancora, constatando con un lieve sorriso che la dipartita non ne aveva affievolito la sagacia. Era peggio di un cane da guardia anche dentro lo spazio di una cornice.
“Ora illuminami, quale altra regola stai per infrangere?”
Non rispose. Immobile, fissò il nero velluto di quegli occhi che la dardeggiavano fieri, cercando proprio in loro il coraggio necessario. Abbassò infine lo sguardo sul diario, decisa a non rialzarlo più, fino a che tutto non fosse terminato.
Severus continuò a squadrarla poco amichevole: se quella Grifondoro si aspettava che lui avrebbe ascoltato anche solo mezza parola – qualsiasi cosa avesse scritto – si sbagliava enormemente. Oh no, non ne voleva sapere ancora di sentirsi dire “grazie”, “non potevo immaginare” e cose del genere. Il passato doveva tormentarlo anche ora che era morto? E poi, cosa mai avrebbe avuto da dirgli quella ragazza che non avessero più volte ripetuto Minerva e Potter? Era stata una vera fortuna che si fosse recato nell’altra cornice al Ministero della Magia quando la Granger aveva visto i suoi ricordi nel Pensatoio, non avrebbe sopportato la vista di chi frugava, nuovamente, in reminiscenze non sue. Già Minerva gli aveva raccontato come si fosse svolta l’ultima lotta tra il Ragazzo Sopravvissuto e Voldemort, calcando molto la mano sulle rivelazioni che il Prescelto aveva sparso ai quattro venti, ora era la volta anche  delle proprie memorie?
Nel silenzio il suono di carta strappata riecheggiò netto e imprevisto, distraendolo dai propri pensieri.
Spalancò gli occhi. Una pagina coperta da una fitta scrittura venne posta nel camino, seguita ben presto da altre. I presidi si svegliarono con sonori sbadigli e qualcuno di loro tentò per protesta qualche borbottio sommesso, ma furono tutti zittiti da un cenno di Silente che sorrideva bonario.
“Granger.” protestò Severus.
Lei continuò a tacere e strappare, finché non avvicinò la piccola fiamma d’una candela all’ultimo foglio rimasto e lo adagiò tra gli altri. Dalle vivaci lingue di fuoco si sprigionarono tenui volute di fumo, che si sparsero per il camino e poi su, fino al cielo.
Scripta volant.


