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Autore: theGan    25/03/2012    2 recensioni
La vita di Raito Yagami non è perfetta, ma da quando sono entrati in gioco un collega pasticcione, uno zelante pubblico ministero ed un detective misterioso, certamente non può più dirsi noiosa
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito, Teru Mikami, Tota Matsuda
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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La vita di Raito Yagami non è perfetta, ma da quando sono entrati in gioco un collega pasticcione, uno zelante pubblico ministero ed un detective misterioso, certamente non può più dirsi noiosa.


IMPORTANTE PREMESSA: Questa storia è ambientata in un Universo Alternativo in cui i Death Note e gli Shinigami non esistono. Temporalmente è ambientata nel 2009 ed utilizzerò la cronologia del manga (quindi per intenderci partirò dal presupposto che Raito sia nato nel 1986).
Detto questo… buona lettura!





Quasi tutti gli ospedali sono bianchi. Alcuni sono azzurri, ce ne sono persino di verdi, ma il bianco rimane il generale favorito. Il colore sembra avere un effetto rilassante sul cervello. Lo mette in pace con la morte che lo aspetta fuori dalla porta a doppio scorrimento.
Le finestre degli ospedali non danno quasi mai su pomeriggi assolati, fatti di lontane promesse di guarigione e vita. Lo stereotipo nasce forse da una lunga serie di serie televisive americane piene di tradimenti, figli illegittimi, matrimoni e toccanti scene di riconciliazione.
Le finestre degli ospedali di solito danno su strade trafficate o su lavori in corso.
Era domenica ed i martelli ad aria compressa avevano interrotto per un giorno la loro incessante sinfonia di percussioni. La vecchia signora giaceva nel letto pacificamente ignara del silenzio pneumatico che trapassava le pareti impregnandole del sangue dei fantasmi.
La macchinetta infernale riempiva e svuotava i polmoni passando da un tubo di plastica rigida appannata dalla condensa. La sacca sospesa al palo d’acciaio si riempiva goccia dopo goccia.
Plick plock.
Non ce l’aveva con lei.
Era stata tutta colpa sua, ma l’aveva perdonata da tempo.
Parenti, amici, conoscenti, colleghi, tutti, uno dopo l’altro, avevano abbandonato la vecchia.
Non era rimasto nessun altro.
Sarebbe stato inumano non perdonarla.
La andava a trovare da sempre, non le aveva mai portato fiori o biglietti. Ricordava bene che da viva li aveva sempre detestati.
Plick plock.
Una sacca si riempie ed un’altra si svuota.

Non c’erano mai stato bisogno di parole tra di loro.
Plick plock.
Una sacca si svuota goccia a goccia in un sangue malato.
Sarebbe stato ogni volta il suo regalo d’addio.




WHACK FOR THE TOO RAY LADY




O.1 RAITO




Il riscaldamento era partito quella mattina. L’elettricità sarebbe stata allacciata la settimana seguente e l’idraulico sarebbe venuto l’indomani ad aggiustare lo scarico del lavandino che quel pomeriggio aveva ben pensato di inondare lo scarno soggiorno di acqua saponata.
A parte questo nel complesso era un bell’appartamento. di 50 m2 al centro di Tokyo ad appena mezzora a piedi dalla centrale della NPA.
Per quello che lo aveva pagato era stato un vero affare, anche se sua sorella aveva continuato ad insistere che il prezzo fosse stato determinato dal suicidio del precedente inquilino.
Consolandosi con simili pensieri il ventitreenne Raito Yagami entrò nel gelido box doccia, più intimorito dall’idea di presentarsi sporco in ufficio che dal freddo autunnale. Soffocò un brivido quando l’acqua gelida lo colpì in pieno dal doccino arrugginito. Al primo posto nella lista delle sue priorità si collocava un deciso rimodernamento dell’intero locale dopo lo stipendio.
Suo padre gli aveva più volte offerto il suo sostegno finanziario quando aveva annunciato alla famiglia il desiderio di vivere da solo, ma si era sempre ostinato a rifiutare. Dopotutto se voleva essere indipendente, tanto valeva iniziare da subito.
A volte si trovava a pensare che il suo orgoglio sarebbe stato la sua fine.
Dopo quella che sarebbe passata alla storia come la doccia più veloce della sua vita, il freddo si sa è nemico sia dell’igiene che del balsamo, Raito si diresse in soggiorno rabbrividendo per tutto il tempo nell’accappatoio di spugna. Sua madre lo aveva riempito di cibo, ma senza un frigo funzionante, dannata mancanza di corrente, dove conservarlo, si era ritrovato costretto ad affidarlo alla zelante proprietaria dell’appartamento del quinto piano che si era mostrata eccessivamente lieta per una donna non più nel fiore degli anni del trasferimento di un aitante vicino. Sopprimendo un nuovo brivido, questa volta non causato dal clima, Raito si ritrovò a ringraziare mentalmente la lungimiranza mostrata dalla sorella quando gli aveva prestato il suo phon a pile.
Peccato non aver potuto eliminare gli orridi adesivi di Hello Kitty che lo decoravano.
Con un sospiro Raito si rassegnò all’idea che fino a tempi migliori quella sarebbe stata la sua vita, ma quando finalmente asciutto riuscì a distendersi sotto i quattro strati di coperte un sorriso si era già fatto strada sul suo viso. Domani alla luce del sole, le cose non gli sarebbero più sembrate così grigie.
Dopotutto Raito Yagami era sempre stato un ottimista.

