Venere,
il Pianeta dell’Amore
Veronica
non sapeva ancora in che guaio di
proporzioni cosmiche si fosse cacciata a causa del suo maledetto vizio
di
fissare le persone più strane. Ma l’avrebbe capito
fin troppo presto, a sue
spese.
Il
Dottore la stava baciando sul collo: era
ripartito all’attacco dopo un’ora buona di frasi
tra i denti scontrose,
sarcastiche e spesso incomprensibili. Ma poi la voglia
dell’uomo aveva avuto la
meglio sul suo ego ferito, e vista la ragazza troppo vicina a lui e
alla sua
bocca, non aveva resistito.
Aveva
dovuto stringerla tra le braccia e iniziare a
baciarla ovunque i suoi vestiti glielo consentissero. Purtroppo per lui
la
giovane non sembrava abbastanza ricettiva e partecipa: stava giusto
pensando
che forse aveva fatto salire a bordo una donna frigida, quando un
gemito
piuttosto eloquente e sfuggito alle labbra tumide di baci della
ragazza, smentì
l’opinione che il Dottore si era fatto di lei. Faceva la
ritrosa ma forse lei
lo voleva quanto lui. Twelve sorrise, passandosi una mano sui capelli
ingellati. Veronica avrebbe trovato pane per i suoi denti. Sarebbe
stata lei a
supplicarlo per un bacio, la prossima volta, decise
all’istante, guardandola.
Il
Tardis si fermò di colpo: un rumore assordante li
costrinse a tapparsi le orecchie con le mani.
“Indossa
questo” le ordinò porgendole una tuta
spaziale e infilandosene un’altra lui stesso.
Tutto
quello che Veronica vide, appena mise piede su
un suolo decisamente diverso da quella sul quale lei era sempre
vissuta, le
rimase impresso nella memoria, come se avesse scattato
un’istantanea di quel
preciso momento.
“Venere”
disse il Dottore con le mani in tasca,
guardando con compiacimento le espressioni continuamente cangianti che
passavano sul volto dell’italiana.
“Spettacolare”
disse Veronica, a bocca aperta per
l’emozione e la sorpresa.
“Sembri
un pesciolino” scherzò lui, continuandola a
fissare e non dedicando Venere nemmeno di uno sguardo.
“Vorrei
ben vedere! Sono su Venere: nessuno
riuscirebbe a credermi!” disse camminando, con tutta
l’intenzione di visitare
in lungo e in largo il Pianeta.
Il
Dottore sbuffò, incrociando le mani dietro il
collo: “Umani” disse solo allungando il passo per
starle vicino.
La
ragazza, nonostante il Pianeta fosse piuttosto
banale rispetto a quelli che in novecento anni di viaggi aveva visto,
era
visibilmente contenta dell’esperienza che lui le stava
facendo vivere.
“Perché
mi hai portata proprio qui? Insomma tra
tanti posti …” gli disse emozionata avvicinandosi
a lui talmente tanto che lui poté
cogliere il profumo dello shampoo che usava.
Il
Dottore allargò le braccia come a volerle
indicare ogni singolo angolo di quel mondo, dopodicchè le
sussurrò
all’orecchio: “Venere è la Dea
dell’Amore secondo alcune popolazioni umane, ed
io volevo portarti nell’unico Pianeta in tutto il Cosmo che
porta il suo nome…”.
Veronica
commossa da un regalo così bello, piena
negli occhi dalla visione di Venere e della terra rosa corallo su cui
poggiava
i piedi, gettò le braccia al collo del ragazzo.
Il
Dottore rimase paralizzato e completamente
spiazzato da quella dimostrazione d’affetto della giovane: da
quando era in
questo nuovo corpo mai nessuno lo aveva abbracciato, e non sapeva come
reagire
e comportarsi.
Scioccato
da un gesto che ogni bambino umano riterrebbe facile come bere un
bicchiere
d’acqua.
Patetico.
Davvero patetico. Si giudicò.
Confuso,
e con i battiti di uno dei due cuori che
acceleravano esponenzialmente, l’uomo non ricambiò
l’abbraccio, ma rimase
inerte con le braccia inutili a penzolare goffe.
“Dobb
… dobbiamo tornare al Tardis” le disse
imbarazzato,
distogliendo lo sguardo da quello di Veronica.
Perfetto.
Ora anche lo scolaretto che arrossisce! Pietoso. Stai diventando
davvero
pietoso Twelve! Ma non dovevi, invece, farla cadere ai tuoi piedi?
Stupendo. Ci
vorrebbe un applauso.
Imbronciato,
il Dottore si avviò verso la cabina
blu, che spiccava come luce nel buio in quel mondo rosato. Veronica
faticò a
tenere il suo passo: non capiva cosa gli fosse preso. Sembrava quasi
che il suo
abbraccio gli avesse dato fastidio.
Si
tolse la tuta spaziale con molta difficoltà, e si
sedette su una poltrona di pelle nera, sbuffando.
“Ehy!
Togliti subito da lì” le ordinò
arrabbiato
vedendola spaparanzata sulla sua poltrona preferita.
“Co…
cosa?” domandò confusa, risvegliandosi dal
colpo di sonno che gli era preso, improvviso.
“La
poltrona è mia. Sloggia!” le disse cattivo,
tirandola da un braccio con violenza.
“Ma
che modi” disse lei, rischiando di cadere, e
massaggiandosi il braccio dolorante.
Lui
la guardò dispiaciuto. Ma la sensazione di
panico che aveva provato vedendola appropriarsi di un oggetto che era
sempre
stato solo suo l’aveva spinto a comportarsi male con lei.
“Scusa”
disse tormentando il berretto dei Sex
Pistols, con cui aveva sostituito quello dei Giants.
Veronica
lo guardò a lungo per capire se fosse
davvero pentito, poi scrollò le spalle come a dire che non
importava, e gli
disse sedendosi da un’altra parte: “Dove si va,
ora?”