Severus, sentì.
Ogni lettera vergata dalla mano di Hermione volteggiò nell’aria, gli si accostò ed intrattenne con lui un muto discorso, sussurrandogli silenziosamente parole di profondo rispetto, sentimenti di sincera ammirazione e riconoscenza. La caparbietà della giovane strega era riuscita ad aggirare ogni ostacolo che egli ancora frapponeva tra sé e gli altri. Volente o nolente, ora era costretto ad ascoltare, senza che alcuna via di fuga gli fosse concessa.
In fin dei conti c’era da aspettarselo. Aveva sempre ammirato l’ostinazione di lei, arrivando persino a compiacersi quando si dimostrava sempre estremamente preparata senza mai darsi per vinta, nonostante tutti i suoi tentativi di sminuirla e schernirla, soprattutto di fronte ai Serpeverde. Maledetta quell’odiosa maschera che per anni aveva dovuto indossare, celando a chiunque il suo vero io sepolto sotto strati di indicibile sofferenza, impedendogli di esprimere apertamente quel che veramente pensava. Quante volte era stato tentato di lodarla pubblicamente, ma si era dovuto frenare, calpestando spietatamente ogni minimo atto di sincera umanità? Ma la colpa era sua e solamente sua, di quella scelta avventata e scellerata che aveva segnato la fine del suo mondo e che lo aveva costretto ad un doppio e triplo gioco dall’inevitabile esito mortale.
Il silenzio poco a poco gli disse ogni cosa, abbracciandolo di ricordi, facendo nascere in lui un dolore tanto cocente quanto inspiegabile. Impossibile, lui non era più un corpo vivente, quella sofferenza non poteva esser la propria. Era uscito di scena annegando in due occhi verdi come la speranza di poter trovare finalmente pace – e così era avvenuto – cos’era dunque quel fastidio che cresceva implacabile? Era come un senso di acuta incompletezza, qualcosa di inafferrabile ed effimero, eppure fondamentale come l’aria che si respira.
La risposta stava lì, a portata di mano ed aveva le sembianze d’una giovane donna immobile come una statua, con gli occhi bassi accanto ad un camino.
Empatia.
Era il dolore di lei.
Era dispiacere, per non aver saputo guardare dietro la maschera, oltre le apparenze ed aver ceduto come tutti alla sfiducia e all’accusa. Era nostalgia, per momenti che sembravano così lontani, quando un minaccioso fruscio di mantello era diventato una spinta irresistibile a dare il meglio di sé ogni singolo giorno. Era sofferenza per ogni suo sguardo, gesto o parola da cui, solo ora, coglieva un indicibile amore pronto a donare tutto se stesso con enorme coraggio.
E’ straziante voltarsi indietro e non poter porre mano al passato, convennero entrambi.
Assaporò quell’amaro dolore fino all’ultima goccia, lasciando che il retrogusto diventasse dolce di autentica commozione.
Si chiese perché proprio ora, perché con lei e non con altri che avevano tentato più volte di offrirgli la loro dimostrazione d’affetto. Quell’incantesimo non poteva averlo intenerito improvvisamente, era fuori discussione. Forse si era lasciato impressionare da quell’atto tanto intriso di testardaggine quanto ammirevole come colei che lo aveva evocato.
O forse – si disse – era finalmente arrivato il momento di accettare senza proteste.
Accettare di essere amato e perdonato anche da altri, da quel mondo che ancora esisteva là fuori – che lo additava come esempio – e che costantemente gli ricordava che non era morto invano. Era quella una speranza che non si era mai del tutto sopita quand’era vivo; aveva continuato a stillargli forza e tenacia anche nelle notti più buie straziate dalle urla di infiniti rimorsi.
Più nulla gli impediva d’essere totalmente in pace, se non l’accettare quell’ultimo spicchio di felicità che la maga gli stava offrendo.
Lasciarsi amare anche dai vivi, non solo dai morti.
Lasciarsi guardare con estremo rispetto, stimare in modo sincero e contemplare con genuina benevolenza, senza fronzoli ma con sobria semplicità.
Lasciarsi amare per quello che era.
Poco a poco il fuoco si spense, consumando gli ultimi brandelli di carta. Le parole affidate all’aria e alle fiamme si affievolirono in un bisbiglio taciturno, noto a lui solo. Hermione ancora non osava sollevare lo sguardo, respirando appena percettibilmente, completamente preda della preoccupazione e aspettandosi da un momento all’altro l’invito perentorio a lasciare la stanza.
L’ultima scintilla s’innalzò solitaria dal piccolo mucchio di cenere, volteggiò incandescente e leggiadra danzando tra un ritratto ed una giovane maga ed infine si spense serena, seguita dagli occhi di entrambi. I caldi riflessi della nocciola incontrarono il nero lucente e lì rimasero a lungo.
Decise di riprendersi la propria umanità, tutta.
Hermione era davvero la strega più brillante della sua età, disse Severus a se stesso.
Sorrise.
Era giunto il momento di dirlo anche a lei.
 
FINE

 
 
Nota finale dell’autrice: per chi avesse qualche perplessità riguardo ai quadri dei presidi, se siano in grado o meno di percepire le emozioni.
Ho voluto dare due fasi al ritratto di Severus. La prima è quella che rispecchia l'atteggiamento dei ritratti, che non sono fantasmi o simili, anche se quello di Silente lo notiamo molto caratterizzato, forse proprio per via del personaggio che era in vita. La seconda è quella dopo l'incantesimo.
Le parole vanno in fumo e quello sale al cielo, l'arcano di tutto sta proprio lì. Ho unificato ciò che è il ritratto con ciò che è Severus finalmente pacificato, la sua anima potremmo dire e non c’è modo migliore che comunicare con essa affidandosi al fuoco.
Lo spunto – come specificato anche dalla nota iniziale – proviene dalla attuale cerimonia funebre taoista, dove si è soliti bruciare parole ed immagini disegnate e scritte a mano su un pezzo di carta davanti alla foto del defunto, in modo da fargli arrivare quel che i vivi vorrebbero dirgli e dargli. Ma non è solo fenomeno attuale, perché in tutte le culture antiche, da quelle Occidentali, al Vicino Oriente Antico, fino a quelle del Sol Levante, il fuoco è ritenuto il mezzo per comunicare con la divinità: divora, consuma e ciò che brucia si perde nell’aria, giungendo dove l’uomo non può accedere.
C'è dunque un prima e c'è un poi e quello di Hermione mi è sembrato l'unico modo per far sapere il suo stato d'animo al vero Severus, non ad un semplice tratto su tela; infine, visto che siamo in un mondo magico, ho ritenuto che un incantesimo di questo tipo avrebbe risolto - con logica - il problema.




Se siete riusciti ad arrivare fino in fondo senza annoiarvi, mi lascereste una piccola recensione? Sono gradite soprattutto le critiche costruttive su questioni stilistiche e di trama.
 
  
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