-Tutto bene Raito-kun? Hai una faccia…
L’universo aveva concepito Touta Matsuda per rimarcare l’ovvio e contribuire a rendere nel frattempo la sua vita un inferno ancora peggiore.
La notte precedente aveva dormito poco e male a causa di un incubo da “indigestione” fatto a stomaco vuoto, il che, oltre ad essere ironico, aveva contribuito non poco al suo pessimo umore.
Shinigami, quaderni della morte e detective misteriosi. La sua mente di notte gli giocava strani scherzi. Non si ricordava che ruolo avessero svolto le mele.
Forse era semplicemente affamato.
L’arrivo dell’idraulico aveva contribuito allo scompiglio generale, quando, quella mattina nel riparare il tubo infame, aveva fatto saltare quello accanto dello scarico della lavastoviglie procedendo a riallargare il tinello che tanto tempo aveva speso a riordinare la giornata precedente. Nonostante questo la faccia di bronzo in questione non si era fatta alcuno scrupolo a presentargli un conto più che salato, tanto da costringerlo a separarsi dagli ultimi sudati risparmi.
Era in piedi da sette ore, aveva lo stomaco più vuoto di un tamburo salvo per l’orribile caffè della macchinetta della Centrale e la scrivania piena di casi noiosi e massacranti.
Alzò lo sguardo dallo schermo fluorescente del computer e stiracchiò un sorriso.
- Tutto bene, grazie Matsuda-san. Ho solo gli occhi un poco affaticati.
Ciò gli vinse un sorriso goffo.
- Eh deve essere lo schermo di questi computer, è da secoli che dico che andrebbero messi a posto, ma nessuno mi ascolta mai.
Terminati i convenevoli Raito si aspettava di poter tornare al suo fascicolo, un caso di furto con scasso nella zona di Ikebukuro, ma Matsuda era ancora lì.
Con un sospiro si rassegnò alla sospensione forzata.
- Matsuda-san? Ha bisogno di qualche cosa?
Il collega più anziano sembrò scuotersi da chissà quale fantasticheria per assumere un’espressione imbarazzata.
-Ehm… niente Raito-kun.
Nutrendo la vaga speranza che il discorso fosse finito lì Raito fece per tornare ai suoi file.
- Ma tuo padre è un po’ preoccupato per te.
Ovviamente si era trattata di una pia illusione, ma se lo sarebbe dovuto aspettare. La famiglia Yagami aveva sempre fatto dell’indirettezza nelle questioni personali il suo cavallo di battaglia.
Fatta eccezione per la sorella, non ricordava l’ultima volta in cui aveva avuto una discussione schietta con un componente qualsiasi della famiglia.
“Sicuro di non volere un’altra fetta di torta?” da parte di sua madre, significava “Sei dimagrito, non è che ti stai ammalando?” o un “Questa primavera inizierai l’università” da parte di suo padre, in realtà voleva dire “figliolo, ricorda testa sulle spalle ed evita di confonderti tra libertini perditempo… ah e porta a casa una ragazza da farci conoscere quest’anno, d’accordo?”. E così via.
Che suo padre si fosse servito di Matsuda per informarsi sulla sua salute, piuttosto che presentarsi di persona era talmente da manuale da risultare scontato. Raito imputava il fatto di non averlo previsto alla mancata assunzione nelle ultime settimane di sostanze nutritive in forma adeguata.
Scrollò le spalle.
- Dunque è così. Non si preoccupi Matsuda-san, pensavo già di passare da casa una di queste sere, ma tra il lavoro e il nuovo appartamento, credo mi sia sfuggito di mente.
Lo sprovveduto collega annuì energicamente alla sua bugia improvvisata.
-Ah… i traslochi tendono a fare questo ai migliori di noi! Non ti preoccupare Raito-kun, informo io il sovrintendente che passerai a trovarli questa sera!
- Questa sera?
Matsuda sembrò confuso.
- Questa sera, certo…. non hai detto tu che li saresti andati a trovare una di queste sere?
-Sì, ma deve essere proprio questa?
Se possibile Matsuda assunse un’espressione ancora più confusa
- Uh… ma una sera non vale forse l’altra?- poi si illuminò, come colto da una realizzazione improvvisa - Oh! Ma forse avevi già dei programmi, eh, Raito-kun? Allora… chi è la fortunata? E soprattutto quando potrò conoscerla? Oh… tuo padre sarà così entusiasta.... o forse no. Dopotutto è un uomo così all’antica…. E’ carina, ma certo che è carina… scusa, non volevo offendere….Ehi! Non è che ha un’amica da presentarmi?
Raito non sapeva se sentirsi mortificato o allibito, essere investiti in pieno dalle ciarle di Matsuda tendeva a fare questo effetto. Nel dubbio optò per entrambi.
-Matsuda-san, abbassi la voce si sta facendo sentire dall’intero ufficio.
Il giovane poliziotto sembrò tornare sobrio.
- Oh, già…scusa.
Raito si massaggiò le meningi sentendo l’emicrania montare alle pareti della scatola cranica.
-Matsuda-san, riferisca pure a mio padre che questa sera andrà benissimo, questa sera è perfetta.
L’altro si affrettò ad annuire furiosamente.
-Ah e Matsuda-san…- l’interpellato che si stava già esibendo in una delle sue migliori interpretazioni del dietrofront e passo di corsa, le ire di Raito erano cosa sfortunatamente nota, si fermò all’istante - Non avendo al momento una fidanzata, non dispongo di ipotetiche amiche da presentarle. Ma sono sicuro che col suo… fascino non avrà problemi a trovare una ragazza disposta ad uscire con lei.- Raito sforzò un sorriso, gli uscì una smorfia -Buona giornata.

Che non sarebbe andata a finire bene già lo sapeva.
Che sarebbe andata “così” male, non era rientrato nei suoi piani.
Sua madre, fin da subito, non era stata per niente soddisfatta del suo aspetto ed aveva proceduto a puntarlo con uno di quelli sguardi a 360 gradi da tipico genitore preoccupato, per poi scuotere tristemente la testa, come a dire “Lo sapevo che sarebbe finita così…”.
Raito l’aveva trovata una reazione quantomeno esagerata.
Sì, era vero che nelle ultime due settimane era dimagrito di quattro chili, ma era pur fisiologico passare un periodo di assestamento dopo un cambiamento così radicale nel proprio stile di vita.
Nemmeno suo padre era stato molto contento.
Quella sera si era dimostrato più formale del solito ed i lati dei suoi occhi avevano assunto una sfumatura decisamente più rigida non appena l’argomento “lavoro” era stato toccato. Apparentemente il meritato successo del figlio del sovrintendente e la conseguente pioggia di promozioni, avevano causato non pochi malumori indirizzati alle sue spalle. Suo padre stava avendo vita dura per schermarlo dalla pioggia di accuse.
Era un’idiozia.
Nessuno, in possesso delle sue facoltà mentali, avrebbe potuto negare la meritatezza del suo successo. Non aveva forse collaborato con successo ad indagini che persino i più coriacei detective avevano dato per spacciate da quando aveva tredici anni?
Non era colpa sua se i suoi colleghi erano un branco di incapaci perditempo e certo non avrebbe abbassato i propri standard per fare loro piacere.
Da quando era entrato nella polizia giapponese, molte delle sue più salde certezze sulle forze dell’ordine erano venute meno.
Suo padre gli aveva sempre offerto un modello di severità e rigore, ma per quanto Raito fosse sempre stato consapevole di come questi rappresentasse più l’eccezione che la regola, non si era aspettato il livello di lassismo insito nella professione a cui aveva guardato con ammirazione dalla più tenera infanzia.
Era, francamente, uno schifo.
Che si trattasse di rapina, borseggio od omicidio a mano armata, il coinvolgimento dei suoi colleghi si limitava ogni volta alle ore d’ufficio. Sembrava quasi che una volta timbrato il cartellino ed usciti dalla porta a doppio scorrimento della Centrale tutti i problemi della giornata scivolassero loro di dosso, lasciando posto solo a preoccupazioni mondane.
Per Raito era diverso.
Per lui era inconcepibile in quanto tutore delle forze dell’ordine limitare i suoi doveri ad un orario ministeriale. I problemi del giorno li portava a casa con sé ogni sera, sviscerandoli fino alla nausea oppure rimanendo in ufficio fino alle ore piccole pur di arrivare in fondo ad un caso.
Anche se Raito non fosse stato il genio che, invece, fortunatamente era, una tale dose di abnegazione avrebbe comunque rappresentato una marcia in più rispetto ai colleghi.
No.
Ciò che aveva davvero ferito il giovane quella sera non era stata tanto l’invidia degli altri poliziotti, quanto l’espressione negli occhi di suo padre. Dove Raito si era aspettato di trovare ammirazione e rispetto, aveva intravisto solo una profonda tristezza.
Suo padre non era fiero.
Era preoccupato per lui.

Il sovrintendente della NPA sapeva fino troppo bene quanto fosse facile per i giovani poliziotti idealisti finire bruciati dal fuoco della loro stessa passione.
Lo sapeva per esperienza personale. Dopotutto aveva rischiato di essere uno di loro.
Incontrare Sachiko non aveva solo rappresentato per Soichiro la possibilità di una famiglia propria, era stata la sua ancora di salvezza.
Era straziante vedere suo figlio puntare come un bulldozer verso un destino pieno solo di dolore e sofferenza. Se almeno fosse stato meno ostinato ed avesse accettato il loro aiuto o, perlomeno, avesse avuto qualcuno al suo fianco a sostenerlo…
Ma Raito era sempre stato fin troppo orgoglioso per il suo stesso bene.
Ricordava ancora quando a sei anni era tornato a casa pieno di graffi e con le ginocchia sbucciate. Sachiko, da brava mamma qual era sempre stata, aveva iniziato a temere il peggio.
Che suo figlio fosse stato preso di mira dagli altri bambini? Dopotutto Raito era sempre stato piuttosto esile di costituzione ed il suo aspetto androgino, quasi effeminato a dirla tutta, lo poteva rendere, agli occhi di un bullo, la vittima ideale.
Soichiro aveva scartato immediatamente i dubbi della moglie, non tanto sulla base di un’ingenua fiducia sull’innata bontà dei bambini, ma piuttosto per aver assistito di persona, ad una rissa, istigata ai danni di suo figlio da parte di alcuni coetanei.
Non era finita bene.
Per gli altri bambini.
L’allora semplice commissario Yagami era stato costretto ad intervenire per fermare il massacro. Una volta calmate le acque aveva proceduto a sottoporre Raito ad una sonora lavata di capo e, se c’era una cosa che suo figlio male sopportava, era la pubblica umiliazione.
Raito, durante la sfuriata paterna, si era fatto tutto rosso e si era chiuso in un imbarazzato mutismo, annuendo solo a tratti e con un rigido cenno del capo.
Il futuro sovrintendente non avrebbe mai permesso che suo figlio diventasse un violento.
Fosse costato quello che fosse costato.
Dopo quello che sarebbe passato alla memoria familiare come “l’incidente” la fase manesca di Raito si era potuta dire conclusa.
E non perché Soichiro non avesse personalmente verificato.
Per sicurezza aveva cominciato da quel momento a tenere il figlio sotto costante controllo, ma fortunatamente non si erano verificate ricadute. Piuttosto aveva constato come dal giorno dell’ “incidente”, gli altri bambini avessero iniziato a trattare Raito con un rispetto che sconfinava a tratti nella venerazione.
Soichiro, almeno di questo, si era ritenuto soddisfatto.
Ed anche, a dirla tutta, un po’ sollevato.
Così quando Raito si era presentato in casa come se fosse appena uscito da un’accesa discussione con un cane arrabbiato, il signor Yagami si era subito sentito di escludere che la causa di tale misero stato fosse imputabile ad una rissa coi compagni.
Non dandosi per vinto di fronte alla reticenza assunta dal figlio nello spiegare l’origine delle sue ferite, aveva affrontato la questione in modo del tutto logico.
Aveva svolto delle indagini.
E per quanto Raito fosse sempre stato fin troppo abile a coprire le proprie tracce il futuro sovrintendente della polizia giapponese non era certo un avversario facile da abbindolare.
La conclusione a cui lo portarono le sue ricerche lo lasciò sorpreso.
Raito non era, fortunatamente , coinvolto in una baby gang e nemmeno la vittima di un pericoloso stalker.
A quanto pareva Raito aveva semplicemente deciso di imparare ad andare in bicicletta senza rotelle di supporto.
Ovviamente da solo ed ovviamente senza dire niente a nessuno.
In un primo momento la cosa lo aveva divertito, soprattutto vedendo con quanta serietà Raito si era applicato alla sua nuova missione, ma quando tre giorni dopo lo aveva visto sfrecciare con aria fiera sulla sua bicicletta rossa, come se fosse la cosa più naturale del mondo, lo aveva folgorato una terribile realizzazione.
Suo figlio non si fidava di lui.
Raito lo ammirava, certo, gli voleva bene, sicuro, ma non abbastanza da rivolgersi a lui, o a chiunque altro, per ricevere aiuto. Anche se ciò avesse significato continuare a cadere e rialzarsi, provando e riprovando tutto da solo fino allo sfinimento pur raggiungere il risultato prefisso.
La debolezza per Raito non era un’opzione.
Forse era stato sempre troppo severo nei suoi riguardi.
Aveva sempre preteso da lui la perfezione che sapeva, il figlio, essere in grado di raggiungere ed ora Raito non gli avrebbe mostrato che quella, come un vaso il cui contenuto rimaneva, invisibile, ad agitarsi sotto la pressione del proprio coperchio.
Voleva bene a suo figlio, sapeva a grandi linee come ragionava e che genere di persona fosse, ma a differenza di Sayu non lo conosceva per davvero, quasi che una parte di Raito vivesse barricata dietro un muro scuro ed impenetrabile.
Soichiro sperava che qualcuno un giorno sarebbe stato in grado di trovarne la chiave e raggiungerlo, ma nessuno fino ad ora era riuscito nell’impresa.
Anche se… c’era stata una volta in cui questo era sembrato imminente.
Takada era stata una gemma rara.
Soichiro aveva subito capito cosa suo figlio avesse visto in lei.
Bellissima, intelligente e garbata. I suoi modi erano sempre stati impeccabili persino quando Sayu quel giorno fatidico era bombardata in camera del fratello maggiore senza bussare rivelando all’intera famiglia l’attuale stato sentimentale del primogenito.
Era stato uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita, nonostante l’entusiasmo del ramo femminile della famiglia e di Sayu in particolare nel vedere il giovane universitario finalmente accasato. “Raito con una ragazza!!! Preparate le vostre ultime volontà, l’Apocalisse deve essere prossima!!!” aveva ripetuto con poche variazioni sul tema per il resto di quella serata.
Soichiro era convinto che se non avessero sorpreso il figlio proprio “sul fatto”, questi non gli avrebbe mai resi partecipi dell’esistenza di Takada stessa.
Quando la novità si era smorzata, si era ritrovato una sera a chiedere a Raito cosa avesse reso questa ragazza così diversa dalle altre,
Suo figlio lo aveva guardato seriamente e per un attimo i suoi occhi avevano tradito un disperato senso di bisogno.
“Con lei posso parlare.”
Il sollievo di Soichiro non era durato che pochi mesi. Giusto il tempo perché la coppia scoppiasse, senza lutti o fanfare, come un prodotto che, lasciato troppo a lungo in dispensa, espira la propria data di scadenza.
Dopo Takada nulla era cambiato.
Suo figlio non si era fatto più cupo. Non aveva passato settimane a prendersi cura di un cuore infranto.
Si era semplicemente immerso nello studio prima, nel lavoro poi, con una voracità tale da spaventarlo.
Soichiro sapeva che il vuoto che il figlio sentiva dentro non avrebbe potuto essere colmato dai casi risolti o dalle promozioni accumulate sulla scrivania, ma che queste non avrebbero fatto altro che allargarlo fino a quando non l’avrebbe ingoiato del tutto.
E lui non poteva farci assolutamente niente.
Sospirò e fece scivolare le dita attraverso i capelli di Sachiko, sua moglie dormiva come sempre al suo fianco, l’espressione serena illuminata dalle luci delle macchine di passaggio e filtrata dalle tende donava al suo viso un non so che di misterioso.
Non passava un solo un solo giorno in cui non ringraziasse per averla incontrata.
Ora poteva solo augurare la stessa fortuna a suo figlio.








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NOTE:
E sono parecchie preparatevi… Ma non siete costretti a leggerle per capire la storia (sono
pur sempre delle semplici annotazioni soprattutto a carattere organizzativo), quindi se
preferite potete pure saltarle.

- Nonostante qui non appaiano L e Mikami avranno un ruolo fondamentale nella storia. Presto faranno la loro apparizione, così come il “caso” attorno a cui si svolgerà buona parte della vicenda (dopotutto L ha bisogno di un buon motivo per venire fino in Giappone)
- Questa storia si comporrà, a Dio piacendo, di 8 capitoli. Alcuni di questi saranno più “tematici”, specialmente all’inizio a causa della necessità di introdurre i personaggi in questo mondo alternativo, ma non dubitate: la vicenda continuerà a muoversi ugualmente.
- Personaggi appositamente inventati saranno ridotti al minimo e comunque, salvo forse alcuni, non svolgeranno un ruolo fondamentale nella vicenda
- Più avanti la storia si muoverà in una direzione leggermente shonen ai, ma non ci saranno scene lemon o spinte di alcun tipo. La mia speranza è che l’evoluzione del tipo dei rapporti tra i personaggi appaia il più naturale possibile.
- Raito si rivolge a Matsuda col suffisso “san” per mostrare comunque rispetto al collega più anziano. Matsuda invece non si fa problemi ad utilizzare “kun” data la giovane età di Raito. Oltretutto è mio presupposto che i due si fossero già conosciuti prima dell’ingresso di Raito nelle forze dell’ordine… quindi un po’ come se Matsuda si sentisse autorizzato, che la cosa poi faccia o meno piacere a Raito lo lascio giudicare a voi.
- L’opinione di Raito sulla polizia giapponese è ovviamente offuscata dai suoi parametri personali.
- Credo fermamente che se il Death Note non fosse mai entrato in scena Raito e Takada si sarebbero comunque frequentati durante l’università, se non altro sotto iniziativa di lei. Takada, pur coi suoi difetti, è una donna brillante e credo che Raito avrebbe trovato in lei uno stimolo mentale, destinato tuttavia a non durare a lungo.
- L’esperienza di vita indipendente in un appartamento dopo aver sempre vissuto coi propri genitori ha delle forti ripercussioni sull’organizzazione del proprio tempo e del proprio stile di vita. Raito è brillante, ma credo che anche lui arriverebbe a somatizzare un simile cambiamento (ricordiamoci che stiamo pur sempre parlando di un ragazzo che in cinque giorni è stato capace di perdere quattro chili… mi riferisco al capitolo primo del manga, dove Raito accenna ai primi cinque giorni di vita di Kira)

PS: Era mia ferma intenzione iniziare a pubblicare questa storia solo una volta che fosse stata terminata. Sfortunatamente la mia depressione da esami mi impone di pubblicarla ora (perché delle recensioni farebbero davvero bene al mio attuale umore nero). Ma prometto aggiornamenti! Con calma perché sono in una fase di ultra-stress scolastico, ma ci saranno (il secondo capitolo è in corso d’opera e la trama perfettamente delineata)

  
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